I Templari
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I Templari

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Il mito dei Templari da secoli alimenta leggende e incuriosisce storici e romanzieri. Sui misteriosi e inquietanti monaci guerrieri, campioni di celebrate imprese militari in Terrasanta, sono pesate via via accuse di magia, cospirazione, depravazione dei costumi, sacrilegio. Tanto che nel 1307 le guardie del re di Francia arrestarono tutti i componenti dell'Ordine per sospetta eresia e dopo un processo sommario li sterminarono.
In questo libro Partner ripercorre la storia e il mito dell'Ordine attraverso i vari movimenti di pensiero che ai Templari si ispirarono: dalle correnti gnostiche all'ermetismo rinascimentale, dai filoni romantici alla letteratura neogotica. Seguendo le tappe di questo accidentato percorso, Partner mostra come un caso, storicamente accertato, di violenza giudiziaria medievale, poté dare luogo nel corso dei secoli alla tenace fantasia nera sui cavalieri templari.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
ISBN
9788858417263

Parte seconda

Il mito

Capitolo quinto

La creazione di un mito

Il processo e lo scioglimento dell’Ordine templare sconcertarono gran parte dei contemporanei. Ma ai numerosi anticlericali non risultò affatto sgradito che la «subdola ipocrisia», l’orgoglio e l’avidità di uno degli Ordini religiosi venissero puniti, e anche puniti in modo terribile. I Templari erano antipatici e isolati, e non avevano molti amici, come divenne fin troppo evidente. D’altro canto, poiché la gente del Medioevo era meno credulona di quanto spesso non si supponga, molti guardarono con scetticismo alle stravaganti affermazioni proferite contro l’Ordine. In Italia si tese a sospettare che le accuse fossero false, e che il re di Francia fosse stato indotto ad avanzarle dalla propria cupidigia verso le proprietà dei Templari. L’opinione, espressa a distanza di poche settimane dagli arresti dei Templari da Cristiano Spinola, fu condivisa in varia misura da Dante, dal cronista fiorentino Giovanni Villani e da Boccaccio. Alcuni ecclesiastici francesi si riservarono il giudizio sui Templari, mentre alcuni cronisti francesi, colpiti dal contegno del Gran Maestro e del suo compagno mentre venivano condotti al rogo nel 1314, ritennero che tanta fermezza dovesse indicare innocenza. Altri cronisti raccolsero, invece, tutte le storie sulla colpevolezza dei Templari, aggiungendovi addirittura, nel resoconto del processo, le tradizionali aggiunte di macchinazioni stregonesche1.
Sul caso dei Templari presero posizione due eminenti scrittori contemporanei. Dante, nel canto della Divina Commedia dedicato all’avarizia (Purg., XX), non solo non fece menzione della presunta cupidigia dei Templari, ma per bocca di Ugo Capeto, il fondatore della dinastia reale francese, accusò di tale vizio proprio Filippo il Bello. Re Filippo, secondo ciò che Dante afferma nel brano che lo riguarda, non contento di aver ordito la cattura del vicario di Cristo (papa Bonifacio VIII), aveva anche «senza decreto» portato nel Tempio stesso «le cupide vele». Raimondo Lullo, il Catalano visionario e propagandista delle crociate, assunse una posizione assai meno favorevole all’Ordine: Lullo era stato un tenace sostenitore dell’unione tra gli Ordini del Tempio e dell’Ospitale, e si era aspettato che la Corona francese si ponesse alla testa della nuova, grandiosa crociata su cui egli contava per il rinnovamento della potenza cristiana in Oriente. Influenzato dalla corte francese, Lullo abbandonò le antiche convinzioni sull’onore e sulla buona fede dei Templari, e nel 1308, momento critico del processo, finí col considerarne assodata la colpevolezza. Fece riferimento a una «terribile rivelazione» di segreti e cose ignominiose la cui pubblicazione avrebbe rischiato di «rovesciare il vascello di San Pietro». Forse Lullo paventava la possibilità che la stessa eresia di cui erano accusati i Templari potesse contaminare anche papa Clemente V; si sentiva, inoltre, probabilmente disposto a qualsiasi sacrificio pur di favorire la causa dell’unità cristiana nella crociata. Dopo aver riconosciuto la colpevolezza dei Templari, nel 1312 egli partecipò al Concilio di Vienne, ove sostenne l’idea – che non modificò piú – della creazione di un nuovo Ordine che comprendeva tutti i militari religiosi2. Anche l’alchimista Arnau di Vilanova, connazionale di Lullo, riconobbe la colpevolezza dei Templari.
Per secoli le opinioni sul processo dei Templari continuarono a fluttuare alquanto disordinatamente. L’implicita proclamazione d’innocenza resa da Dante in merito ai Templari venne condivisa dai suoi concittadini: dallo storico Villani; dallo scrittore Boccaccio; dal teologo sant’Antonino. Gli storici pontifici del secolo XV, d’altro canto, espressero invece un cauto appoggio al verdetto di colpevolezza approvato da papa Clemente V, e parlarono della «perniciosa blasfemia» dei Templari. Ma le discordie tra i papi e i re francesi del secolo XVI influenzarono anche l’opinione papista e al tempo della Controriforma l’atteggiamento in materia degli storici che scrivevano a Roma non era piú univoco. Il domenicano Chacon (Ciaconius), rompendo con le posizioni romane espresse in precedenza, citò i punti di vista degli autori che attribuivano la condanna alla cupidigia e all’ambizione di Filippo3. Non si può, comunque, affermare che sulla faccenda venisse seguita una ferma linea papale «ufficiale». Quanto ai cronisti tedeschi, tesero a schierarsi dalla parte della tradizione nazionale che sosteneva la possibilità dell’innocenza dei Templari. L’opinione inglese era disposta a vedere nella storia templare un esempio di come un decreto regio avesse potuto sopraffare degli uomini religiosi troppo fiacchi e indulgenti verso se stessi, una posizione piuttosto diffusa in Inghilterra. «Dal momento che non si curavano della religione, ma vivevano come preferivano, furono infine distrutti ed eliminati da un’ordinanza del re»4.
Le generazioni successive ostentarono un’ampia indifferenza verso il destino dei Templari, dato che avevano fallito nel proprio compito storico. Non avevano difeso la Terrasanta con troppo successo, e avevano fatto una fine squallida e disonorevole. L’onore degli Ordini militari era stato comunque preservato dall’Ordine dell’Ospitale di San Giovanni di Gerusalemme e, per lungo tempo, dagli Ordini spagnolo e tedesco. Troppe discussioni intorno alla disgrazia dei Templari avrebbero potuto creare difficoltà ai restanti monaci militari. Il papato e la monarchia francese, le due istituzioni che avevano causato la caduta dei Templari, rimanevano grandi e potenti. Non c’era, quindi, convenienza a riaprire un caso che tanto il re che il papa avevano ormai risolto, e che nel secolo XVI poteva interessare solo nel contesto dei continui conflitti di giurisdizione tra i papi, i re francesi e la Chiesa «gallicana». Alla vigilia della Riforma dovette sembrare probabile che dei Templari ci si sarebbe ricordati appena in un’oscura nota in calce alla storia delle crociate.
Un importante cambiamento nelle vicissitudini della reputazione templare fu determinato da una casuale osservazione in un manuale rinascimentale di teoria magica, il De occulta philosophia di Henry Cornelius Agrippa di Nottesheim. Per molto tempo, tuttavia, tale cambiamento non ebbe luogo, né resta facile identificarne con esattezza il momento preciso, dato l’ermetismo della catena di trasmissione dell’occultismo. Agrippa era il piú noto degli scrittori di magia del Rinascimento e la sua fama, dapprima limitata solo alla gente colta, venne estendendosi via via anche a strati piú popolari; lo si può trovare citato nel Dr Faustus di Marlowe, nel Frankenstein di Mary Wollstonecraft, e anche nello Struwwelpeter. Si trattava di un dotto umanista tedesco i cui interessi erano quelli tipici dell’ambiente del Platonismo e della Cabala della sua generazione. A differenza dei soliti maghi, era un uomo di ampia cultura e preparazione letteraria, il cui trattato Sulla vanità delle arti e delle scienze lanciò una moda nel suo genere. L’intento del De occulta philosophia, egli disse, era «di operare una netta distinzione tra le dottrine magiche buone e sacrosante e le pratiche scandalose ed empie della magia nera, per restaurare il buon nome delle prime»5. Secondo alcuni egli avrebbe pubblicato il libro allo scopo di conquistare il mercato popolare: se cosí fu, bisogna riconoscere che vi riuscí brillantemente.
Il De occulta philosophia era stato scritto verso il 1510, ma non fu pubblicato sino al 1531. Nel libro, Agrippa esamina i vari modi in cui sia possibile attirare e controllare i poteri derivanti dai demoni e dagli spiriti. Cerca di distinguere tra l’uso buono e santo di tali poteri, perseguito da uomini pii che si siano preparati attraverso esercizi religiosi, e l’abusivo impiego dei poteri dei demoni maligni da parte di profani che sfruttano tale tipo di magia a scopo puramente egoistico. Punto cruciale delle sue argomentazioni è la dottrina, ben nota agli scrittori esoterici del Rinascimento, che si possa usare il simpatetico trasferimento dei poteri da demoni a numeri o immagini con un effetto transitivo di magia. Allo scopo di distinguere tra buoni e cattivi fruitori di tali pratiche egli enumera vari esempi di maghi abusivi o di magia nera6. «È ben noto – egli scrive – come certe empie e disgustose pratiche permettano di attirare i demoni maligni, secondo le arti che Psello attribuisce ai maghi gnostici, i quali solevano espletare abominevoli e immondi rituali, non dissimili da quelli precedentemente usati nel culto di Priapo e nell’adorazione dell’idolo chiamato Panor, al quale gli adepti usavano sacrificare con le parti intime messe a nudo. Né tali pratiche dovevano essere molto diverse dalla detestabile eresia dei Templari, se ciò che leggiamo è verità e non fantasia [fabula]; come dello stesso genere dovevano anche essere le trasgressioni cui notoriamente si abbandonavano le streghe nella loro senile follia».
Lo stile di Agrippa è qui, come spesso anche altrove, piuttosto evasivo. Cercando esempi di stregoneria, egli accenna poi alla storia degli eretici Bogomili, narrata nel secolo XI dallo scrittore bizantino Michele Psello, il quale aveva riferito di come essi prima si dedicassero a orge promiscue, per poi uccidere e bruciare vivi i bambini nati da quelle unioni e cibarsi delle loro ceneri trasformate in una sorta di pane7. Agrippa prosegue parlando del costume di sacrificare nudi a Priapo o a Pan, anche se in tali culti non v’era stato nulla di ciò che caratterizzò i successivi riti di stregoneria: pare, anzi, volerli citare al solo scopo di enfatizzare la natura lasciva della stregoneria. Gli scrittori d’occultismo del secolo XVI insistettero continuamente sulla corrispondenza tra le armonie esistenti nelle magie e quelle dell’attrazione sessuale; in realtà parecchi scrittori di magia del periodo inclinano a una certa pornografia.
Perché Agrippa decidesse di inserire i Templari in tale compagnia è un mistero che resta insoluto. Probabilmente, nel predisporre un dotto commentario a una parte delle opere di Raimondo Lullo, doveva essersi imbattuto nella sua dichiarazione di colpevolezza dei Templari. Ma poteva avere egualmente incontrato i Templari anche in altri scrittori convinti della loro colpevolezza, in particolare nelle Grandes Chroniques de France, che doveva aver letto mentre studiava all’Università di Parigi. Nelle Grandes Chroniques è infatti presente l’idea che i Templari praticassero orge promiscue simili a quelle dei Bogomili. D’altro canto, anche se allude alla «abominevole eresia» dei Templari, Agrippa non ne definisce con precisione la natura, insinuando anzi che l’intero castello delle accuse poteva essersi basato su pure «fantasie».
Malgrado tali riserve, Agrippa pone comunque i Templari accanto alle streghe. Ai suoi tempi, la caccia alle streghe in Europa era già in atto da un paio di secoli, e il Malleus Maleficarum, il manuale classico di individuazione delle streghe, era ormai stato pubblicato da una generazione. Nessuno meglio di Agrippa conosceva l’enorme diffusione delle accuse di stregoneria contro le vecchie, avendo egli difeso con successo da tale accusa una vecchia contadina. Associando vagamente i Templari alle vecchie praticanti la stregoneria, e anche ai pagani e agli eretici che avevano compiuto riti osceni e (come nel caso degli eretici) addirittura criminosi, egli ingenerò nelle menti dei suoi lettori la forte sensazione che anche i Templari, al pari delle inebetite vecchiette, avessero praticato la magia nera. Non c’è prova che egli fosse animato da malanimo contro i Templari. Nell’intenzione di Agrippa, che cercava solo di minimizzare la pericolosità sociale dell’interesse per la magia, quel brano doveva solo presentare in rapida rassegna quali tipi di persone potessero abusare di certe conoscenze di magia, suggerendo che poteva trattarsi o di umili e innocue creature come le attempate streghe, o di personaggi ormai estinti, come i Templari e i Bogomili.
Il libro di Agrippa fu probabilmente il piú letto e influente di tutti i testi di magia rinascimentali. Benché non troppo lungo o difficile, includeva una gran quantità di materiale raro e oscuro, ed era molto ricercato dai cultori della materia. Accostando i Templari alle streghe nello scegliere due esempi di magia cristiana perversa, egli aveva incanalato definitivamente la loro già dubbia fama sul sentiero della magia. Anche se il processo dei Templari era stato dominato dalla magia e dalla paura del magico, la principale e palese accusa era stata quella di blasfemia. Agrippa, come è stato sottolineato sopra, non era stato troppo preciso in merito. Nondimeno, il brano si sarebbe rivelato decisamente fatale alla reputazione dei Templari, perché nel mondo occulto le qualità vengono trasmesse per contagio armonico, anziché stabilite secondo ragione. L’accostamento dei Templari alle streghe era destinato a indurre i lettori meno critici di Agrippa a considerarli come un Ordine di addetti alla magia. D’altro canto, l’indifferenza rinascimentale verso i Templari avrebbe fatto sí che per molto tempo al brano del De occulta philosophia si dedicasse solo una modestissima attenzione. Non fu fino al secolo XVIII che gli interessati alla magia tornarono a volgersi con curiosità anche ai Templari, e l’accenno dovette attendere oltre due secoli prima di ricevere la dovuta considerazione.
Ma Agrippa non era il solo scrittore del Rinascimento ad attribuire attività magiche ai Templari. Un cronista francese chiamato Guglielmo Paradin aveva pubblicato, verso la metà del secolo XVI, una cronaca della Savoia che, sulle orme delle Grandes Chroniques de France, aveva mescolato alle precedenti accuse contro i Templari anche altre fantasie stregonesche8. Secondo il Paradin, i novizi templari venivano condotti in una grotta dove erano costretti ad adorare un’immagine coperta di pelle umana e con due granate lucenti per occhi. Qui dovevano ripudiare Cristo e offendere e profanare la croce; poi le luci venivano spente e nella grotta avveniva un’orgia con le donne che – inspiegabilmente – erano state fatte entrare. Se un Templare moriva, le sue ceneri venivano sciolte in un beveraggio che la setta condivideva; se poi, da uno degli illeciti accoppiamenti dei Templari nella grotta, nasceva un bambino, i confratelli disposti in cerchio se lo passavano di mano in mano finché il neonato non moriva; dopodiché lo si arrostiva e se ne ricavava un unguento adoperato per ungere l’idolo. Tali dettagli, insieme all’accusa di sodomia e a quella secondo cui i Templari si erano resi responsabili della cattura di san Luigi da parte dei Saraceni, erano tratte dalle Grandes Chroniques de France. Ma la fonte originaria delle presunte orge nella grotta, e dell’assassinio sacrificale dei neonati, era stata la cronaca bizantina di Psello, esattamente lo stesso passo citato anche da Agrippa. Paradin vi aveva aggiunto la dotta osservazione che tali rituali corrispondevano in qualche modo alle cerimonie dei Baccanali che si erano svolte nell’antica Roma. A ulteriore conferma dell’ipotesi osservava che le origini dell’adagio di taverna «bere come un Templare» andavano cercate proprio nelle baldorie alcoliche dell’Ordine.
La trattazione piú razionalistica dei Templari da parte di uno scrittore del Rinascimento fu quella del grande teorico politico Jean Bodin. Egli parlò dei Templari all’interno di un’analisi che costituí la prima classica discussione moderna sul potere dei principi di opprimere ingiustamente le minoranze. Nel trattare di come i principi cerchino ogni mezzo «per nutrirsi della ricchezza e del sangue di altri uomini» egli citò ad esempio la persecuzione degli Ebrei, che erano l’oggetto particolare della sua preoccupazione. Citò, poi, le persecuzioni dei primi cristiani sotto l’Impero romano, e le false accuse contro gli eretici gnostici. Per additare, infine, un esempio recente di analoghe persecuzioni, egli osserva che quegli antichi esempi di ingiustizia potrebbero sembrare incredibili, non fosse per la condanna dei Templari operata sulla base delle false accuse di Filippo il Bello9. Gli eruditi tedeschi, secondo Bodin, avevano inconfutabilmente dimostrato l’innocenza dei Templari; egli afferma che il Gran Maestro dell’Ordine e i suoi compagni erano stati crudelmente e ingiustamente giustiziati sulla base di accuse fabbricate al solo scopo di servire da pretesto per la confisca delle loro terre e beni. Anche se tale spiegazione era vecchia quanto i processi stessi dei Templari, era la prima volta che si inseriva l’esempio dei Templari in una disamina cosí generale, insieme ad altri casi di ingiusta persecuzione da parte di governi oppressivi. Di conseguenza Bodin situava i processi all’interno di una nuova ipotesi che sarebbe stata riesumata in diverse discussioni, come quella concernente la persecuzione francese degli Ugonotti (accuratamente ignorata dal Bodin), l’oppressione nazista degli Ebrei e le purghe staliniste.
Era nella persecuzione degli Ebrei che Bodin rinveniva l’esempio supremo di ingiusta persecuzione. Filippo il Bello era stato loro notevole nemico e persecutore, e non sorprende che Bodin, nella sua strenua opposizione all’antisemitismo, mettesse in evidenza anche la malizia e l’infondatezza delle accuse usate da Filippo contro i Templari. Della reputazione templare in questioni di magia Bodin non fa parola, malgrado il suo personale e profondo interesse per la materia e la sua convinta fiducia nei poteri magici. Benché credesse nella magia, egli disprezzava e aborriva Cornelio Agrippa, che definiva «maestro stregone»; e se Bodin aveva per caso notato la stigmatizzazione dei Templari come possibili stregoni nel De occulta philosophia, questo doveva ben averlo convinto della loro innocenza. Accostando gli gnostici ai templari come vittime comuni di ingiusti sospetti, egli sostenne che la trita citazione tratta da Psello relativa ai riti osceni degli gnostici fosse solo un ennesimo esempio di infondata diffamazione di un gruppo impopolare. Per puntellare la sua tesi con un esempio di cui nessuno avrebbe potuto negare la forza, additò le false accuse messe in piedi nella persecuzione dei cristiani da parte del governo romano a essi ostile.
Il mettere insieme come prototipi di minoranze ingiustamente perseguitate e «diffamate» i primi cristiani, gli gnostici, i Templari e gli Ebrei costituí una potente associazione che nel secolo XVIII lo stesso Voltaire avrebbe ripreso e che piú recentemente è stata usata anche da Norman Cohn nel suo Europe’s Inner Demons pubblicato nel 1976.
Nella stessa lista sono stati a volte inseriti anche i Baccanali dell’antica Roma, che in Cohn, per l’appunto, fanno un’apparizione fugace, anche se a Bodin, al contrario, la loro soppressione era parsa giustificata dalle «abominevoli scelleratezze» commesse dalla setta. Bodin non era privo di quella che oggi verrebbe considerata superstizione. Egli scrisse De la démonomanie des sorciers, uno dei libri decisivi del suo secolo, per cercare di dimostrare che le streghe erano reali, come lo erano i loro poteri, e che era dovere di tutti gli uomini onesti cercare di assicurarne la condanna e il giudizio. È strano come Bodin, una delle piú grandi menti del suo tempo, l’ideatore di quel complesso di esempi a cui, dopo di lui, si sono rifatti tutti gli scrittori illuminati per dimostrare come uomini perversi abbiano potuto strumentalizzare certe fantasie maligne per fini politici, abbia egli stesso del tutto condiviso la piú perversa e maligna di quelle fantasie. Si è sostenuto che fu proprio il rigore del metodo logico di Bodin a spingerlo a queste drastiche conclusioni sulla stregoneria. Non c’è – ahimè ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. I Templari
  3. Introduzione
  4. Ringraziamenti
  5. I Templari
  6. PARTE PRIMA - La storia dell’Ordine
  7. PARTE SECONDA - Il mito
  8. Bibliografia
  9. Il libro
  10. L’autore
  11. Dello stesso autore
  12. Copyright