Perché l'Italia amò Mussolini
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Perché l'Italia amò Mussolini

(e come è sopravvissuta alla dittatura del virus)

  1. 432 pagine
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Perché l'Italia amò Mussolini

(e come è sopravvissuta alla dittatura del virus)

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Questo libro racconta la storia di due dittature, quella di Benito Mussolini e quella del signor Covid (come lo chiama l'autore). Si apre con una passeggiata a piazza Venezia: stracolma per i grandi proclami del Duce negli anni del consenso (1925-1936), deserta durante il drammatico lockdown della primavera 2020. Entrambe le dittature hanno soppresso o limitato la libertà degli italiani (il Covid-19, a 2 miliardi di persone), ma se allora Mussolini ebbe un'enorme popolarità interna e internazionale, l'Italia ha resistito al virus con un odio sordo, sconfiggendolo con la disciplina in primavera e rivitalizzandolo con la confusione in autunno.

Nella parte sul fascismo, Bruno Vespa mostra come, superato il trauma dell'opinione pubblica per il delitto Matteotti, Mussolini abbia conquistato il consenso mondiale per aver annientato il socialismo filosovietico in Occidente, ma anche perché i treni arrivavano in orario e per la bonifica pontina, che ispirò alcune iniziative del presidente americano Roosevelt. Gli italiani apprezzarono le grandi opere urbanistiche, la messa in sicurezza dell'economia dopo la crisi del 1929 e, soprattutto, le iniziative sociali: settimana lavorativa di 40 ore, dopolavoro, sostegno alla maternità, colonie marine. La guerra d'Etiopia e la nascita dell'impero guadagnarono poi al Duce perfino il plauso degli antifascisti. Ma il Vespa storico racconta anche la vita privata di Mussolini, dalla condizione di separato in casa a villa Torlonia alle innumerevoli amanti frequentate anche durante la lunga relazione con Claretta Petacci.

Nella parte sul Covid ritroviamo il grande cronista, che ha voluto osservare con i propri occhi lo strazio di Codogno, Nembro, Alzano, le terapie intensive e il cimitero di Bergamo, parlando con sindaci, medici, sacerdoti, cittadini che hanno visto sconvolta la loro vita. Vespa mette a confronto le opinioni di eminenti scienziati, ironizza sui virologi da talkshow e prova a distinguere tra allarme e allarmismo, che nell'autunno 2020 ha davvero rischiato di mettere in ginocchio il paese.

Negli ultimi capitoli, incontra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e tutti i leader politici, testandone la capacità di utilizzare l'enorme quantità di denaro messo a disposizione dall'Europa per rilanciare un'Italia che non cresce da vent'anni. Conte illustra a Vespa i timori per la ripresa dell'epidemia, la speranza di un vaccino ormai prossimo, i suoi rapporti con il potere e la strategia per rilanciare il paese.

Segue un'analisi dei mutati rapporti di forza tra un Pd rinvigorito dalle elezioni regionali e amministrative d'autunno e un M5S che rischia di perdere Casaleggio e Di Battista. L'imprevedibile movimentismo di Renzi e la corsa di Calenda a sindaco di Roma. La svolta europeista di Salvini, la crescita costante di Giorgia Meloni e la fermezza di Berlusconi, uscito dal Covid, nel rivendicare il ruolo determinante di Forza Italia, seppure elettoralmente ridimensionata.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2020
ISBN
9788835705987
Argomento
Storia
XIII

La maggioranza, tra il nuovo attacco del Covid e i miliardi da spendere

A colloquio con Giuseppe Conte. Indossando la mascherina

Caro presidente, in questo libro sugli anni del consenso per Mussolini ricordo che la popolarità del Duce era maggiore di quella per il fascismo. I sondaggi dicono che lei è molto più popolare del governo. Dunque, c’è qualche somiglianza…
Giuseppe Conte sgrana gli occhi, che emergono dalla mascherina chirurgica, si distende sulla sedia alzando le gambe unite e spara: «Vuole vedermi a testa in giù?».
È il terzo anno che incontro Conte a palazzo Chigi per i miei libri sulla storia italiana. La nostra conversazione avviene dopo il suo decreto (Dpcm) del 18 ottobre 2020, il numero 19 dall’inizio di marzo, al quale si affiancano altrettanti decreti legge. Siamo nel pieno della seconda ondata del Coronavirus e, nonostante ci separino due metri, Conte non si toglie la mascherina per l’intera ora del colloquio e, naturalmente, io non mi azzardo a proporglielo. L’ho fatto con tutti i leader e con tutti i medici che ho incontrato nello stesso periodo (mi hanno spiegato che due metri è una distanza arcisicura), ma capisco che il gesto è simbolico.
È un momento psicologicamente difficile, reso più drammatico dalla richiesta di coprifuoco venuta dalla Lombardia, subito accettata dal governo. Conte è convinto che ce la faremo, ha resistito alle proposte di Roberto Speranza e di Dario Franceschini che avrebbero voluto misure più dure, ma ritiene, a ragione, che il rigore assoluto nel rispetto delle prescrizioni assunte, più «moderate», per così dire, possa salvare il paese da chiusure totali che darebbero il colpo definitivo alla sua tenuta economica, sociale e psicologica.
Chiedo al presidente del Consiglio se, dopo i grandi sacrifici della primavera, non abbiamo fatto bene i compiti delle vacanze. «Non direi» risponde Conte. «Il governo non è mai andato in vacanza. Abbiamo continuato anche questa estate a lavorare per garantire un ritorno in sicurezza, a scuola, dei nostri ragazzi. Non abbiamo mai sottovalutato i rischi di una ripresa della circolazione del virus. Abbiamo lavorato nel settore dei trasporti, abbiamo potenziato le terapie intensive, assunto medici e infermieri, ci siamo garantiti la produzione e la distribuzione quotidiana di mascherine più di altri paesi. Avremmo dovuto mantenere l’Italia in lockdown anche nei mesi estivi con una curva dei contagi molto bassa? Abbiamo calibrato le decisioni sulla base delle evidenze epidemiologiche. Sarebbe stato illiberale e impensabile costringere gli italiani a rinunciare alle vacanze e impedire loro di rifiatare dopo mesi così duri. In ogni caso, abbiamo sempre mantenuto alta la soglia di prudenza. Un esempio: per la normativa nazionale, le discoteche anche questa estate dovevano rimanere chiuse. Sono stati alcuni rappresentanti degli enti locali a disporne l’apertura.»
Che cosa non ha funzionato? «Se guardiamo anche agli altri paesi europei, constatiamo che le pandemie sviluppano delle ondate che è difficile contenere senza vaccini e terapie con anticorpi monoclonali. L’unico modo per contrastare questa nuova fase pandemica sarebbe stato mantenere la chiusura generalizzata, una soluzione insostenibile. Adesso dobbiamo impegnarci a contenere i contagi con le misure precauzionali che già conosciamo e dosando le misure restrittive in modo da non piegare l’economia.
«L’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, ha avviato i rolling reviews, le procedure di controllo di alcuni vaccini. Nel giro di alcune settimane, forse già all’inizio di dicembre, potrebbe dare il via libera. Questo significherebbe poter disporre subito dei primi 2 o 3 milioni di dosi. Altri milioni di dosi arriveranno subito dopo. La Commissione europea si è garantita la disponibilità, con 4-5 società farmaceutiche che sono in fase avanzata della ricerca, di varie centinaia di milioni di dosi. È ragionevole ipotizzare, però, che dovremo attendere la primavera per iniziare a constatare gli effetti del contrasto della pandemia tramite l’utilizzo dei vaccini.»
Ripercorriamo i momenti drammatici della prima emergenza. «Quando scoprimmo il focolaio di Codogno, capii che saremmo andati incontro a una stagione difficile. D’altra parte eravamo stati già allertati con il ricovero della coppia dei pensionati cinesi a Roma. E già il 31 gennaio proclamammo quello stato d’emergenza che avremmo poi prolungato per un anno.»
Conte non ama riandare ai giorni drammatici – dal 3 al 5 marzo – in cui il governo tardò a istituire la «zona rossa» a Nembro e Alzano. L’ha fatto in interviste e davanti ai magistrati di Bergamo. «Fui informato il giorno 5 della richiesta del Cts, di qui l’approfondimento chiesto la sera stessa al professor Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità» taglia corto «e la decisione del 7, dopo un confronto con il Cts, di assumere provvedimenti ancora più drastici per l’intera Lombardia e varie province del Nord.»
I momenti più dolorosi? «L’aumento costante del numero dei decessi. Giorno dopo giorno. I camion dell’esercito che portavano via le bare di Bergamo. Le drammatiche telefonate con alcuni dirigenti degli ospedali lombardi…»

«Galleggiare? Ma se abbiamo risolto problemi vecchi di anni»

Abbiamo visto nel capitolo precedente le contestazioni, provenienti da fonti diverse, relative ai ritardi che hanno portato alle difficoltà esplose nel mese di ottobre, al consueto rimpallo di responsabilità. Il presidente del Consiglio ritiene che il governo abbia fatto tutto quello che doveva e guarda avanti, verso un orizzonte salvifico che non gli appare lontano. E mentre il suo portavoce Rocco Casalino ha gli occhi inchiodati ai sondaggi d’opinione, lui mi dice di non farci caso (sarà vero?). Prende atto, tuttavia, che la sua popolarità durante la prima fase della pandemia è aumentata, salvo scendere nell’ultima parte di ottobre, quando la gente si è sentita smarrita dinanzi alla confusione della seconda ondata.
Faccio notare al premier che non sono poche dodici conferenze stampa, spesso nel prime time serale, quando vanno in onda i telegiornali e gli spettacoli più attesi. «Non le ho contate. Ma spalmate su otto mesi – da marzo a ottobre – sono il minimo sindacale per offrire alla popolazione un’informazione doverosa e necessaria, considerata la situazione drammatica che l’Italia ha vissuto e le scelte dolorose che abbiamo dovuto adottare.»
Conte si meraviglia quando gli dico che lui parla superando la linea politica dei partiti che lo sostengono: «Stia pur certo che le decisioni comunicate al paese sono state sempre il frutto di una valutazione collegiale con gli altri ministri e sono state assunte tenendo conto con scrupolo della posizione delle forze di maggioranza».
Quando gli ricordo che è stato rimproverato di abusare dei decreti presidenziali, ignorando opposizione e Parlamento, lui, con il puntiglio dell’avvocato e del professore, ribatte: «Avremmo dovuto adottare decine e decine di decreti legge, con il risultato di intasare ancor più il Parlamento? Nella nostra Costituzione non esiste una norma che regoli lo stato d’emergenza. Lo abbiamo proclamato, però, in linea con le previsioni del codice della Protezione civile. Quanto alle misure restrittive, la nostra legislazione ordinaria consentiva di disporle con ordinanza del ministro della Salute. Abbiamo preferito intervenire con alcuni decreti legge, che hanno dettato la cornice, e poi calibrare le singole misure restrittive con i decreti del presidente del Consiglio, che prevedono un iter che assicura maggiore collegialità rispetto all’ordinanza di un singolo ministro».
Le contestano di aver ignorato l’opposizione. Al massimo, una telefonata prima di andare davanti alle telecamere… «Al di là di specifiche telefonate, io stesso e il ministro della Salute ci siamo recati numerose volte in Parlamento per illustrare e discutere le misure contenitive del contagio.»
Anche se si è trovato a palazzo Chigi perché Luigi Di Maio, nella primavera del 2018, lo presentò a Matteo Salvini in un albergo di Milano, Conte è di scuola democristiana, pur non essendo mai stato iscritto a quel partito. Il suo mentore era il cardinale Achille Silvestrini, cappellano della sinistra dc. E pur essendo il cardinale Fiorenzo Angelini, uomo chiave della sanità romana, il prelato di riferimento di Giulio Andreotti, Silvestrini non era affatto lontano dal Divo Giulio. È perciò a lui che penso quando metto sul tavolo di Conte, superato il distanziamento di rito, l’accusa di «galleggiare», esercizio di cui i democristiani in genere, e Andreotti in particolare, erano assoluti maestri.
«Galleggiare? Be’, vengo anche accusato di eccesso di decisionismo. È difficile mettere tutti d’accordo.»
Allora mettiamola così: Nicola Zingaretti, segretario del Partito democratico, sostiene che il governo non può tirare a campare fino all’inizio del 2022, quando si dovrà eleggere il successore di Sergio Mattarella. «Ha perfettamente ragione» mi risponde. «E infatti stiamo varando tante misure di politica economica e sociale, e abbiamo sciolto vari nodi che si trascinavano da tempo.»

«I soldi del Mes? Uno stigma per l’Italia»

Be’, insomma. Faccio notare che i dossier su Alitalia, Autostrade, Ilva e altri sono invecchiati in queste stanze come i buoni vini pugliesi che tanto gli piacciono in omaggio alla sua terra. «Le dispiace se cammino mentre le parlo?» Si alza e misura a lunghi passi la stanza affacciata su piazza Colonna.
«Allora, vediamo un po’. La nuova Alitalia finalmente marcerà sulle proprie gambe. Ha un management assolutamente affidabile ed è pronta a superare una congiuntura difficile con una prospettiva di sviluppo e di equilibrio economico e finanziario. Abbiamo salvato con un intervento pubblico la Banca popolare di Bari, anche tramite il sostegno di Mediocredito Centrale, assicurando un polmone finanziario indispensabile per sostenere le imprese e le famiglie del Sud. Abbiamo portato a termine nell’ottobre 2020 due grosse operazioni come le nozze tra Sia e Nexi, che mettono in mani italiane un colosso europeo dei pagamenti, e quelle tra Euronext e Borsa italiana, che ne fa il maggiore veicolo di contrattazioni in Europa. Come si può dire che stiamo galleggiando?»
Sono ancora in sofferenza due grossi dossier come Alitalia e Ilva… «Sul primo ho già anticipato» mi spiega Conte «che abbiamo creato le condizioni perché possa mantenersi autonoma sul mercato e non sia più un carrozzone che continui a pesare, anche in futuro, sul bilancio pubblico. Quanto all’acciaieria tarantina, ricordo che abbiamo siglato con ArcelorMittal, nello scorso mese di marzo, un accordo che prevede il coinvolgimento di capitale pubblico nella società. Proprio in queste settimane Invitalia, la società pubblica da noi individuata, sta negoziando con ArcelorMittal per definire il nuovo assetto societario e la struttura di governance. Ma anche qui siamo in dirittura.»
E gli appalti? E i cantieri, grandi e piccoli? Lei aveva promesso in giugno che lo «sblocco», parola magica e abusata, sarebbe avvenuto entro l’estate. Nell’autunno si attende ancora. Quale maledizione colpisce questo settore nel paese che è maestro geniale nella realizzazione di grandi opere nel mondo e anche da noi, se si pensa al miracolo della ricostruzione del ponte di Genova? «Non possiamo più agire per singole opere,» replica il presidente del Consiglio «ma stabilire una volta per tutte una linea d’intervento diffusa e risolutiva. Anche per questo è importantissimo il complesso di norme del decreto “Semplificazioni”, che snellisce procedimenti amministrativi e procedure di gara. Un problema serio rimane, però, quello rappresentato dalle difficoltà di progettazione che abbiamo ai vari livelli dell’amministrazione pubblica, in particolare a livello locale.»
Ricordo a Conte che il ministro dell’Economia del suo precedente governo, Giovanni Tria, voleva costituire una task force centrale di progettisti che supplisse alle deficienze del Genio civile, in soccorso delle amministrazioni locali. «Sì, ma non credo che potremo sopperire alle carenze che abbiamo sul piano progettuale con professionisti mandati dal centro. È giunto il momento di ridurre e concentrare il numero di stazioni appaltanti sul territorio e di rinforzarle con professionisti ben attrezzati.»
Parliamo del Mes, il vecchio Meccanismo europeo di stabilità, oggi trasformato in uno strumento che assegnerebbe all’Italia circa 36 miliardi per rinnovare la sanità. Su questo punto il presidente del Consiglio è stato ondeggiante. «Le decisioni politiche sull’utilizzo degli strumenti di finanziamento che sono stati messi a disposizione dall’Unione europea» mi risponde «si prendono al tavolo di maggioranza dopo un confronto approfondito. La domanda sul Mes mi viene ormai rivolta quotidianamente. Di fronte all’ennesima ho risposto l’altro giorno fornendo chiarimenti tecnici in modo da contribuire a deideologizzare questo tema. I soldi del Mes sono un prestito che andrebbe a incrementare il debito pubblico e non servirebbe per finanziare spese aggiuntive. Il piano per continuare a finanziare la sanità si giova di 4 miliardi stanziati nella legge di bilancio e delle risorse che verranno dal Recovery Fund. Se poi avremo bisogno di intervenire finanziariamente con altri strumenti, ne discuteremo in seno alla maggioranza e poi ci recheremo in Parlamento per un dibattito franco e trasparente.»
Prendendo il Mes per l’emergenza Covid, l’Italia farebbe una brutta figura, visto che finora nessun altro paese lo ha preso? «Non è questione di bella o brutta figura. Se l’andamento dei flussi di cassa ci imponesse di far ricorso al Mes, non mi preoccuperei di questioni “estetiche”. Piuttosto dovremmo valutare l’effetto “stigma”, di cui ha parlato anche il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Io non so quantificare questo rischio, perché non saprei prevedere le reazioni dei mercati finanziari. Sul Sure [il fondo europeo per finanziare la cassa integrazione] hanno reagito bene. Ma il Sure lo hanno preso in molti, oltre una decina di paesi. Il Mes, sino a ora, non l’ha preso nessuno. Se fossimo i soli a prenderlo, questo potrebbe far scattare un segnale di attenzione nei confronti dell’Italia.»
Torniamo all’emergenza Covid-19 e ai guasti provocati dalla seconda ondata autunnale. Gli alberghi sono stati massacrati dall’assenza di turismo straniero e dalla scarsissima mobilità italiana, con la sola pausa di agosto nelle località marine e montane. I ristoranti, nello slalom di semichiusure nazionali e regionali, possono essere raffigurati come quei grandi quadri di battaglie in cui vivi e morti si abbracciano in maniera indistinta. Il turismo congressuale e il mondo dei ricevimenti e dei matrimoni sono defunti da tempo. Tendo a loro nome la mano a Conte, sperando che ci metta una moneta. «È evidente che la cassa integrazione non può essere l’unica misura da offrire per il settore turistico e a quelle categorie professionali, penso anche al settore della cultura, ai cinema, ai teatri, che più stanno soffrendo per questa crisi economica. Sono previste per loro risorse aggiuntive nella legge di bilancio, per evitare che intere filiere che costituiscono la forza del “sistema-Italia” vengano piegate dall’emergenza e non riescano a rialzarsi.»

«Mai un mio partito, e valigia sempre pronta»

Avete ecceduto in assistenzialismo nella prima parte dell’emergenza? Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha parlato di Sussidistan… «Le rispondo con quel che ha scritto sul “New York Times” Paul Krugman, premio Nobel per l’economia, che ha riconosciuto alla politica italiana il merito di aver consentito a imprese e famiglie, attraverso misure sociali e di sostegno all’occupazione, di affrontare adeguatamente la fase terribile della prima ondata. Se noi, nel terzo trimestre del 2020, abbiamo avuto un rimbalzo di crescita pari a una V quasi perfetta, è anche grazie alle misure messe in campo tempestivamente. Non c’è dubbio, però, che, superata la prima fase dell’emergenza, le misure vanno adesso calibrate in modo più selettivo, perché non abbiamo più risorse per intervenire con meccanismi “a pioggia”.»
I «salvati» torneranno prima o poi a sorridere. C’è, tuttavia, una massa ancora indistinta, ma rabbiosa e angosciata, di «sommersi» che, tra l’inverno del 2020 e la primavera del 2021, premerà alle porte di questi palazzi. Con quale spirito si prepara ad affrontarli?, gli chiedo. «Siamo dinanzi a una delle crisi globali e delle recessioni più gravi della storia. È ovvio che ci saranno conseguenze negative importanti. Bisogna continuare a perseguire politiche d’intervento e di protezione quanto più mirate alla conservazione del tessuto economico e sociale del paese. E lavorare per creare le premesse e favorire tutte le condizioni perché l’Italia possa vivere una stagione di ripresa e di rilancio che ci faccia dimenticare il “ventennio perduto”.
«Finora» riflette Conte «abbiamo subìto politiche di austerità che hanno finito per comprimere la crescita economica e lo sviluppo sociale, con indesiderate ma inevitabili ripercussioni negative anche sulla riduzione del debito.»
Che idea di paese si è fatta? Come pensa davvero di spendere i miliardi del Recovery Fund? «Dobbiamo rafforzare l’intera filiera dell’offerta formativa, dall’asilo, alla scuola, all’università e alla ricerca. Dobbiamo investire somme importanti sul digitale per recuperare i forti ritardi che il paese ha accumulato e per connettere le aree interne più svantaggiate; dobbiamo imprimere una forte spinta alla transizione energetica.»
Resta irrisolta l’emergenza immigrazione. Durante il Conte 2 sono più che raddoppiati gli sbarchi rispetto al Conte 1. «La...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Premessa
  4. Perché l'Italia amò Mussolini
  5. Il racconto di due dittature
  6. I. Come lo Stato diventò fascista
  7. II. Churchill disse: «Sono affascinato da Mussolini»
  8. III. L’impronta del regime sulla società italiana
  9. IV. Cinque gerarchi, cinque storie diverse
  10. V. Il mito
  11. VI. Le donne del Duce
  12. VII. Claretta
  13. VIII. La guerra d’Etiopia e la nascita dell’impero
  14. IX. La dittatura del virus
  15. X. La strage nella Bergamasca, la vittoria del Veneto
  16. XI. Dalla Cina all’Italia, l’apocalisse virale
  17. XII. La guerra di trincea contro un virus misterioso
  18. XIII. La maggioranza, tra il nuovo attacco del Covid e i miliardi da spendere
  19. XIV. Salvini, Meloni e Berlusconi, uniti con riserva…
  20. Volumi citati
  21. Copyright