Berlinguer e la fine del comunismo
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Berlinguer e la fine del comunismo

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Berlinguer e la fine del comunismo

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Per la prima volta uno storico italiano si misura con la figura ingombrante e impegnativa di Enrico Berlinguer. Ricostruendo l'evoluzione della politica internazionale come pilastro portante della sua strategia, il terreno sul quale si cimentò nell'impresa impossibile di riformare il comunismo. E seguendo cosí il filo rosso del suo disegno politico, dalla stagione del «compromesso storico» e dell'eurocomunismo fino a quella della «diversità», della «questione morale» e del pacifismo alla vigilia della morte. Silvio Pons conduce il lettore attraverso le vicende che videro l'ascesa e la sconfitta del PCI di Berlinguer, rivelandone aspetti sconosciuti e attingendo ad una ricchissima documentazione inedita, in un libro fondamentale per comprendere le radici ormai antiche di molte delle nostre attuali discussioni. La personalità e l'azione di Enrico Berlinguer devono essere comprese alla luce del suo tentativo di riformare il comunismo e al tempo stesso di presidiare i confini dell'identità comunista. Egli investí parte essenziale della propria politica nell'esigenza di fornire una risposta al declino del comunismo: a questo asse furono correlate le strategie da lui seguite nelle diverse fasi storiche. La sua ambizione fu di realizzare un nuovo modello di socialismo all'Ovest, in grado di cambiare la cultura politica e i regimi all'Est. Tuttavia egli non seppe riconoscere che l'idea di una riforma del comunismo rappresentava sempre piú un'illusione e che la crisi del comunismo sovietico metteva in discussione radicalmente anche la tradizione e l'identità del PCI. Fu questo decisivo fallimento a conferire a Berlinguer il carattere di una figura tragica. Rendendo politicamente debole e contraddittoria la sua eredità, inadeguata a fronteggiare la crisi dello stesso comunismo italiano.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
ISBN
9788858414187

III.

L’eurocomunismo in un paese solo

Euromissili e isolamento.

Nella seconda metà del 1979 la questione degli euromissili determinò piú di ogni altra il clima della politica internazionale. Ciò ebbe conseguenze molto rilevanti per aprire la strada a un nuovo assetto della politica nazionale, nel quale iniziarono a interagire le tendenze a ripristinare una pregiudiziale contro il PCI e quelle eguali e contrarie volte a prospettare un’autoesclusione dei comunisti italiani dal gioco politico. La crisi degli euromissili portava il declino della distensione alla sua fase conclusiva, ripristinando le logiche di blocco. Di riflesso, il posizionamento internazionale seguito dal PCI registrò una forte incertezza e oscillazione. In questa situazione, non ebbero respiro i segnali di distensione con gli Stati Uniti dopo la fine della «solidarietà nazionale». Secondo le informazioni riservate in possesso dei comunisti italiani, nel Dipartimento di Stato era rappresentata la convinzione che proprio il passaggio all’opposizione e la sconfitta elettorale avrebbero potuto loro consentire di qualificare meglio la propria autonomia internazionale e favorire il dialogo con gli Stati Uniti. Si sarebbero però confrontate due linee, una piú aperta e una piú chiusa, verso il PCI1. Se cosí era, l’ambasciatore Gardner rappresentava sicuramente la seconda: egli si limitò a compiacersi per la sconfitta elettorale dei comunisti. Sfortunatamente le sue memorie non ci aiutano a ricostruire il dibattito esistente, a questa data, all’interno dell’amministrazione Carter2. Egli documenta invece l’esistenza di una serie di contatti intrattenuti con i dirigenti comunisti e le assicurazioni da essi fornite circa il fatto che la questione dei missili non avrebbe portato il PCI a rimettere in discussione le alleanze internazionali dell’Italia3. Tuttavia è evidente che l’opposizione dei comunisti sulla questione dei missili pregiudicava seriamente ogni passo distensivo da parte dell’amministrazione Carter, come doveva dimostrare la contrarietà di Gardner all’ipotesi di un governo di unità nazionale avanzata dal presidente Pertini4. Non era chiaro se e come il PCI avrebbe portato avanti il disegno di una Westpolitik, sino allora largamente incompiuto. Anche se i suoi rapporti con le socialdemocrazie avrebbero dato frutti in sede europea, la rimozione di Segre quale responsabile della politica estera dopo la sua elezione al Parlamento europeo non era di buon auspicio.
Il segnale piú ambiguo fu però costituito dalla decisione di Berlinguer di recarsi in URSS nell’agosto-settembre 1979, per quello che doveva rivelarsi il suo ultimo incontro con Brežnev, ma che allora apparve invece il segno di un riavvicinamento. Berlinguer registrò l’opinione pessimistica del leader sovietico sulle prospettive aperte dal trattato SALT II, siglato a Vienna nel mese di giugno a sette anni di distanza dal SALT I. Brežnev confermò la sensazione generale che l’incontro di Vienna, tenutosi a cinque anni di distanza dall’ultimo vertice USA-URSS, avesse arrestato il deterioramento delle relazioni bipolari soltanto per poco5. La prognosi dei sovietici sulla politica internazionale era, se possibile, ancora piú fosca dell’anno precedente: a loro giudizio Cina, Giappone e USA si trovavano «sulla strada di un’unità aggressiva per accerchiare l’URSS». In questa circostanza, assai significativamente, i sovietici espressero il loro compiacimento per il ritorno del PCI all’opposizione. Brežnev affermò che «la decis[ione] [di] passare all’oppos[izione] ci convince del tutto». Suslov parlò di un «miglior[amento] [dei] rapporti» pur dissentendo dalla scelta del PCI di stabilire contatti con i comunisti cinesi6. È evidente che i sovietici ritennero opportuno smorzare le loro critiche contro l’eurocomunismo e che la fuoriuscita del PCI dall’area di governo costituiva un motivo di sollievo. Ai loro occhi il PCI poteva giocare il ruolo che era venuto meno negli anni precedenti, garantendo un legame tra il pacifismo europeo e la campagna allarmistica lanciata a Mosca, meramente funzionale agli interessi di potenza dell’URSS. Cosí l’URSS avrebbe potuto evitare di allargare i fronti della sua esposizione internazionale e coltivare la malcelata ambizione di dividere gli europei dagli Stati Uniti sulla questione degli armamenti. Berlinguer non chiarí il senso da lui attribuito all’incontro, che in realtà fu l’appendice di un soggiorno di vacanza. La decisione di incontrare Brežnev nasceva in parte dalla preoccupazione per il clima internazionale e, in particolare, per i resoconti allarmanti circa la possibile reazione di Mosca alla situazione in Afghanistan, dove il colpo di stato comunista dell’aprile 1978 aveva generato una resistenza islamica, ormai sboccata in un’autentica guerra civile7. In realtà, se anche lo avesse voluto, Brežnev non poteva fornire una chiara risposta circa le intenzioni sovietiche in Afghanistan. La possibilità di un intervento militare era stata messa in conto dal Politbjuro sin dall’inizio del 1979, ma a lungo prevalsero a Mosca le esitazioni per le conseguenze imprevedibili di una simile azione e per il timore di compromettere il dialogo bipolare. Questa era la situazione del processo decisionale sovietico in agosto-settembre. Soltanto piú tardi, in autunno, l’opzione dell’invasione si fece strada definitivamente al Cremlino, con ogni probabilità sotto l’influenza della crescente tensione tra i due blocchi sulla questione dei missili8. Proprio quest’ultima era piuttosto la causa principale del viaggio di Berlinguer. Il fatto stesso di compiere il passo di una visita in URSS alla vigilia delle decisioni occidentali sulla scottante questione degli euromissili appare indicativo del ruolo internazionale che Berlinguer rivendicava al PCI. Egli non parve curarsi delle ricadute negative che tale atto avrebbe inevitabilmente avuto in termini di immagine. Né poteva ignorare la probabilità di una strumentalizzazione da parte dei sovietici, che puntualmente si verificò9. Berlinguer continuava a vedere il ruolo del PCI come un fattore insostituibile nel rapporto Est-Ovest. La questione dei missili sembrava ora aprire un terreno d’intesa possibile con Mosca, dopo le tensioni raggiunte l’anno precedente: questa possibilità venne privilegiata anche a rischio di indebolire la legittimazione occidentale del PCI.
Il viaggio di Berlinguer in URSS suscitò chiaramente preoccupazione nella componente del partito che piú aveva puntato sull’inserimento del PCI nel sistema occidentale. Napolitano espresse un dissenso politico che legava la politica interna, nella quale egli respingeva la prospettiva di una «ritirata strategica» dall’esperienza della «solidarietà nazionale» malgrado la decisione di tornare all’opposizione, alla politica internazionale, che lo aveva visto difendere un’analisi differenziata della politica americana e respingere la «nostalgia» di Kissinger. Ora egli invocò «una nostra posizione che non ci isoli», mettendo in guardia contro ogni «cedimento a posizioni provincialistiche, di disimpegno, di ritorno a posizioni schematiche del passato»10. Il riferimento riguardava soprattutto il rischio di un richiamo della foresta nel corpo profondo del partito e, almeno in parte, nel suo stesso gruppo dirigente. Ma lo slittamento del PCI in questa direzione era evidente. Mostrando un inatteso attivismo, il PCUS esercitò una pressione al fine di promuovere una mobilitazione di massa che avesse l’esplicita funzione di fiancheggiare le posizioni sovietiche e di rilanciare in Europa uno schieramento contro la NATO: la proposta era di organizzare una «settimana d’azione» contro i missili in una grande città dell’Europa occidentale nel mese di dicembre11. Una simile richiesta non venne raccolta dai comunisti italiani, ma ciò comportò una divisione del gruppo dirigente molto piú seria di quanto non fosse apparso pubblicamente.
Per la prima volta la definizione della posizione del PCI venne affidata in Direzione a un relatore che non figurava nella ristretta cerchia dei dirigenti preposti alla politica estera: il direttore del Centro studi di politica internazionale, Romano Ledda. La relazione di Ledda fu impostata sul riconoscimento che la questione degli euromissili non presentava un semplice carattere strumentale. Egli rilevò «una zona di ambiguità e di silenzio» sul problema degli SS-20 da parte sovietica e non escluse che sul piano delle armi d...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Berlinguer e la fine del comunismo
  3. Introduzione
  4. Elenco delle sigle
  5. Berlinguer e la fine del comunismo
  6. Prologo. Né ortodossia, né eresia. L’impatto del ’68
  7. I. l tempo della distensione e l’invenzione dell’eurocomunismo
  8. II. l tramonto della distensione e la sconfitta dell’eurocomunismo
  9. III. L’eurocomunismo in un paese solo
  10. Epilogo. L’eredità di Berlinguer
  11. Elenco dei nomi
  12. Il libro
  13. L’autore
  14. Dello stesso autore
  15. Copyright