Io sono mio fratello
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Io sono mio fratello

  1. 168 pagine
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Io sono mio fratello

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"È lui? Nei film gialli, l'ispettore di polizia lo domanda subito dopo aver sollevato il telo e mostrato il viso della vittima. Invece all'obitorio nessuno me lo chiese. La risposta era nella carezza che gli passai sul viso, finalmente in pace, o nel bacio che gli appoggiai sulla fronte. Franchino, mio fratello, era un'anima buona, tutto il male che aveva fatto lo aveva fatto a sé stesso. Lo avevano ritrovato buttato come un animale, anzi con meno dignità, come un sacco di rifiuti tra le piante del lungomare di Viareggio. Non ero pronto, non mi ero preparato. Era Natale, porca miseria, a Natale non possono accadere cose simili." Giorgio Panariello custodisce una storia. Lui e il suo fratello minore sono stati entrambi abbandonati dalla madre subito dopo la nascita. Giorgio viene affidato ai nonni materni, Franco invece finisce in un istituto. Mentre Giorgio cresce e diventa uno degli uomini di spettacolo più amati d'Italia, Franco cade nella tossicodipendenza. Fino alla tragica fine. In questo libro per la prima volta Panariello ha deciso di raccontare il filo nascosto (la preoccupazione costante, il senso di colpa) che da sempre corre nella sua vita. Un libro straziante e dolcissimo, che grazie all'onestà e all'accuratezza dei sentimenti sa muovere le corde più profonde delle nostre emozioni.

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Informazioni

Io sono mio fratello

Con il mio gruppo di amici Franco non voleva uscire e allora presi a frequentare i suoi. Alcuni di loro erano musicisti talentuosi con i quali avevo condiviso più volte il palcoscenico, altri ne ho conosciuti durante qualche cena. Rimasi colpito dal fatto che non fossero come mi ero immaginato, non si incontravano protetti dall’oscurità sulle panchine scarabocchiate di qualche giardinetto, o in una piazzetta imboscata. Stavano insieme a casa di uno o dell’altro davanti a una bistecca buttata sulla griglia, con un buon bicchiere di rosso o una birra. Si suonava, si ascoltava musica, si scrivevano canzoni; si parlava di blues, di rock and roll, di accordi, di vita, non si progettavano rapine, scippi o spacci di sostanze.
L’unica concessione erano le canne perennemente accese, giravano in continuazione e anch’io ne approfittavo volentieri. Mi “accordavo” alla situazione, mi lasciavo trasportare da un’atmosfera in cui tutti erano amici, simpatici, altruisti, divertenti. Per il resto, avevano il pudore di aspettare che me ne andassi. Potevo solo immaginare quello che sarebbe successo lontano dal mio sguardo, sarebbero saltati fuori siringhe e lacci emostatici a cancellare tutto quello che di normale c’era stato fino ad allora. Un buco e la testa sarebbe partita per il suo giro di blues.
Nonostante tutto, non riuscivo a vedere nessuno di loro come un tossico. Anzi, pensai fosse una fortuna che Franco frequentasse quella compagnia piuttosto che ambienti molto più pericolosi. Non erano delinquenti, avevano un lavoro, in qualche caso precario, il loro vizio se lo guadagnavano, non lo rubavano a nessuno, tranne mio fratello, che trovava sempre delle scorciatoie per ottenere la sua dose quotidiana.
Confortato dall’ambiente “sano” che lo circondava cominciai ad avere l’illusoria impressione che tentare di farlo smettere non sarebbe stato così difficile.
Non essendo dei disperati cronici, avrei potuto contare sulla complicità dei suoi amici. Gli erano sinceramente affezionati, lo consideravano come una mascotte. Anche lui li adorava e non c’era giorno che non passasse insieme a loro. Ero tranquillo perché sapevo che almeno non era in giro a fare danni.
La mia intrusione nella sua vita sociale non lo disturbò, al contrario, ne fu contento, anche se non lo disse mai. Forse pensava che se fossi diventato come lui, tutto sarebbe stato più semplice. Avrebbe potuto dire: “Visto? Il mio fratellino, il bravo ragazzo che tutti stimate? Adesso siamo uguali”.
Il lavoro non progrediva, guadagnavo solo complimenti. La situazione economica era disperata, non sapevo per quanti mesi mi sarei ancora potuto permettere l’auto, ero già in arretrato con le rate. Non avevo mai soldi in tasca. Quando gli altri, dopo la discoteca o il cinema, andavano al pub a mangiare qualcosa, io tornavo a casa con una scusa, sperando di trovare qualche avanzo in un frigorifero sempre più deserto.
Mi sentivo un intruso nel giro delle mie amicizie e mi stavo avvicinando pericolosamente a quelle di Franco.
I miei zii avevano perso qualsiasi fiducia nella possibilità di poter garantire stabilità a una famiglia che si stava sgretolando sotto i loro occhi.
Il Ba’ rincasava tardi, ubriaco; la casa era sempre più sporca, invasa da panni da lavare; a parte la sala dove c’era la stufa, le pareti erano divorate dall’umidità, perché a un certo punto si decise di non accendere i riscaldamenti per risparmiare. Si sentiva la mancanza di una donna, e di un po’ di calore.
Cominciai a stare bene solo con una canna in bocca e un bicchiere di vino in mano.
Franco se ne accorse. Giocava con la mia fragilità aspettando solo il momento che il mio tracollo alleviasse la sua alienazione. Nel tentativo di salvarlo, stavo diventando lui.
Una sera mi proposero di sniffare un po’ di eroina. Così, tanto per provare. L’avrei fatto, anche solo per dimostrare a mio fratello che avrei avuto la lucidità di non diventarne schiavo, per dimostrargli che dipendeva tutto solo dalla forza di volontà.
L’avrei fatto anche per mettermi alla prova, per capire fino a che punto mi sarei potuto spingere, per capire se davvero ero così diverso da loro.
L’avrei fatto perché ero curioso di conoscere gli effetti di quella polverina grigiastra che aveva il potere di tenere per le palle il mondo.
L’avrei fatto se non ci fosse stato un piccolo, fortuito dettaglio a salvarmi: non si trattava di polvere, ma di un cristallo da sciogliere su un cucchiaio scaldato alla fiamma di una candela. Quel rito mi inorridì, mi spaventò. Era il punto di non ritorno.
Trovai una scusa e me ne andai, anzi scappai, inseguito dagli sfottò di mio fratello.
Anche oggi, ripensandoci, ringrazio Dio per avermi salvato mentre ero sull’orlo del precipizio. Se fosse stata polvere l’avrei fatto.
Giorno dopo giorno mi allontanai da quel giro, mantenendo comunque buoni rapporti, dal momento che non riuscivo a smettere di vederli come dei bravi ragazzi.
Cercai di riprendere in mano la mia vita, mi impegnai ancora di più nell’unica cosa che dava una ragione a tutto quel penare: la mia arte. Allora non potevo sapere che sarebbe stata l’unica scelta giusta della mia vita, l’unica che poteva darmi la possibilità di cambiarla.
Furono giorni difficili, passati davanti a uno specchio a provare e riprovare personaggi, imitazioni nuove che poi sperimentavo in radio.
Scavavo dentro di me una nicchia dove rifugiarmi, nascondermi da tutto quello che mi circondava. Se mi fossi realizzato veramente come artista avrei potuto essere d’aiuto. E lo potevo fare solo cercando di concentrarmi il più possibile su me stesso.
La cosa funzionò, perché nello spazio di un anno migliorai molto e riuscii ad attirare l’attenzione di molti addetti ai lavori. Le serate aumentavano. Durante uno spettacolo in uno dei locali più famosi e prestigiosi della Versilia, incontrai Fernando Capecchi. Fernando è un talent scout formidabile che all’epoca aveva già lanciato molti personaggi a livello nazionale. Fu colpito dal mio talento e, pur di avermi nella sua scuderia, trovò il modo di sciogliere il mio precedente contratto. Quella firma fece fare alla mia carriera il salto di qualità di cui avevo tanto bisogno. Nando è stato il padre che non ho mai avuto, tanto che ancora oggi ci lega un rapporto speciale, nonostante non sia più il mio agente.
Eppure i problemi rimanevano ed erano una zavorra che non mi permetteva di prendere il volo.
Non ero quasi mai a casa, temevo per il Ba’, temevo per Franco che non mi risparmiava mai l’imbarazzo di venire a chiedermi i soldi in radio, o nelle serate in cui mi esibivo, completamente fatto. Andavo a lavorare col terrore di vedermelo arrivare in chissà quali condizioni o che fosse a casa a prendere per il collo mio nonno, per qualche spicciolo.
Ogni volta era una ferita alla mia credibilità e un colpo alla mia stabilità.
Sentivo la sua voce sussurrarmi all’orecchio: “Non dimenticarti di me, caro fratello. Ricordati che sono stato abbandonato da tutti. Ricordati che ho passato anni in collegio e questo mi ha spinto a fare uso di eroina. Per tutte queste ragioni ti devi prendere cura di me, pensare al mio mantenimento, compresi i miei vizi. Ti voglio bene, ma se dimentichi che io esisto, a casa c’è un vecchio che potrebbe pagare per le tue distrazioni”.
Il mio debito non si esauriva mai e mi sentivo sotto un continuo ricatto. Era così che percepivo il nostro rapporto in quegli anni. Nella mia testa, Franco si era liberato di tutto il buono che gli era rimasto addosso, come il serpente si libera della pelle ormai superflua.
Poi un’intuizione mi folgorò. C’era un modo di averlo sempre sott’occhio e di tenerlo lontano dalle tentazioni e da mio nonno, dandogli allo stesso tempo l’occasione di sentirsi utile e imparare qualcosa: chiedergli di venire a lavorare con me.
Non potevo permettermi di pagargli uno stipendio, ma avrei rinunciato a una parte del mio piccolo cachet. Ci avrei guadagnato in serenità. Mi sembrò un’idea geniale.
Franco accettò di buon grado, più incuriosito che grato, e diventò così il mio assistente.
Oltre a metterlo davanti alla responsabilità di quello che stava per fare e ricordargli che un artista si giudica anche da chi gli sta intorno, posi come condizione una lucidità assoluta. Sapevo che avrebbe avuto il pudore di non farsi, ma non ero al sicuro da alcol, canne e pasticche.
Quando mio nonno seppe dell’ingaggio, alzò gli occhi al cielo, non ho mai capito se per ringraziare il Signore o per maledirlo. Era un bel salto mortale.
Per il suo debutto, lo riempii di raccomandazioni come uno scolaretto al primo giorno di scuola.
Sbarbato e pettinato, con tanto di giacca e cravatta, sembrava davvero un’altra persona. Bello, addirittura affidabile, uno di quei ragazzi che ogni mamma avrebbe voluto per genero.
Incrociai le dita, presi la macchina e partimmo verso la destinazione.
Ricordo quella sera come fosse ieri.
Due cose doveva fare: mandare le basi su cui avrei fatto l’imitazione di alcuni cantanti e incassare i soldi. Punto.
Il locale era un tempio dello spettacolo, in Italia e nel mondo. Tra gli altri, vi si erano esibiti Mina, Ella Fitzgerald, Domenico Modugno, Ray Charles, la lista era lunghissima. Ero teso ed emozionato, anche orgoglioso di calcare quel palcoscenico prestigioso. Entrai in camerino in punta di piedi, quasi a non voler disturbare le leggendarie presenze che mi avevano preceduto. La mia immagine riflessa nello specchio bastò per rendermi orgoglioso.
Mentre indossavo gli abiti di scena, Franco prese con sé le basi musicali e sparì. Cominciai a pregare.
Dietro le quinte, un attimo prima di entrare, mi guardai intorno per cercarlo, non lo vidi da nessuna parte.
L’orchestra si fermò e il cantante mi annunciò.
Un applauso incoraggiante accolse la mia entrata in scena. L’occhio di bue mi investì di luce accecandomi, vedevo solo le persone sedute in prima fila.
Prima di iniziare, riparando gli occhi con una mano, provai a vedere se Franco fosse al suo posto in cabina di regia. Non c’era.
Mi prese il panico ma simulai entusiasmo e sicurezza. Lo spettacolo prevedeva un piccolo monologo di apertura che feci con il cuore in gola.
Poi fu il momento delle imitazioni, dopo qualche personaggio avrei dovuto cantare e qui il mio novello assistente doveva fare la sua parte. Buttai di nuovo lo sguardo verso il suo posto, ancora vuoto.
Quando ormai stavo per gettarmi a terra piangendo e urlando: “Scusatemi ma ho un fratello cretino e non posso finire lo spettacolo”, apparve con un cocktail in mano, calmo, guardandomi come se niente fosse. D’altra parte era un assistente, assisteva.
Con un sospiro di sollievo mi girai, indossai la parrucca per l’imitazione e partì la base. Della canzone sbagliata.
Allora cambiai parrucca e nello stesso momento anche lui, accortosi dell’errore, cambiò base e mise quella che doveva far partire prima. E così via, per almeno un altro paio di volte.
Il pubblico, inconsapevole, rideva. Con l’esperienza e la prontezza di chi sa improvvisare riuscii a far credere che fosse una gag preparata, che ci fosse un bravo assistente che faceva finta di essere un assistente scemo.
Portai a casa in qualche modo la serata, ma tornai in camerino inferocito. Quando Franco mi raggiunse era evidentemente ubriaco. Non valse nemmeno la pena litigarci, anche perché fuori c’erano persone che volevano salutarmi e non mi andava di creare problemi.
Gli chiesi di aspettarmi in auto e lo raggiunsi lì, gli domandai se almeno avesse incassato i soldi. Cacciò faticosamente fuori dai pantaloni il portafoglio con le banconote. Mentre le stavamo contando mi sentii chiamare:
«Panariello, puoi venire un attimo qui?»
Era il barman, in piedi sulla porta del locale, accanto al buttafuori.
«Eccomi» dissi mentre gli andavo incontro, credendo volesse un autografo.
«Ci sarebbe da pagare il conto del bar.»
Lo guardai incredulo:
«Come il conto del bar? Non era pagato per noi artisti?»
«Per voi sì, ma il tu’ fratello ha offerto da bere a un sacco di gente e poi se n’è andato senza saldare il conto.»
La cifra era di poco superiore al guadagno della serata. Consegnai la busta al barman e ci rimisi anche qualcosina di tasca mia.
Grazie all’immensa generosità di mio fratello, i miei soldi quella sera uscirono dalla porta di servizio e rientrarono da quella principale.

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Io sono mio fratello
  4. Prologo
  5. Io so di non sapere
  6. Pane e acciughe
  7. Il cigno
  8. Robin Hood
  9. Amar perdona
  10. Il figliol prodigo
  11. Brigitte Bardot
  12. The Final Countdown
  13. Il ritorno
  14. Io sono mio fratello
  15. Disastro alla Casa del Popolo
  16. Don Chisciotte
  17. La comune
  18. Vita nuova
  19. La suite
  20. Il fantasma
  21. Niente su mia madre
  22. Il barbone e il vichingo
  23. Il Re del sabato sera
  24. Il ritorno del cigno
  25. Ho bisogno di te
  26. San Patrignano
  27. Le sirene di Ulisse
  28. Il generale
  29. La vittoria
  30. La fuga
  31. Finalmente l’amore
  32. Il signor Panariello
  33. I demoni e gli indiani
  34. Il cigno nero
  35. Exodus
  36. Mani di forbice
  37. Il destino
  38. Il poeta
  39. Boati di silenzio
  40. Finale
  41. Ringraziamenti
  42. Copyright