Ma a cosa serve questo tuo soffrire?
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Ma a cosa serve questo tuo soffrire?

Come accettare il dolore e liberare la felicità

  1. 120 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Ma a cosa serve questo tuo soffrire?

Come accettare il dolore e liberare la felicità

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Vivere è un'esperienza bellissima, ma anche molto faticosa. È un po' come scalare una montagna, è necessario stancarsi per raggiungere la cima, pensare anche di non riuscire ad arrivarci. In poche parole, vivere vuol dire soffrire. Gli esseri umani hanno da sempre cercato il modo per scappare dalla loro sofferenza o quantomeno hanno provato a trovare una ragione per giustificarla e accettarla. Tuttavia, forse, l'unica risposta sensata da darsi è ammettere che una risposta al nostro soffrire, di fatto, non c'è.

Davide Munaro in questo libro ci insegna proprio a comprendere che l'unica sicurezza che possediamo è che la sofferenza esiste. E visto che ignorarla o evitarla è impossibile, l'unica possibilità che rimane è accettarla, entrarci dentro senza paura, alla ricerca di un sentiero, di una strada che ci permetta di attraversarla consentendoci di uscirne più forti di prima: "siamo come ruscelli che scendono dalla montagna e di fronte alle avversità della vita sono costretti a trovare percorsi nuovi. E proprio come i ruscelli, con ostinazione, senza arrenderci mai, possiamo arrivare a incontrare anche noi il mare. Siamo portati a pensare che la vita sia bella solo se vissuta senza sofferenze, ma non è esattamente così".

Ma a cosa serve questo tuo soffrire?, infatti, in ogni sua pagina, in ogni sua storia, in tutta la sua delicata saggezza, ci ricorda che ogni stagione ha la sua bellezza, che tutto muore d'inverno per poi rifiorire in primavera, e ciò vale anche per ogni essere vivente, per ogni persona, per ogni singolo istante della nostra vita.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2021
ISBN
9788835707127

Zora

La morte è ciò che ci rende eterni, senza tempo e senza fine
Ormai il sole sta calando, i colori del tramonto sembrano anch’essi inumiditi dalla pioggia caduta. Ogni volta rimango incantato di fronte a tutta quest’immensa bellezza. E se fosse solo la parte superficiale della realtà? Il mio sguardo si rivolge verso l’oltre, al di là del visibile, dove il mondo sta rinascendo dentro se stesso. Osservo le mie mani: sono invecchiate. Ma cosa significa vivere se non permettere alla vita di morire e rigenerarsi a ogni istante? Ogni cosa diventa parte di noi solo dopo averla vissuta, dopo averla perduta. È in quel perderla che diventa eterna. Diventiamo parte del mondo solo vivendolo, e viverlo significa lasciarlo morire a ogni istante. Così si scopre che la morte in realtà è la vita che rinasce da se stessa. Ogni cosa muore solo quando non può più morire.
In quel momento sul telefono mi arriva un messaggio. È un numero sconosciuto, mai visto prima: “Buongiorno sono Egle, la figlia di Fiorella. Mi spiace molto doverti dare una triste notizia, Fiorella è mancata sabato mattina mentre faceva il primo bagno della stagione davanti a casa sua, ha avuto un infarto ed è morta sul colpo… le acque del lago l’hanno poi riportata a casa… mi sono permessa di scriverti perché ho trovato il tuo numero nella sua rubrica e so che vi aveva legato una bella e simpatica amicizia. Mia mamma ogni tanto ricordava quel periodo con piacere, perché lei adorava le persone che la facevano divertire e sicuramente tu avevi questa qualità. Per sua volontà non è stata fatta nessuna funzione e nessun annuncio. Spero che lei abbia lasciato un bel ricordo anche a te. Ti saluto caramente. Egle”.
Mi commuovo, rimango sospeso, come quando accade qualcosa che non ti aspetti. Prima o poi ciascuno di noi incontra le proprie sofferenze, nessuno ne è escluso.
Chiudo gli occhi e le lacrime iniziano a segnare il mio viso. Una serie di ricordi fluisce nella mente. La vista comincia a sbiadire. La distinzione tra l’azzurro del cielo e il rosso del tramonto inizia a sfumare, poi a confondersi. Socchiudo gli occhi e vengo avvolto da un sogno. Nel sogno Fiorella non è morta, prende forme diverse. Non voglio svegliarmi, perché se lo faccio prendo consapevolezza che lei se n’è andata, nel sogno invece lei è viva e posso parlarle.
Devo scegliere se immergermi ancora di più nel sogno o riaprire gli occhi e scoprire quello che sono venuto a sapere. È come se un cieco entrasse in un sogno dove può vedere, sapendo bene che l’esperienza di svegliarsi coinciderebbe con il perdere di nuovo la vista.
Decido di immergermi.
Mi ritrovo in un paesino medievale che sorge sulle pendici delle colline di fronte al mare. Mi siedo per qualche ora su una panchina a osservare il mare. Ai lati della panchina ci sono due pini marittimi. La loro forma testimonia che hanno danzato con il vento da quando sono nati. Alle mie spalle, collocata sul muro di un casa e orientata verso il mare, c’è una targa. Inciso sul marmo c’è scritto: “E il mare concederà a ogni uomo nuove speranze, come il sonno porta i sogni”. È una citazione di Cristoforo Colombo.
Come tutti gli esploratori anche Colombo amava cercare l’oltre, il non visibile. Penso che quel mondo che mi osserva in ogni istante lo faccia attraverso uno sguardo a me inaccessibile. Posso vedere solo ciò che posso vedere. Così il mondo siamo noi, e finisce dove noi finiamo.
E tutto il resto, dove lo possiamo trovare? Forse voltando le spalle al mondo che conosciamo, come ha fatto Colombo. Noi siamo il limite del mondo e anche il limite di noi stessi, con tutte le nostre credenze e le false verità che ci siamo costruiti e che ci limitano.
In quel momento vedo uscire dall’acqua una signora anziana. Ha la pelle solcata dal vento. La stessa pelle che hanno gli uomini che hanno trascorso la loro vita in mare. Ha tutti i capelli bianchi in vista, quasi a voler mostrare con orgoglio la sua età. Mentre esce dall’acqua, arrampicandosi sugli scogli, dirige lo sguardo verso di me. I suoi occhi mi penetrano quasi a volermi attraversare. Noto un particolare: ha gli occhi di colori diversi. Il destro è azzurro come il mare e il sinistro giallo come il colore dei girasoli. Si avvicina e mi sorride.
«Lo sai il segreto per avere una vita eterna?» mi chiede. «Amare quello che fai.» Poi mi dice: «Mi chiamo Fiorella. Sei in macchina?».
«Sì.»
«Hai voglia di darmi un passaggio? Dovrei andare da mio fratello, non è molto distante.»
«Sì, volentieri.»
La accompagno. Arriviamo di fronte alla bottega di un pittore, un luogo che richiama altri tempi.
«Aspettami qui» mi dice lei.
Fiorella entra nella bottega e qualche minuto dopo ritorna con in mano qualcosa. È un quadro.
«È per te, per la tua gentilezza.»
Il dipinto raffigura un mare di svariati colori, mentre in lontananza si vede una barca a vela. Da sola illumina il mare, che prende forma attraverso quella barca a vela.
Ci salutiamo.
Ritorno su quella panchina tra i pini. È notte, posso ammirare il riflesso della luna sul mare illuminato. Sento che mi sto immergendo dentro qualcosa di immenso, di incomprensibile, e che ogni tentativo di comprensione potrebbe limitarmi. È una melodia di suoni e di colori. Tutto è così confuso, come ripiegato su se stesso.
Per terra scorgo un foglio accartocciato. Mi abbasso e lo prendo. Lo apro e vedo che è pieno di scarabocchi colorati. Ricordano i disegni fatti dalla mano di un bambino. Sono incomprensibili. Sono confusi e non danno risposta ad alcun perché.
Quei disegni sono la cosa che più somiglia a ciò che chiamiamo universo. Non al cosmo bello e attraente che le maestre ci facevano disegnare da bambini, per intenderci. Piuttosto qualcosa di inafferrabile, caotico, senza senso, ma proprio per questo pieno di vita. Ogni colore di quel disegno è molto più di un colore. Raggiunge la mia anima. Ogni colore ha un odore, un sapore e un suono. Sono colori vivi che cambiano forma costantemente.
Un segno rosso somiglia a una cicatrice. Emette un suono interiore, che risveglia in me la sofferenza conosciuta nel corso della mia vita. Mentre lo sto osservando cambia costantemente forma, fino a diventare un papavero. Non è più una cicatrice piena di sofferenza, è diventato un’altra cosa. Un azzurro intenso si avvolge su se stesso emettendo una vibrazione che tocca le corde della mia anima. Sembra che ogni colore rappresenti uno strumento musicale.
Ma il colore che più attira la mia attenzione è il verde. È immobile, sembra quieto. Quando incontra il giallo, però, diventa imperfetto, e in questa imperfezione nasce un suono caldo, con toni ampi. È il suono di un violoncello. Sento che il mio compito non è dominare la vita, ma entrare in armonia con essa, farne parte attraverso il mio vivere. Tutto ciò che nella mia esistenza, fino a quel momento, ho pensato non servisse a nulla diventa improvvisamente essenziale. Il mio passato pieno di confusione e senza alcuna risposta rende quell’istante libero di allungarsi in luoghi e mondi dove la perfezione non sarebbe mai potuta arrivare.
Alzo la testa al cielo, è un cielo ricco di stelle. Quanto più la nostra vita è stata piegata dalle nostre sofferenze, tanto più riusciremo a sentirci parte di quel cielo stellato, penso tra me. È proprio perché l’universo sfugge a ogni nostra comprensione che ci dona la libertà di costruire e dare senso alla nostra esistenza.
In quell’istante un fiore attira la mia attenzione. È un girasole che riflette i colori dell’arcobaleno. Splende nella luce di tutto quel sentire. D’un tratto giunge una voce: «Il difficile non è trovare qualcosa di bello, il difficile è lasciarlo libero. È nel non voler averne il possesso che troverai la tua libertà».
Mi giro, e seduta al mio fianco c’è Fiorella.
«Ognuno ha la propria strada, le proprie convinzioni e credenze su ciò che è essenziale. Nessuno ha ragione o torto, siamo semplicemente diversi. Nella vita, però, ciò che conta è solo quello che sei, è questo che arriva alle persone e che lasci al mondo, non le tue idee» mi dice.
Il mio sguardo va nuovamente su quel girasole fatto di infiniti colori. Nasce dalla roccia, in un contesto difficile.
«I fiori più poveri ti renderanno ricco» continua lei. «Ti piace questo girasole? Penso che ti stesse aspettando da molto tempo.»
Poi d’improvviso ci ritroviamo entrambi seduti sotto un grosso albero. Alla base del tronco si trova una placca circolare. L’albero è ricco di frutti neri e carnosi che attirano molti uccelli colorati.
«Gli alberi di una foresta crescono meglio se sono sani, ma se uno di essi presenta delle ferite gli altri lo aiutano» mi dice. «E così non esiste un albero, ma una foresta. Anche per gli uomini vale lo stesso. Ogni istante della nostra vita andrà in soccorso di ogni altro istante, per affrontare insieme le difficoltà che incontreremo sul nostro sentiero. Così l’insieme dei nostri passi formerà la nostra vita, e non potremo mai fare un passo separato da tutti gli altri.»
Il girasole è ancora lì. Sembra che nasca dal mio sguardo. È ovunque mi oriento.
«Osserva questo girasole» mi dice. «È come la felicità. Ha solo bisogno di un terreno dove espandere le sue radici e di qualcuno che lo riconosca e che gli dia da bere. Questo tipo di girasole è come un sogno: cresce ovunque, sulle vette innevate, nelle coste rocciose, e anche nella sabbia, ovunque. Praticamente non c’è luogo dove non possa nascere. Questo fiore nasce dalla povertà, dalla roccia.»
«Perché tutto questo soffrire?» chiedo.
«Vedi, le piante assorbono l’acqua che scende dalle montagne per rimetterla in circolazione nell’aria. Se non ci fossero le piante l’acqua tornerebbe direttamente al mare. Così vale anche per noi. Le sofferenze raccolgono le nostre esperienze e le riempiono di significato. Se così non fosse noi non incontreremmo mai le albe colorate che ci stanno aspettando.»
Poi aggiunge ancora: «Ricordati che tutto ciò che hai incontrato nella tua vita, fin dall’inizio, anche coloro che chiami genitori, sono in realtà compagni d’avventura. Compagni di un viaggio senza fine, un viaggio alla scoperta del mondo, dei tuoi passi. Ti regalo questo girasole. Si chiama Zora».
«Perché me lo regali?»
«Perché hai saputo riconoscerlo, e della realtà puoi leggere solo ciò che puoi vedere. Ciò che è tuo lo è sempre stato, da quando sei nato. Nessuno può portarti via ciò che ti appartiene. Vorrei che tu ti prendessi cura di questo fiore. È un girasole speciale, ma lo scoprirai strada facendo. Zora sarà la tua compagna di avventura.»
Quindi raccoglie il fiore e lo mette in un vaso di terracotta.
«Descrivere un fiore per le sue caratteristiche morfologiche non è straordinario, lo sanno fare tutti. Essere talmente folli da parlare con lui, e scoprire che anche un fiore è vivo e ha una storia, esattamente come te, lo sanno fare in pochi. Questo è quello che devi fare, andare oltre le tue stesse credenze. Zora ti stupirà.»
Poi mi indica un punto lontano: «Vedi laggiù oltre quelle montagne e quelle valli? C’è qualcosa. Se ti allunghi sulla punta dei piedi lo puoi vedere. Anche dall’altra parte c’è qualcosa o qualcuno che sta facendo la stessa cosa. Ricordati di cercare al di là di quello che già conosci. Ora devi andare. Laggiù troverai l’oltre. La strada è ancora lunga».
Tenendo stretta Zora fra le mani mi avvio verso quelle valli, per superarle e andare oltre, dove lei mi ha indicato.
Di lì a poco comincia a piovere.
Più tardi, lungo il cammino, sotto la pioggia incontro una lumaca. È tutta intenta ad attraversare da una parte all’altra della strada. Procede con estrema lentezza e con profonda consapevolezza. La spirale del suo guscio riflette un’armonia matematica. Quella spirale mi attira, simboleggia un mistero profondo. Nell’osservarla inizio a rivolgere la mia attenzione dentro me stesso.
Il viaggio di quella lumaca rappresenta la ricchezza costruita nel tempo, una ricchezza che ha radici antiche. Solo se il nostro istante è sorretto da infinite esperienze, costruite nel tempo e negli errori, sarà in grado di deviare come le nuvole quando incontrano le montagne.
Ricordo le parole di Fiorella. Cerco di afferrare la lumaca con la mano per aiutarla ad attraversare la strada. Lei si ritira nel suo guscio, quasi a volermi dire che devo saper aspettare. Ha antenne molto lunghe, in cima alle quali ci sono grossi occhi, con cui pone attenzione ai particolari che la circondano.
Mentre sono intento a osservare la chiocciola, cessa di piovere. Tra le nuvole, fili di luce si rispecchiano nelle pozzanghere. Mi avvicino a una di queste e vedo riflesso il mio volto. Sono invecchiato, ma più sereno. Proseguo il cammino con la mia nuova compagna di viaggio. A un tratto noto dei tralicci con delle scarpe annodate che penzolano sospese. Mi rendo conto sempre più di quante sfumature abbia la vita, e anche quel fiore.
Il girasole inizia a parlare: «Io non sono un fiore come tutti gli altri».
«Fiorella mi ha detto che sei un fiore speciale.»
«Di solito i fiori nascono in mezzo ai fili d’erba. Io sono nata in mezzo alla roccia. Poi tutti i girasoli sono gialli, io non so di che colore sono. Cambio sempre a ogni istante.»
«È facile brillare quando il contesto brilla, ma brillare quando il contesto nega la tua bellezza è magico» rispondo. «Quando si riesce in questa impresa si diventa come una stella luminosa nel cielo, che da sola illumina tutto il firmamento. Per farlo, però, penso che tu debba iniziare ad aprire la tua anima e a mettere in discussione ciò che vedi. Se passiamo molto tempo a vedere con gli occhi degli altri non vediamo nulla. Vediamo solo ciò che è già pronto. Dovremmo imparare a disubbidire più spesso al mondo che pensiamo di conoscere. Il vero sguardo nasce dal cuore, Zora. Sei cresciuta nella roccia perché tu possa diventare un fiore meraviglioso. E puoi sapere di essere un fiore solo quando nessuno lo riconosce in te. Se vuoi qualcosa, il mondo non ti darà...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Ma a cosa serve questo tuo soffrire?
  4. Introduzione
  5. Uno sguardo sul passato
  6. Il dono sulla collina
  7. Daniel il fiorista
  8. Senza casa
  9. Valeria e il guerriero
  10. La farfalla bianca
  11. Oltre gli occhi
  12. Un saggio mi disse
  13. L’uomo sul triciclo
  14. Il viandante
  15. L’elefante volante
  16. L’uomo con l’ombrello
  17. Zora
  18. La resilienza del polpo
  19. Oltre il sentiero
  20. Ringraziamenti
  21. Copyright