Gli ultimi giorni di Leonardo
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Gli ultimi giorni di Leonardo

L'invenzione della Gioconda

  1. 288 pagine
  2. Italian
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Gli ultimi giorni di Leonardo

L'invenzione della Gioconda

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La mattina del 10 ottobre 1517 il cardinale Luigi d'Aragona e il suo segretario Antonio de Beatis salirono su una collina sulle rive della Loira verso il castello di Cloux. Non andavano a rendere omaggio a un membro della famiglia reale ma a un principe dell'arte, e per di più italiano. Quando Antonio de Beatis sistemerà sul suo diario i ricordi emozionanti della giornata, con la limpida grafia dei segretari, non immaginava di consegnare ai posteri l'ultimo vero ritratto dell'artista più amato, studiato e frainteso del mondo, Leonardo da Vinci. In quella giornata, che rappresenta uno dei momenti destinati a entrare nella Storia, Leonardo mostra al cardinale e al suo seguito tre quadri ai quali stava lavorando e che saranno gli ultimi che dipingerà prima di morire: la Sant'Anna, il San Giovannino e la Gioconda. E proprio le vicende legate a questi tre dipinti – i più complessi e tormentati dell'esigua produzione pittorica di Leonardo – ci conducono nel mondo del genio rinascimentale, ci svelano particolari inediti sul suo rapporto con i committenti e con gli artisti contemporanei e ce ne restituiscono un'immagine completamente nuova. Se Leonardo è un artista che non ha ancora finito di dire tutto quello che ha da dire, anche la Gioconda, il suo dipinto più noto e indagato, non ha ancora smesso di rivelarci i suoi segreti, se nel 2012 il Museo del Prado di Madrid ha annunciato una scoperta destinata a cambiare per sempre la storia dell'arte: esiste un'altra Gioconda, nata nell'atelier di Leonardo da Vinci. Cosa ci svela questo dipinto, tanto diverso da quello conservato al Louvre, del mondo di Leonardo? E perché è stato ignorato per oltre cinque secoli? Un viaggio sorprendente nei segreti di uno dei più misteriosi artisti di tutti i tempi, guidati da un suo profondo conoscitore col supporto di nuovi documenti, evidenze scientifiche e lucida passione.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2014
ISBN
9788858667064
Argomento
Art
Categoria
Art General

1

Lungo il fiume

Una giornata particolare

La mattina del 10 ottobre 1517 il cardinale Luigi d’Aragona, quarantatré anni consumati da una vita dissipata, saliva la collina più alta di fronte al castello di Amboise sulle rive della Loira, con il suo piccolo seguito di segretari e servitori. Le foreste di tigli che circondavano il castello ingiallivano, lasciando scorgere il fiume grigio. L’inverno era alle porte e dai tetti aguzzi di ardesia nera dell’edificio dove era diretto si levava il fumo dei giganteschi camini. Anche se non era confrontabile con la grandiosità del castello reale, la casa a due piani che stava per accoglierlo aveva una sua grazia ed eleganza, soprattutto se confrontata al tessuto urbanistico ancora medievale della cittadina ai suoi piedi. L’edificio aveva una pianta semplice: due ali parallele addossate a una torretta ottagonale terminavano con spioventi altissimi. Le facciate erano in mattoni rossi, incorniciati da pietre bianche ammorsate alla muratura. Le finestre erano molto ampie, divise da telai di pietra che sostenevano i vetri piombati e catturavano al meglio la luce avara del cielo nordico. Vent’anni prima il re di Francia Carlo VIII aveva acquistato l’edificio dal favorito del re precedente Etienne de Loup e l’aveva trasformato in una confortevole residenza, aggiungendovi una cappella gotica in tufo, dove la moglie Anna di Bretagna si ritirava a pregare per i suoi due figli morti bambini. Il dolore consumato dalla regina tra quelle mura non era riuscito a cancellare l’aspetto gioioso che Etienne aveva dato alla residenza con l’aiuto di valenti artigiani italiani e il giovane duca di Angoulême, futuro Francesco I, vi organizzò feste e tornei mentre vi risiedette con la sorella Margherita di Navarra e la madre Luisa di Savoia. Una residenza di tutto rispetto dunque che aveva all’interno ampli saloni luminosi, con soffitti lignei decorati e camini monumentali che fornivano sufficiente conforto nei freddissimi mesi invernali. Ma soprattutto il castelletto di Cloux offriva, con la sua esposizione e le ampie finestre, le condizioni ideali per uno studioso o un pittore. Quella mattina il cardinale e il suo segretario Antonio de Beatis non andavano a rendere omaggio a un membro della famiglia reale ma a un principe dell’arte e per di più italiano, Leonardo da Vinci. La sera il segretario del cardinale stese un piccolo resoconto di quella visita, rimasto incognito fino al 1876:
In uno de li borghi el Signore con noi altri andò ad veder M.r Lunardo Vinci fiorentino, vecchio de più di LXX annj, pictore in la età nostra excellentissimo, quale mostro ad Sua Signoria Ill.ma tre quatri. Uno di certa donna fiorentina facta di naturale ad istantia del quondam Mag.co Juliano de Medici. L’altro di San Joanne Bap.ta giovane et uno de la Madonna et del Figliolo che stan posti in grembo di S.ta Anna tucti perfectissimi. Ben vero che da lui per esserli venuta certa paralisi ne la dextra, non se ne puo expectare più cosa bona. Ha ben facto un creato Milanese chi lavora assai bene et benché il p.to M. Lunardo non possa colorir con quella dulceza che solea, pur serve ad far disegni et insignar ad altri. Questo gentilhuomo ha composto de notomia tanto particularmente con la demostratione de la pictura si de membri come de muscoli, nervi, vene, giunture, d’intestini et di quanto si può ragionar tanto de corpi de huomini come di donne, de modo non è stato mai anchora facto da altra persona. Il che habbiamo visto oculatamente et già lui disse haver facta notomia de più de XXX corpi tra mascoli et femine de ogni età. Ha anche composto de la natura de l’acque. De diverse machine et altre cose, secondo ha referito lui, infinità di volumi et tucti in lingua vulgare quali se vengono in luce saranno proficui et molto dilectevoli.1
Quando Antonio de Beatis sistemò con la limpida grafia dei segretari sul suo diario i ricordi emozionanti della giornata, non immaginava di consegnare ai posteri l’ultimo vero ritratto dell’uomo più amato, studiato e frainteso del mondo, Leonardo da Vinci.
La comitiva era in gita dal vicino castello di Amboise, dove il giovanissimo re Francesco I risiedeva molto spesso. Le feste che in quei mesi e in quel castello furono allestite dal re furono così straordinarie che gli ambasciatori italiani presso la corte francese si affrettarono a descriverle minuziosamente ai loro principi. Francesco I e il vecchio pittore Leonardo in quelle cronache apparivano complici come due bambini felici di stupire. La loro amicizia si giovava della possibilità di una frequentazione continua e discreta, facilitata secondo le cronache da un corridoio sotterraneo che collegava la residenza di Cloux al castello principale, permettendo al re di fare visita al pittore in ogni momento della giornata senza essere visto. Il tunnel sarebbe servito al re, più tardi, per fare visita alla sua bella amante Marie Babou de La Bourdaisière, che sistemò nel castello dopo la morte di Leonardo. Una prova sicura dunque che la residenza destinata al pittore era degna di grandissimo riguardo.
Il cardinale d’Aragona in visita ad Amboise non poteva trattenersi dall’andare a trovare il vecchio artista, nato nell’«oscuro borgo» di Vinci in Toscana sessantacinque anni prima. Il segretario del cardinale lo chiama «excellentissimo» e i dipinti che ammira confermano quella fama. Ma il vecchio artista italiano si affretta a mostrare anche altro ai suoi ospiti. Disegni di anatomia, di meccanica, di ottica e di varie altre scienze. Si sarebbe risentito molto se avesse letto quella designazione di «pictore», perché tutta la vita aveva combattuto per mettere in secondo ordine quel talento artistico che a ragione il mondo gli riconosceva come un dono divino. Presentandosi al duca di Milano, molti anni prima Leonardo si era fatto precedere non da un titolo professionale né da lettere di raccomandazione, ma dal secco elenco dei suoi talenti di ingegnere e di idraulico. Erano più o meno ancora quei talenti ad averlo portato in quel minuscolo borgo francese circondato da colline coltivate a vigne e frutteti. Il vino, già sulle mense dei palati meno esigenti, era robusto e asprigno, lontano dal corposo vino toscano a cui Leonardo era abituato, e che produceva con molto amore seguendo direttamente la sua coltivazione. Sparse tra i suoi appunti scientifici troviamo annotazioni e suggerimenti per migliorare la resa dei vigneti, concimandoli con la calcina secca e altre sostanze da lui sperimentate. Applicava anche alla cura delle sue vigne metodi innovativi di concimazione e coltura. Quel diverso gusto lo preoccupava soprattutto in cucina, dove le sue ricette cambiavano troppo vistosamente con gli ingredienti e lui doveva di nuovo sperimentare e ripensare, adattarsi agli ingredienti prodotti da una terra così lontana dalla sua, così avara del vino vermiglio che adorava, dell’olio e del grano delle colline toscane di cui si riforniva.
Francesco I lo ospitava pagandogli una ricca pensione e pagando anche la sua famiglia errante. Primo fra tutti Giacomo Capriotti di Oreno, detto Salai, il bellissimo garzone che lo aveva fatto innamorare venti anni prima, che era entrato nella bottega a soli dieci anni, nel 1490, e aveva tentato di diventare pittore oltre a essere amante e musa di Leonardo. Ma non aveva un gran talento, benché il maestro lo aiutasse con tanta pazienza, cedendogli i cartoni preparatori delle sue opere e correggendo egli stesso le pitture stentate del giovane.
Secondo la testimonianza del corrispondente di Isabella d’Este, già il 3 aprile 1501 «la vita di Leonardo è varia et indeterminata forte, si che apare vivere a giornata. Ha facto solo dipoi che è ad Firenze uno schizo in uno chartone… Altro non ha facto se non dui suoi garzoni fanno retrati, et lui a le volte in alcuno mette mano: dà opra forte alla geometria, impazientissimo al pennello».2 Più o meno le stesse cose racconterà Vasari, che non conobbe Leonardo ma che raccolse le testimonianze di chi lo aveva frequentato. Insieme a Salai nella casa di Cloux c’era anche Giovanfrancesco Melzi, bello anche lui e di maggior talento, stando alle poche testimonianze che ci ha lasciato della sua pittura. Nato in una buona famiglia milanese, Melzi era sufficientemente istruito per comprendere l’importanza delle decine di volumi di appunti scientifici che Leonardo accumulava da cinquant’anni nella speranza di ordinarli e pubblicarli. Proprio in lui, grazie alla sua condizione di gentiluomo, educato quindi alla lettura e alla speculazione, il maestro aveva riposto le speranze di una futura edizione dei suoi codici. Ma l’aspettativa di Leonardo non diede i frutti sperati. Melzi era un pittore piuttosto dotato e più che altro tentava disperatamente di avvicinarsi con il suo stile a quello del maestro. Inoltre il fatto che Leonardo non solo gli mettesse a disposizione i cartoni ma intervenisse direttamente nelle sue opere, ritoccando e aggiustando qua e là i brani più complessi della pittura, permetteva a Melzi (e a Salai con minor fortuna) di vendere ogni tanto qualche dipinto che poteva dirsi partorito dallo studio di Leonardo e quindi apprezzato quasi come opera del maestro.
Il segretario del cardinale d’Aragona coglie subito il maggior talento di Melzi, al quale Leonardo sembra delegasse gran parte di quella pittura che era ormai impedito a continuare per la leggera paralisi della mano destra. Anche Francesco I riconosce con uno stipendio più ricco la maggiore professionalità di Melzi, il quale tuttavia non sarà mai amato da Leonardo come il furbo Salai, bravo a spillargli soldi dal primo giorno che lo conobbe fino alla fine, visto che erediterà lui e non Melzi le ricchezze di Leonardo. Accanto ai due allievi e assistenti c’era anche Francesco, servitore e mastro di casa, che provvedeva alle incombenze domestiche con la devozione di una balia. Poi c’era la cuoca Mathurine, figura forse troppo leggendaria ma che sicuramente gestiva una grande cucina. La cucina era stata certo costruita per gli ospiti regali che avevano abitato il piccolo castello, ma fu senza dubbio la gioia di Leonardo, che qui dava libero sfogo alla sua passione per l’invenzione di nuove ricette e le vivande elaborate. I tre uomini che dividevano con lui la casa rossa con i tetti aguzzi costituivano la sua famiglia da più di vent’anni e lo seguivano nel suo irrequieto peregrinare.

Un pittore a corte

Il re si aspettava molto da Leonardo. Ne aveva sentito parlare continuamente a corte dai re precedenti e dai loro dignitari. Dieci anni prima, nel 1507, il pittore italiano era diventato un’ossessione per re Luigi XII, che ingaggiò personalmente una battaglia diplomatica per averlo a suo servizio, senza molto successo. Questa passione di Luigi per Leonardo spiega anche perché il giovanissimo Francesco, appena ventitreenne e incoronato re da appena due anni, fu così generoso con il pittore e così determinato nel prenderlo al suo servizio, accogliendolo in un castello in cui lui stesso aveva vissuto e concedendogli una pensione che nessun pittore italiano avrebbe mai ricevuto alla sua corte. Francesco I si sentì quindi più fortunato del re precedente, che non aveva potuto coronare il sogno di avere Leonardo al proprio servizio, e per questo elevò il pittore italiano con tanta risolutezza a un rango che non aveva mai avuto.
Leonardo stentava a esaudire le aspettative del suo protettore, così pieno di energia e di entusiasmo che tutta Europa si aspettava grandi cose dal suo futuro regno. Francesco era salito da pochissimo al trono di uno dei più potenti regni del mondo. Influente ma non sicuro, considerato che già a partire da quei mesi egli dovette ingaggiare battaglie sanguinose con un altro giovane e potente rivale: Carlo V d’Asburgo. I due giovani regnanti ugualmente potenti e ugualmente valorosi si affrontarono per i successivi trent’anni, rimanendo arbitri assoluti del destino d’Europa. Tuttavia mentre Carlo, erede di un grande regno ma anche di una grande malinconia, amava smodatamente il cibo e la solitudine, Francesco amava le feste allegre, capaci di suscitare meraviglia. Dieci giorni prima ne aveva data una nel castello di Argentan, non lontano da Cloux, durante la quale aveva impressionato gli ospiti aprendo con un colpo di verga un leone meccanico che aveva mostrato l’interno tutto dipinto di azzurro, colore dell’amore secondo i francesi.3 Anche quel coup de théâtre secondo alcuni fu partorito dal genio ludico del vecchio Leonardo.
Negli anni precedenti al suo arrivo in Francia, Leonardo era stato ospite a Roma in un appartamento piuttosto miserabile nel Belvedere vaticano, mantenuto con una pensione altrettanto miserabile se confrontata con quella elargitagli dal nuovo protettore. Ma la nuova condizione alimentava verso di lui aspettative importanti. Conosciamo solo alcune delle imprese in cui il re impegna Leonardo, ma sono sufficienti a misurare la considerazione regale per il vecchio ingegnere italiano, benché esausto e malato: una redditizia canalizzazione della regione della Sologne a sud della Loira, un nuovo castello reale da costruire a Morandine e, non ultime, scenografie e idee bizzarre per aggiungere il fasto italiano ai ricevimenti del vicino castello di Amboise.
I prestigiosi visitatori che andarono a trovarlo quel 10 ottobre lo trovarono immerso nel lavoro, nei tanti lavori che portava avanti contemporaneamente per la disperazione di chi lo circondava e lo doveva maggiormente assistere ora che la leggera paralisi gli impediva di dipingere con la mano destra, ma non di disegnare disinvoltamente con la sinistra. La bellezza leggendaria di Leonardo appariva appena offuscata dall’età. Portava ancora lunghi quei capelli che nella giovinezza, «inanellati» in boccoli che gli arrivavano sino al petto, erano stati oggetto di ammirazione. La calvizie aveva scoperto la fronte e i ricci erano spariti ma pure, vanitoso, li lasciava cadere fino alle spalle, dove si fondevano alla barba lunga e curatissima. Intatta, soprattutto, era rimasta l’eleganza che lo aveva reso celebre a Firenze, quando passava per strada con la tunica di seta rosa ornata con sfarzosi ricami importati dall’Oriente. L’abito, corto alle ginocchia e stretto in vita con una cintura, mostrava le gambe dritte e muscolose fasciate nelle calze colorate. Uno spettacolo bello quasi quanto i suoi dipinti. I capelli che gli cadevano fin sul petto coprivano spalle larghe da lottatore. Il profilo era regolare, con il naso dritto e ben rilevato e gli occhi piccoli nascosti dall’età sotto le folte sopracciglia. La sua ricercata eleganza non si era mai manifestata come una forma di effeminatezza, perché Leonardo aveva la forza di un Ercole ed era capace di piegare un ferro di cavallo con le mani. Era famoso per la cura dei vestiti almeno quanto lo era per la cura atletica del corpo possente, un originale incrocio di sensibilità intellettuale e prestanza fisica.
Nella Firenze sofisticata di Lorenzo dei Medici e Pico della Mirandola, Leonardo era stato l’arbitro e l’immagine stessa dell’eleganza, capace di insegnare modi e portamenti ai principi che lo ospitarono e non furono quasi mai all’altezza delle sue aspettative, continuando a chiedergli di dipingere come a uno qualsiasi dei maestri che stavano rendendo celebre l’arte italiana, mentre lui voleva fare altro. Voleva osservare e spiegare la natura, scoprire le risonanze segrete di quei sistemi nei quali, intuiva, era organizzata ogni forma vivente, la relazione tra la circolazione del sangue nel corpo umano e la circolazione della linfa nelle piante, la marea degli oceani e i flussi delle donne. Perfino i moti delle acque gli sembravano regolati dalle stesse leggi che governavano i ricci di una capigliatura femminile. Ogni fenomeno che gli passava sotto gli occhi ne evocava un altro e urgeva una spiegazione logica, una comprensione, suscitandogli una smania che gli bruciò la vita intera, divorandolo e sottraendolo a ciò che avrebbe fatto senz’altro felici gli uomini e ricchissimo lui: la pittura.
Soggiogato dall’idea di una legge cosmica che regolava ogni aspetto della natura secondo uno schema razionale e segreto, voleva verificare empiricamente quello schema, misurarlo e renderlo comprensibile per primo a se stesso, e forse, se ci fosse stato tempo, renderlo comprensibile agli uomini sistemando quelle migliaia di fogli scritti che secondo il segretario del cardinale Antonio de Beatis sarebbero stati per ogni mente colta «proficui e molto dilettevoli». Nel riposo del piccolo villaggio di Cloux, Leonardo poteva giovarsi finalmente del caldo dei camini monumentali, dove bruciava la legna della foresta della Loira senza risparmio. Poteva giovarsi della luce delle ampie finestre di pietra bianca e dell’attenzione dei suoi assistenti, che risolvevano per lui i problemi pratici grazie alle sovvenzioni reali. Poteva finalmente dedicarsi alla sistemazione delle sue ricerche, mettere ordine alle decine di volumi che aprì sotto gli occhi dei visitatori. Quel miraggio lo aveva attratto nella dorata e confortevole quiete della riva della Loira. Quando la corte non era ad Amboise, rimaneva solo, sotto il cielo grigio e basso della Francia. Aveva certo sperato che la solitudine agiata, la calma nebbiosa del fiume l’avrebbero aiutato a sistemare le sue ricerche scientifiche. Certo lo attrasse questa possibilità più che il conforto materiale del piccolo castello. La sua vorace e onnivora curiosità per i fenomeni naturali si era manifestata già quand’era giovanissimo e si era solo strutturata con più rigore andando avanti negli anni. Purtroppo per lui era inciampato in un talento sovrannaturale per la pittura e in committenti e protettori che non erano pronti a capire la sua voglia di rifondare la scienza naturale, di penetrare i segreti della meccanica, della geologia, dell’idraulica e dell’anatomia, per citare solo alcune delle imprese nelle quali si era imbarcato negli ultimi decenni. Poi c’erano la matematica, la fisica e perfino l’astronomia, nessun aspetto del mondo visibile e intellettuale gli era indifferente. Purtroppo questa sete di verità era troppo avanti per i tempi e la scienza era poco comprensibile ai principi e agli intellettuali, sensibili molto di più al sorriso inafferrabile che Leonardo faceva comparire sul volto delle sue donne dipinte. Un bel volto sorridente e un paesaggio che sfuma imprendibile nell’orizzonte montagnoso delle Alpi erano esperienza quotidiana di un re anche giovanissimo come Francesco I, che aveva chiesto al marchese di Mantova se si potesse avere uno di quei meravigliosi dipinti italiani, una Venere nuda possibilmente. Come pretendere che il re o i suoi ministri si interessassero alla dinamica dei flussi idrici o all’aerodinamica delle nuvole?

2

Nuovi esordi

Da Firenze a Milano

Il cardinale d’Aragona, come tutti quelli che avevano conosciuto Leonardo, per fama o per averlo incontrato, non si poteva stupire di trovare alla corte del re di Francia uno dei primi pittori italiani, dal momento che quel pittore aveva sempre frequentato le corti regali. La prima missione di Leonardo per conto del suo protettore Lorenzo dei Medici fu quella di presentare al duca di Milano, Ludovico il Moro, una lira da lui stesso costruita e che sapeva suonare meglio di qualsiasi altro musico. Questo accadeva nel 1482, quando l’artista, pure impegnato in alcune commesse molto importanti a Firenze, si sentiva già proiettato verso un futuro di ingegnere e progettista di opere belliche, oltre che di idraulica. Nella lettera con la quale si propone a Ludovico il Moro, Leonardo offre principalmente servigi di ordine bellico:
Ho modi di ponti leggerissimi e forti… So in la obsidione de una terra toglier via l’acqua… Item se, per altezza de argine o per fortezza di loco e di sito non si potesse in la obsidione de una terra usare l’officio de le bombarde… Ho ancora modi de bombarde comodissime e facile a portare… E quando accadesse essere in mare ho modi de molti instrumenti actissimi da offendere e defendere… Item ho modo per cave e vie secrete… Item farò carri scoperti… Item occorrendo di bisogno farò bombarde, mortari e passa volanti de bellissime e utile forme… Dove mancassi la operazione de le bombarde, componerò briccole, mangani trabucchi e altri instrumenti di mirabile efficacia… In tempo di pace credo satisfare benissimo a paragone de onni altro in architettura in composizione di edifici pubblici e privati… Item condurrò la sculptura di marmore di bronzo, e di terra similiter in pictura ciò che si possa fare a paragone di omni altro e sia chi vole, Ancora si poterà dare opera al cavallo di bronzo che sarà ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Premessa. La lente di Leonardo
  5. 1. Lungo il fiume
  6. 2. Nuovi esordi
  7. 3. Tre tavole
  8. 4. Una città ostile
  9. 5. Due giganti a corte
  10. 6. Sfumare la materia
  11. 7. L’invenzione della Gioconda
  12. 8. Leonardo dopo Leonardo
  13. Epilogo. Alle armi