Sotto il burqa
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Sotto il burqa

  1. 160 pagine
  2. Italian
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Sotto il burqa

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Informazioni sul libro

Immagina di vivere in un Paese in cui donne e ragazze non possono uscire di casa senza essere scortate da un uomo. Immagina di dover indossare abiti che coprono ogni centimetro del tuo corpo, viso compreso. Questa era la vita in Afghanistan sotto il regime dei talebani. Questa è la vita a cui si ribella Parvana, undici anni, che non ha paura di travestirsi da ragazzo per poter uscire di casa e lavorare, per se stessa, per la sua famiglia, per cambiare le cose. La sua è una vita immaginata, ma basata su testimonianze vere raccolte dall'autrice nei campi per rifugiati pakistani. Perché tutte le Parvana del mondo hanno bisogno che si parli di loro.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2014
ISBN
9788858667187
SOTTO IL BURQA
Ai bambini della guerra

Uno

«Sono capace di leggere quella lettera] come il Papà» sussurrò Parvana tra le pieghe del chador. «O almeno quasi.»
Non osò pronunciare quelle parole ad alta voce. L’uomo seduto accanto a suo padre non voleva certo sentirla parlare. E così nessun altro al mercato di Kabul. Parvana si trovava lì solo per aiutare il Papà a camminare fino al mercato, e poi di nuovo a casa dopo il lavoro. Sedeva un po’ indietro sulla coperta, il capo e gran parte del viso coperti dal chador.
In realtà non avrebbe neppure dovuto essere lì. I talebani avevano ordinato a tutte le donne e le ragazze afghane di rimanere chiuse in casa. Avevano persino proibito alle ragazze di frequentare la scuola. Parvana era stata costretta a interrompere il suo sesto anno e a sua sorella Nooria non era permesso di frequentare le superiori. La loro mamma, redattrice in una radio di Kabul, era stata licenziata. Da più di un anno, ormai, vivevano barricate in una stanza, insieme con la sorellina Maryam di cinque anni e il fratellino Ali di due.
Parvana usciva per qualche ora quasi tutti i giorni, per aiutare suo padre a camminare. Era sempre molto contenta di uscire, anche se questo significava restare seduta per ore su una coperta distesa a terra nel mercato. Se non altro era qualcosa da fare. Aveva perfino imparato a restare in silenzio e a nascondere il viso.
Era piccola per i suoi undici anni: per questo di solito riusciva ad andare in giro senza essere fermata.
«Questa ragazza mi aiuta a camminare» spiegava il Papà additando la propria gamba a chi chiedeva spiegazioni. Aveva perso la gamba quando la scuola superiore in cui insegnava era stata bombardata. E forse aveva subito anche qualche altro danno non visibile: spesso era così stanco.
«Il mio unico figlio maschio ha solo due anni» aggiungeva. Parvana si ritraeva un po’ più indietro sulla coperta e cercava di farsi piccola piccola. Aveva paura di guardare i soldati. Aveva visto cosa facevano, soprattutto alle donne, come frustavano e picchiavano chiunque secondo loro meritasse una punizione.
Aveva visto molte cose, stando seduta al mercato, giorno dopo giorno. Quando i talebani erano nelle vicinanze, avrebbe voluto essere invisibile.
Un cliente stava chiedendo a suo padre di rileggere una lettera. «Leggila piano, così riesco a ricordarmela e a raccontarla alla famiglia.»
A Parvana sarebbe piaciuto ricevere una lettera. Il servizio postale in Afghanistan era ripreso solo di recente, dopo anni di interruzione a causa della guerra. Molti dei suoi amici avevano lasciato il paese con le loro famiglie. Probabilmente erano in Pakistan, ma non ne era sicura e quindi non poteva scrivergli. Anche la sua famiglia aveva traslocato così spesso a causa dei bombardamenti che i suoi amici non sapevano più dove viveva. «Gli afghani sono sparpagliati sulla Terra come le stelle nel cielo» diceva spesso il Papà.
Suo padre finì di leggere la lettera per la seconda volta. Il cliente lo ringraziò e pagò. «Ti cercherò quando dovrò rispondere.»
La maggior parte della popolazione in Afghanistan non sapeva leggere né scrivere. Parvana era una delle poche fortunate. Entrambi i suoi genitori erano stati all’università, e credevano che tutti, comprese le donne, avessero diritto a ricevere un’istruzione.
Nel viavai dei clienti, il pomeriggio passò lentamente. La maggior parte di loro parlava Dari, la lingua che Parvana conosceva meglio. Quando un cliente parlava Pashtu, lei riusciva a capire la maggior parte delle parole, ma non tutto. I suoi genitori sapevano anche l’inglese. Suo padre aveva frequentato l’università in Inghilterra, ma era stato tanto tempo fa.
Il mercato era un luogo molto movimentato. Gli uomini facevano la spesa per le loro famiglie e i venditori ambulanti vendevano per la strada quello che potevano offrire. Alcuni, come il negozio del tè, avevano una propria bancarella. Con il suo grande samovar e molti vassoi colmi di tazze, doveva stare in un posto fisso. I ragazzi correvano avanti e indietro per il labirinto del mercato, portando il tè ai clienti che non potevano lasciare i loro negozi, e riportando indietro le tazze vuote.
«Potrei farlo anch’io» disse Parvana a bassa voce. Avrebbe voluto correre per il mercato e conoscere le sue stradine tortuose come le quattro pareti di casa sua.
Suo padre si voltò a guardarla. «Preferirei vederti correre nel cortile di una scuola.» Poi si voltò di nuovo per chiamare gli uomini che passavano di lì. «Qui si legge e si scrive! Pashtu e Dari! Bellissimi articoli in vendita!»
Parvana s’incupì. Non era colpa sua se non poteva andare a scuola! Avrebbe preferito essere là invece che stare seduta su questa scomoda coperta, con la schiena che le faceva male. Le mancavano i suoi amici, la sua divisa bianca e blu, fare nuove cose ogni giorno.
Storia era la sua materia preferita, soprattutto la storia afghana. Tutti erano venuti in Afghanistan. I Persiani c’erano arrivati quattromila anni fa. Era arrivato anche Alessandro Magno, seguito dai Greci, dagli Arabi, dai Turchi, dagli inglesi e alla fine dai sovietici. Un conquistatore, Tamerlano da Samarcanda, aveva decapitato i suoi nemici e impalato le loro teste una sopra l’altra, come meloni su una bancarella di frutta. Tutti questi popoli erano arrivati nel bellissimo paese di Parvana con l’intento di conquistarlo, ma gli afghani erano sempre riusciti a scacciarli.
Adesso però il paese era governato dai soldati talebani. Erano afghani e avevano idee molto rigide su come le cose dovevano essere gestite. Quando per la prima volta occuparono la capitale Kabul e proibirono alle ragazze di frequentare la scuola, Parvana non ne fu particolarmente dispiaciuta. Aveva un compito di matematica che si avvicinava e per il quale non si era preparata, ed era finita nei guai per aver di nuovo chiacchierato durante la lezione. L’insegnante stava per darle una nota quando i talebani avevano preso il comando.
«Perché piangi?» aveva chiesto a Nooria, che non la smetteva di singhiozzare. «Per me una vacanza è proprio quello che ci vuole.» Parvana era sicura che i talebani avrebbero dato a tutti il permesso di tornare a scuola nel giro di qualche giorno; e allora il suo insegnante si sarebbe dimenticato di mandare quella nota a sua madre.
«Sei solo una stupida!» aveva urlato Nooria. «Lasciami in pace!»
Quando un’intera famiglia vive in una sola stanza, è davvero impossibile lasciare in pace gli altri. Dovunque andasse Nooria, c’era Parvana. E dovunque andasse Parvana, c’era Nooria.
Entrambi i genitori di Parvana venivano da antiche e rispettabili famiglie afghane. Grazie all’istruzione che avevano ricevuto, erano stati in grado di guadagnare ottimi stipendi. Avevano abitato in una grande casa con il cortile, e avevano due domestici, la televisione, il frigorifero e l’automobile. Nooria aveva una camera tutta per sé e Parvana divideva la sua con Maryam, la sorellina piccola. Maryam parlava sempre tanto, ma adorava Parvana. Era stato certo piacevole poter sfuggire a Nooria qualche volta.
La loro casa era stata distrutta da una bomba. Da allora avevano traslocato diverse volte. Ogni volta in un posto sempre più piccolo. Durante ogni bombardamento perdevano un po’ delle loro cose. A ogni bomba diventavano più poveri. Ora vivevano tutti insieme in una piccola stanza.
Da più di vent’anni ormai, il doppio dell’età di Parvana, in Afghanistan c’era sempre stata una guerra.
All’inizio c’erano stati i sovietici, che avevano invaso il paese a bordo dei carri armati e con i loro aerei da guerra avevano bombardato villaggi e campagne.
Parvana era nata un mese prima che i sovietici se ne andassero.
«Eri una bambina così brutta che i sovietici non potevano sopportare di restare nello stesso paese in cui c’eri tu» Nooria si divertiva a dirle. «Sono fuggiti oltre il confine più in fretta che potevano. Erano terrorizzati.»
Dopo la partenza dei sovietici, quelli che li avevano battuti decisero che volevano continuare a combattere, così cominciarono a combattere tra loro. Molte bombe caddero su Kabul in quel periodo. Molte persone morirono.
Le bombe facevano parte della vita di Parvana. Ogni giorno, ogni notte, missili cadevano dal cielo e la casa di qualcuno saltava per aria.
Quando le bombe cadevano, la gente correva. Prima in una direzione, poi in un’altra, cercando un posto al sicuro dalle bombe. Da piccola Parvana veniva portata in braccio, ma quando divenne un po’ più grande dovette correre da sé.
Adesso la maggior parte del paese era sotto il controllo dei talebani. La parola talebani indica gli studiosi di religione, ma il padre di Parvana sosteneva che la religione dovrebbe insegnare alle persone a diventare esseri umani migliori, a essere più buoni. «I talebani non rendono certo l’Afghanistan un posto migliore in cui vivere!» diceva.
Nonostante le bombe continuassero a cadere su Kabul, ora erano meno frequenti. C’era ancora una guerra in corso nel nord del paese, e là c’era il maggior numero di vittime in quel periodo.
Dopo qualche altro cliente, suo padre disse che per quel giorno potevano smettere di lavorare.
Parvana balzò in piedi, ma ricadde subito. Le si era addormentato un piede. Se lo massaggiò e provò ancora a reggersi. Questa volta ci riuscì.
Prima raccolse tutte le cose che avevano cercato di vendere: piatti, tessuti, piccoli oggetti che erano sopravvissuti ai bombardamenti. Come molti altri afghani, vendevano tutto ciò che potevano.
Sua madre e Nooria passavano regolarmente in rassegna quello che restava dei loro beni e decidevano di che cosa potevano privarsi. C’era così tanta gente a Kabul che vendeva oggetti di ogni genere che Parvana si chiedeva se fosse rimasto qualcuno disposto a comprarli.
Suo padre ripose la carta e le penne nella borsa a tracolla. Appoggiandosi al bastone e al braccio di Parvana, si alzò lentamente. Parvana scosse la polvere dalla coperta, la ripiegò e i due si incamminarono.
Per brevi tragitti suo padre riusciva a cavarsela soltanto con l’aiuto del bastone. Per tratti di strada più lunghi doveva sorreggersi a Parvana.
«Sei dell’altezza giusta» le diceva.
«Cosa faremo quando crescerò?»
«Crescerò anch’io con te!»
Suo padre aveva una protesi una volta, ma l’aveva venduta. Non era stata una cosa programmata. Le protesi dovevano essere fatte su misura, e l’arto adatto a una persona non necessariamente andava bene a un’altra. Ma quando un uomo aveva visto la gamba artificiale di suo padre sulla coperta, aveva ignorato qualunque altro oggetto in vendita e aveva detto che voleva comprare quella. Aveva offerto un prezzo così alto che suo padre alla fine aveva ceduto.
Adesso c’erano molte protesi in vendita al mercato. Da quando i talebani avevano ordinato alle donne di restare in casa, molti mariti avevano portato via alle loro mogli le gambe artificiali. «Non vai da nessuna parte, a cosa ti serve una protesi?» dicevano.
In tutta Kabul c’erano edifici distrutti dalle bombe. I quartieri si erano trasformati da case e uffici in mattoni e polvere.
Kabul era stata una bella città, un tempo. Nooria ricordava i marciapiedi, i semafori che cambiavano colore, le passeggiate serali verso i ristoranti e i cinema, il piacere di curiosare nei bei negozi alla ricerca di abiti e libri.
Per la maggior parte della vita di Parvana, la città era stata in rovina, e le era difficile immaginarla diversa. Le faceva male ascoltare i racconti della vecchia Kabul, quella di prima dei bombardamenti. Non voleva pensare a tutto quello che le bombe avevano spazzato via, compresa la salute di suo padre e la loro bella casa. La faceva arrabbiare, e dal momento che non poteva fare nulla della sua rabbia, la rendeva triste.
Lasciarono la zona affollata del mercato e svoltarono in una stradina secondaria. Parvana guidava suo padre con attenzione tra le buche e le fenditure del terreno.
«Quante donne in burqa riescono a camminare per queste strade?» gli chiese Parvana. «Come fanno a vedere dove mettono i piedi?»
«Spesso cadono, infatti» rispose suo padre. Era vero, Parvana le aveva viste cadere.
Guardò la sua montagna preferita. Si ergeva maestosa in fondo alla loro strada.
«Come si chiama quella montagna?» aveva chiesto al Papà non appena si erano trasferiti nel nuovo quartiere.
«Quello è il Monte Parvana.»
«Non è vero» aveva detto Nooria sprezzante.
«Non dovresti mentire alla bambina» aveva detto la Mamma. Tutta la famiglia era fuori a passeggio, prima dell’arrivo dei talebani. La Mamma e Nooria indossavano soltanto scialli leggeri sui capelli. I loro volti bevevano i...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Sotto il burqa
  4. Glossario
  5. Nota dell’autrice
  6. Nota dell’editore