Analisi della narrazione e semiotica.
0.1. I caratteri a stampa che attraversano in righe parallele le pagine di un libro raggiungerebbero, messi su una linea continua, la lunghezza di centinaia di metri, talora di qualche chilometro. Se il testo è di carattere narrativo, la lettura pare consistere semplicemente nell’individuare, lungo questa linea, le parole e le frasi di cui i caratteri sono segno, e nel comprenderle. Naturalmente, per quanto la lettura possa essere dilettevole, le operazioni da compiere non sono elementari come sembrano, e le ricerche degli ultimi decenni ne hanno mostrato i principali motivi.
In un testo si sovrappongono, quasi anzi si stratificano, significanti e significati. Ogni parola è composta di lettere (significanti) che simboleggiano gruppi di fonemi (significati), i quali costituiscono insieme il significante di un significato (concettuale); poi, i gruppi di parole chiusi tra due punti d’interpunzione forti, o tra l’inizio e il primo punto forte, sono il significante di un significato sintetico (frastico); a loro volta, anche gruppi di frasi sono significanti di un significato (narrativo), ed è appunto oltrepassando le frontiere della frase che si giunge alla terra (quasi) incognita della narratività (oggetto di studio della narratologia).
In linea di massima la narrazione può esser vista sotto almeno due aspetti: 1) quello discorsivo, in sostanza la narrazione stessa, da considerare significante; 2) il contenuto, cioè il significato, della narrazione. Questa dicotomia sembra rispecchiata nella coppia oppositiva di intreccio (sjužet) e di fabula, proposta dai formalisti russi, o in quella di plot e story in inglese, o in quella di discours e histoire adottata da Todorov1, o di récit e histoire di Genette2, o di récit racontant e récit raconté di Bremond3. L’incertezza terminologica, ancora aumentata dall’uso ora invalso di «analyse du récit» per ‘analisi della fabula’, dipende dal fatto che la dicotomia è insufficiente a render conto del campo di ricerca: intreccio e fabula sono in realtà (1.1) due modi di rappresentarsi il contenuto di una narrazione, mentre occorre un termine per indicarne l’aspetto significante. Adotterei perciò, almeno all’avvio, una tripartizione: discorso (il testo narrativo significante); intreccio (il contenuto del testo nell’ordine stesso in cui viene presentato); fabula (il contenuto, o meglio i suoi elementi cardinali, riordinato in ordine logico e cronologico).
Le pagine che seguono vogliono essere un panorama critico dei principali tentativi di analisi del racconto. Nascono dalla fiducia nell’utilità di queste ricerche, ma anche dall’esperienza di certe aporie, o persino di limiti invalicabili insiti in questo approccio, e che conviene non nascondersi e non nascondere. L’entusiasmo nel proporre nuovi procedimenti di analisi, o nell’applicare e spesso contaminare quelli già in uso (i nostri sono tempi di epigonismo e di eclettismo), ha fatto trascurare sinora questa meditazione sulle fondamenta teoriche; altri, peggio ancora, hanno preferito opporre un dogmatico fin de non recevoir.
C’è un equivoco generalizzato di cui mi voglio subito liberare. Discorso e fabula (o anche intreccio) sembrano adattarsi perfettamente all’ormai inesorabile immagine dei livelli: livello superficiale il discorso, livello profondo la fabula (oppure, a profondità crescente, prima l’intreccio e poi la fabula). Sono immagini tratte dalla linguistica chomskiana, come pure l’altra simmetrica, non meno frequente, che considera il discorso generato dall’intreccio, come questo dalla fabula. E poco male fin che si parla di livelli; anche se presto i livelli si moltiplicano, e ci si accorge che sarebbe meglio considerarli come sezioni ideali, senza implicare misure di profondità4. Pericoloso è invece parlare in termini generativi, per quel tanto di genetico che ciò comporta.
Non è corretto concepire il discorso come uno sviluppo (per amplificazione e aggiunta di particolari) del «livello profondo», poniamo l’intreccio, perché l’intreccio non preesiste al discorso se non, forse, come progetto informe e destinato a continui assestamenti: l’intreccio raggiunge il suo assetto nel momento stesso in cui l’opera come costruzione linguistica viene terminata. Espressione e contenuto sono due facce di uno stesso oggetto, come significante e significato nei termini saussuriani: è utile distinguerli, è impossibile separarli. A conferma, si provi a immaginare delle «regole di trasformazione» che spieghino il passaggio da una struttura narrativa profonda a un discorso narrativo: progetto che, forse abbordabile in uno studio fenomenologico dei rapporti fra intreccio e fabula (si tratterebbe, comunque, non piú che di schemi o tradizioni espositive), diventa assurdo se si propone di giungere sino alla superficie, al discorso, con tutti i suoi elementi lessicali e stilistici.
Livelli e generazione restano dunque due metafore, e come tali, ma solo se dichiaratamente tali, accettabilissime. Meglio ancora se, in generazione, si avvertirà una traccia di creatività, di libertà inventiva, tanto piú eclatante dal momento che il libro, definitivo nel complesso e nelle singole frasi, è fissato ne varietur alla sua espressione discorsiva, meccanismo perfetto e per sempre immobile. L’emittente non ci parla, ci ha parlato; libertà resta solo a noi riceventi, di capire e interpretare sempre piú a fondo. Siamo noi che continuiamo a percorrere gli spazi tra la superficie e gli altri (supposti) livelli, noi che immaginiamo i tragitti piú elaborati tra le varie strutture del e nel testo.
0.2. Resta comunque che un’indagine di questo tipo rientra completamente nei confini della semiotica letteraria. Un testo (nel nostro caso, narrativo) è un assieme di segni i cui raggruppamenti sempre maggiori – ottenibili con procedimenti non del tutto precisati, ma non casuali né infiniti – fungono a loro volta da segni. Le leggi di coesione di questi complessi di segni (termine che preferisco a macrosegno perché indica la scomponibilità e la sostituibilità almeno teorica dei suoi componenti) sono in parte linguistiche – la linguistica tradizionale, sino a Chomsky compreso, essendo valida per le frasi, e la Textlinguistik anche per estensioni molto maggiori (almeno nei programmi) –, ma in parte relative a regole di significazione non linguistiche che si cerca di definire.
Allineando nell’area scelta per questa ricerca il discorso, l’intreccio e la fabula, si può dire che nella striscia chiusa fra discorso e intreccio valgono sempre leggi di significazione di tipo linguistico: quelle che governano la percepibilità di significati frastici e transfrastici (per es. di una sequenza o di un episodio). Ma fra intreccio e fabula le leggi di significazione sono molto piú difficili da precisare, trattandosi di rapporti non tra significanti e significati, ma tra significati diversamente articolati anche se, almeno come territorio di pertinenza, coestensivi. Quello che si può dire per ora è che la nostra «competenza» a concepire o a comprendere un racconto dimostra l’esistenza di un repertorio e di certe possibilità di combinazione di significati narrativi comunicabili. La narratologia affronta il compito assai arduo di abbozzare questo repertorio e di descrivere queste possibilità.
Come si vedrà subito, la differenza principale tra fabula e intreccio sta nel fatto che la prima rispetta la cronologia (sia pure fantastica) degli avvenimenti, il secondo invece li mantiene nell’ordine in cui lo scrittore li ha descritti.
Il tempo, come ordine di successione irreversibile, è dunque elemento discriminante basilare tra i vari modi di concatenazione degli avvenimenti: una specie di «metro campione» ideale. D’altra parte anche la lettura si sviluppa nel tempo (sempre nel senso di ordine di successione irreversibile, a prescindere dall’eventualità, priva di interesse teorico, che il lettore rilegga qualche brano prima di proseguire); e si forma un intreccio alquanto complesso fra il tempo di lettura (o tempo del discorso), il tempo dell’intreccio e il tempo della fabula5.
È infine nella dimensione temporale che si avvertono, e soprattutto che funzionano, i fenomeni di recursività, fondamentali non solo per gli effetti espressivi, stilistici (penso alla ben giustificata pertinacia nello studiare i parallelismi)6, ma anche per quelli comunicativi, e, in particolare, narrativi (è la recursività che ribadisce l’identità di luoghi, personaggi, eventi; che inserisce i fatti in una curva di tonalità e di atmosfere; che adombra le ossature semiotiche di un racconto). Per questo, il problema del tempo dominerà e darà (spero) unità a questo capitolo introduttivo, e a molti di quelli che seguono.
Se poi il lettore non miope sarà indotto a stupore dal fatto che studi sulla narrazione si sviluppino proprio ora che il romanzo (vivo, morto o moribondo che sia) è sempre meno narrazione di eventi, meno ancora di avventure, potrà, secondo i suoi gusti, considerare queste ricerche come l’inventario di una liquidazione o viceversa come una riprova dell’incoercibile bisogno umano di affabulare e di raccontare.
In...