Il dramma barocco tedesco
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Il dramma barocco tedesco

  1. 256 pagine
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Scritto nel 1926 nella prospettiva del conseguimento di una libera docenza universitaria, e oggetto di un celebre rifiuto da parte della commissione esaminatrice, Il dramma barocco tedesco è sicuramente uno dei libri piu compiuti e caratteristici di Walter Benjamin e, al contempo, uno degli esiti piú alti conseguiti dalla cultura saggistica dell'intero Novecento. Il libro consiste in una perlustrazione lucida e filologicamente ineccepibile di uno dei periodi piú oscuri, grevi e avari di capolavori dell'arte tedesca ed europea. Le caratteristiche stesse di quella polverosa produzione drammatica (l'inclinazione anticlassicistica, il cerebralismo, la lut- tuosità barocca legata all'idea di un tempo vuoto della storia e, in particolare, il virtuosistico ricorso all'allegoria) sono però altrettanti elementi che rispondono idealmente allo sguardo indagatore benjaminiano producendo autentici tesori interpretativi. Infatti, il vero oggetto del libro, oltre a quello dichiarato dal titolo, era la stessa ideologia e principio ispiratore dell'arte contemporanea dei primi decenni del secolo, che proprio dall'impulso di contestazione dell'armonia classicistica e della compostezza formale dell'opera d'arte traevano la propria fonte d'ispirazione. Cosí, il motivo dell'allegoria, che Benjamin riporta a dignità culturale dopo secoli di autentica svalutazione ed emarginazione, non coinvolge solo il tema del saggio, ma anche il suo contenuto e il suo stesso stile, e il libro si rivela quindi essere una presa di posizione filosofica e "politica" su quanto era in corso di sperimentazione nelle grandi avventure estetiche, letterarie ed artistiche, dell' avanguardia europea.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
ISBN
9788858414651

Dramma e tragedia (I)

Der ersten Handlung. Erster Eintritt. Heinrich. Isabelle. Der Schauplatz ist der Königl. Saal.
HEINRICH Ich bin König.
ISABELLE Ich bin Königin.
HEINRICH Ich kan und will.
ISABELLE Ihr könt nicht und must nicht wollen.
HEINRICH Wer will mirs wehren?
ISABELLE MeinVerboth.
HEINRICH Ich bin König.
ISABELLE Ihr seyd mein Sohn.
HEINRICH Ehre ich euch schon als Mutter so müsset ihr doch wissen das ihr nur Stiefmutter seyd. Ich will sie haben.
ISABELLE Ihr sollt sie nicht haben.
HEINRICH Ich sage: Ich will sie haben die Ernelinde.
FILIDOR, Ernelinde Oder Die Viermahl Braut1.
La necessaria tensione verso gli estremi, che nelle indagini filosofiche costituisce la norma della formazione dei concetti, in una trattazione sull’origine del dramma deve significare due cose. Innanzitutto essa suggerisce alla ricerca di abbracciare senza esitazioni tutta l’ampiezza del tema. Al cospetto di una produzione drammatica neppure troppo estesa, il suo compito non deve consistere nell’indagare, come farebbe a ragione la storia letteraria, le varie scuole poetiche, la cronologia e gli strati genetici delle singole opere. Essa si lascerà guidare piuttosto da un’ipotesi: che quanto appare diffuso ed eterogeneo può offrire, alla luce dei concetti adeguati, gli elementi per una sintesi. In questo senso, essa apprezzerà le testimonianze degli autori minori, nelle cui opere le stravaganze non mancano, non meno di quelle dei grandi. Un conto è incarnare una forma, un altro plasmarla. Se la prima cosa è affare del poeta eletto, la seconda avviene spesso, e in modo senz’altro piú significativo, nelle faticose prove degli autori piú deboli. La forma stessa, la cui vita si identifica con quella delle opere che essa determina, e la cui visibilità è anzi a volte inversamente proporzionale alla perfezione dell’opera letteraria, risulta spesso piú evidente nel gracile corpo dell’opera mediocre, come fosse il suo scheletro. In secondo luogo, lo studio degli estremi esige che si tenga conto della teoria barocca del dramma. La schiettezza dei teorici barocchi nella formulazione dei loro precetti è un tratto particolarmente attraente di questa letteratura, e le sue regole sono estreme già per il fatto di proporsi come piú o meno vincolanti. Cosí, le stravaganze del dramma dipendono in gran parte dalle poetiche, e poiché persino i pochi schemi del suo intreccio pretendono di essere dedotti da teoremi, i manuali dei poeti appaiono come fonti indispensabili per l’analisi. Se esse fossero analisi critiche nel senso moderno, il loro valore di testimonianza sarebbe irrilevante. Il loro recupero è invece non soltanto imposto dall’oggetto ma anche giustificato concretamente dalla situazione della ricerca. Questa è stata inibita fino in epoca recente dai pregiudizi della classificazione stilistica e della valutazione estetica. La scoperta del barocco letterario ha avuto luogo cosí tardi e sotto stelle cosí ambigue perché una periodizzazione di comodo ama attingere le proprie etichette e le proprie date ai trattati delle epoche precedenti. Poiché in Germania non vi è mai stato un «manifesto» del barocco letterario – perfino nelle arti figurative il termine compare soltanto nel XVIII secolo – e poiché le proclamazioni chiare, esplicite, bellicose, non sono affare dei letterati, il cui tono cortigiano valeva da paradigma, anche piú tardi non si volle assegnare un titolo particolare a questa pagina della storia letteraria tedesca. «L’assenza di tono polemico è una caratteristica che segna profondamente l’intero barocco. Ognuno cerca il piú possibile, anche quando ubbidisce alla propria ispirazione, di comportarsi come chi segue le orme degli amati maestri e delle autorità costituite»2. E non tragga in inganno l’accresciuto interesse per le controversie poetiche che si manifestò in parallelo alle dispute delle accademie romane di pittura3. La poetica barocca è una serie di variazioni sopra i Poetices libri septem di Giulio Cesare Scaligero, usciti nel 1561. Gli schemi classicistici regnano incontrastati: «Gryphius è l’indiscusso maestro, il Sofocle tedesco, alle sue spalle Lohenstein occupa il secondo posto, come un Seneca tedesco, e, sia pure con qualche riserva, viene loro affiancato Hallmann, l’Eschilo tedesco»4. E nei drammi c’è indubbiamente qualcosa che corrisponde alla facciata rinascimentale delle poetiche. La loro originalità stilistica – ci sia lecito osservare, anticipando – è incomparabilmente maggiore nei particolari che nell’insieme. Per quanto riguarda quest’ultimo, esso è gravato, come già osserva Lamprecht5, da una certa pesantezza, e, nonostante tutto, da una semplicità drammaturgica che ricorda da lontano il teatro borghese del Rinascimento tedesco. Ma alla luce di una seria critica stilistica, a cui non è concesso di considerare il tutto se non nella sua determinatezza attraverso il particolare, i tratti non-rinascimentali, per non dire barocchi, saltano fuori ovunque: dalla lingua e dal portamento dei personaggi alla disposizione scenica e alla scelta dei soggetti. È chiaro d’altronde, e cercheremo di mostrarlo, come i testi di poetica assumano accenti che rendono possibile l’interpretazione barocca, anzi come la fedeltà a quei testi serva le intenzioni barocche meglio della rivolta. La volontà di classicità è, si può dire, l’unico tratto genuinamente rinascimentale – eppure quanto lontano dal Rinascimento per la sua ruvidezza, la sua mancanza di riguardi – di una poesia che si vide posta, di colpo, di fronte a compiti formali che nessun magistero la metteva in condizione di affrontare. Ogni tentativo di avvicinarsi alla forma classica doveva predisporre la materia a un tipo di elaborazione violentemente barocca, e questo senza considerare i risultati che poi di fatto venivano raggiunti. La rinuncia, da parte della scienza letteraria, a indagare questi tentativi con gli strumenti dell’analisi stilistica, si spiega col suo verdetto di condanna contro l’epoca della ridondanza, della decadenza linguistica e della poesia erudita. Il fatto poi che essa abbia cercato di mitigare quel verdetto considerando che il magistero aristotelico era stato una necessaria fase di transizione per la poesia rinascimentale in Germania, somma pregiudizio a pregiudizio. E i due pregiudizi sono collegati, perché la tesi della forma rinascimentale del dramma seicentesco si appoggia all’aristotelismo degli autori teorici. Abbiamo già osservato fino a che punto le definizioni aristoteliche abbiano ostacolato la riflessione critica su quei drammi. Occorre sottolineare a questo punto che l’influsso della dottrina aristotelica sul dramma in termini di «dramma rinascimentale» viene senz’altro sopravvalutato.
La storia del dramma tedesco moderno non conosce periodi in cui i temi della tragedia classica siano stati meno influenti. E già questo fatto basterebbe a smentire la presunta egemonia di Aristotele. Per la sua comprensione mancavano tutti i requisiti necessari, e non in ultimo la volontà di capirlo. Perché una seria precettistica di carattere tecnico e contenutistico, come quella che a partire da Gryphius si attingeva ai classici olandesi o al teatro dei gesuiti, nel filosofo greco non la cercava nessuno. L’essenziale era affermare, attraverso il riconoscimento dell’autorità di Aristotele, un certo contatto con la poetica rinascimentale dello Scaligero, e ribadire cosí la legittimità dei propri esperimenti. Inoltre, verso la metà del XVII secolo la poetica aristotelica non era ancora quel semplice e imponente sistema di dogmi con cui dovrà fare i conti Lessing. Il Trissino, primo commentatore della Poetica, cita anzitutto, in aggiunta all’unità di tempo, l’unità di azione: l’unità di tempo ha valore estetico soltanto se comporta l’unità di azione. A tali unità si sono attenuti Gryphius e Lohenstein, anche se, per il Papinian [Papiniano], l’unità di azione potrebbe essere contestata. L’elenco dei tratti aristotelici finisce però con questo fatto isolato. Il principio dell’unità di tempo non sembra rivestire un significato preciso. La teoria di Harsdörffer, per il resto fedele alla tradizione, dichiara accettabile anche un’azione della durata di quattro o cinque giorni. L’unità di luogo, che entra nella discussione solo a partire da Castelvetro, nel dramma barocco non è considerata; e neppure il teatro dei gesuiti la riconosce. Ma ancora piú indicativa è l’indifferenza con cui i manuali trattano la teoria aristotelica dell’effetto tragico. Non vogliamo dire che questa parte della Poetica, che porta scritto in fronte con ancor piú chiarezza delle altre il carattere cultuale del teatro greco, dovesse risultare particolarmente accessibile alla mentalità del Seicento. E tuttavia, quanto piú risultava impossibile penetrare il senso profondo della dottrina, legata alla prassi catartica dei Misteri, tanto piú l’interpretazione avrebbe dovuto muoversi con libertà. La troviamo invece tanto gracile nei suoi contenuti quanto decisa nel piegare le intenzioni antiche. Timore e compassione non sono intesi come una partecipazione all’azione nel suo insieme, ma al destino dei personaggi piú rilevanti. Il timore è suscitato dalla fine del malvagio, la compassione da quella dell’eroe buono. A Birken anche questa definizione sembra troppo classica, e al posto del timore e della compassione egli pone, come fine del dramma, l’amore di Dio e l’edificazione dei cittadini. «Noi cristiani dobbiamo, in tutte le nostre azioni, e dunque anche nello scrivere drammi e nel metterli in scena, nutrire un unico proposito: che Dio sia onorato, e che il prossimo possa essere istruito al bene»6. Il dramma è chiamato a rinvigorire le virtú dei suoi spettatori. E se ce n’era una che era obbligatoria per l’eroe ed edificante per il pubblico, questa era l’antica ὰπαϑεια. La saldatura fra l’etica stoica e la teoria della tragedia moderna si era compiuta in Olanda, e Lipsius aveva osservato che l’aristotelico ἔλεοϛ andava inteso soltanto come uno stimolo ad alleviare le sofferenze e le pene altrui, ma non come un crollo patologico alla vista di un destino terribile, non come pusillanimitas, bensí soltanto come misericordia7. È indubbio che simili osservazioni sono essenzialmente estranee alla descrizione aristotelica del modo in cui si era soliti assistere alle tragedie...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il dramma barocco tedesco
  3. Fuori dal coro
  4. Il dramma barocco tedesco
  5. Premessa gnoseologica
  6. Dramma e tragedia (I)
  7. Dramma e tragedia (II)
  8. Dramma e tragedia (III)
  9. Allegoria e dramma barocco (I)
  10. Allegoria e dramma barocco (II)
  11. Allegoria e dramma barocco (III)
  12. Il libro
  13. L’autore
  14. Dello stesso autore
  15. Copyright