Lo specchio del diavolo
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Lo specchio del diavolo

La storia dell'economia dal Paradiso terrestre all'inferno della finanza

  1. 152 pagine
  2. Italian
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Lo specchio del diavolo

La storia dell'economia dal Paradiso terrestre all'inferno della finanza

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A che cosa serve l'economia? E in particolare: l'economia è al servizio degli uomini o viceversa? Per cercare di rispondere a queste domande, Giorgio Ruffolo ci guida con sapiente estro e divertenti digressioni attraverso gli aspetti cruciali della scienza economica, considerata nei suoi stretti legami con la tecnica, la moneta e la politica. Verremo, quindi, catapultati nel Paradiso terrestre nel momento in cui l'uomo scacciato da Dio scopre la tecnica, assisteremo alle grandi turbolenze monetarie che hanno investito in misura e modalità diverse ogni periodo storico, e infine diventeremo spettatori e attori della guerra, non conclusa, che il capitalismo ha ingaggiato sfidando il potere politico.
Un viaggio nei secoli e nella storia alla scoperta di una scienza che, come sostiene Ruffolo, «dovrebbe servire all'uomo per aumentare il benessere, la ricchezza e anche la felicità del popolo». Da questo testo Luca Ronconi ha tratto il soggetto per uno dei cinque eventi teatrali allestiti a Torino in occasione delle Olimpiadi Invernali 2006 nell'ambito di Progetto Domani.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
ISBN
9788858413968
Argomento
Business

Secondo quadro. L’economia e la moneta

Le origini della moneta.

S’è mai visto, domandava Adam Smith, un cane scambiare un osso con un altro cane? Non sembra: lo scambio è una istituzione specificamente umana, non un fenomeno naturale.
Nelle sue forme originarie, esso assume la forma del baratto: di cose, che diventano merci. E cioè, non oggetti di consumo immediato, ma, appunto, strumenti di scambio. E questo per decine di millenni. Poi, gradatamente, una di queste merci diventa oggetto di scambio universale: la moneta.
Le scelte della moneta variano ovviamente, nel processo storico, da società a società.
Anzitutto ci sono state società primitive senza moneta, in America meridionale, in Australia e in Polinesia (ad esempio, le cosiddette culture del boomerang e del totem). Si tratta, in pratica, di società prive di mercato.
Quelle che hanno adottato una merce come moneta hanno attuato, in una prima lunghissima fase, le scelte piú svariate collegate di solito, ma non sempre, alle merci di piú largo uso.
Merci ornamentali come conchiglie, perle, denti di cane; merci ad uso di vestiario come pelli e stoffe; merci alimentari: sale, cacao, tè, mais, tabacco; merci utensili: asce, coltelli, sbarre metalliche. E anche grandi animali: tra le società storiche i pastori latini adottarono il bestiame, pecus, da cui pecora e pecunia.
Anche nelle società primitive alcune monete travalicano i confini di una etnia per imporsi su una larga zona. I cauri, per esempio, sono conchiglie originarie delle Maldive che via via si sono diffuse in tutta l’Africa e l’Asia meridionale, fino al Siam. Una specie di dollaro preistorico.
Sarebbe ragionevole pensare che per la funzione di moneta si scelgano merci facilmente trattabili. Ma non è sempre cosí. A parte il pecus romano, non certo tascabile, alcune popolazioni hanno adottato merci particolarmente ingombranti. Per esempio in Indocina e nelle Indie orientali i gong di metallo. In epoca ormai storica, i Dalaki del Borneo, evidentemente colti da un attacco di megalomania, hanno utilizzato come moneta dei cannoni di bronzo, di peso enorme. Gli abitanti delle isole Palau, in Micronesia, hanno scelto grandi dischi di pietra levigata, di circa quattro metri di diametro, per giunta importati. Quando si dice complicarsi la vita!
Alla fine, però, in tutte le società che adottano la moneta prevale il buon senso. E tutte le società convergono verso un tipo di merce particolarmente indicata per svolgere la funzione di strumento di scambio. Per mille e una ragioni quella funzione è stata attribuita ai metalli preziosi: l’oro l’argento e il rame, in ordine decrescente di prestigio e crescente di uso corrente. Dapprima in libbre o in verghe. Poi fusi in pezzi tondi, piccoli, standardizzati e con sopra il nome o l’effigie del regale fonditore da una parte, e quello di una bestia, per esempio un elefante, dall’altra. Insomma, moneta coniata. Secondo Erodoto a inventare il conio furono i Lidi con il loro re, Creso, che però non fece una bella fine. Tra i Lidi, sempre secondo Erodoto, la moneta era associata alla prostituzione (sacra, ovviamente) cioè al pagamento di signore specializzate. E Policrate di Samo ci informa che, appena inventata, cominciò ad essere contraffatta e alterata. Il che, piú di una volta nella storia, indusse gli uomini a rifonderla e a tornare alla moneta pesata: libbre e verghe.
Ma pian piano la moneta coniata si impose. Per lungo tempo il suo prestigio è stato legato all’oro, il metallo nobile per antonomasia, una specie di Nume monetario: «Dio dell’or, – dice Mefistofele, – e del mondo Signor». Nell’antichità quella che non circolava era ben custodita nelle banche del tempo che erano i templi, dai banchieri dell’epoca, che erano i sacerdoti.
Quando però il bisogno di moneta, con l’espansione del prodotto e degli scambi, si fece pressante, si sentí il bisogno di qualche cosa di piú leggero e maneggevole da far circolare e da portare in tasca, in rappresentanza dell’oro. E con grande scandalo iniziale si inventò la carta-moneta. Anzi, si reinventò, perché pare che, come tante altre cose, l’avessero già inventata i cinesi (ma come mai Marco Polo non ne parla?)
Si può dire quindi che, nel corso della storia, la moneta abbia subito un processo di smaterializzazione democratica. Merci grezze, per lo piú pesanti, come le pecore romane, e poi metalli preziosi, prima pesati, poi coniati, e poi carta, semplice vile carta. Per finire, nel nostro tempo, con semplici impulsi elettronici.
In fatto di monete le cose sono molto oscure, diceva Gilles Li Muisis, abate di Tournai, nel XIV secolo. «Esse crescono e diminuiscono di valore, e non si sa che fare. Quando si pensa di guadagnare si trova il contrario».
Invece, la moneta era sorta per semplificare, non per complicare. Bastava tenere a mente tre punti.

Brevissima lezione di economia monetaria.

Il primo è la relazione tra la quantità di moneta e le merci, i beni scambiati. La moneta è una merce tra le altre. Solo che è scelta convenzionalmente come misura di tutte le altre. Quella misura è il prezzo delle merci: che si stabilisce attraverso gli scambi. È un equilibrio tra quantità della merce-moneta e delle altre merci: un equilibrio che il mercato degli scambi trova da sé, se le contrattazioni sono numerose trasparenti e libere. Quell’equilibrio spontaneo può essere turbato da interventi esterni che modificano la quantità di moneta rispetto a quella delle merci. Se quella aumenta, c’è inflazione (molta moneta a caccia di poche merci). Se diminuisce, c’è deflazione (il contrario). Nel primo caso i prezzi aumentano e sono favoriti i debitori: esempio, gli imprenditori che hanno contratto debiti per investire a un valore che sarà ridotto dall’aumento dei prezzi. Nel secondo, i prezzi diminuiscono e sono favoriti i risparmiatori, che ricevono a rimborso somme di valore reale piú alto.
Il secondo punto da tenere a mente è il prezzo della moneta. Come tutte le merci anche la moneta ha un prezzo. Si chiama tasso d’interesse. Viene pagato a chi la vende (o meglio la presta) cioè ai risparmiatori, di solito attraverso le banche, da chi la compra sempre attraverso le banche, per investirla e ricavarne un profitto. Per lunghi secoli questo prezzo è stato considerato un furto (usura) e lo scambio nel tempo di moneta contro moneta, apparentemente tra valori identici, un peccato mortale. Ma il fatto è che quei valori non sono affatto identici, altrimenti non ci sarebbe ragione di risparmiare e di investire; e l’economia non conoscerebbe lo sviluppo. Anche il prezzo della moneta risulta dalla contrattazione, tra venditori-risparmiatori e compratori-imprenditori. Se l’offerta di moneta eccede la domanda, il suo prezzo (tasso d’interesse) scende e sono favoriti gli investitori. Se sale, i risparmiatori.
Il terzo punto è la regolazione della moneta. Data la sua funzione centrale nell’economia conviene a tutti che un’autorità esterna al mercato – lo Stato – si assuma la responsabilità di regolarne la quantità totale. Anche i liberisti piú ortodossi hanno riconosciuto questa esigenza di intervento pubblico. Ma quello del monopolio statale dell’emissione di moneta è stato un processo storico lungo e contrastato.
Non solo. Poiché sono in pratica le banche a mediare tra risparmiatori e investitori, sono esse che ricorrono alla banca di emissione per provvedersi di moneta e la banca di emissione pretende ovviamente un prezzo, un tasso di interesse centrale, che influisce sull’insieme dei tassi d’interesse di mercato.
Lo Stato assume, quindi, funzione di regolatore supremo della quantità e del prezzo della moneta. Questa funzione si chiama politica monetaria. Fine della lezione.

Le grandi turbolenze monetarie.

La regolazione della moneta, la politica monetaria, non è però una cosa semplice. Il rapporto tra moneta ed economia è stato esposto continuamente a grandi turbolenze.
Queste turbolenze nascono da tre cause: 1) l’afflusso improvviso di metalli preziosi, oro o argento, dall’esterno del sistema; 2) la necessità dello Stato di finanziare spese crescenti; 3) la creazione di moneta da parte delle banche.

L’inflazione di oro e argento.

Due esempi. L’afflusso di oro nell’impero romano dalla Dacia conquistata al tempo di Marco Aurelio. L’imperatore ne fa un uso che è rimasto unico nella storia. Lo riversa ai cittadini sotto forma di riduzione delle tasse! (le tasse che i romani pagavano per finanziare lo Stato erano già molto basse: circa il 10 per cento del Pil, Prodotto imperiale lordo). Oggi, in Europa, si aggirano tra il 40 e il 50 per cento.
Altro esempio fondamentale per il destino dell’Occidente: l’afflusso in Spagna dell’argento dalle miniere messicane e peruviane, dopo la scoperta dell’America. La Spagna di Carlo V e di Filippo II non aveva nessuna intenzione di seguire l’esempio di Marco Aurelio. Era però totalmente incapace di usare quella manna a fini produttivi a causa del presuntuoso parassitismo della sua aristocrazia. In parte, ci finanziò la sciagurata guerra delle Fiandre. In parte, le importazioni dagli altri paesi, come Francia Olanda Inghilterra, ben diversamente industriosi. In parte, infine, le fu sottratta dalla pirateria, specie da quella dei corsari di Sua Maestà Britannica. Cosí, la nuvola d’oro sorvolò la Spagna per riversarsi nei paesi dell’Europa nordoccidentale. Essa suscitò la prima grande inflazione della modernità: con gravi conseguenze sociali per i redditi fissi, rendite e salari. Ma favorí anche gli investimenti e i profitti degli imprenditori piú audaci, dando una formidabile spinta al nascente capitalismo.

L’inflazione provocata dallo Stato.

Ancora un esempio tratto dalla storia dell’impero romano. Nel III secolo dopo Cristo, la pressione combinata delle invasioni e delle guerre civili, accompagnata da una terribile pestilenza, obbliga l’impero ad abbandonare la sua virtú economica. Non volendo o potendo agire solo attraverso la leva fiscale, gli imperatori ricorrono a un vecchio trucco: la svalutazione della moneta. Allora si realizzava «tosandola» (ritagliandola ai bordi) o truccandone la lega.
In quel caso non vi fu alcun vantaggio per il sistema produttivo. Infatti non c’erano, per approfittarne, né abbastanza consumatori – a causa della falcidie delle guerre e della peste – né imprenditori, per la mancanza di una borghesia produttiva.
Altro esempio a noi molto piú vicino: la grande inflazione tedesca del primo dopoguerra. Riparazioni di guerra, pretese dalla stupidità dei vincitori, obbligano lo Stato tedesco a stampare moneta. Ne segue una iperinflazione che provoca l’immiserimento delle classi medie e il discredito della repubblica. L’economia riprende, anche grazie all’inflazione. Ma quando interviene la depressione, con la disoccupazione di massa, la fragile democrazia tedesca, sottoposta a un poderoso «uno-due» crolla, aprendo la strada al nazismo.

Il credito, le bolle, il dominio della finanza.

Ed eccoci alle famose bolle. La moneta non è solo quella coniata dallo Stato. C’è anche la moneta di credito, prodotta dalle banche. Nell’antichità e nell’Alto Medioevo il credito era rivolto al consumo. Era pura e semplice usura. Nei tempi moderni si rivolge alla produzione. Lo sviluppo del capitalismo, come spiega Schumpeter, è dovuto all’irrompere sulla scena sociale degli imprenditori-innovatori (tipo antropologico sconosciuto all’antichità): i quali però non potrebbero intraprendere e innovare niente se non vi fossero dei banchieri disposti a finanziarli.
Qui si innesta il ruolo rivoluzionario della carta moneta che agevola enormemente la circolazione dei capitali, introducendo nell’economia un fattore di sviluppo poderoso: la fiducia. Ma anche esplosivo: sta infatti all’origine delle grandi «bolle» della speculazione finanziaria.

Le grandi bolle del XVIII.

Il XVIII secolo segna un grande salto di qualità nella politica monetaria europea. Fa la sua comparsa, per la prima volta in Europa, la moneta di carta. Questo nuovo strumento che rivoluzionerà l’economia moderna entra nell’arena come un toro infuriato. Con effetti distruttivi. Dove? In Francia e in Inghilterra. E come?
Lo abbiamo già detto. La Spagna aveva perso, nel Cinquecento, un’occasione storica irripetibile: quella di diventare, come lo era militarmente, la nazione economicamente dominante in Europa. La «nuvola d’oro» – in realtà, d’argento – estratta dalle miniere americane, soprattutto da quelle di Potosí, l’aveva sorvolata senza fermarsi a fecondare una economia arida, cristallizzata in ordinamenti tradizionali. Ne approfittarono invece, piú a nord, dapprima i Paesi Bassi: troppo piccoli, però, per sostenere un ruolo di Grande Potenza; e poi le due altre potenti monarchie europee, Francia e Inghilterra.
Entrambe disponevano di una forte organizzazione politica centralizzata: monarchie assolute, sono state definite, ma il termine è improprio. Infatti, non si trattava affatto di strutture monolitiche ché anzi, erano caratterizzate da una pronunciata articolazione dei poteri. Entrambe presentavano una forte impronta nazionale, diversamente dagli altri Stati, ancora imbozzolati in strutture dinastico-familiari: il che approfondiva il loro radicamento nella società. Entrambe disponevano di una borghesia che stava ormai scalzando vittoriosamente, anche in implicita alleanza con la monarchia, il potere economico della vecchia aristocrazia; e davanti alla quale si spalancavano vasti territori da colonizzare nei continenti aperti agli europei, in Asia e, soprattutto, nel Nuovo Mondo americano.
Nella grande gara che si accende tra le due potenze la Francia parte nettamente favorita. Un territorio vasto tre volte quello inglese, un’agricoltura incomparabilmente piú fertile e ricca, e la popolazione piú numerosa d’Europa: venti milioni di abitanti, il doppio di quelli inglesi, che forniscono le leve di un potente esercito stanziale. Eppure, sarà nettamente distanziata. Come mai?
I fattori che giocano a favore della Gran Bretagna (si chiamerà cosí, o Regno Unito, dopo l’unificazione di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda) sono in sostanza tre. Primo: la minore resistenza politica opposta alla piccola nobiltà delle campagne e alla borghesia delle città da parte della grande aristocrazia, che non disdegna di contaminarsi con quelle, partecipando ai loro traffici lucrosi. Secondo: lo sfruttamento intelligente dell’«isolamento» britannico, che le permette di non invischiarsi direttamente nelle micidiali guerre europee, dalle quali la Francia del Re Sole uscirà dissanguata. Terzo: l’allestimento di una grande flotta che le consente di assumere un ruolo dominante nella colonizzazione delle terre oltremare.
Ciò spiega i minori danni e il pronto recupero britannico dalla tempesta monetaria e finanziaria che investí, a metà del secolo, entrambi i paesi.
Le origini di quella tempesta devono essere individuate in una vera e propria fame di denaro causata soprattutto dalle esigenze crescenti, militari e amministrative, dello Stato, che gravano la finanza pubblica di enormi debiti; ma anche da quelle di una borghesia emancipata e intraprendente, desiderosa di finanziare le occasioni di traffico offerte dai nuovi mercati.
La fame di denaro spiega la fioritura di una nuova specie di avventurieri della finanza, ciascuno con le sue ricette, piú o meno miracolose. Fra tutti si distingue lo scozzese John Law, noto tra i francesi, che storpiano sempre i nomi stranieri, come John Lass.
La qualifica di grande avventuriero, tipica del suo secolo, gli sta benissimo. Ma fu anche un grande economista.
Era figlio di un orefice di Edimburgo, una città che Daniel Defoe definisce lercia e puzzolente, «un pettine d’avorio con i denti sporchissimi da ambo i lati». Gli orafi, allora, facevano anche i cambiavalute; e come tale il padre aveva accumulato una solida ricchezza. Inoltre prestavano denaro, registrando le loro transazioni con tacche su bastoni di legno. Le chiamavano «taglie». Quando John accompagna a Parigi il padre, che c’è andato per operarsi di calcoli, ha dodici anni e la grande città gli si rivela in tutto il suo splendore. Altro che Edimburgo! Il padre muore sotto i ferri. John, primogenito, torna in Scozia dove la madre deve risolvere gli intricati problemi di una ricca eredità.
John è un ragazzo di una bellezza inquietante. Per sottrarlo a rischi e tentazioni la madre lo fa studiare in una scuola esclusiva e isolata, in campagna. Ma lui si rivelerà al di sotto di tutte le tentazioni. E al di sopra di tutte le prestazioni. Presenta, invece, una spiccata vocazione per la matematica, per la scherma, per le donne; e soprattutto, per il gioco d’azzardo. A venti anni, è «uno tra gli uomini piú belli che si siano mai visti». Veste alla moda con una giacca di velluto ad ampie falde sbottonata sopra un corpetto di damasco e una cravatta di pizzo di Bruxelles, i riccioli neri della parrucca gli ricadono sulle spalle. A...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Lo specchio del diavolo
  3. Primo quadro: l’economia e l’ambiente
  4. Secondo quadro. L’economia e la moneta
  5. Un intermezzo impossibile
  6. Terzo quadro. L’economia e la politica
  7. Elenco dei nomi
  8. Il libro
  9. L’autore
  10. Dello stesso autore
  11. Copyright