Il confessore
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Il confessore

  1. 552 pagine
  2. Italian
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Informazioni sul libro

Il mondo di Sonny Lofthus è crollato il giorno in cui, tornando a casa, ha trovato il padre, un poliziotto, morto suicida. Ha cominciato a drogarsi. Ora non ha neanche trent'anni ed è in prigione da dodici per duplice omicidio. Eppure c'è qualcosa in lui che ispira fiducia, perché nel carcere di massima sicurezza di Staten i compagni lo considerano una specie di confessore; gli raccontano le loro storie. La sua esistenza è ormai tutta lí, non ha piú sogni né un'idea del futuro. Finché un detenuto gli rivela che in realtà suo padre è stato ucciso. In quel preciso istante Sonny riscopre una ragione per vivere e riacquistare la libertà: ha deciso di punire i colpevoli, uno alla volta. *** «L'autore norvegese di crime del momento. Anzi l'autore di crime del momento, punto».
«New York Times Books Review» «Il nuovo, annunciato successo di una formidabile macchina sforna-thriller».
«Los Angeles Times»

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
ISBN
9788858416990

Parte terza

21.

Erano le dieci del mattino e il sole splendeva già da tempo su Waldemar Thranes gate, dove Martha aveva parcheggiato la sua Golf cabriolet. Scese, passò davanti alla pasticceria e si incamminò leggera verso l’ingresso della caffetteria del pensionato. Notò gli sguardi che alcuni uomini, e persino un paio di donne, le lanciavano mentre passava. Non che le succedesse di rado, ma quel giorno attirava piú che mai l’attenzione. Lo attribuí al fatto che era particolarmente di buon umore, anche se non sapeva spiegarsi perché. Aveva litigato con la futura suocera riguardo alla data delle nozze, con Grete, la direttrice del pensionato, sulla suddivisione dei turni e con Anders praticamente su qualunque cosa. Forse si sentiva cosí bene perché non doveva lavorare, perché il fidanzato era partito insieme a sua madre per la montagna, dove avrebbe trascorso il weekend, e perché avrebbe avuto quel sole per sé per due giorni.
Quando entrò nella caffetteria, vide alzarsi dalla prima all’ultima testa paranoica. Tranne una. Sorrise, salutò gli ammiratori e raggiunse le due ragazze dietro il bancone. A una di loro consegnò una chiave.
– Andrà tutto bene. L’importante è finire in fretta. Ricordatevi che siete in due.
La ragazza annuí, terrea in volto.
Martha si versò una tazza di caffè. Dava le spalle al locale. Sapeva di aver parlato con un tono di voce un po’ piú alto del necessario. Si girò e sorrise con aria sorpresa quando incontrò il suo sguardo. Andò al tavolino vicino alla finestra dove lui sedeva da solo. Accostò la tazza alle labbra e gli chiese: – Ti sei alzato presto?
Lui inarcò un sopracciglio, e lei si rese conto di quanto la sua domanda suonasse idiota visto che erano già le dieci passate.
– La maggior parte delle persone che abitano qui di solito si alza tardi, – si affrettò ad aggiungere.
– Sí, è vero, – rispose lui sorridendo.
– A proposito, volevo chiederti scusa per quello che è successo ieri.
– Ieri?
– Sí. Di solito Anders non si comporta cosí, ma ogni tanto… Comunque non doveva parlarti in quel modo. Darti del tossico… eccetera.
Stig scosse la testa. – Non ti devi scusare, non hai fatto niente di male. E nemmeno il tuo ragazzo, io sono un tossico.
– Anche io guido malissimo, ma non per questo mi piace sentirmelo dire.
Lui rise. Martha notò come i suoi lineamenti si addolcissero, come il suo volto apparisse ancora piú giovane.
– Però vedo che guidi lo stesso –. Stig fece un segno verso la finestra. – È tua quell’auto?
– Sí, lo so che è un catorcio, ma mi permette comunque di sentirmi libera e indipendente. A te piace guidare?
– Non lo so, non ho mai provato.
– Mai? Veramente?
Stig fece spallucce.
– Che peccato! – disse lei.
– Perché?
– Non c’è niente di piú bello che andarsene in giro su una cabriolet scoperta quando c’è il sole.
– Anche per un…
– Sí, anche per un tossico, – rise lei. – Ti assicuro che è un’esperienza indimenticabile.
– Allora spero che un giorno mi porterai con te.
– Senz’altro, – rispose lei. – E se facessimo un giro adesso?
Martha colse un lieve stupore nel suo sguardo. La frase le era proprio uscita di bocca. Si sentiva osservata. E allora? Se ne stava ore e ore a parlare con gli altri residenti dei loro problemi personali senza che nessuno ci trovasse niente di strano, anzi, faceva parte del suo lavoro. E poi era il suo giorno libero e poteva fare quello che voleva, no?
– Volentieri, – rispose Stig.
– Ho solo qualche ora, però, – aggiunse Martha. Aveva un tono di voce un po’ concitato. Che si fosse già pentita?
– Basta che mi fai provare un po’ a guidare, – disse lui. – Sembra divertente.
– Conosco un posto. Vieni.
Quando uscirono, Martha si sentí addosso gli sguardi di tutti.
Stig aveva l’aria cosí concentrata che lei non poté fare a meno di ridere. Curvo in avanti, impugnava saldamente il volante mentre faceva grandi giri nel parcheggio di Økern, deserto nei fine settimana.
– Bene, – gli disse. – Adesso prova a guidare disegnando degli otto.
Lui eseguí. Accelerò, ma quando iniziò a vedere che il numero dei giri saliva, rallentò istintivamente.
– L’altro giorno è passata da noi la polizia, – disse Martha. – Ci ha chiesto se di recente avevamo distribuito delle scarpe da jogging nuove. C’entrano con l’omicidio Iversen, non so se ne hai sentito parlare.
– Sí, ho letto la notizia sul giornale, – rispose.
Lei lo guardò. Le faceva piacere che leggesse. Molti dei residenti non leggevano mai niente, non seguivano i fatti del giorno, non sapevano nemmeno chi fosse il primo ministro o cosa fosse successo l’11 settembre. Però conoscevano alla perfezione quanto costava e dove si comprava lo speed, il grado di purezza dell’eroina e la percentuale dei principî attivi di un nuovo medicinale.
– Riguardo a Iversen, non era lui quello che avrebbe potuto procurarti un lavoro?
– Sí, sono andato a trovarlo, ma non sta piú cercando.
– Peccato!
– Sí, ma io non mi arrendo, ho degli altri nomi sull’elenco.
– Bene. Quindi hai un elenco?
– Sí.
– Adesso vediamo come si cambiano le marce?
Due ore dopo percorrevano la Mosseveien. Guidava lei. Di lato vedevano il fiordo di Oslo che scintillava alla luce del sole. Lui aveva imparato incredibilmente in fretta. Aveva avuto qualche problema col cambio e con la frizione, ma una volta capito il meccanismo era come se avesse programmato il cervello inserendo tutte le informazioni che gli erano state date e le ripetesse in modo automatico. Dopo tre tentativi, riusciva a venir su da una salita senza usare il freno a mano. E una volta capita la geometria dei parcheggi a lisca di pesce, parcheggiava con una facilità quasi irritante.
– Cosa stai ascoltando?
– I Depeche Mode, – rispose Stig.– Ti piacciono?
Ascoltò il brano cantato da due componenti della band e il ritmo meccanico.
– Sí, – rispose Martha alzando il volume del lettore cd. – Mi sembrano molto… inglesi.
– Esatto. Cos’altro senti?
– Mhm… un’allegra distopia, come se non prendessero la loro depressione troppo sul serio, se capisci cosa intendo.
Lui rise. – Credo proprio di sí.
Dopo aver viaggiato per alcuni minuti in autostrada, lei imboccò l’uscita per la penisola di Nesoddtangen. Le strade si fecero subito piú strette, il traffico meno intenso. Martha accostò al marciapiedi e si fermò.
– Sei pronto per il momento della verità?
Lui annuí. – Sí, sono pronto.
Scesero dall’auto e si scambiarono di posto. Lo vide sedersi al volante e guardare davanti a sé, concentrato. Aveva risposto che era pronto con un’enfasi tale da farle sospettare che stesse pensando a qualcosa di diverso dal guidare. Stig premette la frizione, innestò la marcia. Spinse piano sul pedale e diede un po’ di gas.
– Lo specchietto, – gli ricordò Martha controllando la visuale.
– Strada libera, – rispose lui.
– La freccia.
Stig mise la freccia, mormorò «fatto» e rilasciò lentamente la frizione.
S’immise dopo un po’ nel traffico, sempre con un numero leggermente eccessivo di giri al minuto.
– Freno a mano, – disse lei prendendo l’asta in mezzo a loro due e spingendola in giú. Lui fece lo stesso gesto e le sfiorò una mano con la propria, ritraendola come se scottasse.
– Grazie, – disse.
Proseguirono per dieci minuti senza parlare. Lasciarono passare un’auto che andava di fretta. Videro arrivare verso di loro un Tir. Martha trattenne il fiato. Nelle strade cosí strette, pur sapendo che c’era posto per entrambi i veicoli, lei avrebbe istintivamente frenato e accostato sul ciglio della strada. Ma Stig non si fece impressionare. E la cosa strana era che lei si fidava, lo sapeva in grado di affrontare la situazione. L’innata tridimensionalità del cervello maschile. Vide le mani di lui rilassate sul volante. A differenza sua, non sembrava aver sfiducia nelle proprie capacità di valutazione. Gli osservò le vene in rilievo della mano, cosí belle, da cui si vedeva con quanta calma il cuore pompasse il sangue. Il sangue ai polpastrelli. Lo vide sterzare a destra, rapidamente, ma non in modo esagerato, per rimediare allo spostamento d’aria creato dal Tir.
– Cavoli! – rise lui eccitato gettandole un’occhiata. – Hai sentito che roba?
– Sí, – rispose lei. – Ho sentito.
Martha gli fece cenno di proseguire fino all’estremità di Nesodden e d’imboccare una strada sterrata: parcheggiarono dietro una fila di casette basse con delle finestre piccoline sul retro e grandi vetrate verso il mare.
– Sono case di villeggiatura costruite negli anni Cinquanta e poi ristrutturate, – spiegò mentre lo precedeva sul sentiero, tra l’erba alta. – Io sono cresciuta qui. E questo era il nostro angolo segreto dove venivamo a prendere il sole…
Arrivarono a un promontorio. Sotto di loro c’era il mare e da lí udivano le grida di gioia dei bambini che facevano il bagno. Poco piú in là c’era la banchina con i traghetti per Oslo, a nord, che nelle belle giornate sembrava a poche centinaia di metri. La distanza effettiva era di cinque chilometri, ma chi lavorava nella capitale preferiva di solito prendere il traghetto invece di guidare quarantacinque chilometri costeggiando il fiordo.
Martha si sedette e respirò l’aria impregnata di salsedine.
– I miei genitori e i loro amici chiamavano Nesodden la «Piccola Berlino» per via di tutti gli artisti che ci abitavano. Era piú economico vivere in queste fredde casette estive che a Oslo. Quando si congelava, ci si radunava in quella dove la temperatura era piú clemente, ovvero la nostra. La gente si fermava a chiacchierare e a bere vino rosso fino al mattino perché tanto non c’erano materassi per tutti. Poi facevamo colazione tutti insieme.
– Doveva essere bello –. Stig si sedette vicino a lei.
– Sí, lo era. Le persone si aiutavano a vicenda.
– Davvero idilliaco.
– Non proprio. Succedeva anche che litigassero per questioni di denaro, che criticassero le opere altrui e che andassero a letto con le mogli o i mariti degli amici, faceva parte della vita, era eccitante. Mia sorella e io eravamo davvero convinte di vivere a Berlino, fin quando un giorno nostro padre non mi fece vedere dov’era sulla cartina. E mi spiegò che era molto distante, almeno mille chilometri, ma che prima o poi ci saremmo andati. Che avremmo visitato la Porta di Brandeburgo e il castello di Charlottenburg, dove mia sorella e io saremmo state le principesse.
– Siete mai andate?
– Alla vera Berlino? – Martha fece segno di no. – Mamma e papà hanno sempre avuto pochi soldi e sono morti ancora giovani. Io avevo diciott’anni e ho dovuto anche occuparmi di mia sorella. Ma ho sempre sognato di andare a Berlino, al punto da non esser piú sicura che esista.
Stig annuí lentamente, chiuse gli occhi e si sdraiò sull’erba.
Lei lo guardò. – Perché non...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il confessore
  4. Parte prima
  5. Parte seconda
  6. Parte terza
  7. Parte quarta
  8. Parte quinta
  9. Epilogo
  10. Il libro
  11. L’autore
  12. Dello stesso autore
  13. Copyright