Inchiesta su Maria (VINTAGE)
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Inchiesta su Maria (VINTAGE)

La storia vera della fanciulla che divenne mito

  1. 368 pagine
  2. Italian
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Inchiesta su Maria (VINTAGE)

La storia vera della fanciulla che divenne mito

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Ragazza ebrea visitata dall'angelo, sposa di un uomo che non era il padre di suo figlio, vergine e madre di Dio: Maria, poco citata nei vangeli e quasi assente negli Atti degli apostoli e nelle lettere di Paolo, rappresenta il cuore della fede cattolica. Corrado Augias dialoga con un grande studioso di mistica e storia delle religioni, Marco Vannini, per scavare in profondità nella storia e nel mito di Maria, toccando tutti gli aspetti che mettono la Madonna al centro dell'esperienza culturale e religiosa della nostra civiltà.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2014
ISBN
9788858673058

XIX

Poesia, musica, cinema

Nel culto di Maria, per come la sua figura è stata disegnata, c’è il rischio dell’elogio melenso, di una pietà sfibrata quale affiora, come abbiamo visto, in certe nenie e invocazioni popolari. La stessa pubblicistica cattolica sulla Madonna incorre non di rado in questo pericolo. Nel prepararmi a questo dialogo mi sono imbattuto in tomi all’apparenza imponenti, in realtà pieni di considerazioni molto modeste, di episodi compassionevoli di gusto infantile, comunque non all’altezza del personaggio, intendo della sua umana esistenza prima ancora di una sua eventuale missione celeste. Tralascio i nomi ovviamente, interessa il fenomeno anzi, prima ancora, le sue cause.
Si è tentati di dare ragione a quel filone di pensiero protestante secondo il quale il culto della Vergine col tempo si è addolcito oltre misura scivolando in una venerazione stucchevole, lacrimosa, priva di nerbo.
Un tempo non era così. Al contrario il culto di Maria, come abbiamo fugacemente accennato, nasce vigoroso, combattivo, se posso dirlo, «virile». Ne è specchio la sterminata letteratura sul suo conto, mi riferisco qui non ai testi teologici, liturgici, devozionali, bensì alla letteratura diciamo così profana, anche se distinguere in questo campo non è sempre facile.
Infatti se consideriamo solo la vera letteratura il tono del discorso cambia immediatamente. Forse vale la pena di limitarsi a parlare di questa, tralasciando la pubblicistica agiografica quasi sempre deludente. Si è mai chiesto perché sia così?
Confesso che m’interessa fino a un certo punto. Se proprio devo esprimermi sull’argomento, attribuirei questa possibile debolezza al vizio comune a tutta la saggistica apologetica, religiosa o politica che sia. Si tratta di ossequiare un canone, di rispettarne un indirizzo e questo costituisce di per sé un forte limite, nemmeno Maria sfugge alla regola.
Ma torniamo alla letteratura. Come nell’arte, anche nella letteratura Maria è continuamente presente. L’antologia – ripeto: un’antologia – di Testi mariani dell’editore romano Città Nuova, non ancora conclusa, conta fino a oggi dodici volumi di mille pagine ciascuno.
Ci sarà dentro di tutto.
In questo «tutto» non mancano le punte d’eccellenza.
Come riassumerebbe l’andamento, il tono, il livello dei vari testi attraverso le epoche?
Una prima osservazione potrebbe essere la seguente: in duemila anni di storia, anche la letteratura mariana ha seguito i mutamenti culturali via via intervenuti passando per conseguenza attraverso diverse fasi. Nell’antichità e per tutto il Medioevo la vediamo improntata alla fede tradizionale per cui si parla prevalentemente della Maria del cielo; con l’Umanesimo e il Rinascimento, pur restando rivolti alla Maria celeste, i testi cominciano a spostarsi verso la Maria della terra; nell’epoca moderna e soprattutto contemporanea, infine, si punta sugli aspetti che potremmo definire esistenziali, dunque sulla figura di Maria in quanto donna, sul dramma della sua vita terrena.
Non poteva essere altrimenti. Ogni forma espressiva, sia o meno d’arte, deve adeguarsi alla realtà verso cui si rivolge, allo spirito del suo tempo, il famoso Zeitgeist di cui parlano i tedeschi. Se le credenze religiose possono essere apparentate a quelle di una qualunque filosofia, si capisce bene come le espressioni artistiche che a una religione s’ispirano debbano seguire la medesima regola.
Nel nostro caso credo che il lungo tempo da lei esaminato renda il fenomeno particolarmente evidente.
Comincio dal Medioevo dove la forma più significativa e più bella è la lauda, la lode. La sua bellezza e profondità provengono dalla serietà dell’ispirazione che è quella dei movimenti penitenziali del Duecento, francescani in primo luogo. Non meraviglia che questo accada. Francesco è l’uomo che prese così seriamente il vangelo da poter essere chiamato Alter Christus, un secondo Cristo. Viene da lui una letteratura popolare, spesso anonima, intensa e suggestiva. La raccolta più celebre di laudi è quella di Cortona detta appunto Laudario cortonese; l’autore più noto è certamente Iacopone da Todi.
Povero Iacopone, ho già ricordato gli anni di prigione nei sotterranei della chiesa di San Fortunato a Todi che ho avuto occasione di visitare. Fu vittima dello scontro tra le correnti spiritualiste e le alte gerarchie vaticane.
Le laudi si diffondono a partire dalla Provenza, da quella civiltà imbevuta dell’eresia catara che fu sradicata con una violenta crociata e che è oggi spesso oggetto di ammirazione e rimpianto. Comtemptus mundi, disprezzo del mondo e senso della grazia divina, amore della bellezza, si trovavano riuniti in un unico sentire.
Credo che fosse proprio questa visione dolorosa, nella quale rientravano anche sessualità e procreazione, a far ritenere eretici gli autori di questi testi.
È la stessa visione che ritroviamo nella lauda. La figura di Maria, pensata giovane e bella, eredita l’immagine della donna gentile cantata dai provenzali, anche se originata da movimenti spirituali spesso convinti dell’imminente fine del mondo o comunque dell’approssimarsi di rivolgimenti apocalittici. È una cultura nella quale si diffondono appariscenti fenomeni penitenziali che arrivano all’autoflagellazione. Ingmar Bergman include una scena del genere nel suo capolavoro Il settimo sigillo.
La lauda è, appunto, una lode, che non rifiuta i toni apocalittici fondati sull’angoscia data dal male, dal peccato, o dalla peste, o dalle guerre (che del peccato e del demonio sono figlie), ma dove prevale comunque la fede.
Anche nel Cantico delle creature di san Francesco è ben presente la certezza della morte e la possibilità della dannazione eterna, ma lì prevale di gran lunga la gioia per la bellezza del mondo e la serenità per la presenza di Dio; non a caso anch’esso è una continua lauda: «Laudato si’, mi’ Signore, per… e per… e per…».
Sono d’accordo con lei. Francesco fu non solo grande poeta ma di così profonda e rasserenante ispirazione da includere nelle sue lodi perfino «Sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare».
E, siccome il Dio che si loda è il Padre, che ha operato la salvezza attraverso il Figlio, grazie a Maria, non meraviglia che le laudi siano spesso proprio laudi mariane e abbiano accenti di profondità e sincerità forse mai più raggiunti, sia che si rivolgano a Maria nella gioia e nella speranza, sia che compiangano il dolore di Maria per la sorte del figlio sulla croce. Le do due esempi. Gioia e speranza le leggiamo nel Laudario di Cortona:
Altissima luce col grande splendore,
in voi, dolze amore, agiam consolanza.
Ave, regina, pulzella amorosa,
[…]
stella divina virtù graziosa,
bellezza formosa: di Dio se’ sembianza!
Il dolore di Maria per la morte del figlio è nel celebre planctus di Iacopone:
Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è preso,
Iesù Cristo beato.
[…]
O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
[…]
Figlio perché t’ascundi
al petto o’ si’ lattato [dove sei stato allattato]?
Con Iacopone la lauda assume una forma drammatica, con parti distinte, dialoghi e monologhi, che fruttificherà nel teatro dei secoli successivi.
Nella seconda metà del Cinquecento alla forma drammatica, cioè dialogata, cui lei fa cenno, si aggiunse la musica. Fenomeno che parte da Roma e che segnerà le composizioni della Controriforma.
In questo cospicuo filone possiamo segnalare le laudi scritte da san Filippo Neri e musicate da Giovanni Pierluigi da Palestrina che daranno vita al genere musicale dell’«oratorio».
Ma prima di procedere nei tempi, mi lasci ricordare come sia la fede dei medievali a spiegare la bellezza dei loro scritti mariani. Il celebre inizio dantesco dell’ultimo canto del Paradiso, con la preghiera di san Bernardo alla «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura», già ricordata all’inizio della nostra conversazione, è assolutamente spoglia di retorica. Proviene da un immenso poeta che, pur essendo uomo dottissimo, dichiara che mattina e sera prega la Madonna: «Il nome del bel fior ch’io sempre invoco / e mane e sera» (Par, XXIII, 88-89). Del resto tutta la Divina Commedia è condotta su un registro mariano: dall’inizio, ove «Donna è gentil nel ciel» che viene in aiuto al poeta (Inf, II, 94), nel Purgatorio e fino al cospetto di Dio, Maria è una presenza costante. Anche in Dante è la donna gentile dei provenzali, e poi del dolce stil novo.
Ricordiamo anche Vergine bella che di sol vestita, che conclude il Canzoniere del Petrarca, giudicata da Giosuè Carducci la più bella poesia mariana.
Già, anche Carducci, il nostro fragoroso bardo nazionale, si è occupato di Maria. Com’è noto il poeta era un fiero anticlericale, posizione del resto non rara nell’Italia dei suoi anni. Il suo Inno a Satana è, se così posso dire, il «manifesto» che illustra la sua ideologia. A proposito della quale egli stesso tenne però a precisare: «Ogni qualvolta che fui tratto a declamare contro Cristo, lo fu per odio ai preti».
Completamente diverso infatti il suo atteggiamento verso Maria. Carducci è ad esempio l’autore dei versi struggenti della Chiesa di Polenta. Lo squillo della campana che chiama all’Ave Maria della sera: «l’umile saluto» a cui «i piccioli mortali scovrono il capo», ma cui «curvano la fronte» anche Dante e Byron. Lì si ricorda da una parte la funzione che la Chiesa ha svolto, in molti momenti dolorosi, nel tenere insieme la «itala gente dalle molte vite». Dall’altra i versi lasciano trapelare la profonda commozione («una soave volontà di pianto») al pensiero del rapporto tra l’effimero tempo della nostra vita e l’eterno.
Mi lasci dire che La chiesa di Polenta è una composizione dove più sono evidenti i difetti del nostro. Pesantezza dei riferimenti, contorsioni logiche, linguaggio artificioso e arcaicizzante. Quanto al rapporto tra la nostra effimera vita e l’eterno, quanto più efficaci e limpidi i versi di Leopardi nel Canto notturno di un pastore:
Dimmi, o luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a Voi? dimmi; ove tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?
In effetti le pagine più belle della letteratura mariana non sono quelle celebrative, sempre più o meno illanguidite dalla retorica, ma quelle in cui ci si rivolge a Maria come figura pacificante, confortante, mediatrice di grazia.
Penso, ad esempio, alla distanza non solo poetica ma di verità, tra la retorica degli Inni sacri del Manzoni – tutti, ma qui in particolare Il nome di Maria – e alcune pagine dei Promessi sposi, soprattutto quella in cui Lucia, prigioniera nel castello dell’Innominato, rivolge la sua preghiera alla Vergine.
Tutto sommato, professore, i testi poetici mariani di cui valga la pena parlare non mi pare che siano molti. Allargando lo sguardo, direi che sono i testi celebrativi in generale a non essere particolarmente degni di memoria.
Non sarei così severo anche perché, pochi o molti che siano, conta la qualità raggiunta in un registro indubbiamente «difficile» come la pietà religiosa, dove è sempre in agguato il rischio dell’invocazione melensa. Pensi alla canzone A la Beatissima Vergine di Loreto del Tasso, dove il poeta ringrazia la «Regina del Ciel, Vergine e Madre» per l’avvenuta liberazione dall’ospedale-prigione in cui era stato tenuto per sette anni dal duca di Ferrara.
Ma pensi anche agli accenti di verità che possiedono i riferimenti a Maria di autori non particolarmente devoti, anzi «maledetti», come François Villon, autore della celebre Ballade des pendus (Ballata degli impiccati), che nella sua bellissima Ballade pour prier Notre Dame invoca Maria mettendo in bocca alla madre il suo proprio sentire religioso:
Dame du ciel, régente terrienne,
emperière des infernaux palus,
recevez-moi, votre humble chrétienne,
que comprise soie entre vos élus,
ce nonobstant qu’oncques rien ne valus.
[…]
Femme je suis pauvrette et ancienne,
qui riens ne sais; oncques lettres ne lus.
Au mout...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Abbreviazioni
  5. Preambolo
  6. I - Carte in tavola
  7. II - La Vergine
  8. III - Terra d’Israele
  9. IV - Secondo Matteo, secondo Luca
  10. V - Il misterioso Giovanni
  11. VI - La bambina Maria
  12. VII - Uno sposo per Maria
  13. VIII - La nascita di Gesù
  14. IX - Il transito
  15. X - Il culto
  16. XI - I dogmi
  17. XII - La Grande Madre
  18. XIII - Maria femminista
  19. XIV - Le altre Marie
  20. XV - Sogni, visioni
  21. XVI - Apparizioni
  22. XVII - I tempi, i luoghi
  23. XVIII - I volti di Maria nell’arte
  24. XIX - Poesia, musica, cinema
  25. Maria: diversi livelli di comprensione - di Marco Vannini
  26. Una madre d’amore voluta dal popolo - di Corrado Augias
  27. Bibliografia
  28. Tavole