Viaggiando oltre il cielo
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Viaggiando oltre il cielo

I segreti del cosmo svelati dal primo italiano sulla stazione spaziale

  1. 320 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Viaggiando oltre il cielo

I segreti del cosmo svelati dal primo italiano sulla stazione spaziale

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Ancora oggi che i nostri astronauti si alternano sulla Stazione Spaziale Internazionale e attraverso i social network ci arrivano quasi quotidianamente meravigliosi scatti della Terra vista dalle stelle, il cosmo continua a stupirci e farci sognare. Abbiamo appena iniziato a lambirne gli spazi sconfinati e più ci inoltriamo nella sua esplorazione - con sonde lanciate oltre i confini del nostro sistema solare, telescopi sempre pi? potenti e precisi, missioni sempre più avveniristiche -, più comprendiamo quanto profondo e intatto resti il suo mistero. Umberto Guidoni, grande protagonista delle imprese spaziali e primo europeo ad aver messo piede sulla SSI, racconta la sua esperienza di astronauta con la freschezza di chi ha davvero toccato le stelle. Con storie di prima mano, aneddoti, curiosità e grande competenza scientifica, Guidoni ci spiega come si vive su una navetta spaziale, come nasce e muore un astro, ripercorre l'avvincente storia dell'esplorazione umana del cosmo e si spinge a tracciarne la possibile evoluzione futura. Sfogliare queste pagine significa imbarcarsi su un'astronave lanciata a gran velocità verso la più strabiliante e imponderabile delle avventure: lo Spazio infinito, le sue sfide, i suoi enigmi.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2014
ISBN
9788858672570

capitolo IV - VIVERE NELLO SPAZIO

«Fuori dal finestrino possiamo vedere un enorme vortice di nuvole nel mezzo dell’Oceano Pacifico o lo stivale d’Italia che si protende nel Mediterraneo oppure le barriere coralline che competono con la bellezza delle stelle. E […] proviamo le tipiche emozioni umane: soggezione, curiosità, stupore, gioia, meraviglia.»
Russell Schweickart
(Astronauta, 1935)

1. Lancio

Un grande balzo oltre il cielo

Lo Space Shuttle viene trasportato sulla rampa con diversi mesi di anticipo, ma il conto alla rovescia vero e proprio inizia alcuni giorni prima della data prevista per il lancio. L’ingresso dell’equipaggio nella cabina avviene circa tre ore prima. Nel breve tragitto dagli alloggi alla rampa gli astronauti vengono trasportati sul pulmino argentato della NASA (vedi il paragrafo Tute di lancio). Il convoglio viene scortato da auto della polizia con sirene e lampeggianti e viene protetto dall’alto da elicotteri che volteggiano a bassa quota. Si ha l’impressione di vivere le scene di un film d’azione. Con l’ascensore gli astronauti raggiungono il livello dove si trova la passerella mobile che collega la rampa al portellone della navetta. Come per l’imbarco sugli aerei di linea, prima di entrare a bordo c’è una zona coperta chiamata white room dove sono presenti alcuni tecnici che si occupano degli ultimi controlli sulla tuta e aiutano l’equipaggio a indossare l’imbracatura del paracadute.
Dal momento che la navetta si trova in posizione verticale, anche la semplice operazione di entrare nell’abitacolo è tutt’alto che scontata. Il portellone è talmente piccolo che si deve camminare carponi e poi, quando si entra, ci si trova in un ambiente diverso da quello di una comune cabina. Quello che abitualmente è il pavimento è diventata una parete da cui sporgono due file di sedili. Gli astronauti entrano uno alla volta e, aiutati da due tecnici, si arrampicano con una corda per raggiungere il proprio posto. I tecnici li aiutano anche ad allacciare le cinture e a collegare i tubi dell’ossigeno e i cavi del sistema di comunicazione radio.
Quando tutti i membri dell’equipaggio sono al loro posto cominciano le ultime verifiche. A turno, si prova il funzionamento delle radio, parlando prima con la sala di controllo del Kennedy Space Center e poi con il controllo della missione, a Houston, pronto a prendere le consegne subito dopo il lancio. Finalmente i tecnici che hanno assistito l’equipaggio si ritirano, chiudendosi alle spalle il portellone di accesso. Tutti gli esseri umani, eccetto quelli seduti nella navetta, si allontanano a una distanza di sicurezza di circa sei chilometri.
Il conteggio alla rovescia procede mentre l’equipaggio effettua i controlli finali e scambia informazioni, via radio, con il centro di controllo del lancio. La posizione è davvero scomoda, con il peso tutto caricato sulla schiena, la tuta che impedisce i movimenti e i muscoli che cominciano a intorpidirsi. Il tempo sembra passare lentamente e di tanto in tanto arrivano le voci dei tecnici che verificano gli ultimi bollettini meteo. Poi il direttore del lancio dà il via alla sequenza automatica e il controllo passa all’equipaggio dello Space Shuttle. Comandante e pilota iniziano le procedure interne e c’è appena il tempo per i saluti prima del silenzio radio, interrotto solo dallo scandire dell’ultimo minuto del conto alla rovescia. Quando si arriva a meno sei secondi si avverte un sordo boato 40 metri più in basso: è il rombo dei motori principali che si sono accesi e stanno producendo una densa nube che nasconderà per intero la navetta e la rampa. Non si tratta tanto del gas di scarico quanto dell’evaporazione dell’acqua contenuta in una grande piscina che, posizionata al di sotto della rampa, viene riempita pochi istanti prima del lancio. Quest’acqua serve a raffreddare la struttura metallica e a smorzare le vibrazioni.
La cabina comincia a vibrare e l’intera struttura si flette in avanti con uno stridente suono metallico. Quando il countdown, arriva allo zero i bulloni che tenevano ferma la navetta fino a quel momento vengono fatti esplodere mentre, con grande fragore, si accendono i due booster a combustibile solido. Lo Shuttle inizia lentamente a sollevarsi al di sopra della torre di lancio.
Da principio si innalza quasi a fatica, sembra che trascini il suo peso di oltre 2000 tonnellate; poi accelera progressivamente. Ben presto raggiunge la velocità supersonica e viene sparato nella stratosfera con un’accelerazione che arriva fino a 2 g (dove «g» sta a indicare un’accelerazione che ci fa pesare il doppio che sulla Terra), fino al momento del distacco dei booster, evento che tutti aspettano con il fiato sospeso dopo il disastro del Challenger. Per un brevissimo lasso di tempo si torna a pesare come sulla Terra, ma subito si riprende a tutta forza e la pressione sul torace comincia a farsi sentire, soprattutto per colpa della pesante tuta arancione. La navetta è già diventata più veloce di un proiettile ma continua a superare più volte la barriera del suono, fino a raggiungere una velocità che è decine di volte maggiore di quella di qualsiasi aereo. L’accelerazione si stabilizza attorno ai 3 g e rimane costante negli ultimi minuti; si avverte una sensazione di pesantezza, mai provata così a lungo, che rende difficile muovere la testa e persino respirare. Per usare la colorita immagine usata dagli astronauti: «È come avere un gorilla sul petto».
In poco più di otto minuti lo Shuttle consuma i 2 milioni di litri di ossigeno e idrogeno liquidi del gigantesco serbatoio arancione che, una volta svuotato, viene sganciato e si distrugge al rientro nell’atmosfera. Quando i motori si spengono, quasi di colpo, cessa il rumore e il senso di schiacciamento sparisce come per incanto. Ci si sente proiettati in avanti dall’improvvisa decelerazione, come nel caso di una brusca frenata. Le cinture di sicurezza trattengono il corpo legato al seggiolino ma, invece di tornare seduti, si rimane a galleggiare tra il seggiolino e le cinture. È la nuova, stranissima sensazione di sentirsi del tutto privi di peso.

2. Arrivo in orbita

Un caos controllato con vista sul cosmo

Quando arriva nello spazio, lo Space Shuttle ha esaurito il combustibile dei tre motori principali. ma continua a viaggiare per inerzia e, grazie al vuoto che lo circonda e all’assenza di attrito, può mantenere inalterata l’enorme velocità accumulata nella fase di lancio.
Resta però da effettuare qualche correzione per rendere circolare l’orbita intorno alla Terra. Per questa manovra si utilizzano i cosiddetti motori orbitali (Orbital Maneuvering System o OMS), i due motori a razzo, collocati sempre nella parte posteriore del veicolo, che possono funzionare anche nel vuoto grazie a particolari combustibili, i propellenti ipergolici.
I motori orbitali sono fondamentali anche al termine della missione, quando vengono accesi per rallentare la velocità del veicolo, in modo che venga catturato dal campo gravitazionale terrestre e possa iniziare la caduta verso l’atmosfera.
Appena stabilizzata l’orbita, nella cabina di pilotaggio dello Shuttle si completa la riconfigurazione dei sistemi di bordo, e, in particolare, si caricano nella memoria dei computer i programmi di navigazione per la fase orbitale. Intanto nel ponte inferiore (middeck) si assiste a una sorta di caos controllato. Per prima cosa occorre riconfigurare la cabina dello Shuttle per la nuova fase, che durerà qualche settimana: in assenza di peso, stare seduti non è facile e dunque i sedili non sono più necessari, per questo vengono smontati, ripiegati e sistemati negli esigui spazi disponibili in cabina. Uno dopo l’altro, anche gli astronauti si liberano dalle ingombranti tute arancioni e indossano vestiti più comodi, in genere magliette a maniche corte e pantaloncini. Nelle primissime ore dopo l’arrivo in orbita il middeck risulta insomma affollato di tute, caschi e sacchetti di indumenti che fluttuano dappertutto, mentre alcuni membri dell’equipaggio tentano di raccogliere questi oggetti vaganti dietro la rete elastica che è stata stesa su una delle pareti libere. Altri astronauti, intanto, montano i ventilatori per assicurare la corretta circolazione d’aria e attivano la toilette che, nelle primissime ore in cui il corpo si sta adattando all’assenza di peso, verrà usata molto di frequente. C’è anche da rimuovere un’ingombrante barra metallica posizionata nelle vicinanze del portellone: si tratta di un sistema ideato per velocizzare un’eventuale uscita di emergenza quando lo Shuttle si trova ancora nell’atmosfera. In caso di abbandono del veicolo, si può far saltare il portellone e la pertica può essere allungata fuori per agganciare il moschettone del paracadute e garantire un’uscita sicura, senza il rischio di urtare le ali della navetta.
Altra operazione cruciale, che va svolta nelle primissime fasi dopo l’arrivo in orbita, è l’apertura delle porte del vano di carico che viene così esposto al vuoto dello spazio. Lo Shuttle è paragonabile a un grande camion diviso in due sezioni: nella parte pressurizzata (cabina) vivono gli astronauti, mentre nell’ampia stiva (cargo bay) sono ospitati eventuali satelliti che devono essere messi in orbita o oggetti sperimentali progettati per essere utilizzati nel vuoto (come per esempio il satellite al guinzaglio, i piccoli telescopi o sistemi radar per l’osservazione della Terra). L’apertura delle porte della stiva è importante perché sulla loro parte interna sono montati i radiatori che devono essere esposti allo spazio per smaltire il calore accumulato e mantenere sotto controllo la temperatura della navetta. Se per qualche ragione non si possono aprire le porte della cargo bay, non si può rimanere in orbita e bisogna tornare a terra entro poche ore.
Una volta aperta la stiva e riorganizzato il ponte, l’equipaggio non resta certo con le mani in mano: occorre portare a termine ancora un numero cospicuo di operazioni per trasformare il veicolo in una piccola stazione adibita alla ricerca spaziale. Tra queste, ovviamente, c’è l’attivazione di una decina di computer portatili – molto simili a quelli normalmente in commercio – che verranno utilizzati per gestire i vari esperimenti, per attivare la mappa che fornisce la rotta della navetta e per usufruire dei servizi di mail con il centro di controllo.
Nel corso della missione in orbita, poi, gli astronauti potranno aver bisogno di correggere la rotta o di compiere manovre di rendez-vous con la Stazione Spaziale o altri veicoli, come il telescopio spaziale Hubble.
Oltre agli OMS, lo Space Shuttle può usare quarantaquattro piccoli razzi per controllare il suo assetto ed effettuare piccoli aggiustamenti di rotta. Non sempre, infatti, la navetta vola come un aeroplano, con le ali parallele all’orizzonte; il più delle volte orbita con la coda verso la Terra o addirittura a testa in giù, con la cabina rivolta verso la superficie del nostro pianeta. In questi casi, i razzi di assetto (Reaction Control System o RCS) vengono accesi in sequenze ben determinate, per portare a termine la manovra richiesta.
Quando la cabina si trova rivolta verso la Terra, lo spettacolo di cui godono gli astronauti dall’interno è davvero magnifico; purtroppo, almeno nelle prime ore di una missione, come avrete intuito non c’è davvero molto tempo per osservarlo e perdersi in fantasticherie…

3. Assenza di peso

Come cadere in ascensore

Spesso si sente dire che gli astronauti galleggiano nello spazio perché sono in assenza di gravità. Si tratta di un’affermazione sbagliata ed è facile dimostrare perché. Partiamo dalla constatazione che la Luna percorre la sua orbita intorno alla Terra a causa dell’attrazione gravitazionale che il nostro pianeta esercita su di essa. Se la Luna, che si trova a poco meno di 400.000 chilometri di distanza, risente della forza di gravità della Terra, perché non dovrebbe risentirne lo Space Shuttle che si trova ad appena 400 chilometri?
La risposta è che ne risente eccome! Infatti, esattamente come la Luna, percorre un’orbita intorno alla Terra ma per completarla impiega solo novanta minuti (invece di ventotto giorni). Senza la forza di gravità, la navetta non rimarrebbe in orbita ma proseguirebbe la sua corsa in linea retta allontanandosi per sempre dalla Terra.
Ma allora, se c’è la gravità, perché gli astronauti galleggiano nella cabina della navetta?
Ci sono diversi modi per rispondere a questa domanda.
La forza di gravità è bilanciata dalla forza centrifuga generata dalla rapida rotazione compiuta dalla navetta intorno alla Terra. I veicoli spaziali si muovono infatti alla velocità di 28.000 chilometri l’ora, e questo valore è calcolato proprio in modo che la forza centrifuga risultante possa bilanciare l’attrazione gravitazionale della Terra. Si tratta di un equilibrio delicato: basta una variazione anche modesta della velocità perché prevalga la gravità, cosa che farebbe ricadere la navetta sulla Terra, oppure domini la forza centrifuga, con il rischio di far «uscire» definitivamente lo Shuttle dall’orbita terrestre.
In altre parole, all’interno della cabina gli astronauti galleggiano perché la forza netta (forza di gravità meno forza centrifuga) che agisce su di loro è nulla e provoca un’accelerazione che è uguale a 0 g. Con il termine «g» in fisica non si parla di «gravità» ma si identifica un valore di accelerazione: sappiamo che 1 g equivale all’accelerazione sperimentata da tutti i corpi sulla superficie della Terra, ma è scorretto concludere che 1 g sia la gravità stessa.
Quando si usa il termine 0 g si intende un’accelerazione pari a zero, non gravità uguale a zero: dunque la situazione all’interno dello Space Shuttle non è di assenza di gravità, bensì di assenza di accelerazione. In realtà, in termini tecnici si preferisce parlare di μg, ovvero di milionesimi di g. Questo vuol dire che l’accelerazione presente, pur non essendo esattamente zero, è comunque milioni di volte inferiore all’accelerazione che si avverte sulla Terra e che ci fa «sentire» tutto il nostro peso. Per questo gli scienziati parlano di micro-g, un termine che può generare confusione e far pensare che nello spazio non ci sia la gravità.
Un altro modo, forse più intuitivo, di rispondere alla domanda è pensare a come si manifesta il peso. Può aiutarci l’esempio dell’ascensore. Supponiamo di salire su una bilancia in un ascensore fermo: il nostro peso è identico a quello che misuriamo a casa. Quando l’ascensore comincia a salire, proprio alla partenza, ci sentiamo schiacciati per un attimo; in quel momento la bilancia segna un peso leggermente maggiore. Analogamente, appena comincia a scendere ci sentiamo più leggeri e la bilancia segna leggermente meno del peso che misuriamo da fermi. L’effetto si avverte solo all’inizio, quando l’ascensore modifica la sua velocità, cioè quando subisce un’accelerazione: positiva quando sale o negativa quando scende.
Immaginiamo di stare all’ultimo piano di un grattacielo e di lasciar cadere la cabina dell’ascensore senza alcuna corda o freno. L’ascensore cadrebbe con un’accelerazione di gravità identica a quella con cui cadremmo noi e la bilancia. In questo caso la bilancia misurerebbe esattamente zero, ovvero ci troveremmo senza peso come nello spazio. Questa situazione si definisce «caduta libera» e possiamo affermare che in caduta libera il peso svanisce. Ovviamente sulla Terra la caduta libera, prima o poi, si interrompe e quando raggiungiamo il piano terra le conseguenze potrebbero essere spiacevoli. In orbita, invece, si può cadere continuamente, purché si viaggi alla velocità giusta. Come è possibile? Cerchiamo di capirlo con un esperimento suggerito dallo stesso Newton per studiare la traiettoria di un proiettile di cannone lanciato da una torre. Aumentando la potenza del cannone, aumenterà anche la velocità del proiettile, che comincerà a cadere sempre più lontano dalla torre. Ci sarà una particolare velocità per cui il proiettile non ricade a terra ma riesce a percorrere un’orbita intorno alla Terra. Per valutare questa velocità dobbiamo osservare la curva dell’orizzonte terrestre: guardando abbastanza lontano noteremo che la superficie terrestre si abbassa di circa 5 metri quando ci spostiamo di 8000 metri in linea retta. Sappiamo che in caduta libera si percorrono circa 5 metri in un secondo, quindi per non cadere al suolo bisogna percorrere, nello stesso tempo, una distanza di 8 chilometri: cioè viaggiare a una velocità di 8 chilometri al secondo.
E questa è proprio la velocità a cui viaggiano lo Space Shuttle e tutti i veicoli che si muovono in orbita attorno alla Terra (espressa in altri termini, si tratta proprio della velocità di 28.000 chilometri l’ora). Possiamo dunque affermare che gli astronauti in orbita stanno cadendo insieme alla navetta e, come nell’ascensore del nostro esempio, hanno peso uguale a zero. A differenza dell’esempio dell’ascensore, tuttavia, non ci si accorge della caduta perché, mentre la navetta si muove verso la superficie terrestre, procede in avanti a grandissima velocità e riesce a percorrere un’orbita circolare intorno alla Terra.

4. Effetti sul corpo umano

Leggeri, ma anche invecchiati

In orbita molti fenomeni fisici, anche quelli più comuni, subiscono importanti cambiamenti a causa dell’assenza di peso. In particolare, la fisiologia umana risulta modificata, sia per gli effetti che si manifestano appena si arriva in orbita, sia a causa di fenomeni cumulativi che si evidenziano nel caso di lunghe permanenze in volo.
Quando ci si trova a galleggiare in cabina, i normali riferimenti come «sopra» o «sotto» non hanno più significato e il cervello rischia di confondersi. Sulla Terra per avere informazioni sulla posizione del corpo in relazione al mondo circostante il cervello ha imparato a elaborare i segnali combinati provenienti dagli occhi, dal sistema vestibolare nelle orecchie e dal tatto, che segnala il contatto con oggetti e soprattutto con il pavimento. Nello spazio, il sistema dell’equilibrio e quello del tatto non funzionano (non esiste una direzione privilegiata per il sistema vestibolare e non si può toccare il pavimento con i piedi o sentire la sedia quando si sta seduti) e, per questo, le informazioni della vista sono in conflitto con quelle che il cervello riceve dagli altri sensi. Questo provoca un senso di nausea definito come «mal di spazio», che può avere le stesse conseguenze del più noto mal di mare. A questa sensazione di malessere contribuisce anche lo spostamento verso l’alto dei fluidi del corpo.
Nello spazio gli astronauti hanno spesso il viso gonfio, perché una maggior quantità di liquidi si sposta nella parte superiore del corpo. Questo spostamento del sangue e degli altri fluidi provoca mal di testa, come quando sulla Terra si sta troppo tempo a testa in giù, e una sensazione di pesantezza e di occlusione delle cavità facciali, come si avverte quando si è raffreddati. Le parti inferiori del corpo, invece, subiscono una modifica in senso opposto e le gambe diventano più sottili, le cosiddette «gambe da uccello». In queste condizioni il corpo percepisce un’eccedenza di fluidi nella zona del torace e della testa. I sensori che si trovano nei polmoni e nel cuore sono in grado di rilevare questa situazione anomala e inviano messaggi ai reni per eliminare i liquidi in eccesso. Come conseguenza, gli astronauti non avvertono la sete e tendono a bere molto meno del normale. Ricordo di non avere bevuto nulla e di non aver toccato cibo nelle prime ventiquattr’ore in orbita. Di conseguenza i fluidi del corpo si riducono...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. Introduzione
  6. CAPITOLO I – IL COSMO
  7. CAPITOLO II – LE MISSIONI SPAZIALI
  8. CAPITOLO III – GLI ASTRONAUTI
  9. CAPITOLO IV – VIVERE NELLO SPAZIO
  10. CAPITOLO V – IL FUTURO
  11. GLOSSARIO