Anime nascoste
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Anime nascoste

Romanzo di una gioventù incendiata. L'altro Sessantotto

  1. 264 pagine
  2. Italian
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Anime nascoste

Romanzo di una gioventù incendiata. L'altro Sessantotto

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Lorenzo, un antiquario, ha quasi cinquant'anni quando conosce Barbara, affascinante compositrice di musica per teatro. L'intesa è immediata, e l'incontro fortuito matura pian piano in relazione e la relazione in convivenza, pur tra le ombre degli amori passati con i loro ricordi felici e le profonde ferite non sempre rimarginate. Barbara non cancella la memoria del marito, e Lorenzo quella meno definita, però ingombrante, di Gloria.

Nel momento più doloroso dell'ormai lunga relazione tra Lorenzo e Barbara, torna inaspettatamente in scena Gloria, arrestata a Parigi durante una complessa indagine per omicidio. Lorenzo decide di incontrarla per sciogliere i nodi che continuano a fremere nel suo presente: parte per Parigi, senza sapere cosa Gloria voglia dirgli né cosa proverà nel rivederla.

Ma il viaggio in treno è l'occasione per Lorenzo ("Un uomo che si è creato un mondo e ci si è chiuso dentro") di ripercorrere la propria vita, dall'infanzia a Venezia, alle prime, traccianti letture fino al trasferimento per l'università di Milano. Proprio qui, tra le vie della città dei Navigli, Lorenzo ritrova Gloria, dopo averla per poche ore conosciuta a Venezia, durante una drammatica circostanza. La ragazza, anima nevrotica quanto affascinante, trascina Lorenzo, con il suo amore avvolgente, nei vortici incandescenti della lotta studentesca e dei suoi tragici sviluppi che sconvolsero un intero Paese.

Nel suo nuovo romanzo, l'amatissimo professore Stefano Zecchi ci consegna il ritratto lucido e appassionato di una generazione incendiaria e incendiata, una storia di formazione letteraria e politica che racconta in chiave totalmente inedita il Sessantotto, dando voce a una gioventù emarginata e ribelle, scivolata nella spirale di un estremismo vissuto con passione, disancorato dalla realtà, dimostrando che ciascuno di noi è l'artefice di ciò che è, e dei ricordi che lascia in eredità.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2020
ISBN
9788835705062

PARTE SECONDA

9

No, non avevo dimenticato. Con Gloria non mi ero confidato: mi pareva di non averne mai avuto l’occasione o, comunque, di non averla mai cercata. Lasciavo che la polvere si depositasse sul passato per avere un po’ di quiete, tenendo a distanza i ricordi: di tanto in tanto lo ripulivo da quella polvere, quando mi prendeva la nostalgia. Non mi ero dimenticato: la mia vita era cominciata con Gloria. Quello che era accaduto prima era stato una breve premessa: la più scontata, la solita spensieratezza dell’adolescenza, di quei giovani liceali che non avrebbero mai immaginato la bufera che di lì a qualche anno li avrebbe travolti.
La premessa si divideva in due parti: una lunga attesa e una fugace esplosione erotica. Si sognava di diventare, mai si prendeva in considerazione ciò che si era. Strabilianti progetti, mai uno sguardo sul presente: non c’era altro rimedio alla noia di giorni trascorsi sempre allo stesso modo, con gli stessi ritmi, con le stesse preoccupazioni per le interrogazioni, gli esami, i voti, nella speranza di trovare delle ragazze almeno più carine delle nostre compagne di scuola, dedite esclusivamente allo studio e molto attente a non lasciar trapelare dal proprio corpo neppure l’ombra della sensualità.
Qualche buon motivo per essere scontenti e per aspettarci qualcosa di più lo avevamo: se quella era davvero la vita, era meglio fuggire immaginando qualcosa di diverso, e io, in questo esercizio di rappresentarmi ciò che non c’era, ero un fuoriclasse. Studiavo ma ero svogliato, non faticavo a imparare ma non ci trovavo interesse e in classe mi annoiavo; i professori mandavano a chiamare mia madre: «Potrebbe rendere molto di più, suo figlio, ma è indolente, assente con la testa. Provi a intervenire» le dicevano. A lei che conosceva perfettamente, oltre a me, la scuola (faceva la maestra), pareva che andasse fin troppo bene con quegli insegnanti. Però mi sgridava: «Tu non sei annoiato da quello che studi, dai professori, dai giorni sempre uguali: tu sei rovinato dalla tua immaginazione. Ne sei schiavo, come, d’altra parte, lo era tuo padre. Ha rovinato lui, e non vorrei rovinasse anche te».
Mia madre era una donna molto energica e faceva rigare dritti me e mio fratello quando eravamo piccoli. «Non vedi che sono pieno di buona volontà?» mi difendevo dai suoi rimproveri, mentre mio fratello Nicola, di quattro anni più giovane, neppure si preoccupava di giustificarsi, e tuttavia l’ascoltavamo sempre con grande rispetto.
«La buona volontà non c’entra niente» mi diceva la mamma, «devi sforzarti di guardare le cose come sono e non come te le immagini. La tua immaginazione è come il canto delle sirene di Ulisse: ti porta fuori strada, ti distoglie dai tuoi impegni. Tu non cammini: vai girovagando tra le nuvole. Prima di fracassarti al suolo dovresti trovare una ragazza che ti tenga con i piedi per terra.»
«E chi trovo?» le chiedevo. «Le mie compagne pensano solo a finire il liceo per andare all’università, trovare marito e farsi una bella famigliola felice. Mi dà il voltastomaco il pensiero della bella famigliola felice, e se anche mi piacesse l’idea... le hai viste le mie compagne?»
Per la verità, da qualche tempo avevo messo gli occhi su una ragazza, ma a mia madre non dicevo niente, temendo che il suo sarcasmo distruggesse il mio nascente amore per Isabella. L’incontro era stato del tutto casuale: le compagnie di noi ragazzi di quel tempo erano come guarnigioni militari impenetrabili: le relazioni si svolgevano all’interno mentre ciò che era al di fuori non solo non interessava ma veniva perfino considerato con una certa ostilità. Talvolta, però, capitava che la guarnigione perdesse la sua impenetrabilità perché si infiltravano un fratello, una sorella con i propri amici appartenenti a un altro raggruppamento. Questo accadeva soprattutto alle feste da ballo in occasione dei compleanni.
A una di queste feste in casa di un amico di un compagno di scuola, ho conosciuto Isabella. Era bellissima; i ragazzi reclamavano in continuazione un ballo con lei: quelli scartati si rifugiavano mogi in un angolo e meditavano un nuovo assalto al disco successivo. Non la perdevo di vista, la seguivo, l’ascoltavo, a tutti lei diceva: «Ballare con te è stata una cosa divina». E tutti ci credevano ed erano orgogliosi. Ma io l’avevo conquistata... almeno credevo, con un gesto che ancora non so come mi fosse venuto in mente: mi ero avvicinato a lei, pensando che fosse il momento giusto, e quando mi aveva dato la mano per iniziare un melenso ballo della mattonella, con un movimento rapido l’avevo portata alle labbra, l’avevo girata, e, sfiorato il palmo con un bacio, me n’ero andato senza ballare. Evidentemente rimase sconcertata perché fu lei a cercarmi, dal giorno di quella festa. A mia volta, fui sorpreso che proprio io le interessassi, perché era il tipo di donna che senza nessuna fatica fa cadere ai suoi piedi ragazzi e anche uomini. Le potevano resistere solo gli ignoranti e gli intellettuali: i primi perché avevano timore della sua intelligenza, gli altri perché avevano paura della sua bellezza. Io non appartenevo a nessuna delle due categorie e non mi preoccupavo di essere considerato un suo adoratore, assecondando il suo carattere incostante. Non era capricciosa, ma aveva improvvisi sbalzi d’umore provocati da ciò che le stava intorno: poteva rattristarsi o esaltarsi per qualcosa di impercettibile agli altri. Questa altalena di emozioni non mi turbava affatto, al contrario, era per me una sfida comprendere cosa le passasse per la testa, mentre, incantato, la osservavo. Un volto bellissimo, gli occhi grigi messi in risalto da lunghi capelli biondi, che neppure si poteva dire fossero biondi tanto le loro sfumature variavano ai riflessi della luce. Soltanto poterla guardare, io da solo, mi sembrava un grande successo.
Con una sottile, affettuosa indulgenza, Isabella manifestava in maniera discreta il vantaggio che aveva su di me, provenendo da una famiglia importante: il padre primario d’ospedale, la madre avvocato. Ma le mie chiacchiere la incantavano. «Mi attraversi l’anima con le tue parole» mi diceva. Sgranava i suoi occhi dolcissimi e mi ascoltava raccontare, inventare storie, costruivo per noi mondi fantastici dove, da ogni angolo, si sprigionava l’amore. Lunghe passeggiate che non voleva finissero mai lungo le Zattere, dalla chiesa della Salute a San Basilio: una fatica con quell’andare avanti indietro, mentre non smettevo di parlare. Avrei fatto qualunque altro sacrificio pur di starle vicino, osservarla, indovinare il suo stato d’animo. Non si atteggiava, ma il suo modo di muoversi, di guardare, di rispondermi era il risultato di un’educazione attenta che sembrava studiata da anni per accendere i minimi dettagli della seduzione. Il corpo esile, armonico, a ogni oscillazione era come se la sua energia e la sua vitalità si condensassero in un’affermazione superba: “Non credere di interessarmi”. Io stavo al suo fianco, al riparo da quella dichiarazione, orgoglioso di non esserne il destinatario.
Tante parole, infinite passeggiate, senza combinare niente. Un giorno mi decisi, ma quando presi Isabella fra le braccia, in un punto molto romantico e appartato di Venezia, mi accorsi, sgomento, di non sapere come continuare l’assalto erotico.
«Non vuoi baciarmi, Isabella?» le chiedevo.
«No.»
«Allora sarà meglio che me ne vada» dicevo, sperando di darle quell’impressione in cui si combinano superiorità e indifferenza.
Nessuna risposta. Allora ritentavo: «Amore, lasciati baciare».
«No.»
Le labbra in modo impercettibile, ma chiaro, si erano appena dischiuse per rifiutarmi. Inutile insistere, provavo pena per me stesso, desideravo fuggire via da lì, non rivedere mai più Isabella, non cercare mai più di baciare una ragazza. Mi angosciava quella confusione tra amore e sesso che non riuscivo a controllare: avrei voluto abbandonare il mio corpo per rifugiarmi in qualche luogo invisibile e sicuro della mia mente. Ma avevo fatto passi avanti, mi consolavo. Nel campo di battaglia dell’universo femminile avevo conquistato posizioni dopo posizioni grazie a Sandro, il mio mentore.
«Vedi» gli confidavo solo poco tempo prima del mio incontro con Isabella, «se prendo per mano una ragazza, mi sembra che lei, sotto sotto, si metta a ridere. Non so da che parte cominciare, voglio andare sul sicuro.»
«Tu devi fare il tipo tormentato» mi consigliava, «a te riesce bene. Non essere mai troppo allegro, fatti vedere pensieroso, angosciato, indeciso sul senso da dare alla vita, mettiti nelle mani della ragazza, confessale che vuoi lasciarti portare da lei sulla retta via.»
Sarà che non interpretavo bene la parte, ma quel consiglio non aveva mai avuto successo, così avevo perfezionato con Sandro qualche tecnica di abbordaggio più elementare che con Isabella, per esempio, aveva dato qualche accettabile risultato.
Sandro era poco più grande di noi, del nostro gruppetto di liceali non intellettuali, cioè quelli che dopo la scuola, dopo i compiti a casa, non si trovavano al cineforum, non si dedicavano a rappresentazioni teatrali, non scrivevano il settimanale del liceo: dai compagni intellettuali eravamo giudicati, con inequivocabile disprezzo, dei qualunquisti che non comprendevano l’importanza dell’impegno sociale e politico.
Sandro invece si trovava bene con noi, diceva che gli davamo molta soddisfazione: infatti lo ritenevamo l’evoluzione massima di quella specie di ragazzi che ci sanno fare con l’altro sesso, mentre noi, al confronto, sembravamo goffi, patetici dilettanti. Un vero organizzatore di allegria, curatore di una felicità sempre a sfondo erotico.
Un pomeriggio fu per noi inevitabile andare al cineforum, dove veniva dato il film La notte di Michelangelo Antonioni. Si sarebbe dovuto prendere spunto dalla discussione, seguita alla proiezione, per una serie di argomenti da sviluppare nei temi in classe. Insomma, una di quelle iniziative congeniali a professori senza fantasia che però si sentono molto colti e al passo coi tempi. Durante il dibattito, le parole più ricorrenti furono “alienazione”, “trasformazione dei costumi”, “cambiamento sociale”, “ribellione morale”, “rivoluzione”. Ci eravamo portati Sandro al cineforum. Intervenne con questa frase: «Se un giorno potrò passeggiare nudo e indisturbato da piazza San Marco a campo Santo Stefano, vorrà dire che il mondo è cambiato e che c’è stata una vera rivoluzione sociale e politica dei costumi».
Naturalmente fu ridicolizzato e zittito come provocatore, noi umiliati e da quel momento allontanati come appestati dal consesso scolastico formato dai ragazzi colti e impegnati... A distanza di tanti anni, mi accorgo di quanta verità ci fosse in quella frase di Sandro e quanta arroganza ideologica nei miei compagni di allora.
In ogni caso finimmo per legarci sempre più a lui. Aveva lasciato la scuola prima di prendere la maturità: nessuna voglia di studiare, e così suo padre aveva preteso che lo aiutasse nel suo albergo, un affascinante palazzo antico in una delle zone più belle di Venezia.
L’albergo aveva dei dislivelli sullo stesso piano, scalette interne tortuose, lunghi corridoi: un labirinto in cui Sandro si muoveva con grande disinvoltura. Conoscendo bene i dettagli del posizionamento di ogni stanza, con competenza aveva praticato in tutte le camere dell’albergo un foro in un punto strategico della parete, in modo che dall’interno non venisse notato, mentre dall’esterno, attraverso di esso, si potesse avere un’ampia panoramica di quello che succedeva dentro.
Tutto dipendeva dal tipo di clientela dell’hotel in quella settimana: per guardare dentro le stanze, attraverso quei buchi, Sandro ci faceva pagare dalle cento alle cinquecento lire, mai oltre, e il denaro veniva messo in una cassa comune da spendere alla domenica. In quel glorioso palazzo storico, trasformato in albergo, in cui pare avesse alloggiato l’ultimo doge di Venezia prima di arrendersi e lasciare la Repubblica Serenissima nelle mani dell’invasore francese, noi ci prendevamo il pisello in mano per masturbarci focosamente, guardando, attraverso quei fori strategici a prezzi modici, nelle stanze dove c’erano donne nude, donne e uomini che scopavano, donne che si soddisfavano tra loro (buco a prezzo più alto).
Una palestra che ci teneva in allenamento in attesa dell’estate, nella solita convinzione che la vita vera ricominciasse a luglio, con la sua suprema bellezza: giornate calde e oziose, serate sognanti a chiacchierare ai tavolini del bar, la musica di notte, il mare. Donne da conquistare: per la precisione, straniere nordiche.
Vivevamo un’accettabile, consolidata schizofrenia: con le nostre ragazze, quelle di scuola, le sorelle degli amici, quelle incontrate alle feste da ballo organizzate dagli amici degli amici, il sesso era improponibile, una muraglia cinese invalicabile anche dai più esperti. E invece, com’era invitante il sorriso della tedesca, un eterno incoraggiamento a osare. La sua mano che prendeva la mia, che si separava per sfiorare senza sottintesi il mio corpo, mentre lei, continuando a guardarmi, mi rassicurava sul suo travolgente desiderio di me. Birgitta, la mia prima straniera, così spontanea, disinibita, libera sessualmente, senza quei complicati grovigli sentimentali con cui mi assillava Isabella.
Una consumata esperienza consentiva a Sandro di condurre i suoi discepoli tra le anse dell’erotismo estivo sceso dal Nord come un torrente in piena. Abbandonavamo Venezia con il suo elegante turismo, per noi troppo sofisticato, e raggiungevamo mete più popolari per le nostre scorrerie: Jesolo, Caorle, Bibione. Brevi scoppiettii di passione e di sesso prima di ritornare nel grigiore dell’autunno, delle feste alla domenica pomeriggio in casa del compagno di scuola, dove si potevano incontrare solo insignificanti ragazze piene di falsi pudori e di vere repressioni sessuali.
«Sabato prossimo cambiamo aria» ci disse Sandro un giorno, arrivando tra noi col suo passo vivace come se tornasse da una grande impresa e stesse per affrontarne un’altra. Ci aveva visto seduti annoiati al solito bar Da Nico, orfani dell’estate in attesa dell’inizio della scuola e, per alcuni, come me, del primo anno d’università. «In albergo» continuò, cercando di tirarci su di morale, «ho conosciuto una donna di gran classe. L’ho intrattenuta raccontandole un sacco di storie sulle strabilianti avventure del nostro gruppetto di amici. Insomma ho fatto colpo, e ci ha invitato nella sua villa sul Brenta.»
«Una donna? Cosa ce ne facciamo? Quanti anni ha?» gli chiese uno di noi, senza il minimo entusiasmo.
«Non preoccuparti: sarà anche più grande di noi... ma non si sa mai, e poi ho capito che ha un bel giro: noi c’infiliamo dentro e da cosa nasce cosa. Credimi.»
La villa settecentesca sulla riva del fiume Brenta era affascinante, arredata con un gusto così raffinato da mettere in soggezione. C’era molta gente elegante che andava e veniva per le stanze parlando di arte e di politica; la musica era diffusa con discrezione, nessuno si sognava di ballare. Eravamo spaesati, infastiditi nel ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. ANIME NASCOSTE
  4. PARTE PRIMA
  5. PARTE SECONDA
  6. PARTE TERZA
  7. Copyright