L'estetica musicale dall'antichità al Settecento
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L'estetica musicale dall'antichità al Settecento

  1. 184 pagine
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L'estetica musicale dall'antichità al Settecento

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Questo studio si ricollega, completandolo, al precedente volume L'estetica musicale dal Settecento a oggi, e mira a fornire al lettore anche non specialista un quadro sintetico del pensiero musicale in Occidente, dalla Grecia antica sino alle soglie dell'Illuminismo. Nel mondo greco-alessandrino e poi medievale e rinascimentale la musica è stata oggetto di una ricca riflessione teorica con infiniti agganci ad altre discipline, quali la filosofia, la medicina, l'astronomia, la matematica, la pedagogia, e con complesse implicazioni con il mondo dell'estetica e della religione e della politica. Fubini conduce il suo studio entro queste linee, individuando nel pensiero pitagorico-platonico e nella frattura tra teoria e prassi uno dei filoni dominanti del pensiero musicale antico e medievale: parallelamente si è fatto strada il filone empirista che da Aristotele in poi, sino ai teorici del Rinascimento, ha sviluppato una nuova concezione laica della musica che si ricollega alla problematica dell'Illuminismo.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2014
ISBN
9788858416747
Argomento
Arte
Categoria
Arte generale

Capitolo secondo

Platone, Aristotele e la crisi del pitagorismo

1. La musica nella Polis.
Tutta la speculazione musicale greca sino a Platone ha oscillato tra dottrine diverse, non sempre ben definibili per lo meno alla luce dei pochi frammenti oggi a disposizione, oscillanti tra l’esaltazione delle virtú magiche e soprannaturali della musica e la mistica pitagorica dei numeri, tra l’affermazione delle sue virtú educative in senso etico e politico e l’antica credenza nel suo potere edonistico. Nei dialoghi di Platone confluiscono, pur senza trovare alcuna sistematicità, tutti i filoni della precedente speculazione. Non perciò si può dire che Platone sia nei riguardi della musica soltanto un coordinatore o un riespositore di dottrine altrui, privo di originalità. Anzi l’interesse maggiore del suo pensiero musicale consiste forse nel fatto che la musica costituisce uno dei centri focali della sua filosofia; tuttavia il problema musica si presenta secondo una sfaccettatura cosí complessa da rendere oltretutto assai difficile la ricostruzione delle idee musicali di Platone, le quali di fatto vengono a coinvolgere tutto il suo pensiero filosofico e politico. Non c’è dialogo di Platone in cui il problema musicale non si affacci in qualche modo, ed è significativo che assuma poi un rilievo tutto particolare nei dialoghi piú importanti come nella Repubblica, nelle Leggi, nel Fedone o nel Fedro.
Prima di tentare un bilancio complessivo sulla filosofia della musica di Platone è opportuno esaminare le posizioni che emergono almeno nei dialoghi piú importanti. La disparità di concezioni che si possono trovare al riguardo della musica nei diversi dialoghi platonici e persino nello stesso dialogo deve porci in guardia contro affrettate conclusioni e soprattutto lascia presumere che il termine μoυσιϰή sia usato con significati assai diversi e spesso opposti.
Platone sembra oscillare infatti tra una radicale condanna della musica e una considerazione di essa quale suprema forma di bellezza e quindi di verità. Nella Repubblica cosí vengono definiti i filosofi rispetto agli amanti degli spettacoli e della musica: «Chi dunque è pronto a gustare ogni disciplina e va volentieri ad apprendere senza mai saziarsene avremo ragione di dirlo un filosofo, non è vero? E Glaucone disse: – Allora saranno molti e strani questi tuoi individui. Mi sembra che tali siano tutti coloro che amano gli spettacoli, perché provano diletto ad apprendere; ed è ben strano porre tra i filosofi certi amatori di audizioni, che spontaneamente non si recherebbero a sentire discorsi e una simile conversazione; ma è gente che, come avesse affittato le orecchie, corre in giro per le Dionisie ad ascoltare tutti i cori, senza mancare né alle urbane né alle rustiche. Ora potremo dire filosofi tutti questi individui e altri cultori di tali studi e coloro che apprendono arti meschine? – No, affatto, risposi; di filosofi non hanno che l’apparenza. – Ma quali sono per te i veri filosofi?, chiese. – Quelli, feci io, che amano contemplare la verità... Ecco dunque la mia distinzione; da un lato metto gli individui che or ora dicevi amatori di spettacoli, amanti delle arti e uomini di azione; dall’altro quelli di cui stiamo parlando, gli unici che si potrebbero dire rettamente filosofi. – Come dici? – chiese. – Secondo me, risposi, gli amanti delle audizioni e degli spettacoli amano i bei suoni, i bei colori, le belle figure e tutti gli oggetti che risultano composti di elementi belli; ma il loro pensiero è incapace di vedere e di amare la natura della bellezza in sé»1. Nel passo sopra riportato la musica viene accomunata alle altre arti nella stessa condanna: non solo non si accenna ad alcuna virtú etico-educativa della musica accomunata alle altre spregevoli arti e spettacoli, ma si mette in luce il fatto che essa ci allontana dalla contemplazione della bellezza in sé, la quale sembra quindi essere concepita come oggetto della contemplazione filosofica e non dei sensi. Questo punto di vista è riconfermato nel famoso libro X della Repubblica.
Non ci si soffermerà qui sul problema della mimesi e della condanna dell’arte in quanto imitazione perché non centrale nell’estetica musicale di Platone. Nello stato ideale vagheggiato da Platone pertanto la «sdolcinata Musa lirica» (poesia e musica) deve essere bandita altrimenti «regneranno piacere e dolore anziché legge»2; cosí conclude poco piú avanti Platone: «Tra filosofia e musica esiste un disaccordo antico»3.
Platone si discosta evidentemente da tutto il filone pitagorico e dall’estetica damoniana in questi passi in cui l’arte e la musica vengono considerati esclusivamente oggetto di un piacere sensibile e perciò condannati, e si avvicina invece alla piú antica tradizione omerica almeno nel considerare la musica come fonte di piacere, anche se poi attribuisce un valore negativo a tale piacere.
Anche nel Gorgia viene riconfermata questa prospettiva: vi sono arti come la medicina la quale «ha studiato la natura di ciò che ha in cura e la causa del proprio agire e può rendere ragione di tutto quel che fa»; mentre vi sono altre arti o meglio «esperienze» che hanno come fine solo il piacere e tendono «al proprio fine indipendentemente da qualsiasi arte “senza esaminare” né la natura né la causa del piacere» e procedendo «in maniera assolutamente illogica, senza calcolo». La musica viene associata a questo genere di esperienze, «adulazioni del corpo e dell’anima». Socrate infatti interviene nel dialogo elencando tali attività: «Cominciamo con l’esaminare la flautistica: non ti sembra, Callicle, che la flautistica sia tra quelle attività che vanno cercando solo di procurarci piacere senza preoccuparsi di altro?... E non dobbiamo forse ripeterci per tutte le altre attività di questo tipo, ad esempio per la citaristica, quale si usa nelle gare pubbliche?... E tali non sono anche l’insegnamento dei cori e la poesia ditirambica?...»4. Sempre nel Gorgia si definisce la musica come una techné, cioè un’arte, e cosí come «l’arte tessile ha per oggetto la confezione delle stoffe... la musica ha per oggetto la composizione dei canti»5. La musica non ha in alcun modo la dignità di scienza; può al piú essere considerata una tecnica, un fare, la cui utilità è indubbia perlomeno per produrre un piacere, ma la cui liceità è da vagliarsi attentamente.
Questa concezione in fondo parzialmente negativa e svalutativa della musica la si trova ogni qualvolta Platone la considera come esercizio effettivo di un’arte, intendendo arte nel senso greco del termine cioè come una techné. Sotto questo profilo pratico la musica potrebbe anche essere giustificata ma con molte riserve: in quanto produttrice di piacere infatti deve essere sottoposta ad un vaglio critico affinché il piacere da essa prodotto non agisca in senso contrario all’educazione. Nelle Leggi si parla spesso della musica come indispensabile strumento educativo accanto alla ginnastica: quest’ultima, afferma Platone, educherà il corpo mentre la musica servirà «per la serenità dell’anima»; questa concezione educativa della musica non contraddice all’idea che essa produce piacere, anzi l’include: «bisogna giudicare la musica dal diletto che dona, ma non da quello che dona a chiunque. Io direi che l’arte piú bella è quella che piace ai migliori, a quelli che sono bene educati, e che è superiore a tutte quella che piace a quell’uomo che è superiore per virtú e educazione»6. Il piacere prodotto dalla musica non è perciò un fine ma uno strumento: tutta la musica, buona o cattiva, produce piacere, ma se la consideriamo in una prospettiva educativa allora bisogna sfruttare il piacere prodotto dalla musica buona dopo un’accurata scelta e dopo aver scartato e messo al bando la musica contraria alle leggi dello stato7.
In questa teoria etico-educativa che si riallaccia alla tradizione damoniana, è evidente l’aspetto conservatore; infatti le musiche buone sono per Platone quelle consacrate dalla tradizione. Platone di fronte alle profonde innovazioni presentate dalla musica del suo tempo, di fronte a quella che è stata chiamata la rivoluzione musicale del V secolo, manifesta un atteggiamento nettamente ostile, ancorandosi alla piú antica e salda tradizione; «bisogna cercare con ogni mezzo – egli afferma – perché i nostri figli non abbiano desiderio di por mano a nuove imitazioni nella danza e nel canto e perché nessuno li persuada a ciò con l’offerta di piaceri di ogni sorta»8. La posizione conservatrice di Platone tuttavia ha origine non solo nel suo atteggiamento negativo di fronte ai musicisti, alla nuova musica del suo tempo, di cui si dirà ancora piú avanti, ma trova spiegazione anche nella sua concezione della musica, quale affiora in numerosi passi di molti altri dialoghi.
2. La musica come «sophia».
Si è detto che la musica per Platone è oggetto di condanna in quanto fonte di piacere, e che può essere cautamente accettata come strumento educativo purché depurata dalle armonie dannose. Ma la musica non è solo oggetto dei nostri sensi: la musica può essere una scienza e in quanto tale oggetto della ragione. La musica in quanto scienza può avvicinarsi alla filosofia sino ad identificarsi con essa, intesa come dialettica, e suprema sapienza (sophia). Secondo il racconto del Fedone, Socrate il giorno della sua morte cosí raccontava agli amici: «piú volte nella vita passata veniva a visitarmi lo stesso sogno, apparendomi ora in uno ora in altro aspetto; e sempre mi ripeteva la stessa cosa: “O Socrate, – diceva, – componi ed esercita musica”. E io, allora, quello che facevo, codesto appunto credevo che il sogno mi esortasse e mi incitasse a fare; e, alla maniera di coloro che incitano i corridori già in corsa, cosí anche me il sogno incitasse a fare quello che già facevo, cioè a comporre musica, reputando che la filosofia fosse musica altissima e non altro che musica io esercitassi»9.
Questa identificazione del comporre musica con il filosofare non è casuale e si ritrova in molti altri passi. Il significato piú profondo di questa concezione della musica si trova forse nel Fedro, nel famoso mito delle cicale, da cui appare chiara la posizione privilegiata della musica rispetto alle altre Muse, privilegio che la rende simile alla filosofia, nel senso che filosofare vuol dire rendere onore alla musica10. La musica appare in questo mito come un dono divino e per di piú tardivo, di cui l’uomo può appropriarsi, ma solo ad un certo livello, cioè quando raggiunge la sophia. Nel Simposio si paragona ancora l’effetto della musica a quello del discorso filosofico di Socrate ma, anche se si attribuisce un effetto maggiore a quest’ultimo, l’emozione prodotta viene considerata della stessa natura: «Dunque le sue melodie, sia che le esegua un flautista valente, sia una suonatrice da nulla, esse da sole, per la loro potenza divina, trasportano le anime in delirio e discoprono quali d’esse hanno bisogno degli dei e d’essere iniziate. Ma tu sei diverso da lui (Marsia) solo in questo, che ottieni lo stesso effetto senza strumenti e con le nude parole»11. Si direbbe che per Platone bellezza e sapienza si ricongiungano sino alla completa identificazione al livello piú alto, proprio nella musica. Anche il mito della reincarnazione conferma questa concezione quando prescrive che «quella fra le anime che piú abbia veduto si trapianti in un seme d’uomo destinato a divenire un ricercatore della sapienza e del bello o un musico, o un esperto d’amore»12.
A questo punto viene naturale di chiedersi se la musica di cui si parla in questi passi sia la stessa «sdolcinata Musa lirica» di cui si parla nella Repubblica, da bandire dallo stato perché sovvertitrice della legge. Si tratta di due diverse tappe del pensiero platonico o piuttosto di due aspetti di una medesima concezione? Il fatto che queste prospettive apparentemente alternative ed opposte sulla musica si ritrovino anche all’i...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. L’estetica musicale dall’antichità al Settecento
  3. Introduzione
  4. L’estetica musicale dall’antichità al Settecento
  5. I. Da Omero ai pitagorici
  6. II. Platone, Aristotele e la crisi del pitagorismo
  7. III. Dal mondo antico al Medioevo
  8. IV. Il Medioevo
  9. V. Il dibattito sull’Ars Nova
  10. VI. Il Rinascimento e la nuova razionalità
  11. VII. Parola e musica nella controriforma
  12. Conclusione
  13. Bibliografia
  14. Indice dei nomi
  15. Il libro
  16. L’autore
  17. Dello stesso autore
  18. Copyright