Come funziona Google
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Come funziona Google

  1. 378 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Come funziona Google

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Eric Schmidt, Executive Chairman ed ex CEO di Google, e Jonathan Rosenberg, già Senior VP per i Prodotti, entrarono in Google più di dieci anni fa, come manager di esperienza nel settore tecnologico. A quel tempo, la società era già nota per "fare le cose in modo diverso", riflettendo i principi visionari – e spesso in controtendenza – dei fondatori Larry Page e Sergey Brin; così non ci misero molto a capire che per avere successo avrebbero dovuto imparare da capo tutto quello che pensavano di sapere sul management e sul business. Oggi Google è un'icona globale che sposta continuamente in avanti i confini dell'innovazione in molteplici campi e Come funziona Google è un testo brillante e coinvolgente con le lezioni che Eric e Jonathan hanno appreso mentre contribuivano a costruire la società. Gli autori spiegano come la tecnologia ha spostato la bilancia del potere dalle imprese ai consumatori e che il solo modo per avere successo in questo ambiente in continuo mutamento è creare prodotti superiori e attirare una nuova razza di collaboratori poliedrici, i "creativi smart". Affrontando temi quali cultura aziendale, strategia, decision making, comunicazione e innovazione, essi illustrano le loro massime di gestione con numerosi aneddoti interni dalla storia di Google, molti dei quali vengono raccontati qui per la prima volta.

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Informazioni

Editore
ETAS
Anno
2014
ISBN
9788858673119
Argomento
Business
Tigre pittrice

Talento

Assumere è la cosa più importante che possiate fare

Un giorno di febbraio del 2000, mentre si recava a Mountain View per sostenere un colloquio con Sergey per il ruolo di product leader in Google, Jonathan pensava che si sarebbe trattato di una mera formalità. Si trovava bene nel suo ruolo di senior vice president in Excite@Home, e non era sicurissimo di voler cambiare azienda. Ma se l’avesse fatto, gli sarebbe piaciuto diventare un esperto di ricerca e pubblicità online, e quella posizione gli era stata raccomandata da John Doerr, partner di Kleiner Perkins e consigliere di amministrazione sia di Google sia di Excite@Home. Quindi il lavoro era sicuramente suo, e probabilmente Sergey avrebbe usato il colloquio per convincerlo ad accettarlo.
Poi è entrato nell’affollato ufficio che si affaccia sulla Bayshore Parkway, a un tiro di schioppo dalla 101, e ha seguito Sergey in una sala riunioni. Dopo i convenevoli di rito, Sergey gli ha posto una delle sue domande preferite: “Potresti insegnarmi una cosa complicata che non so?”. Jonathan era laureato in economia alla Claremont McKenna ed era figlio di un economista di Stanford, perciò, superata la sorpresa, si mise alla lavagna a parete per dimostrare la legge economica secondo cui la curva dei costi marginali incontra la curva dei costi medi nel punto minimo di quest’ultima, dividendola a metà. Pensava di fare bella figura con Sergey spiegandogli come usare le funzioni dei costi e dei ricavi per individuare il livello ottimale di produzione e di profitto massimizzando le quantità di output dell’azienda. (Per i laureati in economia, sono segreti d’alcova.) Poi, però, si è reso conto, mentre Sergey trafficava con i suoi Rollerblade e guardava fuori dalla finestra, che non gli stava dicendo nulla di nuovo. Non gli stava insegnando nulla, la legge economica in questione non era interessante e probabilmente Sergey – un mago della matematica – conosceva già il calcolo necessario per risolvere le formule economiche scritte sulla lavagna. Doveva cambiare tattica subito. Perciò ha interrotto la lezione di economia e si è dedicato a un nuovo argomento: il corteggiamento. Ha iniziato con una spiegazione di come “buttare l’amo” usando il suo metodo “brevettato” per ottenere il primo appuntamento e citando come caso di studio la moglie.1 Sergey ha cominciato a mostrarsi interessato, e Jonathan ha avuto il posto.2
Se chiedeste ai manager di alcune grandi imprese: “Qual è la cosa più importante che fate al lavoro?”, quasi tutti risponderebbero automaticamente “Partecipare alle riunioni”. E se rincaraste la dose, precisando: “No, non la più noiosa; la più importante, probabilmente reagirebbero citando uno dei principi standard che hanno appreso alla business school, tipo “Sviluppare strategie intelligenti e creare sinergie opportunistiche per accumulare effetti finanziari accrescitivi in un mercato sempre più competitivo”. Immaginate ora di porre la stessa domanda a dei grandi allenatori. Anche loro stanno in riunione tutto il giorno, ma probabilmente vi risponderebbero che la cosa più importante è reperire e ingaggiare i migliori giocatori che ci sono in giro. I bravi direttori sportivi sanno che nessuna strategia può sostituire il talento, e ciò vale nel business come sui campi di gioco. Andare a caccia di talenti è come radersi: se non lo fate tutti i giorni, si vede.
Per un manager, la risposta giusta alla domanda “Qual è la cosa più importante che fai al lavoro?” è assumere. Quel giorno, quando intervistava Jonathan, Sergey non stava solo espletando una formalità: stava svolgendo un ottimo lavoro. All’inizio, Jonathan attribuiva quell’atteggiamento al fatto che lui avrebbe avuto un ruolo senior e avrebbe lavorato a stretto contatto di gomito con Sergey; ma quando è entrato in Google si è reso conto che i leader dell’azienda intervistavano tutti i candidati con la medesima cura. Chiunque fosse l’intervistato, un ingegnere del software appena uscito dal college o un senior manager, per i Googlers era una priorità assoluta investire il tempo e le energie necessarie per l’acquisizione dei migliori talenti.
Forse penserete che questo livello di impegno sia comune. Tuttavia, anche se quasi tutti i manager arrivano a occupare quelle posizioni con il classico processo di selezione – invio del curriculum, contatto telefonico, colloqui, altri colloqui, trattativa, accettazione – una volta assunti sembrano fare tutto il possibile per evitare di essere coinvolti nell’assunzione di qualcun altro. La selezione spetta ai selezionatori. L’analisi dei curriculum si può delegare agli assistenti o a qualcuno delle risorse umane. L’intervista è una rottura di scatole. Quel modulo di valutazione è così lungo e complicato che la sua compilazione slitta inevitabilmente al tardo pomeriggio di venerdì, quando i dettagli del colloquio sono ormai svaniti. Perciò gli intervistatori buttano giù un rapporto superficiale e sperano che i colleghi facciano un po’ meglio con il loro rapporto di intervista. Più si sale, in quasi tutte le organizzazioni, più i dirigenti prendono le distanze dal processo di selezione. Dovrebbe essere il contrario.
C’è un altro aspetto, ancora più importante, che distingue il processo di selezione efficace nel Secolo di Internet: il modello tradizionale è gerarchico; il manager decide a chi deve andare quella posizione, mentre gli altri membri del team dicono la loro e i dirigenti senior approvano formalmente qualunque decisione prenda il manager. Il problema di questo approccio è che quando il neoassunto entra in azienda, il modello operativo è (o dovrebbe essere) collaborativo, caratterizzato da elevati livelli di libertà e di trasparenza, con pochissimo riguardo per il grado formale. Dunque il manager ha preso da solo una decisione che incide sensibilmente su vari team.
C’è un’ulteriore ragione che spiega perché la selezione gerarchica non funziona: i leader (e gli autori di libri di management) dicono spesso di voler assumere persone più in gamba di loro, ma in un processo gerarchico ciò avviene molto raramente. La decisione apparentemente razionale “prendiamo questo tizio perché è così intelligente” viene usurpata quasi sempre dalla decisione più emotiva “ma potrebbe essere più bravo di me e farmi fare cattiva figura, dopodiché non verrò promosso, i miei figli mi giudicheranno un perdente e mia moglie se ne andrà con quel tizio che lavora alla caffetteria Peet’s, portandosi via il cane e il pick-up”. In altre parole, si mette di mezzo la natura umana.
I fondatori di Google hanno capito fin da subito che per assumere costantemente le persone migliori, il modello da seguire non era quello delle grandi imprese americane, ma quello delle università. Di solito gli atenei non licenziano in massa i professori, perciò investono molto tempo nell’ottimizzare il processo di selezione e promozione dei docenti, quasi sempre tramite dei comitati.
Ecco perché siamo convinti che la selezione dovrebbe avvenire su base paritaria, anziché gerarchica: le decisioni dovrebbero essere prese da comitati, e il processo dovrebbe mirare a portare in azienda le persone professionalmente più valide, anche se la loro esperienza non è necessariamente in linea con uno dei ruoli vacanti.
Eric ha assunto Sheryl Sandberg anche se non aveva già pronta una posizione per lei. Sheryl non ci ha messo molto ad assumersi il compito di costruire il nostro piccolo team di vendita, un ruolo che non esisteva formalmente finché non ha contribuito a crearlo. (Poi se n’è andata ed è diventata COO di Facebook e autrice di bestseller. Quando si assumono dei creativi smart, alcuni di loro finiscono inevitabilmente per crearsi delle opportunità attrattive al di fuori dell’azienda. Ne riparleremo più avanti.) In un processo di selezione “orizzontale”, l’enfasi sta sulle persone e non sull’organizzazione. I creativi smart contano più del ruolo; l’azienda conta più del manager.
“I dipendenti sono il nostro asset più importante” è un cliché ormai logoro, ma per costruire un team di creativi smart che siano veramente all’altezza dello slogan non basta pronunciare queste parole: bisogna cambiare il processo di selezione dei membri del team.
Il bello di questi cambiamenti è che li può mettere in atto chiunque. Alcune delle raccomandazioni che abbiamo fatto in precedenza in tema di cultura potrebbero risultare difficili da applicare regolarmente, ma chiunque può cambiare i propri meccanismi di selezione. Il brutto è che per assumere bene ci vogliono tempo e fatica. Ma è il miglior investimento che si possa fare.

L’EFFETTO GREGGE

Oltre ad assicurare un’ottima performance, una forza lavoro di professionisti attrae altri validi professionisti.3 I collaboratori di alto profilo hanno un istinto gregario: tendono ad attirarsi a vicenda. Prendetene alcuni, e potete star certi che ne arriveranno tanti altri. Google è nota per i suoi straordinari benefit, ma quasi tutti i nostri creativi smart non sono venuti da noi per i pasti gratuiti, i massaggi pagati dall’azienda, i prati all’inglese o gli uffici in cui sono ammessi i cani. Sono venuti da noi perché volevano lavorare con i migliori creativi smart.
Questo “effetto gregge” può operare in entrambe le direzioni: mentre gli A tendono ad assumere degli A, i B non assumono solo dei B, ma anche dei C e dei D. Perciò, se compromettete gli standard o commettete un errore e assumete un B, di lì a poco avrete in azienda dei B, dei C e persino dei D. E quale che sia il suo impatto – positivo o negativo – sull’azienda, l’effetto gregge si amplifica quando i dipendenti sono dei creativi smart e l’azienda è giovane. In questo caso, l’importanza relativa di ciascuno viene ad aumentare; i primi dipendenti sono i più importanti. E quando mettete delle persone di qualità insieme ad altre persone di qualità, create un ambiente in cui metteranno in comune le idee e ci lavoreranno sopra. Ciò è sempre vero, ma soprattutto in un ambiente nuovo.
Un effetto gregge positivo si può orchestrare. “You’re brilliant, we’re hiring” (“Tu sei brillante e noi assumiamo”), lo slogan che campeggia nelle inserzioni di Google,4 era una vecchia battuta marxista. Non di Karl, ma di Groucho Marx, e doveva ispirare una risposta del tipo: “Sì, voglio far parte di questo club che è disposto ad accettarmi come membro!”. Il nostro intento era far sapere al mondo che avevamo fissato l’asticella molto in alto, e anziché dissuadere i candidati, quello slogan è diventato un mezzo di reclutamento. Jonathan teneva una pila di curriculum delle persone che aveva assunto sulla scrivania, e quando voleva convincere un candidato tirava fuori i curriculum e gli faceva vedere di che pasta erano fatti i suoi futuri colleghi. Non solo il meglio del meglio, ma proprio tutti. Era un club di cui i creativi smart volevano far parte quasi sempre. Perciò fissate l’asticella molto in alto fin da subito, e poi gridatelo ai quattro venti.
Questa regola è particolarmente importante per gli specialisti di prodotto, perché possono avere un impatto fortissimo. Selezionateli con la massima cura, e se il processo che avete adottato garantisce l’eccellenza nel prodotto intorno al quale è costruita l’azienda, quell’eccellenza si estenderà a tutti gli altri team. L’obiettivo è creare una cultura della selezione in grado di resistere al canto delle sirene del compromesso, un canto che diventa sempre più forte nel turbinio caotico della ipercrescita.

LE PERSONE APPASSIONATE NON USANO QUELLA PAROLA

Una caratteristica distintiva dei creativi smart è la passione. Credono molto in quello che fanno. Come si fa a capire se qualcuno ci crede davvero, visto che le persone veramente appassionate non usano spesso la parola “passione”? Nella nostra esperienza, tantissimi candidati all’assunzione hanno capito che la passione è una caratteristica molto desiderata. Quando il candidato esordisce con un’affermazione scontata come “Sono appassionato di…” e poi cita cose generiche come i viaggi, il football e la famiglia, può darsi benissimo che la sua unica e vera passione sia ripetere in continuazione questa parola durante i colloqui di selezione.
Le persone appassionate non esibiscono la propria passione; la portano nel cuore. La vivono. La passione va oltre il curriculum, perché i suoi elementi costitutivi – tenacia, coraggio, serietà e dedizione totale – non si possono desumere da una checklist. E non è sempre sinonimo di successo. Se una persona è veramente appassionata di qualcosa, continuerà a portare avanti quella passione anche se inizialmente non ha successo. L’insuccesso fa parte del gioco. (È una delle ragioni per cui apprezziamo gli atleti: perché lo sport insegna a riprendersi dalle sconfitte, o quantomeno offre tantissime opportunità per farlo.) La persona appassionata parla spesso diffusamente, per non dire unicamente, dei suoi progetti. Che possono essere dei progetti professionali. Nel nostro mondo, il “perfezionamento della ricerca” è una tipica passione a cui si può dedicare la carriera, trovando nuovi stimoli ogni giorno. Ma possono essere anche degli hobby. Andy Rubin, il creatore di Android, ama i robot (e oggi dirige gli esperimenti di Google in quell’area). Wayne Rosing, il primo capo degli ingegneri di Google, ama i telescopi. Il capitano Eric ama gli aerei e il volo (e i racconti di volo).
Il più delle volte, queste passioni apparentemente extracurriculari possono apportare benefici addizionali all’azienda. La straordinaria Sky Map di Android è un’applicazione astronomica che trasforma un telefono in una mappa stellare. È stata costruita da un team di Googlers nel tempo libero (quello che chiamiamo “20 per cento di tempo” – vedi oltre), non perché i suoi componenti fossero particolarmente appassionati di programmazione, ma perché erano entusiasti astronomi dilettanti.5 Siamo rimasti molto colpiti anche da un candidato che studiava il sanscrito, e da un altro che amava riparare i vecchi flipper. Il loro profondo interesse li rendeva molto interessanti; ecco perché nei colloqui la nostra filosofia non è “Non lasciare che siano loro a cominciare”. Quando si parla delle cose a cui tengono di più, noi vogliamo che siano loro a cominciare.
E quando iniziano a parlare, ascoltateli con la massima attenzione. Fate caso al modo in cui estrinsecano la loro passione. Per esempio, gli atleti possono essere appassionatissimi, ma volete il triatleta o l’ultra maratoneta che gareggia sempre da solo, o un giocatore di squadra che si allena con un gruppo? L’atleta è solitario o socievole, esclusivo o inclusivo? Quando i candidati parlano della propria esperienza professionale, conoscono le risposte giuste a queste domande: la maggior parte dei dipendenti non ama lavorare da sola. Quando però li fate parlare delle loro passioni, la guardia si abbassa quasi sempre e potete farvi un’idea un po’ più precisa della loro personalità.

ASSUMETE ANIMALI DA APPRENDIMENTO

Pensate ai vostri dipendenti. Quali di loro sono davvero più intelligenti di voi? Quali di loro non vorreste incontrare davanti a una scacchiera, in una puntata di “Jeopardy!” (un celebre telequiz, molto popolare negli Stati Uniti, n.d.t.) o in una gara di parole incrociate? La regola aurea dice di assumere sempre persone più intelligenti di voi. Ma fino a che punto la seguite?
È una regola che vale ancora, ma non per le ragioni più ovvie. Naturalmente le persone intelligenti sanno un mucchio di cose, e quindi possono fare meglio di chi ha capacità intellettuali meno brillanti delle loro, ma non assumetele per le conoscenze che possiedono; assumetele per le cose che non sanno ancora. Ray Kurzweil ha detto che “l’information technology sta crescendo esponenzialmente… E le nostre intuizioni sul futuro non sono esponenziali, ma lineari”.6 Nella nostra esperienza, la mera capacità intellettuale è il punto di partenza per qualunque pensatore esponenziale. L’intelligenza è l’indicatore più attendibile della capacità di una persona di gestire il cambiamento.
Tuttavia non è l’unico ingrediente. Conosciamo tante persone brillantissime che, di fronte all’ottovolante del cambiamento, sceglieranno invece il più rassicurante giro sulle tazzone da tè. Preferiscono evitare tutti quegli sballottamenti; fuor di met...

Indice dei contenuti

  1. Come funziona Google
  2. Copyright
  3. Dedica
  4. Indice
  5. Prefazione
  6. Introduzione: Lezioni dalla prima linea
  7. Cultura: Credete nei vostri slogan
  8. Strategia: Il vostro piano è sbagliato
  9. Talento: Assumere è la cosa più importante che possiate fare
  10. Decisioni: Il vero significato del consenso
  11. Comunicazioni: Essere un router dannatamente buono
  12. Innovazione: Create il brodo primordiale
  13. Conclusioni: Immaginate l’inimmaginabile
  14. Ringraziamenti
  15. Glossario
  16. Gli autori