Ai borghesi
Voi siete la maggioranza, – per numero e intelligenza; – e pertanto siete la forza, – che è la giustizia.
Scienziati gli uni, proprietari gli altri; – verrà un giorno radioso in cui gli scienziati saranno proprietari, e i proprietari scienziati. Allora la vostra potenza sarà completa, e non vi sarà nessuno a protestare contro di essa.
Nell’attesa di questa suprema armonia, è giusto che coloro i quali non sono che proprietari aspirino a diventare scienziati; poiché la scienza è un godimento non meno grande che la proprietà.
Voi possedete il governo della città, ed è giusto, giacché siete la forza. Ma occorre che siate capaci di sentire la bellezza; in quanto come nessuno di voi può oggi fare a meno di potenza, cosí nessuno ha il diritto di fare a meno di poesia.
Potete vivere tre giorni senza pane; – ma senza poesia, in nessun caso; e quelli di voi che affermano il contrario s’ingannano: non si conoscono.
Gli aristocratici del pensiero, i dispensatori dell’elogio e della censura, gli accaparratori dei beni spirituali, vi hanno detto che non avevate il diritto di sentire e di godere: – sono dei farisei.
Invero, avete il governo di una città ove è presente il pubblico dell’universo, e bisogna che siate degni di tale carico.
Godere è una scienza, e l’esercizio dei cinque sensi esige una iniziazione tutta sua, che ha luogo solo con la buona volontà e il bisogno.
Ora ciò che vi occorre assolutamente è l’arte.
L’arte è un bene infinitamente prezioso, l’arzente che rinfresca e infiamma, che ristora lo stomaco e lo spirito nell’equilibrio nativo dell’ideale.
Voi ne concepite l’utilità, oh borghesi, – legislatori o commercianti, – quando allo scoccare della settima o ottava ora vi accade che il capo si chini sulle braci del focolare e sui cuscini della poltrona.
Un desiderio piú ardente, un’immaginazione piú attiva, vi conforterebbero allora dell’azione quotidiana.
Senonché gli accaparratori hanno voluto tenervi lontano dall’albero della scienza, perché la scienza è la loro cassa e bottega, di cui restano estremamente gelosi. Se vi avessero negato il potere di produrre opere d’arte o di comprendere i procedimenti in base ai quali si producono, avrebbero affermato un vero di cui non vi sareste offesi, dal momento che gli affari pubblici e il commercio assorbono i tre quarti della vostra giornata. Quanto alle ore libere, esse devono per questo essere dedicate al godimento e alla voluttà.
Ma gli accaparratori vi hanno vietato di godere, perché non intendete la tecnica delle arti, come invece intendete le leggi e gli affari.
Non per tanto, se i due terzi del vostro tempo sono occupati dalla scienza, è giusto che l’altro terzo sia preso dal sentimento, e solo per mezzo del sentimento dovete giungere all’intelligenza dell’arte; – cosí, per l’appunto, la vostra anima può trovare l’equilibrio delle forze.
In quanto molteplice, la verità non è doppia; e come nella sfera della politica avete concesso i diritti e i vantaggi, cosí nelle arti avete fondato una piú vasta e copiosa comunione.
Borghesi, voi – re, legislatori o negozianti, – avete istituito collezioni, musei, gallerie. Alcune di quelle che sedici anni or sono erano aperte solo agli accaparratori hanno aperto le porte alla massa.
Vi siete consociati, avete costituito delle compagnie e concesso dei prestiti per realizzare l’idea dell’avvenire in tutte le sue diverse forme, politiche, industriali e artistiche. Mai in alcuna nobile impresa avete lasciato l’iniziativa alla minoranza protestataria e travagliata, che poi è la nemica naturale dell’arte.
Lasciarsi sorpassare in arte e in politica, equivale a suicidarsi, e una maggioranza non può volere il suicidio di se stessa.
Ciò che avete fatto per la Francia, lo avete fatto anche per altri paesi. Il museo spagnolo1 è venuto ad accrescere il complesso delle idee generali che dovete avere sull’arte; sapete infatti benissimo che, cosí come un museo nazionale è una comunione la cui influenza gentile intenerisce il cuore e affina la volontà, un museo straniero è una comunione internazionale, in cui due popoli, avendo un modo piú libero di osservarsi e studiarsi, si compenetrano reciprocamente, e si affratellano senza contrasti.
Voi siete gli amici naturali delle arti giacché siete ricchi per una parte, scienziati per un’altra.
Dopo aver dato alla società la vostra scienza, e industria, e lavoro, e danaro, pretendete di essere compensati in piaceri del corpo, della ragione e dell’immaginazione. Ora se ricuperate la somma di piaceri necessari per ricostituire l’equilibrio di tutte le parti del vostro essere, sarete felici, sazi e amabili, allo stesso modo in cui la società è destinata ad essere felice e amabile allorché avrà trovato il proprio equilibrio generale e assoluto.
È naturale, dunque, che questo libro sia dedicato a voi, borghesi; ché ogni libro che non si rivolga alla maggioranza, – numero e intelligenza, – è un libro sciocco.
1° maggio 1846.
I
A che serve la critica?
A che serve? – Interrogativo enorme e terribile, che afferra la critica per il collo fin dal primo passo che essa prende a fare nel suo capitolo d’apertura.
L’artista rimprovera per prima cosa alla critica di non potere insegnare nulla al borghese, il quale non vuole dipingere né poetare, – né all’arte, in quanto la critica è uscita proprio dalle sue viscere.
E tuttavia quanti artisti di questo nostro tempo devono solo a lei la loro misera fama! Qui sta forse il vero rimprovero da muoverle.
Si è visto un Gavarni che raffigura un pittore curvo sulla tela; alle sue spalle un signore, grave, rinsecchito, rigido e incravattato di bianco, con in mano l’ultima sua recensione. «Se l’arte è nobile, la critica è santa». – «E chi lo dice?» – «La critica!» Se l’artista fa la sua parte cosí a buon mercato, questo accade perché il critico è inequivocabilmente un critico come ce ne sono tanti.
In fatto di mezzi e procedimenti – se non addirittura di opere2, il pubblico e l’artista non hanno nulla da imparare a questo punto. Sono cose che si imparano al cavalletto, facendo, e il pubblico s’interessa solo del risultato.
Credo in coscienza che la migliore critica sia quella che riesce dilettosa e poetica; non una critica fredda e algebrica, che, col pretesto di tutto spiegare, non sente né odio né amore, e si spoglia deliberatamente di ogni traccia di temperamento; ma, – riflessa dall’occhio di un artista, – quella che ci farà vedere un quadro attraverso lo specchio di uno spirito intelligente e sensibile, se è vero che un bel quadro è la natura riflessa. Cosí la migliore recensione critica di un quadro potrà essere un sonetto o un’elegia.
Ma un tal genere di critica è destinato alle raccolte di poesia e ai suoi lettori. Quanto a quella propriamente detta, spero che i filosofi comprenderanno ciò che sto per dire: perché sia giusta, cioè perché abbia la sua ragion d’essere, la critica deve essere parziale, appassionata, politica, vale a dire condotta da un punto di vista esclusivo, ma tale da aprire il piú ampio degli orizzonti.
Esaltare la linea a detrimento del colore, o il colore a spese della linea, è fuor di dubbio un punto di vista; ma non è una visuale né ampia né corretta, e rivela una grande ignoranza di ogni destino particolare.
Si ignora in quale dose la natura abbia mescolato in ogni ingegno il gusto della linea e il gusto del colore, e per quali misteriosi procedimenti essa natura operi tale fusione il cui esito è un quadro.
Pertanto un punto di vista piú ampio vuole essere l’individualismo rettamente interpretato: esigere dall’artista l’ingenuità e l’espressione sincera del suo temperamento, soccorsa da tutti i mezzi che gli vengono dal suo mestiere3. Chi non ha temperamento non è degno di fare dei quadri, e allora, – poiché si è stanchi di imitatori, e soprattutto di eclettici, – deve entrare come manovale al servizio di un pittore di temperamento: come dimostrerò in uno degli ultimi capitoli.
Fornito ormai di un criterio certo, preso dalla natura, il critico deve compiere il proprio dovere con passione, giacché egli non rinuncia ad essere uomo, e la passione avvicina i temperamenti affini, trasporta la ragione a nuove altezze.
Stendhal ha detto una volta: «La pittura non è che morale costruita!» – Ove s’intenda questo termine in un senso piú o meno liberale, può affermarsi la stessa cosa per tutte le arti. E poiché esse sono sempre il bello espresso dal sentimento, dalla passione e dall’immaginazione del singolo, vale a dire dalla varietà nell’unità, ovvero dalle diverse facce dell’assoluto, – la critica s’incontra ad ogni momento con la metafisica.
Essendo riservata ad ogni secolo e ad ogni popolo l’espressione della propria bellezza e della propria morale, – qualora si voglia intendere il romanticismo come l’espressione piú recente e moderna della bellezza, – il grande artista sarà allora, – per il critico raziocinante e appassionato, – colui che unirà alla condizione sopra richiesta, all’ingenuità, – il massimo romanticismo possibile.
II
Che cos’è il romanticismo?
Pochi vorranno oggi attribuire a questo termine un significato reale e positivo; ma avranno lo stesso l’ardire di affermare che una generazione è pronta a sostenere una battaglia di lunghi anni per una bandiera che non è un simbolo?
Si ripensi agli scontri di questi ultimi tempi, e si vedrà che, se è rimasto un numero esiguo di romantici, questo è accaduto perché pochi di loro hanno trovato il romanticismo, anche se tutti lo hanno sinceramente e lealmente cercato.
Alcuni si sono rivolti unicamente alla scelta dei soggetti; ma non ne avevano il temperamento. – Altri, che credevano ancora in una società cattolica, hanno cercato di riprodurre il cattolicesimo nelle loro opere. – Ma dirsi romantico e fissarsi sistematicamente sul passato, è una contraddizione. – Costoro, in nome del romanticismo, hanno insultato i Greci e i Romani: ora si possono rappresentare Romani e Greci romantici, quando si è a propria volta tali. – Molti altri sono stati fuorviati dalla verità nell’arte e nel colore locale. Il realismo aveva già antiche radici prima di questa grande battaglia, e d’altronde, comporre una tragedia o un quadro per Raoul Rochette4, significa correre il rischio di essere smentiti dal primo venuto, se è piú colto di Raoul Rochette.
Il romanticismo non sta per l’appunto né nella scelta dei soggetti né nella verità esatta, ma nel modo di sentire.
I nostri artisti lo hanno cercato al di fuori, mentre solo dal di dentro era possibile scoprirlo.
Quanto a me, il romanticismo è l’espressione piú recente e piú attuale del bello.
Vi sono tante bellezze quanti sono i modi consueti di cercare la felicità5.
La filosofia del progresso spiega tutto questo con chiarezza; come ci sono stati tanti ideali quanti furono per i popoli le maniere di comprendere la morale, l’amore, la religione, ecc., cosí il romanticismo non può consistere in una esecuzione perfetta, ma in una concezione simile alla morale del secolo.
Proprio perché taluni lo hanno visto come la perfezione del mestiere, abbiamo avuto il rococò del romanticismo, che senz’ombra di smentita è il piú insopportabile di tutti.
Occorre allora, prima di tutto, conoscere gli aspetti della natura e le situazioni dell’anima, che gli artisti del passato hanno trascurato o non conosciuto.
Chi dice romanticismo dice arte moderna, – cioè intimità, spiritualità, colore, aspirazione verso l’infinito, espressi con tutti i mezzi presenti nelle arti.
Ne viene che esiste una contraddizione evidente tra il romanticismo e le opere dei suoi principali rappresentanti.
Perché stupirsi se il colore ha una parte capitale nell’arte moderna? Il romanticismo è figlio del Nord, e il Nord è colorista; i sogni e gli incantesimi sono creature delle brume. L’Inghilterra, che è la patria dei coloristi piú accesi, le Fiandre, una metà della Francia, sono immerse nelle nebbie; la stessa Venezia affonda nella laguna. E i pittori spagnoli poi, sono piú pittori di contrasti che coloristi.
In compenso il Mezzogiorno è naturalista, perché quivi la natura è cosí bella e luminosa che l’uomo, non avendo nulla da desiderare, non trova niente di piú bello da inventare all’infuori di quello che vede: qui, l’arte sotto la luce del sole, e qualche centinaio di leghe piú a nord i sogni profondi nel chiuso del laboratorio e l’occhio della fantasia sperduto nei grigi orizzonti.
Il Mezzogiorno è brutale e positivo come uno scultore nelle sue composizioni piú delicate; il Nord dolente e inquieto si consola con l’immaginazione, e quando giunge a far scultura, essa sarà piú spesso pittorica che classica.
Raffaello, nonostante la sua purezza, non è che uno spirito materiale alla ricerca senza sosta del solido; ma quella canaglia di Rembrandt è un potente idealista che fa sognare e vedere al di là. Il primo compone creature allo stato puro e verginale, – Adamo ed Eva; – il secondo agita gli stracci davanti ai nostri occhi e ci racconta le sofferenze dell’uomo.
Tuttavia Rembrandt non è un colorista puro, ma un armonista; ora come sarà nuovo l’effetto e quanto il romanticismo prestigioso, dove un potente colorista ci renda i nostri sentimenti e sogni piú cari con un colore rispondente ai soggetti!
Prima di passare all’esame dell’uomo che resta sin ad oggi il piú degno rappresentante del romanticismo, penso di scrivere sul colore una serie di riflessioni non inutili alla piena intelligenza di queste nostre pagine.
III
Del colore
Si immagini un ampio spazio di natura ove tutto si illumini di verde, di rosso, sfolgorante e liberamente mutevole, e tutte le cose, con diversi colori secondo la propria struttura molecolare, mutate di attimo in attimo allo spostarsi dell’ombra e della luce, agitate dall’interno lavorio dell’energia calorica, si trovino in una vibrazione perenne, la quale fa tremare le linee e porta a fine la legge del movimento eterno e universale. – Un’immensità, talora azzurra e spesso verde, si stende sino ai confini del cielo: il mare. Verdi gli alberi, verde l’erba, verde il muschio; e il verde serpeggia nei tronchi, gli steli acerbi sono verdi; il verde è il fondo della natura perché il verde si unisce senza difficoltà con tutti gli altri toni6. Ciò che subito mi colpisce, è che dappertutto, – rosolacci nei prati, papaveri, pappagalli, ecc., – il rosso intona la gloria del verde; e il nero, quando compare, nullità solitaria e insignificante, invoca l’intervento dell’azzurro e del rosso. L’azzurro, cioè il cielo, è attraversato da lievi bioccoli bianchi o da masse grige che temperano felicemente la sua spenta crudezza, – e, come il vapore dell...