Un fratello per cui morire. Made in Sweden #2
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Un fratello per cui morire. Made in Sweden #2

  1. 516 pagine
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Un fratello per cui morire. Made in Sweden #2

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Quando Leo Dûvnjac e i suoi fratelli minori sono rimasti soli, lui si è preso cura di tutto mentre il padre era in prigione e la madre in ospedale. E l'ha fatto nell'unico modo che conosceva, diventando uno dei più noti criminali di Svezia. Sono passati sei anni, e le porte della prigione dove era stato rinchiuso dopo l'ennesimo colpo in banca si sono aperte. Leo è di nuovo libero. Ha scontato la pena per i suoi reati e adesso ha un solo obiettivo: commettere il crimine perfetto, rubare dal deposito della centrale di polizia di Stoccolma il bottino della cosiddetta "Rapina del Secolo", 103 milioni di corone sequestrati che stanno per essere distrutti. E questa volta non lascerà tracce dietro di sé. Suo complice è Sam Larsen, con cui ha fatto amicizia dietro le sbarre, fratello del detective John Broncks, che in passato aveva catturato Leo. Con Sam al suo fianco, Leo è deciso a mettere a segno quest'ultimo colpo, che è anche una possibilità di redenzione o di vendetta. Ma poi succede qualcosa, un errore fatale che apre la strada a Broncks e cambia definitivamente le regole del gioco. Perché "se metti in mezzo mio fratello, io metto in mezzo il tuo".

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2020
ISBN
9788835705192

“se metti in mezzo mio fratello, io metto in mezzo il tuo”

A tenerla in mano, si rende conto che una vanga pesa molto, forse è per questo che si conficca così bene e a fondo nel terreno. Oppure è solo perché non ci sono grovigli di radici e pietre spigolose. Quando la punta metallica urta il coperchio di legno, si imbatte in una superficie porosa: è questo il destino di una bara che rimane sepolta a lungo.
Sa già cosa c’è dentro.
Papà.
Smuove un po’ il coperchio, lo apre piano.
Nessun odore, eppure dovrebbe puzzare, no? Papà è nella stessa identica posizione che aveva quando andò a vederlo nella camera mortuaria dell’ospedale. Un bel vestito, capelli pettinati all’indietro, pelle cinerea.
John Broncks gli sbottona la giacca del gessato e la camicia bianca. Lascia la cravatta annodata, ma la allenta tirandola da un lato, in modo che non gli dia fastidio. Chinandosi in avanti con la spalla, urta per sbaglio la parete scavata, facendo cadere un po’ di terra sulla pancia e sul petto nudi del padre. John la tira via con la mano, sente sotto il suo palmo i lembi delle ferite e inizia a contarle. Ventisei tagli. Ventisei? Sul referto del medico legale c’era scritto ventisette.
«Devi cercare più in alto.»
Sembra la voce del padre.
«La costola appena sotto l’ascella sinistra. L’ultima pugnalata è stata inferta lì.»
E mentre gli afferra il braccio e lo gira per poter vedere meglio la ventisettesima ferita, sente il cuore di suo padre battere. Forte. Bum, bum. Bum, bum. Come se stesse ancora lottando contro la morte.
Bum, bum.”
Broncks si mise a sedere nel letto.
Bum, bum.”
Un sogno strano. Soprattutto perché quello che gli sembrava più reale di tutto, stare in piedi al centro di una fossa, non lo era per niente.
Sollevato, ecco come si sentì.
Un altro battito. Alla porta di casa.
Il cellulare sul pavimento segnava le 5.57. Neanche due ore di sonno.
Bum, bum.”
Chi cazzo bussa alla porta a quest’ora?
Attraversò cauto l’ingresso del bilocale, i piedi scalzi sul pavimento in legno di pino. C’era uno spioncino appena sopra la maniglia e il chiavistello, ci avvicinò l’occhio.
Lei?
«Che ci fai tu qui?»
«Leo Dûvnjac.»
«Dûvnjac cosa?»
«Dobbiamo parlare di lui.»
«Pensavo dicessi sul serio quando hai spiegato che non volevi lavorare a quell’inchiesta, o forse era con me che non volevi lavorare?»
«Ascolta, Broncks!»
«Sì?»
«Io voglio continuare, e me ne sbatto se sei uno psicopatico. Il tizio che ieri era seduto nella stanza degli interrogatori, quello è anche peggio.»
Le persone hanno un aspetto un po’ stupido quando sorridono a uno spioncino che distorce le linee e la prospettiva. Elisa non faceva eccezione: le labbra si increspavano un po’ storte, eppure la bocca rimaneva rotonda, forse appena troppo larga. Oppure era davvero fatta così? In effetti non è che l’avesse vista sorridere molto spesso prima di allora. Lei alzò qualcosa di nero e lo scosse davanti allo spioncino. Un fascicolo d’indagine, o almeno a lui sembrava che lo fosse.
«Aspetta un attimo.»
Tornò in camera, lasciò perdere il letto sfatto, ma si infilò i jeans che erano sul pavimento e una maglietta appoggiata alla poltrona. Quindi aprì la porta di casa, e quando lei entrò e appese alla gruccia la giacca sopra quella di lui, gli sembrò che lo stesse squadrando, dalla testa coi capelli arruffati giù fino ai piedi nudi.
«Sì, stai pensando la cosa giusta: mi hai svegliato. Vuoi qualcosa? Acqua? Caffè?»
«Niente, grazie.»
«Allora preparo per me.»
Broncks andò in cucina, ed Elisa lo seguì.
«Hai interrotto l’audizione, John.»
Riempì d’acqua il pentolino e accese il fuoco.
«Hai accompagnato Dûvnjac fuori dal commissariato. E non sei tornato indietro.»
Acqua calda e zucchero.
«Dopo ho provato a chiamarti.»
«E io che pensavo tu fossi venuta qui per parlare di lavoro, non di come passo il mio tempo.»
«Ho detto che sono venuta qui per parlare di Leo Dûvnjac.»
Versò l’acqua fumante in una grande tazza, mentre lei, dal punto in cui si trovava, riusciva ad abbracciare con lo sguardo tutto l’appartamento. Single, ne era sicura. Non gay, anche se non l’aveva mai guardata nel modo in cui facevano a volte gli uomini etero. Una casa che poteva essere il ritaglio di una qualunque pagina del nuovo catalogo Ikea, impersonale: nessuna foto, nulla di appeso alle pareti e di cui andare fieri. Piacevole, ma generica. Una stanza d’albergo in cui chiunque avrebbe potuto passare un paio di notti, per poi proseguire il proprio viaggio.
«Ho verificato l’alibi di Dûvnjac. Regge, John: si trovava al ristorante che ha indicato, dove ha incontrato il padre all’ora che ha detto. Lo hanno confermato la coppia che gestisce il posto e un cliente fisso leggermente ubriaco. Nemmeno la perquisizione a casa di sua madre, come sospettavamo, ha portato a niente.»
«Da quello che ho sentito io invece a te ha portato qualcosa: dei nemici. Riprendere i colleghi, come sembra tu abbia fatto mentre stavano mettendo sottosopra la camera da letto della donna, è il modo migliore per rendersi una presenza scomoda nella casa in cui si sta lavorando.»
«Per me non è un problema, se so che è la cosa giusta da fare. Non sono diventata poliziotta perché sono sola. Non ho bisogno di farmi degli amici, ne ho già, io.»
Lo guardò come solo lei sapeva fare.
«Tu invece, John, non sembri averne troppi sul lavoro. Cos’è che hai combinato?»
Broncks bevve un sorso di acqua calda, che bella sensazione sentirla scendere nel petto.
«Alibi: nessun risultato. Perquisizione: nessun risultato. Fammi capire, sei venuta qui a buttarmi giù dal letto per il puro gusto di farlo? In questo caso te ne puoi tornare a casa, e io posso continuare a dormire.»
Lei non fece nulla che lasciasse intendere l’intenzione di andare via, prese invece una delle sedie in legno di pino e si accomodò al tavolo della cucina.
«John, quando non trovo qualcosa, la cerco, e continuo a farlo finché non ci riesco.»
Aprì il fascicolo che gli aveva sventolato davanti allo spioncino, e il primo documento che prese aveva tutta l’aria di essere – almeno da quanto poteva capire vedendolo al contrario – un estratto dai registri dell’amministrazione giudiziaria.
«Sapevamo che Jari Ojala, il rapinatore ucciso, ha scontato gli ultimi sette mesi di pena nella prigione di Österåker, cella 2, settore H. Stesso carcere e stesso settore di Leo Dûvnjac. Di certo si conoscevano e Dûvnjac avrebbe potuto benissimo progettare, orchestrare e dirigere il colpo, esattamente come prima, ma senza trovarsi sul luogo del reato.»
Anche il foglio successivo aveva il logo dell’amministrazione giudiziaria nell’angolo in alto.
«Ora, noi sappiamo che c’erano altri quattordici detenuti nel settore H durante il periodo in cui anche Dûvnjac e Ojala erano lì. Dieci sono ancora dentro e a nessuno di loro era stato accordato un permesso per quel giorno. E questi ce li dimentichiamo.»
«Quindi?»
«Ne restano quattro. Questo qui… Joaquín Sánchez, lo chiameremo A. Dodici anni per gravi crimini legati al narcotraffico. Fa parte di un cartello boliviano. Se sei disposto ad attraversare un confine con una valigia piena di vestiti impregnati di cocaina, forse sei anche disposto a rapinare un portavalori.»
Quattro plichi di fogli, ognuno dei quali tenuto insieme da una graffetta.
«Il successivo, quello con la pelle rossastra, lo chiameremo B.»
Appoggiò i documenti sul tavolo davanti a sé, facendo attenzione che i fogli andassero a comporre un semicerchio.
«Thor Bernard. Otto anni per sequestro di persona proprio mentre stava passando da simpatizzante a hangaround in un club motociclistico. Pronto a tutto per guadagnare la stima di chi comanda. Il successivo, in questo plico, per noi sarà C. Sam Larsen. Ergastolo per omicidio, ora rilasciato. Anche se non è stato condannato per un reato simile alla rapina, è stato dentro a sufficienza per aver assorbito i danni che la galera porta con sé. L’ultimo, in quel fascicoletto, lo chiameremo D. Semir Mhamdi. Sei anni per omicidio colposo. Membro di una rete criminale marocchina, anzi nordafricana, che sconfina in Algeria. Mostra un assoluto disprezzo della polizia ed è, come il nostro defunto Ojala, noto per tenere chiuso il becco sotto interrogatorio.
L’acqua nel bollitore era ancora calda. Broncks si girò e riempì di nuovo la tazza, anche se non aveva più intenzione di bere.
“Sam. Di nuovo tu. Ci siamo visti solo quattro volte in dodici anni, l’ultima volta nella sala visite per dirti che la mamma era morta, e tu non mi hai nemmeno voluto sfiorare. Ieri, all’improvviso, eri presente durante l’audizione. Poi stanotte quando non riuscivo a dormire. E adesso ti trovo in una lista di persone su cui verranno fatte delle indagini. Ti conosco, non sei un rapinatore. Invece no, in realtà non ti conosco per niente.”
«Quindi John, se adesso finisci di vestirti, iniziamo a lavorarci. Uno dopo l’altro.»
“Accidenti a te, Sam. Se ci rivedremo per questo motivo, in un’indagine per poterti escludere da un elenco di sospettati, non voglio farlo in compagnia di qualcuno che se ne va in giro dandomi dello psicopatico.”
«Elisa, direi piuttosto che ce li dividiamo.»
“Qualcuno che non conosce ancora la nostra storia, e che non la scoprirà nemmeno in futuro.”
«Tu prendi i primi due, io gli ultimi due.»
«Non capisco, John: quando mi hai invitata a entrare a far parte dell’indagine, hai detto che volevi lavorare fianco a fianco.»
“Ne ho abbastanza di estranei che vanno a scavare nella tomba della nostra famiglia.”
«È meglio così. È una questione di tempo, Elisa: se Dûvnjac decide di colpire nel suo primo giorno di libertà, vuol dire che si è prefisso una scadenza, non credi?»
Afferrò due plichi.
«Io prendo… sì, questi qui, C e D. E tu A e B, va bene?»
Le si sedette di fronte.
Voleva fare come lei e scorrere quella raccolta di informazioni, fedine penali e fotografie. Ma non ci riuscì: mentre Elisa andava avanti metodicamente nell’analisi del materiale, John Broncks si era bloccato già davanti alla prima foto di un detenuto allora molto giovane, che lei aveva deciso di denominare C e che si chiamava Sam Larsen.
Broncks si era dimenticato che aspetto avesse una volta.
Era come se ogni ricordo infantile che aveva del fratello maggiore fosse stato rimpiazzato dall’immagine di un altro Sam, quello che aveva incontrato nella sala visite: muscoli, tatuaggi da carcerato venuti male e sguardo che respinge. Quel Sam diciottenne che lo stava guardando da una fotografia in bianco e nero – collo sottile, frangia un po’ troppo lunga e arruffata, gli occhi fissi sull’obiettivo – sapeva benissimo che la ventisettesima e ultima pugnalata era stata inferta con un coltello per il pesce nel fianco sinistro del padre, appena sotto l’ascella.
I polpacci delle persone possono essere molto diversi tra di loro, non ci aveva mai pens...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Un fratello per cui morire
  4. buchi neri
  5. “se sono cambiato io, puoi cambiare anche tu”
  6. sangue esploso
  7. “se metti in mezzo mio fratello, io metto in mezzo il tuo”
  8. filo d’oro
  9. “tradiscimi e ti tradisco anch’io”
  10. occhio d’acciaio
  11. Copyright