Trilogia della nebbia
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Trilogia della nebbia

Il principe della nebbia - Il palazzo della mezzanotte - Le luci di settembre (Edizione illustrata)

  1. 468 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Trilogia della nebbia

Il principe della nebbia - Il palazzo della mezzanotte - Le luci di settembre (Edizione illustrata)

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Una misteriosa casa sulla costa atlantica e tre ragazzi alla scoperta di antichi segreti, legati a innominabili patti siglati con il misterioso Principe della Nebbia. Nella Calcutta del 1916 un treno in fiamme squarcia la notte mentre i gemelli Ben e Sheere vengono miracolosamente salvati. Sedici anni dopo, le braci di quell'incendio ricominciano ad ardere per i due adolescenti, segnando il loro destino. In un faro sulla costa normanna Irene e Ismael si addentrano nel mistero di un fabbricante di giocattoli, un enigma che li unirà per sempre trascinandoli in un mondo labirintico di luci e ombre. I primi tre romanzi dell'autore de L'ombra del vento riuniti in un unico volume secondo le sue intenzioni.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2021
ISBN
9788835708667

IL PALAZZO DELLA MEZZANOTTE

Il ritorno dell’oscurità

Calcutta, maggio 1916

Poco dopo mezzanotte, un barcone emerse dalla nebbiolina notturna che saliva dalla superficie del fiume Hooghly come il fetore di una maledizione. A prua, sotto il tenue chiarore proiettato da una lucerna agonizzante appesa all’albero, si intravedeva la sagoma di un uomo avvolto in un mantello che remava faticosamente verso la riva lontana. Più in là, a ovest, il profilo di Fort William nel Maidan si ergeva sotto un manto di nubi cineree alla luce di un infinito sudario di lampioni e falò che si estendeva fin dove arrivava la vista. Calcutta.
L’uomo si fermò qualche secondo a riprendere fiato e a osservare il profilo della stazione di Jheeter’s Gate, perduta per sempre nelle tenebre che ricoprivano l’altra sponda del fiume. A ogni metro che percorreva addentrandosi nella bruma, la stazione di vetro e acciaio si confondeva con altrettanti edifici ancorati fra splendori dimenticati. I suoi occhi vagarono per quella selva di mausolei di marmo annerito da decenni di abbandono e facciate nude alle quali la furia del monsone aveva strappato la pelle ocra, azzurra e dorata, diluendone i colori come acquerelli che svaniscono in uno stagno.
Soltanto la certezza che gli restavano appena poche ore di vita, forse pochi minuti, gli permise di continuare la marcia, abbandonando nelle viscere di quel luogo maledetto la donna che aveva giurato di proteggere a costo della vita. Quella notte, mentre il tenente Peake iniziava il suo ultimo viaggio verso Calcutta a bordo di un vecchio barcone, ogni secondo della sua esistenza svaniva sotto la pioggia arrivata al riparo dell’oscurità.
Mentre lottava per trascinare l’imbarcazione verso la riva, il tenente poteva sentire il pianto dei due bambini nascosti nella sentina. Volse lo sguardo indietro e si accorse che le luci di un altro barcone lampeggiavano appena un centinaio di metri alle sue spalle, guadagnando terreno. Riusciva a immaginare il sorriso del suo inseguitore, che assaporava il gusto della preda, inesorabile.
Ignorò le lacrime di freddo e di fame dei bambini e dedicò tutte le energie che gli restavano a dirigere la barca verso l’argine del fiume, che veniva a morire alle soglie di quell’insondabile e spettrale labirinto che erano le strade di Calcutta. Duecento anni erano bastati a trasformare la fitta giungla che cresceva intorno al Kalighat in una città dove neanche Dio avrebbe mai avuto il coraggio di entrare.
In pochi minuti il temporale si era rovesciato sulla città con la collera di uno spirito devastatore. Dalla metà di aprile fino a giugno inoltrato, la città si consumava tra le grinfie della cosiddetta estate indiana. In quei giorni sopportava temperature di quaranta gradi e un livello di umidità al limite della saturazione. Qualche minuto dopo, sotto l’influsso di violente tempeste elettriche che trasformavano il cielo in una cortina di fuochi artificiali, i termometri potevano scendere di trenta gradi in pochi secondi.
Il manto torrenziale della pioggia velava la vista dei rachitici moli di legno fradicio che dondolavano sul fiume. Peake non desistette dal suo impegno fin quando non sentì l’impatto dello scafo contro le assi del molo di pescatori. Solo allora affondò la pertica nel fondale fangoso e andò dai bambini, che giacevano avvolti in una coperta. Quando li prese in braccio, il pianto dei piccoli impregnò la notte come la traccia di sangue che guida il predatore fino alla sua vittima. Peake se li strinse al petto e saltò a terra.
Attraverso la spessa cortina d’acqua che cadeva con furia riusciva a vedere l’altro barcone avvicinarsi lentamente alla riva come un battello funebre. Sentendo la sferzata del panico, Peake prese a correre verso le strade che costeggiavano a sud il Maidan e sparì tra le ombre di quella zona della città che i suoi privilegiati abitanti, in maggioranza europei e britannici, chiamavano la città bianca.
Aveva una sola speranza di riuscire a salvare la vita dei bambini, ma era ancora lontano dal cuore del settore nord di Calcutta, dove sorgeva la dimora di Aryami Bose. Adesso quell’anziana donna era l’unica a poterlo aiutare. Peake si fermò un istante e scrutò l’immensità tenebrosa del Maidan in cerca del bagliore lontano dei piccoli lampioni che disegnavano stelle palpitanti nel nord della città. Le strade buie e celate dal velo del temporale sarebbero state per lui il miglior nascondiglio. Il tenente afferrò forte i bambini e si allontanò di nuovo verso est, cercando riparo fra le ombre dei grandi palazzi signorili del centro della città.
Pochi istanti dopo, il barcone nero che gli aveva dato la caccia si fermò accanto al molo. Tre uomini saltarono a terra e ormeggiarono l’imbarcazione. Il portello della cabina si aprì lentamente e una sagoma scura avvolta in un mantello nero percorse la passerella che gli uomini avevano teso dal molo, senza badare alla pioggia. Una volta sulla terraferma, allungò la mano infilata in un guanto nero e, indicando il punto in cui Peake era sparito, abbozzò un sorriso che nessuno dei suoi uomini riuscì a scorgere sotto la tormenta.
La strada buia e sinuosa che attraversava il Maidan e costeggiava la fortezza si era trasformata in una fangaia sotto la pioggia sferzante. Peake ricordava vagamente di aver attraversato quella zona della città ai tempi delle sue battaglie nelle strade agli ordini del colonnello Llewelyn, alla luce del giorno e in sella a un cavallo, insieme a uno squadrone dell’esercito assetato di sangue. Ora il destino, ironicamente, lo portava a percorrere di nuovo lo spazio aperto fatto spianare da Lord Clive nel 1758 perché i cannoni di Fort William potessero sparare in tutte le direzioni. Ma stavolta era lui la preda.
Il tenente corse alla disperata verso gli alberi, mentre sentiva su di sé gli sguardi furtivi di silenziosi osservatori nascosti nell’ombra, abitanti notturni del Maidan.
Sapeva che nessuno gli avrebbe sbarrato la strada per assalirlo e cercare di strappargli il mantello o i bambini che piangevano tra le sue braccia. Gli invisibili abitanti di quel luogo erano in grado di annusare le tracce della morte che aveva alle calcagna e neanche un’anima avrebbe osato intralciare il cammino del suo inseguitore.
Peake superò i cancelli che separavano il Maidan da Chowringhee Road e si addentrò nell’arteria principale di Calcutta. Il maestoso viale si estendeva sull’antico tracciato del sentiero che, appena trecento anni prima, attraversava la giungla bengalese in direzione sud, verso il tempio di Kali, il Kalighat, che aveva dato origine al nome della città.
L’abituale moltitudine notturna che vagava nelle notti di Calcutta era tornata a casa per la pioggia e la città aveva l’aspetto di un grande bazar sudicio e abbandonato. Peake sapeva bene che la cortina d’acqua che annebbiava la vista e gli serviva da copertura nella notte fonda poteva svanire in fretta come era arrivata. Le tempeste che dall’oceano si spingevano fino al delta del Gange si allontanavano velocemente verso nord o verso ovest dopo aver scaricato il loro diluvio purificatore sulla regione del Bengala, lasciando una scia di brume e strade inondate da pozzanghere infette dove i bambini giocavano immersi fino alla vita e i carri restavano impantanati come navi alla deriva.
Il tenente corse verso l’estremità settentrionale di Chowringhee Road fino a sentire che i muscoli delle gambe gli cedevano e che era a stento in grado di continuare a reggere il peso dei bambini tra le braccia. Le luci del settore nord scintillavano vicine sotto il telone vellutato della pioggia. Peake era consapevole che non avrebbe potuto tenere quel ritmo ancora per molto e che la casa di Aryami Bose era lontana. Doveva fare una sosta.
Si fermò a riprendere fiato, nascosto sotto le scale di un vecchio magazzino di stoffe, i cui muri erano ricoperti di cartelli che ne annunciavano l’imminente demolizione per ordine delle autorità. Ricordava vagamente di averlo ispezionato anni prima, a seguito della denuncia di un ricco commerciante il quale affermava che al suo interno si nascondeva un’importante fumeria di oppio.
Adesso l’acqua torbida si infiltrava tra i gradini sgangherati e ricordava il sangue nero che sgorga da una ferita profonda. Il luogo appariva desolato e deserto. Il tenente sollevò i bambini all’altezza del viso e osservò i loro occhi storditi; non piangevano più, ma tremavano di freddo. La coperta in cui erano avvolti era zuppa. Peake prese quelle piccole mani tra le sue con la speranza di trasmettere loro un po’ di calore, mentre sbirciava tra le fessure della scalinata le strade che emergevano dal Maidan. Non ricordava quanti assassini aveva reclutato il suo inseguitore, ma sapeva che nel suo revolver restavano solo due pallottole, due pallottole che doveva amministrare con tutta l’astuzia possibile; aveva sparato il resto delle munizioni nei tunnel della stazione. Avvolse di nuovo i bambini nella parte meno umida della coperta e li depose per qualche secondo su un lembo di terreno asciutto che si intravedeva sotto una cavità nella parete del magazzino.
Peake estrasse il revolver e affacciò lentamente la testa tra i gradini. A sud, Chowringhee Road, deserta, sembrava uno scenario spettrale in attesa dell’inizio della rappresentazione. Il tenente aguzzò la vista e riconobbe la scia di luci lontane sull’altra riva del fiume Hooghly. Un rumore di passi frettolosi sul selciato allagato dalla pioggia lo fece sobbalzare e si ritirò di nuovo nell’ombra.
Tre individui emersero dal buio del Maidan, un oscuro riflesso di Hyde Park scolpito in piena giungla tropicale. Le lame dei coltelli brillarono nella penombra come lingue d’argento incandescente. Peake si affrettò a riprendere in braccio i bambini e inspirò a fondo, cosciente del fatto che, se fosse fuggito in quel momento, quegli uomini gli sarebbero stati addosso in pochi secondi come una muta di cani affamati.
Rimase immobile contro la parete del magazzino e controllò i tre inseguitori, che si erano fermati un istante in cerca delle sue tracce. I sicari scambiarono alcune parole incomprensibili e uno di loro fece cenno agli altri di separarsi. Peake trasalì vedendo quello che aveva dato l’ordine dirigersi direttamente verso la scala sotto la quale lui si nascondeva. Per un attimo pensò che l’odore della sua paura avrebbe guidato l’uomo fino al suo nascondiglio.
I suoi occhi percorsero disperatamente la superficie del muro sotto la scalinata in cerca di un’apertura attraverso cui fuggire. Si accovacciò vicino alla cavità dove pochi secondi prima aveva lasciato i bambini e tentò di forzare le tavole schiodate e indebolite dall’umidità. Il legno, ferito dal marciume, cedette senza difficoltà e Peake sentì un soffio di aria nauseabonda che proveniva dall’interno dello scantinato dell’edificio in rovina. Si girò e vide l’assassino, che si trovava appena a una ventina di metri dai piedi della scalinata e brandiva il coltello.
Avvolse i bambini con il proprio mantello per proteggerli e strisciò all’interno del magazzino. Una fitta pochi centimetri sopra il ginocchio gli paralizzò di colpo la gamba destra. Peake si tastò con mano tremante e le dita sfiorarono il chiodo arrugginito conficcato dolorosamente nella sua carne. Soffocando il grido di agonia, afferrò il freddo metallo, tirò con forza e sentì la pelle lacerarsi al suo passaggio e il sangue tiepido sgorgargli tra le dita. Uno spasmo di nausea e di dolore gli offuscò la vista per alcuni secondi. Ansimando, prese di nuovo i bambini e si alzò a fatica. Davanti a lui si apriva una galleria spettrale con centinaia di scaffali a diversi ripiani, tutti vuoti, a formare uno strano reticolato che si perdeva nell’ombra. Senza esitare un istante, corse verso l’altra estremità del magazzino, la cui struttura ferita a morte scricchiolava sotto i colpi della tormenta.
Quando Peake riemerse all’aria aperta dopo aver percorso centinaia di metri nelle viscere di quell’edif...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Trilogia della Nebbia
  4. Nota dell’autore
  5. Il Principe della Nebbia
  6. Il Palazzo della Mezzanotte
  7. Le Luci di settembre
  8. Indice delle fotografie
  9. Copyright