L'appello
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L'appello

  1. 348 pagine
  2. Italian
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E se l'appello non fosse un semplice elenco? Se pronunciare un nome significasse far esistere un po' di più chi lo porta? Allora la risposta "presente!" conterrebbe il segreto per un'adesione coraggiosa alla vita. Questa è la scuola che Omero Romeo sogna.

Quarantacinque anni, gli occhiali da sole sempre sul naso, Omero viene chiamato come supplente di Scienze in una classe che affronterà gli esami di maturità. Una classe-ghetto, in cui sono stati confinati i casi disperati della scuola. La sfida sembra impossibile per lui, che è diventato cieco e non sa se sarà mai più capace di insegnare, e forse persino di vivere. Non potendo vedere i volti degli alunni, inventa un nuovo modo di fare l'appello, convinto che per salvare il mondo occorra salvare ogni nome, anche se a portarlo sono una ragazza che nasconde una ferita inconfessabile, un rapper che vive in una casa famiglia, un nerd che entra in contatto con gli altri solo da dietro uno schermo, una figlia abbandonata, un aspirante pugile che sogna di diventare come Rocky... Nessuno li vedeva, eppure il professore che non ci vede ce la fa.

A dieci anni dalla rivelazione di Bianca come il latte, rossa come il sangue, Alessandro D'Avenia torna a raccontare la scuola come solo chi ci vive dentro può fare. E nella vicenda di Omero e dei suoi ragazzi distilla l'essenza del rapporto tra maestro e discepolo, una relazione dinamica in cui entrambi insegnano e imparano, disponibili a mettersi in gioco e a guardare il mondo con occhi nuovi. È l'inizio di una rivoluzione?

L'Appello è un romanzo dirompente che, attingendo a forme letterarie e linguaggi diversi - dalla rappresentazione scenica alla meditazione filosofica, dal diario all'allegoria politico-sociale e alla storia di formazione -, racconta di una classe che da accozzaglia di strumenti isolati diventa un'orchestra diretta da un maestro cieco. Proprio lui, costretto ad accogliere le voci stonate del mondo, scoprirà che sono tutte legate da un unico respiro.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2020
ISBN
9788835705758

SETTEMBRE

«Non sapevo fosse cieco, è sicuro di voler accettare l’incarico annuale?»
Così mi ha chiesto il dirigente scolastico, un tempo lo chiamavamo preside, il primo giorno di scuola del nuovo anno, non appena mi sono seduto di fronte a lui e mi sono tolto gli occhiali da sole. Il suo volto, costernato in una qualche forma di compassione, potevo solo immaginarlo.
È troppo presto per avere una chiara percezione delle masse, ma la sua sicuramente è densa e immersa nell’odore di muffa e candeggina della stanza, mentre lui sa di colonia e naftalina. La sua voce è secca, senza eco, ferma le vocali finali sul nascere, come chi è abituato a tagliare corto. Sento lo spazio che gli oggetti occupano, i loro odori, la loro consistenza, la loro paura e a volte la loro fame. Dagli oggetti esce esattamente la quantità di vita che i proprietari trasmettono loro, dagli oggetti puoi sapere se le persone sono ancora vive.
«Sono tempi bui per noi insegnanti…»
Silenzio. Non ha capito la battuta, come spesso accade quando le frasi implicano metafore visive che uso per sdrammatizzare la mia condizione, forse perché ne ho ancora paura. Continuo:
«Non riprenderei a insegnare se non fossi convinto.»
«Riprendere?»
«Avevo smesso…»
«Ah… certo che per ricominciare le è capitata una classe un po’ sfortunata…»
«Anche io lo sono… uno più, uno meno…»
«Erano rimasti in nove, poi si è aggiunta una ragazza che ripete l’anno. Abbiamo preferito tenerli insieme e non ridistribuirli in altre classi.»
«Giusto! Come si fa con un virus: lo si isola.»
«Come si fa con i gruppi difficili. È un miracolo che siano arrivati alla maturità.»
«Maturità è tutto, diceva il re!»
«Chi?»
«Lear, Shakespeare! “L’uomo deve aspettare con pazienza / il suo momento di uscire dal mondo, / come aspetta il momento per entrarci. / Maturità è tutto!” Ripeness is all. Lo ripeteva sempre la mia professoressa di inglese delle superiori, e ci spiegava che in inglese ripeness significa sia “maturità” sia “essere pronti”.»
«Ma lei come fa a insegnare?»
«La vista è sopravvalutata.»
«Non la seguo.»
«Dai Greci in poi non abbiamo mai smesso di pensare che la vista sia il senso più nobile.»
«Non lo è?»
«Lei cosa pensa?»
«Be’, la nostra conoscenza inizia sempre dalla vista!»
«Dopo un po’ che siamo usciti dal grembo materno. Ma quei nove mesi al buio ci hanno abituato a un’altra priorità.»
«Quale?»
«L’olfatto, l’udito, ma soprattutto il tatto. Il senso più importante è il tatto. Quando ancora non vedevamo niente, noi toccavamo tutto ed eravamo toccati da tutto. Il destino dell’uomo è nelle sue mani.»
«Certo, sta a noi decidere che cosa fare della vita, ma che c’entra?»
«Mi prenda alla lettera: nelle mani, queste mani. Le mani danno forma al mondo in cui vorremmo vivere. È con l’uso che facciamo delle nostre mani che facciamo la vita: quando le nostre mani hanno cominciato a costruire case e tombe, abbiamo deciso che il mondo sarebbe stato o una casa o un cimitero.»
«Comunque sia, in graduatoria lei era l’ultimo professore da contattare. Accetta la supplenza?»
«Non sarei in quella maledetta graduatoria altrimenti.»
«Magari ci ha ripensato… Sa com’è, non tutti i precari poi accettano quando vengono informati della situazione.»
«Accetto, ma a due condizioni…»
«I nuovi arrivati non possono avanzare troppe pretese, ma nel suo caso forse…»
«La ringrazio per la compassione, ma non sono un bambino. Avrei solo bisogno delle prime ore e di qualcuno che mi aiuti a raggiungere la classe.»
«Farò il possibile, toccare l’orario di una scuola è come calpestare un serpente velenoso. Piuttosto, come farà con le interrogazioni e le verifiche?»
«Basta ascoltare.»
«Le verifiche scritte, intendo.»
«Come sempre: io faccio le domande e loro scrivono le risposte.»
«E come fa a correggerle? O a vedere se copiano? O se nelle interrogazioni leggono?»
«Nessuno ruba le monetine a un cieco a meno che non sia proprio disperato, nel qual caso meglio lasciarglielo fare. Mi farò leggere le risposte da loro. Stia tranquillo. Non ci saranno problemi.»
«Spero sia così, in questa classe ce ne sono già stati abbastanza. L’anno scorso una giovane supplente che li ha avuti per un mese è venuta in lacrime, dicendo che aveva sbagliato mestiere. L’unico obiettivo è portarli alla maturità.»
«Un ottimo obiettivo, non crede?»
«L’ho appena detto.»
«A farci invecchiare ci pensa la natura, ma a maturare ci dobbiamo pensare noi… Ah, senta, posso chiederle un’ultima cosa?»
«Un’altra?»
«Posso toccarle il viso?»
«Che cosa?»
«Vorrei farmi un’idea più accurata di lei. È il mio nuovo dirigente ed è importante che io la conosca.»
«Ci siamo già conosciuti…»
«Capisco il suo imbarazzo, ma io vedo con le dita…»
«È necessario?»
«Sì.»
Dopo una pausa di qualche secondo, sento il movimento del suo corpo che si sporge timidamente verso di me. Mi alzo perché in mezzo c’è la scrivania e allungo delicatamente le mani verso di lui per trovarne le spalle. Risalgo lungo il collo grasso e le poggio sul suo viso, con molto tatto. Avverto la contrazione dei muscoli mandibolari e la pelle molle delle guance ben rasate. Le orecchie sono piccole, con i lobi attaccati alla base. Il naso è morbido e un paio di baffi folti incornicia le labbra serrate. Le occhiaie sono pronunciate, la fronte corrugata si distende senza confini. È pelato, e la testa ha una irregolarità sulla sinistra, come un bernoccolo. I volti sono come mappe, contengono tutta la geografia dell’anima, luoghi a cui occorre dare un nome e una storia. Il dolore, la fatica, le paure, il male, il bene, la pioggia, gli schiaffi, le carezze, il vento, i pianti, il sonno, la felicità: tutto, giorno dopo giorno, gesto dopo gesto, scolpisce e trasforma quella carne. La vista non può cogliere con precisione imperfezioni e dettagli, perché ha fretta di far subito una sintesi. Io invece analizzo tutti i particolari separati, come un geografo, e solo dopo provo a metterli insieme. Sono arrivato alla conclusione che il tatto è più onesto della vista, perché è libero dai pregiudizi che abbiamo negli occhi. È un paradosso, ma ciò che ci troviamo davanti agli occhi non lo vediamo, anche perché in genere non vogliamo vedere davvero, quanto piuttosto ottenere conferma di quello che già crediamo di sapere e rimanere ciechi su ciò che non ci conviene sapere.
La sua pelle si imperla di sudore e allora fermo le mie dita, le tengo immobili sulle guance come fa una madre con un bambino: un volto si spoglia solo quando lo tocchi a lungo. Niente ci spaventa più di esser toccati dall’ignoto.
Bussano alla porta e il dirigente si scioglie rapidamente dalla presa.
«Avanti!» urla.
«Le ho portato il caffè.»
«Grazie» risponde secco e circospetto.
Sento il movimento di un corpo non del tutto agile, nel cui incedere si mescolano l’odore del caffè appena fatto e un profumo da uomo con note marine in superficie e geranio e limone nel fondo. Da quando sono cieco sono diventato anche un naso infallibile.
«Le presento il professor Romeo, quello nuovo di scienze.»
Lancio la mano davanti a me più o meno in direzione del punto in cui mi pare che lei si sia fermata. Ho indossato di nuovo gli occhiali da sole e quindi non sa che sono cieco.
«Buongiorno, professore. Io sono Patrizia, il lievito e il sale di questa scuola. Non mi si vede ma senza di me rimane tutto piatto e senza sapore. Il mio caffè è noto in tutti i piani, risveglia dai sonni più duri e prepara alle battaglie più difficili contro la noia e l’ignoranza; quando vorrà ce ne sarà uno anche per lei» mi stringe la mano. La sua è morbida ma al tempo stesso segnata da qualche callo, tipico di chi ripete sempre gli stessi gesti.
«Piacere, Romeo. Quello nuovo
«È lei che prenderà i miei preferiti? Povera, la professoressa… che disgrazia.»
«I suoi preferiti?»
«Sì, sono ragazzi talmente mal assortiti che non si può non volergli bene. Li ho adottati. Ci vorrà un po’ di pazienza all’inizio, ma basta prenderli per il verso giusto.»
«Mi spiegherà qual è… Anzi potrebbe essere lei a portarmi in classe al mattino» mi tolgo gli occhiali per rendere chiara la situazione.
«Mio Dio! Cioè, mi scusi, professor Romero.»
«Romeo. Come quello di Giulietta o come il gatto degli Aristogatti, scelga lei.»
«Io non sapevo…»
«Non si preoccupi, non è contagioso. Mi farà l’onore di farmi da guida?»
«Ma certo! Non c’è niente che mi sfugga! Sarò la sua spia. Che peccato però, lei, un così bel ragazzo…»
«Il professore ha 45 anni, i “ragazzi” sono quelli che stanno in classe. Grazie per il caffè, ora dobbiamo ultimare il colloquio» il dirigente interrompe bruscamente l’idillio.
«Posso avere un caffè anche io? Stamattina ancora non l’ho preso» chiedo, prima che Patrizia se ne vada.
«Ma certo! Con o senza zucchero?»
«Senza, altrimenti non è caffè.»
«Professor Romero, lei mi piace.»
«Romeo. O-me-ro Ro-me-o» scandisce il dirigente.
«E io che ho detto?» lo rimbrotta Patrizia.
Avverto un passo più leggero in uscita. La porta si chiude.
«La perdoni, è un po’ troppo esuberante.»
«Mi piace.»
Poi avvicino il mio volto al suo e gli dico, come un amico a un altro:
«Le occhiaie si accentuano se si beve troppo la sera e se si dorme a faccia in giù.»
«Scusi?»
«Non sono affari miei, ma le sue sono molto accentuate… Era solo un consiglio. Sono un uomo di scienza e cerco sempre di catalogare i fenomeni, è un vizio.»
«Non ho notti facili, ma ha detto bene lei: non sono affari suoi. Ora vada.»
Taglia corto, come accade quando arriviamo alla soglia del dolore e, anche se vorremmo liberarcene raccontandolo, ne lasciamo intravedere solo uno scorcio attraverso i nostri gesti e il tono di voce, poi la vergogna ci blocca, come se il dolore fosse una colpa, e non vita che si è finalmente decisa a guarire.
«Allora la lascio ai suoi affari.»
«Al mio caos!»
«Amo il caos! Insieme alla relatività e ai quanti, è la terza scoperta più importante della fisica del Novecento. Ma le conseguenze della relatività e dei quanti non le percepiamo, nel caos ci siamo immersi: è la stoffa delle cose quotidiane, l’intreccio delle vite. Il caos ci ha liberato dall’ossessione del controllo e ci ha aperto gli occhi – in questo caso posso dirlo – sulla realtà: niente determinismo, niente catene di cause ed effetti. La vita del cosmo è un gioco imprevedibile ma non per questo assurdo, come tutti i giochi veramente divertenti. Il caos ha salvato la libertà e la libertà è l’unica cosa che rinnova la vita. Un gioco che ha regole precise, ma con libertà infinita per i giocatori. Quindi si diverta con questo caos, non si sa mai cosa può trovarci dentro…»
«Una massa di rompiscatole, lamentosi e inaciditi. Lei la fa facile, Romeo. Una cosa è la teoria, un’altra la vita…»
«Io la faccio com’è, né teorica né pratica, com’è.»
«Anche io un tempo credevo in quello che studiavo.»
«E cioè?»
«La filosofia.»
«E cosa le ha fatto perdere la fede?»
«La realtà così com’è, per l’appunto. La accompagno, sono pieno di cose da fare. Il primo giorno di scuola è una battaglia senza possibilità di vittoria. Portare a casa la pelle è tutto.»
Mi prende sotto braccio ma tenendosi distante, in modo che i corpi non si tocchino, non sia mai che l’anima ne approfitti per uscire fuori dai suoi confini e mescolarsi un po’ alla mia. Dopo un lungo corridoio, si ferma sulla soglia di una piccola stanza contro le cui pareti stanno rimbalzando sia il rumore sia il profumo di una caffettiera gorgogliante. La voce della signora Patrizia ci accoglie, squillante: «Senta che concerto, professore. Che profumo! È la perfezione, altro che le macchinette. Faccio questo lavoro da 38 anni, tolga le domeniche e moltiplichi per una media di cinque caffettiere al giorno. Questa caffettiera ha consolato più cuori della Madonna di Lourdes, queste tazzine hanno raccolto più lacrime di una stazione. Questo è il caffè che bevono gli angeli in paradiso».
«Come quello che faceva mia madre…»
«Faceva?»
«Magari sta continuando anche in paradiso.»
Il dirigente fa per andarsene, ma trattengo per un attimo la sua mano e gliela stringo forte.
«La vista è sopravvalutata: gli occhi finiscono per non vedere ciò che vedono sempre, più vedono e meno guardano.»
Immagino il suo volto perplesso. Anzi, lo vedo.
«Le ricordo che la sua prima lezione è dopodomani. Spero di riuscire a spostarla alla prima ora.»
«Ci sarò.»
«Lo spero.»
Si allontana e sento un movimento nell’angolo di un...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Scrittori italiani e stranieri
  4. L’appello
  5. Prologo
  6. Settembre
  7. Ottobre
  8. Novembre
  9. Dicembre
  10. Gennaio
  11. Febbraio
  12. Marzo
  13. Aprile
  14. Maggio
  15. Giugno
  16. Luglio
  17. Agosto
  18. Settembre
  19. Epilogo
  20. Ringraziamenti
  21. Crediti
  22. Copyright