Il presidente, un anziano, dignitoso giudice di nome Basile, finí di fare il rinvio del precedente processo e chiamò il nostro.
Consuelo e io eravamo già pronti, banco alla sinistra dei giudici, entrambi in toga. Quando lei aveva indossato la sua si era diffuso nell’aria un lieve odore di ambra. Dopo aver espletato le formalità introduttive Basile si rivolse a noi.
– Dunque il processo a carico di Bronzino Antonio ci viene da un rinvio disposto dal tribunale in precedente composizione. Buona parte dell’istruttoria dibattimentale, anzi diciamo tutta l’istruttoria dibattimentale, era già stata espletata. Chiedo alle parti e alla difesa in particolare se vi è il consenso all’utilizzabilità degli atti formatisi dinanzi al collegio nella precedente composizione.
Funziona cosí. Il codice di procedura penale dice che la sentenza deve essere pronunciata dagli stessi giudici che hanno preso parte al dibattimento, cioè che hanno ascoltato i testimoni. In astratto sarebbe giustissimo, se i processi durassero pochi giorni o poche settimane. Siccome però di solito i processi durano parecchi mesi o addirittura diversi anni la regola diventa un problema, piuttosto serio. Se anche uno solo dei tre giudici che compongono il tribunale viene trasferito – cosa che accade con una certa frequenza – l’intera istruttoria deve essere rifatta. A meno che il difensore e l’imputato non diano il loro consenso all’utilizzazione degli atti già assunti davanti al tribunale nella precedente composizione. Questo spesso non accade. Non sempre gli avvocati sono collaborativi e rifare l’istruttoria significa guadagnare tempo (qualcuno direbbe: perdere tempo, ma verrebbe accusato di scarso garantismo), soprattutto per gli imputati colpevoli che sperano nella prescrizione del reato. Non è il modo in cui mi piace fare l’avvocato.
Mi alzai rivolgendomi ai giudici.
– Vi è consenso, presidente. La nostra sola richiesta è di procedere di nuovo all’audizione della persona offesa, che peraltro a quanto pare è presente e che dunque potremmo sentire subito. È una richiesta sostanziale e niente affatto dilatoria. Nelle fasi precedenti del processo l’imputato non si è difeso. I fatti risalgono a diversi anni fa. Il Bronzino era partito per lavorare all’estero, le notifiche sono state effettuate in modo formalmente regolare presso la sua vecchia abitazione, ma lui non ha mai avuto conoscenza effettiva del processo fino allo scorso mese di gennaio. Non abbiamo sollevato alcuna questione sulla regolare costituzione del contraddittorio, pur ricorrendone i presupposti. Non lo abbiamo fatto perché non ci interessano questioni formali e non ci interessano rinvii. Vogliamo celebrare il processo subito, nel merito. Per questo l’unica richiesta è di procedere all’esame della teste persona offesa. L’imputato non è presente perché lavora all’estero, come dicevo. Noi crediamo che la sua presenza non sia indispensabile, ma in ogni caso ne chiediamo l’esame, cui con ogni probabilità rinunceremo all’esito della deposizione della persona offesa.
Il nostro cliente alcuni anni prima aveva conosciuto una ragazza a una festa, era uscito con lei e di sicuro avevano avuto dei rapporti. Su questo non c’erano dubbi, nessuno li negava. Era sulla natura e sulla consensualità di questi rapporti che le opinioni divergevano. La ragazza – Marilisa, si chiamava, e non so per quale motivo il nome mi era rimasto impresso – aveva sporto querela dicendo di aver subito violenza. Bronzino era stato arrestato sulla base di queste dichiarazioni e tenuto dentro per qualche settimana. Poi il giudice doveva essersi reso conto che non tutto quadrava nell’accusa e l’aveva messo fuori. Un paio di anni dopo, però, era arrivata lo stesso la richiesta di rinvio a giudizio. Il pubblico ministero titolare del fascicolo, non proprio un amante del duro lavoro, aveva ritenuto che compilare un modulo per il rinvio a giudizio fosse meno faticoso che scrivere, motivandola, una richiesta di archiviazione.
Bronzino nel frattempo, convinto che il procedimento a suo carico si fosse esaurito con la scarcerazione, si era trasferito in Germania. In breve, era stato dichiarato contumace e rinviato a giudizio per celebrare uno di quei processi surreali che a volte si vedono nei nostri palazzi di giustizia. La difesa, si fa per dire, era stata affidata agli avvocati d’ufficio che, di volta in volta e di rinvio in rinvio, avevano fatto un annoiato atto di presenza senza mai intervenire, per l’ovvia ragione che nessuno di loro sapeva niente del fascicolo.
Nessuno dei testi era stato controesaminato e in particolare non era stata controesaminata la teste chiave, la presunta persona offesa, Di Cosmo Marilisa.
Quando Bronzino, rientrato in Italia, ricevendo uno scatolone di posta accumulatasi al suo vecchio indirizzo, aveva saputo del processo si era rivolto a me.
La posizione dell’imputato, per come si era svolta l’istruttoria dibattimentale, appariva insidiosa. C’erano le dichiarazioni della persona offesa, c’era un certificato medico che attestava l’esistenza di escoriazioni compatibili con un rapporto sessuale violento, c’erano le dichiarazioni dell’allora compagno della vittima che aveva ricevuto il primo racconto dei fatti da lei quando era rientrata a casa sconvolta. Soprattutto non c’era stata, fino a quel momento, alcuna vera attività difensiva. Cosí com’era, il processo poteva tranquillamente finire con una condanna; e il minimo della pena per il reato di violenza sessuale è cinque anni.
Quando finii di parlare il presidente si voltò prima a destra, poi a sinistra per incrociare lo sguardo con le giudici a latere. Erano due donne dall’aria un po’ dimessa – capelli legati a coda di cavallo, la prima; sollevati a chignon e tenuti fermi da una bacchetta, la seconda – e con l’espressione di chi avrebbe voluto trovarsi altrove. Un’espressione che è quasi una malattia professionale per quelli che fanno i giudici a latere da troppo tempo. Sembra un lavoro interessante e in effetti, in una qualche misura, lo è. Per alcuni mesi, se capitano i processi giusti. Ma passare anni e anni, tre volte alla settimana, ad ascoltare testimoni, avvocati, pubblici ministeri e imputati – ogni categoria produce il suo buon numero di stupidaggini o peggio – senza dire una parola – l’unico che interviene è il presidente – rischia di mandare in fumo il cervello di chiunque. Io impazzirei.
Comunque, dicevo: il giudice scambiò un rapido sguardo con le giudici a latere per controllare se avessero osservazioni. Tutte e due mossero appena il capo. Significava che no, non avevano osservazioni e che sí, per loro la mia richiesta andava bene.
– Pubblico ministero?
Il sostituto procuratore Castroni era una persona molto bene educata, un tipo simpatico a modo suo, poco incline alle sottigliezze del diritto. Si alzò in piedi e disse che non aveva osservazioni, nessuna particolare richiesta e nemmeno obiezioni a che la persona offesa fosse esaminata.
– Va bene, allora, abbiamo detto che la teste è presente. Sentiamola, – disse il presidente rivolgendosi all’ufficiale giudiziario. Quello entrò nella stanza dei testimoni e qualche istante dopo ne uscí accompagnando una bella ragazza, con qualcosa di banale nel portamento e nei lineamenti. Bruna, alta, ben fatta, e banale.
Si guardava attorno in modo quasi furtivo, come un animale spaventato e pronto ad attaccare per difesa. Il tipo di testimone – in realtà: il tipo di persona – cui bisogna stare piú attenti. Solo quando si rese conto che l’imputato non era in aula parve rilassarsi un po’.
Il presidente le chiese di leggere la formula di impegno. Un tempo si chiamava giuramento, la frase che i testimoni dovevano recitare prima di rendere la loro deposizione. Quando cominciai a fare l’avvocato, prima che fosse approvato il nuovo – oggi vecchio – codice di procedura penale, il giuramento esisteva ancora. Me lo ricordo a memoria: «Consapevole della responsabilità che con il giuramento assumo davanti a Dio se credente o comunque davanti agli uomini, giuro di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità».
C’era un perfetto equilibrio tra dramma e farsa nel crescendo di quella frase, nella metrica di quel monito ascendente che si prestava a essere storpiato nei modi piú surreali. La mia storpiatura preferita era quella di chi, preso dall’ansia della situazione, si ...