Il fuoco non uccide un drago
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Il fuoco non uccide un drago

La storia ufficiale mai raccontata de Il Trono di Spade

  1. 480 pagine
  2. Italian
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Il fuoco non uccide un drago

La storia ufficiale mai raccontata de Il Trono di Spade

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Esiste una storia de Il Trono di Spade ancora da raccontare: l'incredibile percorso durato tredici anni che ha visto coinvolti creatori, cast, troupe nel realizzare questo straordinario spettacolo. In Il fuoco non uccide un drago James Hibberd svela ogni segreto, dai primissimi incontri del team creativo alla messa in onda del finale della serie, compresi gli scontri sul set e le difficoltà vissute durante le riprese. Vicende sorprendenti che ci consentono di apprezzare in maniera ancora più intensa le fitte trame che hanno intessuto alcuni dei capitoli della saga: come ha fatto, per esempio, Kit Harington a fingere per due anni che Jon Snow fosse morto? Il fuoco non uccide un drago, grazie a fotografie mai viste e a più di cinquanta interviste inedite, è un libro che celebra un momento eccezionale e indimenticabile nella storia delle serie TV: quando un'idea apparentemente impossibile si è trasformata nel più grande spettacolo del mondo.

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Informazioni

CAPITOLO UNO

UN SOGNO DI DRAGHI

Prima degli Stark e dei Lannister, dei Dothraki e dei meta-lupi, prima della formazione del continente di Westeros e della nascita del primo drago, c’era un ragazzino dotato di un’immaginazione sfrenata.
George Raymond Richard Martin è cresciuto in un quartiere di case popolari nel New Jersey degli anni Cinquanta. Suo padre era uno scaricatore di porto e sua madre lavorava come direttrice di una fabbrica. Non gli era permesso avere cani o gatti, però poteva tenere delle tartarughine d’acqua e un castello giocattolo dove metterle. La sua prima storia fantasy – perlomeno, la prima che ricorda – si intitolava “Il castello delle tartarughe”. Immaginava che i suoi minuscoli rettili fossero in lotta per il potere e si contendessero un piccolo trono di plastica.
Un giorno Martin fece una scoperta sconvolgente: le sue tartarughe stavano morendo. Nonostante avesse cercato in ogni modo di evitarlo, i suoi eroi perirono lo stesso. Era un colpo di scena che non aveva previsto. Così si mise a immaginare il loro destino usando la fantasia. Forse si uccidevano a vicenda in trame sinistre?
Con il passare degli anni Martin iniziò a mettere sulla carta le sue fantasie. Scriveva storie di mostri e le vendeva agli altri ragazzini a dieci centesimi l’una. Si innamorò dei fumetti. In seguito vendette racconti brevi ai pulp magazine, e poi firmò romanzi dell’orrore e di fantascienza.
Nel 1984 Martin si trasferì a Hollywood e ottenne un lavoro scrivendo il reboot di Ai confini della realtà per la CBS. Il primo episodio di Martin ad andare in onda fu, com’era destino, una storia fantasy che parlava di cavalieri medievali e magia. L’ultimo difensore di Camelot era un adattamento del racconto di Roger Zelazny, in cui figurava un Lancillotto che viveva in epoca moderna. Il culmine della vicenda è ambientato in una versione surreale di Stonehenge dove Lancillotto combatte contro un’armatura incantata… un guerriero gigantesco detto il “cavaliere vuoto”.
Nella sceneggiatura originale di Martin, Lancillotto e il cavaliere combattevano su cavalli bardati, ma la produzione bocciò l’idea ritenendola impraticabile. «Mi dissero: “Puoi avere Stonehenge oppure i cavalli. Ma non Stonehenge e i cavalli”. Chiamai il mio amico Roger Zelazny per sottoporgli la questione. Lui tirò dalla pipa per un minuto e poi rispose: “Stonehenge”, e così fu. Si batterono a piedi».
Martin passò imperterrito a un altro show fantasy della CBS, La Bella e la Bestia del 1987, dove le sue sceneggiature continuarono a scontrarsi con le limitazioni creative del network televisivo. «Contavano quante volte potevamo dire “dannazione” o “all’inferno”, ci informavano che il trucco da cadavere non poteva essere “troppo raccapricciante”, eliminavano un notiziario TV in sottofondo se poteva essere “troppo controverso”» ha detto Martin. «Cambiamenti per delle stronzate, codardia pura e semplice, paura di qualunque cosa fosse troppo forte, di qualunque cosa potesse risultare “offensiva” per chicchessia… [restrizioni] che odiavo e contro cui mi ribellavo.»
Martin era sempre più frustrato, disilluso. Tornò a scrivere romanzi a tempo pieno nel 1991 e un paio d’anni dopo ebbe l’idea per una storia fantasy di grande respiro: una “reazione”, la definì un giorno, agli anni passati a lavorare per la televisione. Era una grande epopea come Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien, una saga che Martin adorava, solo che era ispirata a eventi reali della storia europea come la guerra delle Due Rose e rifletteva la reale ferocia dei secoli bui. Il primo libro, Il gioco del trono, fu pubblicato nel 1996. Le vendite, come scrisse Martin più avanti nel suo blog, non furono “niente di spettacolare”.
Seguirono in rapida successione altri due libri della saga. A renderli popolari fu il passaparola; affascinavano un fandom sempre più ampio con una storia complessa che infrangeva le regole tradizionali del genere fantasy. Eroi amatissimi che muoiono in modo orribile, cattivi odiosi che diventano stranamente più simpatici, i saggi e gli scaltri rovesciati dal più infimo degli errori procedurali e il potere della magia considerato inaffidabile nella migliore delle ipotesi.
Nel corso della saga Martin mise in campo tutto un arsenale fatto di cavalli, castelli, sesso e violenza, facendo come gli pareva. Non era la storia di un solo regno della fantasia, ma di ben sette! E ogni regno era un mondo a sé con storia, leadership e cultura peculiari (e poi c’era tutto un intero continente di città diverse dall’altra parte del Mare Stretto). Comparivano oltre duemila personaggi, il doppio che nella saga di Tolkien. In più c’erano battaglie monumentali: una coinvolgeva quattro eserciti, decine di migliaia di soldati e centinaia di navi. Persino i pasti a Westeros potevano essere eccessivi, come un banchetto con settantasette portate diverse. Spesso simili festini erano descritti con dovizia di particolari (“medaglioni di alce con formaggio erborinato, carne di serpente alla griglia con senape piccante, luccio di fiume cotto in latte di mandorla…”). I contenuti per adulti erano altrettanto abbondanti, con scene sconvolgenti di tortura, stupro e incesto. Martin scrisse paragrafi che da soli avrebbero prosciugato il budget dell’intera stagione di una rete televisiva, imposto la censura della serie, o tutte e due le cose.
Chiamò questa epopea Cronache del ghiaccio e del fuoco.
Hollywood drizzò le orecchie. All’inizio degli anni Duemila i film della trilogia del Signore degli Anelli diretti da Peter Jackson stavano sbancando i botteghini. Poi, nel 2005, il quarto volume della saga di Martin, Il banchetto dei corvi, arrivò al primo posto nella lista dei bestseller del “New York Times” (“Un regno fantasy troppo abietto per gli hobbit”). I romanzi di Martin fecero il giro di agenti e produttori. Il telefono dello scrittore si mise a suonare e fioccarono le offerte di soldi facili e fama sul grande schermo.
Martin, che aveva cinquantasette anni e viveva un’esistenza tranquilla a Santa Fe, era diffidente…
GEORGE R.R. MARTIN (scrittore, produttore co-esecutivo): I film di Peter Jackson andavano alla grande. E adesso tutti cercavano una serie fantasy da trasformare in film. Veniva opzionato tutto. Avevo iniziato [le Cronache del ghiaccio e del fuoco] pensando che fosse impossibile trarne un film. Facevo riflessioni del tipo: “Come fanno a tirar fuori da questa cosa un film di due ore e mezzo? Non puoi farci entrare tutto”. A Jackson ci erano voluti tre film per i libri di Tolkien, ma i tre libri di Tolkien presi insieme erano lunghi come uno solo dei miei. Come avrebbero fatto?
Le risposte che mi diedero erano proprio quelle che non volevo sentire, cose tipo: “[Il bastardo Stark preferito dai fan] Jon Snow è il personaggio principale, ci concentriamo su di lui e tagliamo il resto”. Oppure blateravano: “Non tagliamo niente, teniamo tutto, però facciamo il primo film e poi andiamo avanti se ha successo”. Be’, e se non ha successo? State dicendo che andrà come Il Signore degli Anelli, ma se invece fa la fine di quello di Philip Pullman [l’adattamento fallito del 2007 di Queste oscure materie, il film La bussola d’oro]? Se realizzi un solo film ed è un fiasco, ti ritrovi per le mani un fallimento. No. Non mi interessava niente del genere.
L’agente letterario di Martin mandò una copia delle Cronache del ghiaccio e del fuoco a David Benioff, un romanziere e sceneggiatore di trentacinque anni, e suggerì che avrebbe potuto adattarle per un lungometraggio. Benioff era una figura emergente nell’industria del cinema: nel 2002 aveva esordito con l’acclamato crime thriller La 25a ora, ed era autore delle sceneggiature di Troy e del Cacciatore di aquiloni.
Dopo otto capitoli del Gioco del Trono, Benioff lesse stupefatto che Bran Stark, sette anni – il quale aveva appena assistito all’incesto tra la regina di Westeros e il fratello gemello di lei –, veniva scaraventato senza pietà da una finestra della torre. Qualche centinaio di pagine dopo, quando Martin ammazza il personaggio principale del libro, l’onorevole ed eroico Ned Stark, Benioff telefonò a Dan Weiss, amico nonché coautore.
Weiss, trentaquattro anni, aveva conosciuto Benioff un decennio prima, quando entrambi studiavano letteratura al Trinity College di Dublino. Si erano trovati su cose come la letteratura irlandese e “il tentativo di trovare una palestra funzionale a Dublino nel 1995”, come disse Weiss a “Vanity Fair”. Anche Weiss era uno scrittore: aveva pubblicato il suo romanzo d’esordio, Lucky Wander Boy, nel 2003. Benioff chiese a Weiss di leggere i libri di Martin “per avere la certezza di non essere impazzito”.
«Leggevamo fantasy sin dall’infanzia e non ci era mai capitato niente di così valido come quello che aveva scritto Martin» disse Benioff.
Al pari di altri prima di loro, anche Benioff e Weiss volevano fare un adattamento delle Cronache del ghiaccio e del fuoco. Solo che esclusero subito di trarne dei film, decidendo invece che solo una serie TV avrebbe potuto cogliere la portata della narrativa di Martin. O almeno, lo speravano… nessuno dei due aveva mai lavorato a una serie televisiva.
Martin accettò di incontrare Benioff e Weiss a pranzo al Palm Restaurant di Los Angeles per ascoltare la loro proposta. L’incontro durò quattro ore e alla fine avrebbe prodotto un drago della cultura pop: il fenomeno televisivo globale più importante del Ventunesimo secolo. Eppure, mancò poco che una sola domanda inattesa di Martin mandasse tutto a monte.
DAN WEISS (showrunner): Eravamo nervosi. Quando inizi a lavorare a Hollywood, ogni incontro è snervante perché hai la sensazione che se non ci azzecchi ti sei giocato ogni possibilità. Una cosa che ormai avevo superato da un pezzo. Ti abitui alle riunioni, la maggior parte delle quali non porta a niente. Ma quell’incontro mi fece sentire di nuovo un novellino alle prime armi, perché sapevamo che era un’occasione unica e che la possibilità di lavorare su qualcosa del genere non si sarebbe ripresentata, perché nessuno aveva mai visto una cosa del genere. Il pallino era in mano a una sola persona, e quella persona era George. Se George non avesse detto di sì, tutti i nostri sogni sarebbero morti sul nascere. Quindi eravamo sotto pressione.
DAVID BENIOFF (showrunner): Per un po’ parlammo delle origini di George e degli scrittori di fantascienza che conosceva. Poi parlammo dei suoi libri e della nostra passione per essi, perché capisse che li avevamo letti sul serio. George aveva già lavorato a Hollywood e sapeva di gente che leggeva [un riassunto del libro] e poi diceva: “Ah, questo potrebbe funzionare come una specie di Signore degli Anelli”. Penso che il fatto che avessimo letto i libri e fossimo in grado di parlarne con una certa cognizione di causa abbia significato qualcosa per lui.
DAN WEISS: Quando ti converti all’ebraismo il compito del rabbino non è convincerti a convertirti, ma a non farlo. Penso che questo elemento abbia giocato un ruolo quando George ci spiegò che la ragione per cui aveva lasciato la televisione per fare lo scrittore a tempo pieno era che voleva scrivere cose che non si potevano produrre. Ci raccontò dei cavalli e di Stonehenge. Disse: «La mia immaginazione va ben oltre i “cavalli e Stonehenge”. Io voglio Stonehenge e i cavalli e altre venti Stonehenge e un altro milione di cavalli». Scriveva libri per usare tutta la sua capacità di immaginazione e li scriveva quasi intenzionalmente perché fosse impossibile trarne un film.
DAVID BENIOFF: George aveva creato un mondo così complesso che cominci a entrare nella storia quando ormai ne hai letto il novantacinque per cento. Nel passato sono successe tantissime cose – come l’invasione di Westeros da parte dei Targaryen – ed è necessario capirle per poter dare un senso alla storia attuale. I libri hanno un modo più elegante per presentarci gli antefatti. In televisione, o fai ricorso a un flashback o a uno spiegone noioso. E così una delle domande di George fu: «Come pensate di far sapere al pubblico tutte queste informazioni fondamentali?». Non ricordo cosa abbiamo risposto. Probabilmente una stronzata qualunque.
DAN WEISS: Quando realizzi lo show metti a punto un approccio personale a queste cose. Ma a ripensarci, alla storia che ha costruito, anche se ne togli il novanta per cento, è come un’impalcatura su un edificio. Non la vedi dopo che l’hai smontata, ma il fatto che ci fosse è il motivo per cui l’edificio sta in piedi. Percepisci quel novanta per cento della storia attraverso il dieci per cento che vedi sullo schermo. È questo il senso principale degli antefatti e la logica per cui i personaggi provano certi sentimenti nei confronti degli altri. Non è che la gente si fa la guerra per il gusto di farlo.
GEORGE R.R. MARTIN: Furono molto convincenti. Adoravano i libri e volevano adattarli a un mezzo diverso, non cambiarli o “farli propri”. Una cosa di Hollywood che detesto è quando vado a proporre un libro e incontro gli sceneggiatori che mi fanno: “Questa è la mia idea”. Ma io la tua idea non la voglio! Non reinventarlo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. IL FUOCO NON UCCIDE UN DRAGO
  4. Prefazione. In cerca di Westeros
  5. 1. Un sogno di draghi
  6. 2. Storie di casting
  7. 3. «Voi ragazzi avete un grosso problema»
  8. 4. «Il mio libro aveva preso vita»
  9. 5. Arriva il drago
  10. 6. Imparare a morire
  11. 7. Sangue fresco
  12. 8. La battaglia della battaglia delle Acque Nere
  13. 9. Fuoco e ghiaccio
  14. 10. «Andrà tutto a meraviglia»
  15. 11. Le Nozze Rosse
  16. 12. Farsaccia da guitti
  17. 13. “Avventarsi urlando”
  18. 14. “Le nozze viola”
  19. 15. Processo e tribolazioni
  20. 16. Lo show più seguito del mondo
  21. 17. I bivi
  22. 18. Una deviazione a Dorne
  23. 19. Votarsi alla fede
  24. 20. Vergogna… vergogna… vergogna
  25. 21. Muore il romanticismo
  26. 22. Fingersi morto
  27. 23. Il branco sopravvive
  28. 24. I magnifici “bastardi”
  29. 25. Tutti gli show devono morire
  30. 26. Levare le tende
  31. 27. Una specie di rimpatriata
  32. 28. Passeggiare chiacchierando
  33. 29. La notte più lunga
  34. 30. Le cose che amiamo finiscono sempre con il distruggerci
  35. 31. Tanti addii
  36. 32. “E ora la sua guardia è conclusa”
  37. Crediti. Scritto con l’inchiostro e col sangue
  38. Inserto fotografico
  39. Copyright