La quarta buona ragione per vivere
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La quarta buona ragione per vivere

101 film che fanno bene all'anima

  1. 229 pagine
  2. Italian
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La quarta buona ragione per vivere

101 film che fanno bene all'anima

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L'inno alla pace di Charlie Chaplin nel Grande dittatore, il super-computer HAL 9000 e la sua folle "incapacità d'errore" in 2001: Odissea nello spazio, la figura ormai leggendaria di "Fantozzi Rag. Ugo". La storia del cinema è un susseguirsi di scene, personaggi e dialoghi che sono entrati a far parte dell'immaginario di intere generazioni, e in questo volume Walter Veltroni, da sempre appassionato di cinema, parte dal "momento meraviglioso in cui in sala si fa buio totale" per accompagnarci in un viaggio personale e affettivo tra centouno dei film più belli di sempre: muovendosi tra grandi classici e pellicole da riscoprire, Veltroni ricorda passaggi e protagonisti indimenticabili capaci di risvegliare sogni e fantasie di padri e figli e ci mostra perché "il cinema è la quarta buona ragione per vivere. ? la quarta, certo, ma in fondo, come la letteratura o la musica, tutte le altre avvolge e accompagna". Titolo dopo titolo, i film raccontati si intrecciano con i ricordi di tutti noi, facendoci rivivere "le storie meravigliose che abbiamo visto durante la nostra vita".

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2014
ISBN
9788858671771
Stella

101 FILM
CHE FANNO BENE ALL’ANIMA

Macchina da presa
Greca
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2001: ODISSEA NELLO SPAZIO

1

Regia
Stanley Kubrick
Attori principali
Keir Dullea, Gary Lockwood, William Sylvester,
Daniel Richter, Leonard Rossiter
Titolo originale
2001: A Space Odyssey
Durata: 140 minuti
Paese: USA, Gran Bretagna • Anno: 1968
I numeri vengono prima delle lettere, in ogni buon dizionario di qualcosa. E così questo viaggio sentimentale nelle emozioni del cinema inizia come deve, con il capolavoro supremo, con il «film assoluto», quello per il quale si potrebbe utilizzare la formula prima e dopo. Perché il cinema non è stato più lo stesso, quando gli occhi umani hanno visto 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. Conoscere questo film è un’esperienza umana imperdibile, come vedere l’arcobaleno o la neve, come il pianto da bambini o il primo amplesso. Si è persone a metà se non ci si è perduti in quella storia di spazio e di spazi, in quei silenzi e in quei colori. Giustamente uno dei massimi studiosi di Kubrick, Michel Chion, ha messo in relazione 2001 con il film apparentemente più lontano Play time – Tempo di divertimento di Jacques Tati. Il mondo futuro è impassibile alle parole e allora i due geni, così lontani e così diversi, abbandonano le parole e si affidano ai silenzi, alle architetture, alla musica, per raccontare la loro previsione del mondo. Si parla poco, in 2001, però si racconta la storia della nostra specie dall’«Alba dell’uomo» fino a un oggi che, neanche ce ne siamo accorti, è già ieri. È un film del ’68 che assume, senza dichiararle, tutte le suggestioni delle nuove culture pop del tempo, compresa quella psichedelica. Come definire altrimenti la leggendaria sequenza Oltre l’infinito, con quei colori che sembrano una eccitante allucinazione, quei riflessi sulla visiera di Keir Dullea, il protagonista, che, insieme, stupiscono e impauriscono? Quella sequenza è impressa nella memoria di ciascuno e chiunque non abbia mai preso una droga ha sempre ritenuto bastevole aver conosciuto una alterazione sensoriale di sconvolgenti proporzioni solo guardando un fascio di luce proiettato su uno schermo bianco. È un film girato più di trent’anni fa e, si sa, al cinema non c’è nulla che invecchi più precocemente degli effetti speciali di un film di fantascienza. Eppure, a rivederla oggi, quella sequenza è ancora potentissima, credibile, anticipatrice. La maniacale ossessione di Kubrick per la tecnica e i particolari ha fatto del bene alla storia del cinema e dunque della cultura e dunque dell’Umanità. Mi capitò, osservando in una mostra le schede che Kubrick aveva vergato, a migliaia, per il Napoleone che non ha mai girato, di chiedere alla moglie se fosse vera la leggenda che descriveva suo marito preoccupato di conoscere l’intensità della lampada di proiezione delle principali sale che avevano in programma i suoi film. Mi guardò, come sconsolata, e mi disse che era vero. Ne fui felice. Dai mimi nei costumi dei primati, all’osso che vola e diventa navicella, al training degli astronauti nello spazio circolare, alla dinamica dei rapporti tra uomini e computer, alla sequenza della disattivazione di una macchina, HAL 9000, che ha osato, quasi Icaro al contrario, sfidare l’uomo e che finisce come divorata da un Alzheimer che la riporta bambina, fino alla rinascita del feto finale, uomo nuovo del millennio che comincia con la coscienza della storia; tutto è grande, epico e magnifico in questo film, in questo capolavoro. Ecco, se lo avete visto, ora possiamo cominciare il nostro viaggio. Passare dai numeri alle parole. Allacciate le cinture ed entrate nel buio, con fiducia.
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ACROSS THE UNIVERSE

2

Regia
Julie Taymor
Attori principali
Jim Sturgess, Evan Rachel Wood, Joe Anderson,
Dana Fuchs, Martin Luther
Titolo originale
Across the Universe
Durata: 133 minuti • Paese: USA • Anno: 2007
Esiste, può esistere una storia cinematografica del reale? Cioè chi esiste davvero può trascendere da se stesso per entrare non episodicamente, non una volta sola, nel grande regno dove tutto è, deve essere, fiaba, invenzione, irrealtà? Si può essere se stessi e, insieme, parte di un universo parallelo immateriale? La mia memoria non rimanda nessun caso, salvo uno. I Beatles. I protagonisti di una tra le più grandi rivoluzioni culturali e di costume del Novecento. Quelli la cui comparsa sulla scena mondiale segna uno spartiacque, dopo il quale molto, nella musica e nella vita e nei costumi di generazioni intere, non è più come prima. Il loro peso nella storia condivisa del secolo che se ne è andato è conosciuto e indiscutibile. Ma è ugualmente interessante seguire la loro storia cinematografica. Che comincia con il loro successo, negli anni che segnano la metà dei Sessanta. In quel tempo, A Hard Day’s Night e Help! sono non solo la celebrazione di un trionfo, né la sua dilatazione sugli schermi del cinema. Un po’ come fu con i musicarelli di Fizzarotti in Italia per Gianni Morandi. No. I film dei Beatles sono in sintonia con il grande cambiamento di quel tempo, sono parte del free cinema inglese. Li dirige Richard Lester e si sente dentro quelle storie strampalate non solo l’anticipazione di vent’anni del linguaggio dei video musicali ma anche un grande, profondo senso di libertà. Poi Magical Mystery Tour e il meraviglioso Yellow Submarine. E poi quel film su una fine che avanza, una specie di opera viscontiana sui Beatles, che è Let It Be – Un giorno con i Beatles. Che si conclude con il mitico concerto sulla terrazza di Abbey Road. Una delle citazioni esplicite di un film che continua oggi, quasi quarant’anni dopo, la storia cinematografica di Paul, George, John e Ringo. È un film che non si può perdere. Si chiama Across the Universe ed è girato da una geniale regista, Julie Taymor. Non deve spaventare il fatto che appaia come una commedia musicale. È un film, con una storia. È un puzzle che incastra nomi e riferimenti delle canzoni dei Beatles dentro la narrazione di storie personali, collettive, luoghi degli anni Sessanta. Ma quel tempo è eterno. Come la musica di chi lo ha scandito e raccontato. Le canzoni sono rielaborate in modo coerente e affascinante, cantate da attori che hanno studiato. Ci sono Tim Burton e Fellini, il cinema americano e inglese di due decenni, c’è l’arte di oggi. Tutto insieme in un magnifico mondo di colori e invenzioni, in cui il tempo è una sequenza di sorprese. È davvero un film beatlesiano. A partire dall’inizio. Basta quello per ringraziare di aver comprato il biglietto. Non dico troppo. È un minuto di cinema. Su una spiaggia invernale. Con una canzone che strappa l’anima.
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AGENTE 007 – MISSIONE GOLDFINGER

3

Regia
Guy Hamilton
Attori principali
Sean Connery, Honor Blackman, Gert Fröbe,
Shirley Eaton, Tania Mallet
Titolo originale
Goldfinger
Durata: 111 minuti
Paese: Gran Bretagna • Anno: 1964
Pensavo, speravo, ero certo che l’unica immagine di decapitazione che avrei portato con me nel corso della mia vita sarebbe stata quella di una statua con la testa mozzata da un cappello con la tesa tagliente. Oddjob, lo scagliatore, era un simpaticissimo lottatore hawaiano. Un uomo buono e generoso, con un alto senso del dovere. Tanto che non interruppe una scena del film, nonostante si stesse ustionando, «perché il regista non aveva dato lo stop». Alzi la mano chi non ricorda quella sequenza. O chi, tapino, non ha nella memoria il momento in cui Bond, James Bond, vede nelle pupille della donna che sta baciando l’immagine di un uomo che lo sta per aggredire. O quando una Continental nera, corredata di corpo umano all’interno, viene schiacciata in una macchina demolitrice e diventa un cubo di lamiera. O quando un raggio laser, creatura allora sconosciuta, cerca di avvicinarsi pericolosamente alle zone basse di Bond, con grande preoccupazione di milioni di fans femminili e non solo. O quando un corpo meraviglioso, rimasto nella memoria di milioni di uomini e non solo, appare completamente verniciato in oro e quella vernice, il colore della vittoria e della ricchezza, significa morte per asfissia di una donna memorabile. Agente 007 – Missione Goldfinger è come la mamma, non si dimentica. È il film che ha fatto divenire James Bond il più popolare e longevo personaggio della storia del cinema. È un prodotto perfetto, pieno di idee geniali, carico di avventura ed erotismo. La protagonista nel film si chiamava Pussy Galore e, come diceva Peppino De Filippo in Totò, Peppino e la… malafemmina, «ho detto tutto». Goldfinger è un grande gioco, un gioco di tempi sereni. In cui le paure vanno inventate, in cui la giustizia sconfigge i malevoli, in cui il sangue e la violenza, i morti e le esplosioni sono meravigliosamente, rassicurantemente finti. Dopo l’uscita del film, nel 1965, in un austero liceo della capitale successe un fatto increscioso. Durante una pausa, il cambio dei docenti, gli studenti si cominciarono a tirare addosso il cancellino impregnato di gesso. Che, malheuresement, si abbatté sul professore subentrante che aveva aperto la porta della classe. Erano anni duri, in cui non abbondava né il senso dell’umorismo né ci si dava del tu con gli insegnanti. Fu chiamato il preside. Era, costui, una figura carducciana. Una lunga barba bianca e una autorità assoluta, presidio di una intangibile severità. Quando entrò nella classe si fece un silenzio carico di tensione. I ragazzi erano tutti in piedi, tremanti. Al preside fu indicato il responsabile. Ed egli si avvicinò al povero giovane. Lo guardò, tagliente, e gli disse: «Lei, chi si crede di essere?». Il ragazzo deglutì e rispose: «Il mio nome è Bond, James Bond». Fu sospeso per una settimana. Ma tutti oggi capiscono che quel giorno cominciò il Sessantotto.
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ALWAYS – PER SEMPRE

4

Regia
Steven Spielberg
Attori principali
Richard Dreyfuss, Holly Hunter, Brad Johnson,
John Goodman, Audrey Hepburn
Titolo originale
Always
Durata: 127 minuti • Paese: USA • Anno: 1988
Torna tra noi il caso Dreyfuss. E io testimonio per lui. Perché è un grande attore e ha una dolcezza negli occhi che solo chi non vede può ignorare. Se si potesse fare una foto...

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