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Come persuadere molti e vendere tanto

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Come persuadere molti e vendere tanto

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Informazioni sul libro

Nell'epoca dei colossi dell'e-commerce c'è ancora posto per il tradizionale venditore? Quello che sa instaurare con i suoi clienti veri rapporti umani e non solo offrire una scontistica imbattibile? Sì, c'è, eccome! A patto di essere bravi, anzi ottimi venditori: venditori leader. Con un approccio molto concreto, questo libro spiega tutti i segreti del "Denna Model" per una comunicazione efficace, dal public speaking alla preparazione di una presentazione, dall'analisi degli scenari all'importanza dell'intelligenza emotiva, fino alla gestualità.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2020
ISBN
9788835705253
III

Come preparare una presentazione

Le persone che chiedono con fiducia
ottengono più di coloro che sono esitanti e incerti.
Quando hai capito cosa vuoi chiedere,
fallo con sicurezza, temerarietà e fiducia.
JACK CANFIELD
Lo confesso. Guardo raramente la televisione, se non qualche bel film o serie su Netflix. Per tenermi aggiornato, approfitto della comodità di navigare in rete con il mio smartphone. Ma quando mi capita di dormire in hotel – magari per un corso dell’HRD Academy, una trasferta di lavoro o in vacanza – un occhio alla TV lo dedico, per inerzia. Facendo zapping, oltre che sui principali canali nazionali ed esteri, la curiosità cade anche sulle emittenti locali. In particolare su un certo format che mi riporta indietro nel tempo…
Per noi «senior» nati negli anni Sessanta, la televisione dell’adolescenza era fatta di telefilm, eventi sportivi, video musicali e… televendite! Eh sì, proprio le tanto famigerate televendite degli anni Ottanta e Novanta. Chi c’era potrà ricordare insieme a me personaggi ansiogeni come Roberto Da Crema (detto «il Baffo») e Wanna Marchi, ipnotici come Guido Angeli (di Aiazzone, «Provare per credere»), pacati ed eleganti come Cesare Cadeo, eterni come Giorgio Mastrota.
Tralasciando i guai giudiziari e la dubbia moralità di alcuni di loro, all’epoca guardando quelle immagini avevo l’impressione che i protagonisti parlassero proprio con me. D’altronde era la prima volta che in televisione vedevo qualcuno fissare la telecamera e rivolgersi allo spettatore con una passione così evidente. Restavo lì incollato, senza cambiare canale: temevo che se avessi interrotto quel rapporto così speciale, i venditori ci sarebbero rimasti male… In certi casi la tentazione era di fare esattamente tutto quello che mi dicevano, come fosse un gioco divertente: alzare la cornetta del telefono e prenotare set di pentole, gioielli o materassi. Capisci la magia e la bravura di questi signori?

Come funzionava prima del web

Ripensandoci a distanza di decenni, posso testimoniare che il loro rapporto col pubblico era perfettamente empatico, il linguaggio semplice ed efficace, la gestualità teatrale al punto giusto, così come insuperabili erano le espressioni e la capacità di chiudere la vendita. Scrive Consuelo Crespi sul magazine «TheMillennial»:
… le presentatrici delle prime televendite [negli anni Ottanta] assomigliavano molto a quelle che noi oggi chiamiamo fashion blogger. Le protagoniste di questi programmi, infatti, avevano personalità eccentriche e irriverenti, ed erano circondate da un glamour così artificiale che oggi rivedendolo definiremmo trash. Eppure qualche decennio fa incollavano milioni di spettatori davanti allo schermo.
I canali televisivi dedicati alla vendita di prodotti ti facevano credere che tutto ciò che già possedevi non fosse sufficiente per essere felice. Grazie alle telecamere, ogni spettatore poteva entrare nel salotto di casalinghe ingioiellate, appena uscite dal parrucchiere e vestite in maniera succinta. Sedute sulle loro comode poltroncine conversavano con te, telespettatore, e l’amica al loro fianco, chiacchierando dell’utilità e dei benefici dei prodotti in vendita.
Il colpo di genio – in un’epoca in cui non esistevano i social network né tantomeno i like – erano le scritte in sovrimpressione, una sorta di contatore in movimento che ti mostrava quanti di quegli oggetti erano stati ordinati in tempo reale: 50, 300, 2500… Quei numeri erano persone reali, proprio come te, e giocavano sul «principio della scarsità», formulato da Robert Cialdini – psicologo americano e professore di marketing – nel suo libro Le armi della persuasione.
Con i suoi studi Cialdini aveva individuato quei principi psicologici di base che guidano le azioni umane e che tutti tendiamo ad applicare, spesso in modo automatico e inconscio, quando prendiamo delle decisioni. Parlando di persuasione, Cialdini sosteneva che ogni qualvolta ci troviamo a dover decidere, in teoria dovremmo analizzare una lunga serie di variabili e valutare diversi fattori: peccato che spesso non si abbia né il tempo né la voglia. Per questo il cervello sviluppa naturalmente delle «scorciatoie mentali» (basate sul buonsenso) che servono a prendere decisioni rapide e con il minor sforzo possibile.
Tornando al principio del contatore automatico, se qualcosa scarseggia ci sembra più desiderabile e di maggior valore: spesso è la disponibilità limitata (come numero o come tempo) a spingerci all’azione. La difficoltà di procurarsi qualcosa ce lo fa apparire più prezioso: «Mi spiace, lei non può accedere a questo servizio, la disponibilità è esaurita…». «Stiamo per chiudere le prenotazioni, sono rimasti solo cinque posti liberi!»
E dunque quando da casa vedevi che il numero era salito a 4000 ordini, e il conduttore ti diceva che i prodotti iniziavano a scarseggiare, l’impulso di alzare la cornetta era fortissimo.
Scrive ancora Consuelo Crespi:
Le televendite sono interamente basate su un gioco di mani con lo scopo di incantare il telespettatore. Si accarezzano i materassi, si muovono le dita ritmicamente per mostrare gli anelli luccicanti, si mostra la facilità con cui stringere o allargare una borsa a tracolla.
O si porta alla bocca una fettina di mortadella appena tagliata, aggiungo io.
E infine, quelle stesse mani, puntano con convinzione l’indice verso la telecamera: «Tu, proprio tu, devi comprare tutto questo!» dice la venditrice con il sorriso splendente e la faccia di ceramica. Il gioco è fatto.
In quest’ambito imperavano alcuni veri maestri. Due in particolare erano i presentatori che godevano di autorevolezza e hanno fatto, all’epoca, la fortuna dei loro programmi e delle reti di appartenenza. Uno era Mike Bongiorno, l’altro era Gianfranco Funari. Questi due uscivano dalla cerchia dei teleimbonitori, erano di un livello superiore. Personaggi di spessore, di cultura televisiva e di grande personal branding, venivano percepiti come parenti piuttosto esperti, in grado di farti vivere – con la tecnica dello storytelling, di cui a quei tempi nessuno parlava – il famoso trittico QVC, ovvero qualità, valore e convenienza.
In quegli anni di grande rilancio economico, dal monopolio di Carosello si era passati alle trasmissioni con gli sponsor all’interno: una vera rivoluzione che metteva il prodotto al centro dell’attenzione per coinvolgere maggiormente il pubblico. Scrive Enrico Maria Tomassi, esperto in marketing digitale:
Quello che fa Mike Bongiorno non è pubblicità, ma marketing. Non si limita a promuovere il prodotto, ma cerca di venderlo. E lo fa in un modo diverso dagli altri televenditori. Non urla mai e non si agita. Parla al suo pubblico, composto per lo più da casalinghe, con un linguaggio colloquiale e con voce sommessa, come fosse il loro miglior amico. Conosce bene il prodotto e il suo target, e sa come colpirlo.
Oltre al tono informale e al linguaggio diretto, Bongiorno racconta esperienze personali legate al prodotto, che lui stesso ha assaggiato e di cui ha visitato gli stabilimenti di produzione. Considera che con le sue televendite ha contribuito in quegli anni ad aumentare del 55 per cento il fatturato della Rovagnati, azienda produttrice del noto prosciutto Gran Biscotto. Oggi diremmo che era un vero influencer. Mike infatti promuoveva i prodotti cercando di vendere, giocando pulito, senza trucchi e credeva fortemente nelle aziende e nelle persone che le rappresentavano.

Scenario e target: devi sapere tutto!

Nel capitolo precedente abbiamo visto che tipo di persona dobbiamo essere, che genere di identità dobbiamo incarnare per diventare venditori efficaci di fronte a un pubblico. Abbiamo capito l’importanza di dialogare con la nostra mente inconscia e trasformare gli obiettivi in buone intenzioni, sempre a beneficio dei nostri potenziali clienti. Abbiamo infine verificato quanto sia fondamentale saper gestire le normali paure che ci assalgono, così da utilizzare positivamente quell’energia per trasferire emozioni.
Ma l’intenzione comunicativa («Ti trasferisco l’emozione che io sono qui sul palco per portare valore nella tua vita professionale e personale») non basta. Manca un elemento per evitare di sparare nel mucchio: la cosiddetta «analisi del contesto». Che in parole povere vuol dire conoscere il tuo target e lo scenario in cui si muove. Se non hai ben chiara in anticipo la psicologia di chi seguirà il tuo speech, non potrai creare strategie mirate. Sarà un azzardo per te fare esempi giusti e metafore calzanti, coinvolgere con esercizi, preparare slide efficaci, creare leve emozionali su misura. Ti muoverai al buio.
Ribadisco: se ti mancano informazioni sul cosa le persone di fronte a te stanno cercando (e soprattutto sul perché), rischierai di trovarti di fronte un muro di gomma. Se non individui i veri benefici del tuo prodotto per quella fascia di pubblico, venderai pensando che la gente se ne debba innamorare solo perché gliene stai parlando tu, non perché abbia un interesse reale. Potrai essere bravo, bello, educato ed entusiasta sul tuo bel palchetto da venditore, ma questo non significa che la gente comprerà in automatico pensando: «Questo tipo è proprio simpatico!».
Buona regola di chi vende (indipendentemente se ha di fronte un singolo o una sala piena) è quella di sviscerare per bene quale sia il «momento storico» vissuto da chi gli sta di fronte. Come faceva Mike Bongiorno, deve costruirsi una certa autorevolezza anche attraverso la continua ricerca di informazioni e i test di qualità sui prodotti.

Le analisi ante-web

Oggi è mille volte più facile procurarsi informazioni rispetto all’epoca pre-digitale. Viviamo nell’era dell’informazione! Basta «googolare» (termine orribile) qualsiasi parola per ricevere in cambio pagine e pagine di contenuti utili. Ma… non è sempre stato così. Ricordo che quando facevo il venditore di enciclopedie o di pentole, per farmi un’idea in anticipo su cosa pensassero le persone del mio prodotto ricorrevo a metodi che oggi potremmo chiamare «empirici».
Intanto il passaparola. La persona giusta a cui rivolgersi era colui (o colei) che si era occupato di riunire amici e parenti per farli assistere alla presentazione del mio campionario di stoviglie ultramoderne o di nuovi dizionari appena usciti. L’individuo in questione era il «grimaldello» per raccogliere notizie sui gusti di chi avrebbe partecipato alla riunione, su eventuali problemi da risolvere e sulle soluzioni prese attualmente in considerazione (magari con prodotti della concorrenza).
In ambito business, si incontravano potenziali clienti agli eventi di settore, come le fiere. Le fiere una volta erano davvero un’occasione irripetibile dove un’azienda – grazie a un piccolo o grande stand e a un team di commerciali – poteva tranquillamente presentarsi al pubblico entrando in contatto con nuovi potenziali clienti per tutta la durata della manifestazione. La cosa buona era che il pubblico era formato da gente interessata a saperne di più: avevano pagato il biglietto ed erano lì apposta per essere informati!
In fiera il contatto con la gente che scorreva lungo i corridoi poteva avvenire principalmente in tre modi. In primo luogo, facendo volantinaggio e attaccando discorso. In secondo luogo, avvicinandosi a chi rallentava passandoti davanti e mostrava segni d’interesse. Infine, organizzando piccole dimostrazioni volanti che assomigliavano a quelli che oggi chiameremmo «workshop».
Indipendentemente dalle dinamiche, quello che qui voglio passarti è il fatto che analizzare i bisogni di un target (ma soprattutto individuarne i criteri decisionali) era un’operazione complessa e spesso faticosa. C’erano le Pagine Gialle, che in ottica B2B fornivano indicazioni sull’identità di un’azienda, sui punti di forza e sulle strategie di marketing. C’erano i quotidiani e i periodici di settore, ma era poca roba rispetto a Google. C’erano anche le Camere di Commercio e le associazioni di categoria che fornivano report specifici e numeri sulle dimensioni di un’impresa (oltre che i nomi dei referenti a cui rivolgersi). Ma sempre briciole rispetto a oggi.
Con questo non voglio dire che nel 2020 vendere a un pubblico sia più facile: la concorrenza è tanta e l’offerta spesso supera la domanda. Ma penso che ottenere informazioni sulla vita e i gusti personali di un singolo o di un gruppo di persone con interessi in comune sia estremamente più rapido che non ai tempi delle fiere e del passaparola.

Impariamo dai negoziatori

Poiché ho avuto la fortuna di vivere il periodo storico a cavallo della rivoluzione digitale, oggi la mia visione professionale abbraccia il meglio di entrambi i metodi: quello «analitico» e quello attuale governato, diciamo così, dalla… fibra ottica. Mi riconosco l’attitudine a cogliere ogni pretesto per accumulare informazioni utili sui target (anche un caffè preso al bar può essere un buon momento conviviale per mettere da parte qualche notizia interessante). Oltre a questo ho sviluppato negli anni una serie di abitudini che fanno parte della sfera della negoziazione, un’arte che non dovrebbe essere di esclusiva competenza dei venditori.
A tutti noi – e in particolare a chi gestisce un business e dei collaboratori – accade di dover negoziare più volte durante una giornata. Un vero leader dovrebbe saperlo fare, senza essere costretto a cimentarsi in prove di forza per esercitare il proprio potere. Invece che imporre le proprie decisioni e cercare di averla sempre vinta, il leader si distinguerà per la capacità di convincere gli altri, nel senso appunto di «vincere insieme». Negoziare sarà dunque inteso come «il cercare una soluzione accettabile per entrambe le parti». Secondo la logica del «vinco io, se vinci anche tu».
Gli elementi chiave della negoziazione aiutano un buon venditore a essere focalizzato sul suo pubblico, sui problemi che le persone vogliono risolvere e sulle implicazioni negative che vogliono evitare. Quando vendi di fronte a una sala, non cadere nelle provocazioni, attaccando o offendendo qualcuno che magari ha cercato di metterti in discussione: sappi che gli scontri rovinano il clima della sala e ti fanno perdere il credito acquisito nel frattempo. Se parli di un problema che affligge chi ti ascolta, deve essere chiaro che non ne stai facendo una questione perso...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Vi presento il libro. di Roberto Re
  4. CONVINCILI!
  5. Ringraziamenti
  6. Testimonianze
  7. I. Il venditore di enciclopedie
  8. II. L’identità del venditore leader
  9. III. Come preparare una presentazione
  10. IV. Cosa fare durante il tuo speech
  11. V. Denna Model, uno schema adattabile. Consigli dal backstage
  12. APPENDICE
  13. Consigli dal backstage
  14. Copyright