Pregiudizi inconsapevoli
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Pregiudizi inconsapevoli

Perché i luoghi comuni sono sempre così affollati.

  1. 156 pagine
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Pregiudizi inconsapevoli

Perché i luoghi comuni sono sempre così affollati.

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Non siamo persone razziste, sessiste o omofobe, eppure ci piace tanto la nostra collega Margherita perché «è una donna con le palle», al contrario di Carlo che «al computer è un po' handicappato» e siamo frustrati perché «lavoriamo come n…» ma possiamo permetterci solo «cineserie». Insomma, forse a parole non siamo discriminatori, ma con le parole? Senza rendercene conto, siamo immersi in dinamiche linguistiche e comportamentali che rafforzano pregiudizi, stereotipi e discriminazioni. Luoghi comuni, modi di dire, comportamenti automatici hanno un duplice effetto: da una parte rischiano di compromettere la nostra percezione e dunque comprensione della realtà, influenzando i nostri giudizi e le nostre scelte, dall'altra ci portano a inserire gli altri in schemi precostituiti, che restituiscono un'immagine spesso deformata, banalizzata, inadeguata, e possono innescare meccanismi escludenti. Basandosi sugli studi di psicologia comportamentale più recenti, Francesca Vecchioni smaschera, con tono ironico e dissacrante, tutte le volte in cui senza volerlo cadiamo nella trappola degli stereotipi e ci aiuta a capire le nostre dinamiche cognitive, per individuare gli errori più frequenti in cui possiamo incorrere e quindi modificare il nostro sguardo sul mondo. Perché la mente spesso ci inganna. Ogni ragionamento è un percorso e visto che il nostro cervello tende a fare economia, ossia a ottenere la massima resa con il minimo sforzo, quei percorsi sono vere e proprie scorciatoie. Per esempio, la mente ci illude di avere capacità statistiche, è convinta di saper calcolare la probabilità che qualcosa si avveri, ma lo fa sulla base di dati che desume, seleziona e ricorda in maniera assolutamente arbitraria. E generalizza: se per noi le persone anziane sono lente, le donne non sanno guidare, gli stranieri sono pericolosi e i gay sono sensibili, lo penseremo di ogni singolo membro di quella categoria, malgrado i dati ci dicano che la nostra percezione è scorretta o sovrastimata. Essere consapevoli di questi meccanismi mentali, nonché conoscere gli errori a cui ci conducono, è il primo passo per comprendere meglio la realtà e le altre persone. E per rendere il mondo più inclusivo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2020
ISBN
9788835704829
Argomento
Psychology
II

Si è sempre fatto così

«Mamma, ma quando è arrivata la donna sulla Terra?»
Mia figlia in quel momento aveva 7 anni e la faccia immersa in un librone più grande di lei.
La domanda mi colse di sorpresa, non ero sicura di aver capito bene cosa intendesse, quindi mi avvicinai per sbirciare il libro che stava leggendo. In copertina c’erano immagini esotiche di dinosauri e uomini delle caverne intenti a difendersi con grandi clave intorno a un fuoco.
«Cosa intendi amore? La donna è comparsa insieme all’uomo!» abbozzai una risposta. Le passai dietro e osservai. Sulla pagina aperta campeggiava, indovinate un po’?, la Marcia del Progresso. Uno in fila all’altro, sempre un po’ meno ricurvi, ecco alzarsi una serie di ominidi, dalla scimmia all’Homo sapiens.
Lei legge, scorrendo il suo ditino puntato sui nomi sotto ogni figura: «L’uomo moderno… l’uomo di Neanderthal… l’uomo di Cro-Magnon… l’uomo rhodesiano… l’uomo erectus…». Ognuno un po’ più peloso, un po’ più selvaggio, ognuno indubbiamente maschio.
A quel punto cambia pagina sfogliando velocemente in avanti: «Le donne ci sono solo qui» mi dice indicando l’immagine di una scena famigliare dove un gruppo di Homo habilis è intento a mangiare in una grotta. Il suo ditino punta una giovane donna che allatta il suo bimbo al seno, accanto a un uomo un po’ meno giovane che lavora delle pelli rannicchiato dietro al fuoco. Gli uomini possenti e pelosi – e qui mi sorge il dubbio che forse l’autore voleva risparmiare al genere femminile tutto quel pelo addosso – mangiano grandi pezzi di carne insieme. Vista così la scena mi ricorda il marito di una mia amica, mentre lei spadella in cucina. L’unica differenza in effetti è la pancia di lui, che nell’uomo delle caverne è una tartaruga degna di un campione di boxe. I peli invece ci sono tutti. Il resto sono colorate immagini di uomini che cacciano in gruppo, uomini che accendono il fuoco, uomini che forgiano armi e costruiscono utensili.
Facevano tutto, ma proprio tutto, solo gli uomini.
Che le donne non facessero niente, nessun’altra attività oltre a far figli, era obiettivamente poco realistico. Pensai che non c’era nemmeno nessuna differenza rispetto ai libri sui quali avevo studiato io, tre lustri fa! Chissà come, in quel momento mi balenò l’immagine sulla quale avevo costruito tutta la mia conoscenza della vita famigliare nella Preistoria: Fred Flintstone che urla: «Wilma, dammi la clava!».
Mia figlia aveva avuto la stessa intuizione di Margaret Ehrenberg, studiosa dell’Età del Bronzo e autrice di un saggio dal titolo emblematico, La donna nella Preistoria. Lei racconta così il momento in cui decise a quali studi dedicarsi:
C’è voluto parecchio tempo prima che comprendessi il bisogno di lavorare sul tema delle donne nella Preistoria. Avevo fatto la mia specializzazione accademica in un dipartimento dove si praticava un’Archeologia molto tradizionale ... Se avessi chiesto, da studentessa, che cosa facevano le donne mentre l’uomo neolitico costruiva punte di frecce o l’uomo dell’Età del Ferro edificava fortini, la mia domanda sarebbe stata considerata impertinente o frivola. Sicuramente mi avrebbero risposto che un problema simile non poteva essere studiato dall’Archeologia. ... mi sono interessata sempre più alla possibilità di studiare i ruoli e la posizione delle donne dal punto di vista archeologico.a
Be’, le domande sono l’inizio di tutto. Purtroppo però, se non abbiamo le risposte che ci vengono chieste, tendiamo a ignorarle o a ritenerle stupide. Solo i curiosi le fanno proprie. E nella loro semplicità sono proprio le domande dei bambini a darci la dimensione di quanto siamo noi invece, quando non vogliamo ammettere di non avere una risposta, a rischiare di essere stupidi.
L’immagine delle donne nella storia influenza l’idea che mia figlia e le bambine come lei costruiranno di se stesse, del loro ruolo nel mondo, dei loro sogni e del loro futuro. Ma non basta. L’immagine delle donne nella storia influenzerà anche l’idea che i loro compagni maschi avranno di loro. Come formeranno il loro ruolo di maschi, le aspettative sociali e il loro rapporto futuro con se stessi e l’altro genere.
A volte non ci rendiamo conto di quanto la rappresentazione impatti su bambine e bambini, e ci tocchi direttamente. Pensate che l’analisi dei testi scolastici più utilizzati in 4a elementare in Italia nel 2014 ha rivelato che i protagonisti maschi nelle storie narrate sono quasi il doppio delle femmine. E non solo, le loro storie si svolgono in spazi aperti, sono perlopiù avventure, mentre quelle con protagoniste femminili si svolgono in luoghi chiusi e famigliari. Ma altri due aspetti che emergono sono incredibili: le professioni svolte e la descrizione dei personaggi. I ragazzi possono sognare tra 92 tipi diversi di professioni contro le 13 descritte per le femmine. E volete sapere di cosa si tratta? Per i primi: scienziati, scrittori, medici, poeti, giornalisti, ingegneri, esploratori, architetti, direttori d’orchestra, e chi più ne ha più ne metta. Per le ragazze invece svettano 5 professioni (!) su tutte: maestre, maghe, fate, streghe e casalinghe.
Lo studio fornisce anche un’analisi di come le donne/ragazze e gli uomini/ragazzi sono rappresentati grazie a un esame degli aggettivi utilizzati per descriverli. Se sono maschi: sicuri, coraggiosi, seri, orgogliosi, onesti, ambiziosi, riflessivi, avventurosi, autoritari, furiosi, generosi, duri, egoisti, arrabbiati, giusti, superiori, saggi, determinati, audaci, liberi, impudenti. E quelli che indicano il genere femminile: cattive, pettegole, gelose, vanitose, viziate, civettuole, arroganti, affettuose, ansiose, angosciate, umiliate, premurose, pazienti, gentili, tenere, timide, silenziose, disponibili, comprensive, affascinanti, disperate, ipersensibili, dolci, innocenti. In pratica forza, coraggio, virtù e saggezza, contro vanità, debolezza e fragilità.
In quel momento decisi che sì, serviva riequilibrare la rappresentazione dell’umanità reinserendo nell’immaginario preistorico di mia figlia le donne. E pensai anche di doverlo fare subito, prima che iniziasse a chiedersi se non fosse vera quella storia della costola di Adamo ed Eva.
La capacità di osservare la realtà senza pregiudizi, per misurarla e interpretarne i dati in maniera più imparziale possibile, è una delle grandi sfide dell’umanità. Toglierci dal centro, spostarci nell’osservazione dei fenomeni fino a sparire, per non alterare i risultati di un esperimento, di un’osservazione, è l’inizio vero del metodo scientifico. D’altronde per la scienza moderna è stato come scoprire l’acqua calda. Eppure, una vera e propria rivoluzione.
La parola «rivoluzione», prima di Copernico, aveva un solo significato: era il termine tecnico con cui si descrivevano i moti celesti, il movimento di stelle, pianeti, meteore, ecc. Il senso che diamo noi oggi al termine «rivoluzione», il cambio di prospettiva, il ribaltamento, arriva dall’impatto che ebbe la pubblicazione del trattato De revolutionibus orbium coelestium (Sulle rivoluzioni delle sfere celesti, 1543).
Fino a quel momento, fino a Copernico, gli astronomi occidentali si erano impegnati a far tornare i conti per giustificare i rapporti tra i pianeti così come li concepiva il sistema aristotelico-tolemaico. Perché la Terra doveva per forza di cose essere al centro di tutto! Ma un po’ come per la scarpetta di Cenerentola, che proprio non poteva entrare ai piedi di Anastasia o Genoveffa, a un certo punto anche la presunzione della centralità umana dovette cedere all’evidenza.
La nostra convinzione di essere al centro dell’universo era talmente fondamentale per il pensiero umano che il fatto che diciotto secoli prima il filosofo greco Aristarco di Samo avesse già svelato l’eliocentrismo passò totalmente inosservato. Pazzesco a pensarci, nessuno ha voluto metterlo in discussione per 1800 anni!
Alcune convinzioni sono veramente dure come pietre, e non sono pietre del sapere, piuttosto massi grossi come zavorre. Copernico ebbe il coraggio di liberarsi dalle zavorre, togliendoci dal centro di tutto. La rivoluzione copernicana è il cambio di prospettiva, l’inizio della concezione moderna della scienza che ha messo al centro degli studi l’osservazione oggettiva e la sperimentazione. E per l’epoca dettava una grande, pesantissima ammissione: la realtà non gira tutta intorno a noi.
La scienza ancora nel XIX secolo scontava enormemente l’idea sociale che le donne non fossero fatte per la vita pubblica, non avessero prerogative idonee alla carriera professionale, e non fossero quindi nemmeno adatte a esprimere un parere utile fuori dall’ambiente domestico, ad esempio con il loro voto. Darwin nel 1881 rispondeva così a una giovane donna del Massachusetts speranzosa che non fosse vero che i suoi scritti avvalorassero la superiorità maschile:
Penso realmente che le donne, sebbene in linea generale superino gli uomini per qualità morali, siano inferiori dal punto di vista intellettivo e mi sembra che, a causa delle leggi dell’ereditarietà (se le comprendo in maniera corretta), sia molto difficile che possano diventare intellettualmente uguali all’uomo.
E le prove sembravano realmente essere tutte a suo favore: non c’erano donne nel campo delle scienze, non emergevano inventrici, musiciste, pittrici. La sua argomentazione era semplice: doveva esserci un dato biologico che aveva reso, fondamentalmente, l’uomo superiore alla donna. Quando Mrs Caroline Kennard, che non si riconosceva in questa descrizione, decise di scrivere allo scienziato dalla periferia di Boston per chiedere chiarimenti, lui rispose che non solo era convinto di ciò che aveva scritto, ma che molto probabilmente le donne non sarebbero mai riuscite a diventare intellettualmente uguali all’uomo. Capite bene che in un contesto sociale in cui a una metà della popolazione è riservato un pregiudizio tale da non permettere in nessun modo uguale espressione delle proprie capacità e attitudini – e il tema di genere non differisce molto da quello etnico in questa prospettiva – la scienza gioca un ruolo fondamentale. Il carteggio tra Mrs Kennard e Darwin è indicativo dell’epoca. Lei infine rispose con un grido di aiuto, l’unico possibile:
Per favore, fate in modo che l’ambiente delle donne sia simile a quello degli uomini, che abbiano le stesse opportunità, e solo allora potrete giudicare equamente se sono inferiori all’uomo dal punto di vista intellettivo.b
Era il 1881 e Mrs Kennard era una scienziata dilettante. Badate bene, dilettante lo usiamo non perché fosse meno brava dei colleghi, semplicemente perché alle donne dell’epoca era in pratica impedita la carriera universitaria. Ed era una sostenitrice dei diritti delle donne. La scienza molto tempo dopo le avrebbe dato ragione, ma in quel momento la realtà appariva molto diversa.
Se questo valeva per la scienza, le cose non sono andate meglio per il mondo della cultura e dell’arte, l’altro ambito di massima espressione del pensiero e della creatività umana di quasi esclusivo appannaggio maschile per millenni. Anche in questo contesto si è per secoli attribuito alla presunta inferiorità femminile il motivo per cui la storia non ci ha consegnato un significativo numero di donne letterate e artiste.
È nel XIX secolo che il femminismo divenne un movimento organizzato per rivendicare maggiori diritti, riconoscimento e visibilità per le donne. Certo, si trattava più spesso di donne borghesi e spesso privilegiate, ma non solo se penso ad alcune donne afroamericane come Sojourner Truth, che lottavano per i propri diritti con un approccio intersezionale ante litteram. Di tutto questo il mondo della scienza non aveva alcuna contezza. Nel 1929 Virginia Woolf nel saggio Una stanza tutta per sé si interroga sulle ragioni per le quali le donne sono state così minoritarie nella storia delle letteratura. Con un linguaggio innovativo e un punto di vista del tutto inedito per il mondo accademico inglese esprime il suo giudizio: «A woman must have money and a room of her own, if she is to write fiction».
L’indipendenza economica e un posto tranquillo in cui stare sono le precondizioni necessarie perché una donna possa scrivere. Semplice ma assolutamente rivoluzionario: sono le condizioni in cui la società patriarcale ha costretto le donne ad aver impedito loro di essere protagoniste, la mancanza di istruzione e cultura e l’esclusione dalla vita sociale hanno relegato le donne all’anonimato della storia.
L’uomo è stato misura di tutte le cose, la stessa democrazia ateniese, che siamo portati a usare come esempio massimo, nella realtà escludeva gran parte della propria popolazione, per ceto o per genere. E suona strano oggi anche studiare il suffragio «universale maschile» che Giolitti concesse in Italia nel 1912, un ossimoro evidente visto che se è «universale», non può essere solo maschile.
Ognuno di noi vede la realtà interpretandola in base alla propria esperienza. E scienziate e scienziati non possono sottrarsi del tutto a questo perché percepiscono la realtà come un qualunque altro essere umano. E la soggettività dell’interpretazione è praticamente impossibile da evitare.
D’altronde andrebbe considerato come parziale anche lo stesso punto di vista con il quale stiamo affrontando il tema, l’ottica binarista di contrapposizione tra i due generi uomo/donna. In questo libro ammetto di aver scelto di usarla per semplificare la comprensione di dinamiche cognitive già molto complesse. Manterremo questa semplificazione pur sapendo che la realtà è ben diversa, consapevoli del fatto che nel mondo esistono e sono sempre esistite culture che riconoscono più generi rispetto ai soli maschile e femminile, dalla nativo-americana alla pakistana, alla tailandese e a tutte le altre che hanno concezioni dei generi molto diverse dalla nostra. Che poi, guarda caso, sono anche quelle culture che hanno vissuto in maggior equilibrio e ascolto la relazione con la natura, gli altri animali e in generale i cicli della Terra.
Questo accenno all’esistenza di più generi, ad esempio, potrebbe non essere condiviso se valutato sulla base dell’esperienza personale, o del proprio quadro di riferimento culturale. Tutto ciò dimostra come la soggettività, nell’interpretazione della realtà, sia praticamente impossibile da evitare.
Rubo un esempio a Norwood Hanson, filosofo della scienza, che mi pare calzante. Lui immagina due grandi astronomi esponenti del pensiero moderno, Tycho Brahe e Keplero, in cima a una collina, intenti a guardare il Sole. Il primo, il maestro più anziano, aveva risolto un problema enorme: era riuscito a creare una meravigliosa costruzione di calcoli perfetti per mantenere salda la teoria che i corpi celesti orbitassero tutti intorno alla Terra.
Tanti volevano credere al geocentrismo, in primis perché la teoria non tradiva le scritture sacre. E lui aveva lavorato egregiamente per far combaciare il tutto, e tutto stranamente tornava. L’altro, Keplero, era il suo assistente. Un fervente assertore dell’eliocentrismo, ossia del fatto che la Terra girasse intorno al Sole.
Questi due personaggi, alla fine del XVI secolo, si ritrovano l’uno accanto all’altro sulla cima di questa collina, a rimirare pensierosi l’orizzonte. Lui se li immagina silenziosi, io avrei i miei dubbi; due così avranno passato nottate intere a discutere di massimi sistemi come se fosse questione di vita o di morte. Che un po’ lo era davvero, allora, questione di vita o di morte, se pensiamo che erano in piena Controriforma e addirittura Keplero dovette difendere sua madre in un processo per stregoneria durato sei anni! A ogni modo, che ci facevano sulla collina? Guardavano il sorgere del Sole.
Ma la domanda è: vedevano la stessa cosa?
Be’, se consideriamo il Sole, probabilmente sì. Emette fotoni, che attraversano lo spazio e la nostra atmosfera, poi la cornea, colpendo infine la retina sulla quale si forma l’immagine. Ma siamo certi che i nostri due astronomi vedessero la stessa alba? La differente conoscenza di fondo influenza il modo di vedere. L’osservazione dipende dal carico di teorie che una persona già possiede, con il variare delle teorie varia anche il modo di vedere i fenomeni. Perché alla nostra mente non basta «vedere», serve interpretare. Il Sole lo riconoscevano entrambi, ma i loro schemi concettuali differenti in base alle due diverse teorie scientifiche variavano il loro modo di comprendere il fenomeno dell’alba. E uno pensava di ergersi monolitico al centro dell’universo sulla propria collina, l’altro sapeva di muoversi insieme ad altri pianeti intorno a una sfera infuocata.
D’altronde abbiamo danzato per millenni convinti di far piovere, senza la minima cognizione delle dinamiche atmosferiche, e l’unica giustificazione che ci riuscivamo a dare era che dipendesse da qualche sacrilegio commesso da altri! In fondo la verità è prima di tutto ciò in cui crediamo. Quindi, ciò che vediamo, e non solo, tutto quel che i nostri organi di senso ci trasmettono, viene interpretato dalla nostra mente che non può presc...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Pregiudizi inconsapevoli
  4. Introduzione
  5. I. L’uomo è misura di tutte le cose
  6. II. Si è sempre fatto così
  7. III. Non ho niente contro di loro, ma…
  8. IV. Le donne non sanno guidare
  9. V. Gli immigrati sono pericolosi
  10. VI. L’abito non fa il monaco
  11. VII. Auguri e figli maschi!
  12. VIII. Ho tanti amici gay
  13. IX. I cinquanta sono i nuovi trenta
  14. X. L’affollamento dei luoghi comuni
  15. Conclusione
  16. Piccolo manuale di consapevolezza
  17. Fonti bibliografiche
  18. Ringraziamenti
  19. Copyright