Un'attrattiva che muove
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Un'attrattiva che muove

La proposta inesauribile della vita di don Giussani

  1. 450 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Un'attrattiva che muove

La proposta inesauribile della vita di don Giussani

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Nel 2005 moriva don Luigi Giussani, diventato nel corso della sua vita un punto di riferimento fondamentale nel panorama culturale e religioso del nostro Paese. In questo volume – curato da Alberto Savorana, che per anni ha condiviso con il fondatore di Comunione e Liberazione la stessa esperienza umana e di fede – intellettuali, giornalisti, docenti universitari, ecclesiastici, politici si uniscono per raccontare il loro personale "incontro" con la figura e l'opera del sacerdote di Desio, ripercorrendone l'incredibile percorso umano, spirituale e culturale. Le loro testimonianze, capaci di far incontrare diverse tradizioni dell'Italia laica e cattolica, non solo permettono di riscoprire episodi cruciali della vita di Giussani da punti di vista inediti, ma mostrano anche il valore inestimabile dei suoi insegnamenti per ripensare nel profondo il nostro modo di affrontare la nostra vita e le grandi sfide del presente.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
ISBN
9788858678145

Il carisma di don Giussani oggi

Può un ateo porre Cristo al centro della sua vita?

di Piero Sansonetti*

Vita di don Giussani è un’opera storica di grande rilievo, realizzata con serietà e rigore scientifico. Non è un libro di impressioni né un testo ideologico questa biografia di un personaggio che ha avuto un peso molto forte negli ultimi trent’anni di storia d’Italia e soprattutto del cristianesimo. È difficile per me parlare del libro e di don Giussani perché parto da un punto di vista molto diverso dal suo: io credo di essere mortale, mentre lui pensava di vivere per l’eternità! È una differenza talmente grande che non è riconducibile ad altre, per esempio a quella che ci può essere se parlo di politica con uno di destra, o di giustizia con un magistrato. Qui stiamo parlando di due idee completamente diverse della persona.
Questo libro però ti porta lì! Giussani e il libro ti portano alla questione di fondo, quella fondamentale, al concetto che si ha della propria vita e del modo come questa vita si rapporta all’universo. Io naturalmente continuo a parlare in termini laici. Non solo non sono cristiano, sono ateo. È per questo, non per un’altra ragione, che posso sentirmi vicinissimo a questo libro, anche se sono un po’ intimidito perché mi trovo in posizione minoritaria, nel senso che c’è una bella differenza fra la vita mortale e la vita eterna. Ed è la differenza essenziale, perché non c’è una pagina di questo libro dalla quale non esca e non emerga il senso dello spirito. La mia concezione di spirito è diversa. La mia concezione di Cristo è diversa: non ho alcuni strumenti, e non perché i credenti siano più intelligenti e io più stupido. Io posso liquidare la cosa dicendo: «Voi commettete un errore e io no», ma questo non è un modo di affrontare la questione, perché io penso di non essere dalla parte in cui si giudica e si decide su queste cose, non ho la possibilità e la forza di giudicare. E quindi mi inchino di fronte alla vostra posizione e alla vostra concezione della vita e del mondo.

La realtà è più grande della ragione. E anche della religione?

Nel rapporto che ci può essere fra me e questo gigantesco fenomeno storico che è il cristianesimo, l’unica cosa che sicuramente ci unifica è questa: né voi né io possiamo fare a meno del cristianesimo. Voi perché è la vostra religione, io perché ne sento la presenza che pervade ogni momento del mio pensiero. Mi scuso se sono schematico, ma pongo solo dei temi.
«La realtà è più vasta della misura della ragione» (p. 43). Domando: è un dubbio illegittimo chiedere se la realtà non sia più grande anche della religione? È interessantissimo il ragionamento che nel libro viene svolto da Giussani sul rapporto fra ragione e religione, e la spiegazione per la quale non sono in contrapposizione. Sarebbe sciocco contrapporre una ragione in grado di interpretare il mondo a una religione che parte per la tangente, ma mi chiedo se può uno spirito religioso, una donna o un uomo di fede, pensare che la realtà sia più complessa anche della religione. Non è scontato che la risposta sia negativa.
Seconda grandissima questione, entriamo nel merito della questione delle questioni: Cristo al centro della vita e della cultura. Mi pare proprio il succo del libro e di tutta la vita di don Giussani: Cristo al centro della vita e della cultura. E qui faccio di nuovo una domanda: Cristo al centro della cultura e della vita, è per voi o è anche per me? Può un ateo porre Cristo al centro della sua cultura e della sua vita? O invece occorre un passaggio religioso? Bisogna passare necessariamente dalla fede per porre Cristo al centro della propria vita o esiste un’altra possibilità? E qui faccio un’altra domanda: in questa cultura che si centra su Cristo può esserci la ribellione? La ribellione di cui da studente ho letto nel Vangelo, la posso ritrovare e la posso riproporre nella mia vita pubblica come parte della cultura cristiana? La ribellione che è storicamente documentabile nella semplice esistenza della figura di Gesù Cristo, può far parte della mia politica senza passare dall’adesione al cristianesimo? E nel momento in cui io pongo Cristo al centro della mia cultura, posso mettere in discussione l’autorità? Non sono un teologo, però qualche frase del Vangelo la ricordo, e pongo ad esempio l’episodio dell’adultera e quindi il pezzo formidabile, fortissimo, del Vangelo quando Gesù dice: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra»; e poi, seconda parte: «Donna va e non peccare più»; non c’è lì l’esclusione dell’autorità? In una frase brevissima viene messo in discussione l’accertamento della verità e si sottolinea la relatività della verità: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra». Quindi nessuno può scagliare la prima pietra, forse nessun essere umano è in grado di giudicare e neanche Lui punisce, perché dice: «Io riconosco la tua colpa, ma va e non peccare più». Allora nella cultura cristiana posso includere il rifiuto dell’autorità? Che non vuol dire necessariamente anarchia; lo pongo dal punto di vista culturale, non dal punto di vista dei comportamenti.
Rimanendo sulla questione di Cristo al centro della cultura e del rifiuto di qualunque autorità che non sia l’autorità divina, si può porre la questione del dio degli atei? È il massimo dell’ossimoro: il dio degli atei in quanto anti-autorità, in quanto ribaltamento dell’autorità, nel riconoscimento di una autorità che non è umana.
Gesù era Dio e lo diceva: «Io sono Dio». E allora, dice Giussani, o mettiamo in discussione questo principio, consideriamo Gesù un pazzo, una persona spostata, squilibrata e quindi mettiamo in discussione tutto il suo insegnamento, oppure, nel momento in cui diceva che era Dio, lo era realmente. Ma io posso non farlo? Cioè, posso ritenere questa affermazione di Gesù una grande metafora? Posso accostarmi al Vangelo, leggerlo, interpretarlo ed esaltarlo, ma considerando la deità di Gesù come una metafora e non come una affermazione teologica? Non è una questione secondaria, perché riguarda il rapporto del cristianesimo col mondo, dal momento che il mondo non è tutto religioso. Formulo una domanda ancora più provocatoria: Dio è Gesù o Gesù è Dio? Non è un gioco di parole. Posso dire: per me Dio è solo Gesù, cioè solo uomo? Posso fermarmi al fatto che Dio, facendosi uomo, resta uomo, risorge come uomo, entra nella storia come uomo e io mi confronto con Lui solo come uomo?
Giussani parla del progressivo «“ridurre l’influenza della fede e della Chiesa sulla propria azione sociopolitica ad un impulso estrinseco, ad una semplice ispirazione”. Per esempio, c’è chi dice che il Vangelo spinge a interessarsi ai poveri; questo è certo, osserva Giussani, e subito dopo aggiunge: “Ma se uno si ferma qui, allora il Vangelo tende ad essere solo uno slancio etico, moralistico. Invece il Vangelo ha qualcosa da dire anche sul modo, sulla struttura di giudizio e di comportamento con i quali uno affronta il tema della povertà”» (p. 388). Anche qui io chiedo: ma io posso fermarmi alla parte etica? Esiste un’etica cristiana che può essere vissuta solo dal cristiano? Esiste un’etica alla quale arrivare per la via del Vangelo, di Dio, della religione e della fede e un’etica alla quale si può arrivare per un’altra via, oppure son due etiche diverse, anche se si possono assomigliare? È possibile concepire il cristianesimo come etica utilizzabile anche al di fuori della fede?

Il Sessantotto e la forza di misurarsi con la modernità

Vorrei passare ora a questioni più pratiche che, peraltro, mi riguardano direttamente, nel senso che le ho vissute. Mi ha molto colpito il capitolo sul Sessantotto. Il 1968 è l’anno in cui io sono diventato grande, in cui ho iniziato a far politica e in cui ho deciso tante cose. Mi ha sorpreso, da una parte, come don Giussani abbia vissuto drammaticamente il Sessantotto: come una messa in discussione che lo ha costretto a rivedere molte cose, soprattutto dal punto di vista del rapporto con i giovani, perché quella stagione, oltre alla sua connotazione ideologica, ha avuto la capacità di sfondare sulle nuove generazioni, cioè quelle che interessano a Giussani, grande educatore, che parla con i giovani e si trova di fronte una gioventù, non solo in Italia ma nel mondo, squassata da questo grande movimento.
C’è stato un grande moto di rinnovamento e di spostamento a sinistra, sul piano sociale, della Chiesa, da lì partono le grandi contestazioni. E Paolo VI frena. Penso a una vicenda specifica, che nel libro viene raccontata, quella di don Enzo Mazzi; forse i più giovani non lo conoscono, don Mazzi era un prete (morto nel 2011) della Comunità dell’Isolotto di Firenze, che rivolse una critica molto forte alla gerarchia ecclesiastica ed entrò in conflitto con il Vescovo di Firenze monsignor Florit. Ci fu uno scontro durissimo nel quale don Mazzi perse, ma restò all’Isolotto, dove ha vissuto altri quarant’anni, mantenendo una posizione da cristianesimo sociale, molto critico verso le gerarchie, i dogmi eccetera. Nel 1969 Giussani dice a una ragazza del movimento di non andarci più (cfr. p. 411). Non credete che la Chiesa abbia perso una grande occasione? In quella rivolta c’era tanto di spirito cristiano, non è solo maoismo, non è solo il liberalismo, non è solo katanga.1 Nel Sessantotto c’è molto spirito cristiano, oltre a persone cristiane, appunto don Mazzi o don Franzoni, ma pensiamo anche alla teologia della liberazione, a monsignor Hélder Câmara, all’America Latina. Perché la Chiesa, invece di aprire, chiuse? E perché don Giussani invece di andare all’Isolotto a parlare con don Mazzi disse a quella ragazza di non andarci?
In ogni caso, avverto in Giussani una grande forza, quella di misurarsi sempre con la modernità a partire dalla sua fortissima posizione di fede. È la pretesa della fede, che non posso avere, a tenermi lontano dal mondo cristiano, ma in Giussani riconosco una fortissima aspirazione alla libertà e alla modernità. Del movimento che ha creato la cosa più bella, davvero bellissima, è il nome: forse non ce ne rendiamo conto, ma Comunione e Liberazione è un nome fantastico, c’è tutto dentro, compreso il problema di oggi: l’assenza di comunità e di libertà, di comunione e di liberazione. Noi oggi abbiamo davanti esattamente l’opposto: la rinuncia alla libertà e quindi alla liberazione, che non avviene in nome di una comunità, ma proprio rinunciando alla comunità. La grande difficoltà, la grande sfida, è quella di tenere assieme le due parole, perché la parola comunità, meravigliosa, comporta sempre il rischio di mettere in discussione la libertà. La perdita della libertà può essere il prezzo che si paga alla creazione di una comunità, mentre la grandezza della sfida è dire: «No, io non ci rinuncio. Io non solo voglio costruire una comunità, ma voglio costruire una comunità in cui tutti siano liberi e in cui tutti lancino la sfida alla liberazione».
La forza del movimento di CL che io da ragazzino contrastai molto, perché era su posizioni del tutto opposte a quelle dei movimenti nei quali io militavo, fu essenzialmente l’anticonformismo, e quando fai una scelta anticonformista costringi tutti a pensare.

Un carisma che non chiede una rinuncia al pensiero

Questa è la grandiosità che io ho trovato in tutte le pagine del libro: don Giussani pensa, non rinuncia mai a pensare! Non chiede mai alle persone sulle quali esprime il suo carisma: «Smetti di pensare!». Questa è la cosa più grande che ho scoperto: la capacità di esprimere un carisma, senza chiedere una rinuncia al pensiero, senza chiedere una rinuncia alla propria indipendenza di pensiero.
L’attualità di Giussani è l’attualità di Cristo; per il cristianesimo non c’è un’altra attualità.
Il mio interesse straordinario per tutto ciò sta essenzialmente in una riflessione, che forse diventando vecchio ho iniziato a fare, sulla differenza tra la politica come io la conosco e l’etica, e quindi tra la politica come io la conosco e il cristianesimo. Qual è il motivo che mi attrae? In fondo è molto semplice: è l’esistenza come elemento determinante o no del potere; è tutto lì. La domanda sulla gratuità dell’amore, un’espressione cristiana molto bella ma per me difficile da avvicinare, non è lontanissima da quello che sto dicendo: nei suoi momenti più alti la politica ha saputo coniugare etica e potere. Mentre oggi la politica viaggia verso la modernità espungendo, cacciando l’etica e mantenendo solo l’attenzione al potere, che diventa sempre di più la rappresentazione della politica, anche nel suo senso migliore; non sto parlando del potere solo come dominio, come oppressione, come ricatto, come violenza, ma parlo anche del potere come capacità di amministrazione: la politica pensa a come trasformare il mondo, ma difficilmente pensa a come vivere il mondo. Tra il trasformare il mondo e il vivere il mondo c’è una grande differenza, così come tra il sapere vivere la politica e la vita senza potere o col potere. Nell’esperienza cristiana (e non nella dottrina) e nell’esperienza di Gesù Cristo vedo esattamente questa grandezza: la capacità di esprimere carisma senza potere, pensiero senza potere, vita senza potere, insegnamento senza potere. Da questo punto di vista, la cosa che mi sconvolge e mi travolge del cristianesimo non è il Natale, ma il Venerdì Santo, non è la nascita, ma la morte, cioè la rinuncia totale di Cristo al potere: non esiste altra divinità nella storia che vinca morendo. A costo di apparire blasfemo, anziché sant’Agostino o san Paolo, cito Fabrizio De André e il verso più bello che io conosca di questo cantautore: «Guardate la fine di quel nazareno, / e un ladro non muore di meno».2

Grazie di essere andato controcorrente!

Giussani e CL, grazie di essere andati contro corrente! La forza di CL, che nei primi anni Settanta ha il coraggio di presentarsi in Università e di andare controcorrente, la ricordo personalmente perché in quegli anni c’ero anch’io, è una forza straordinaria, che forse allora non capii bene. È la forza della ribellione e del rifiuto del pensiero unico, insieme alla richiesta di ripartire dai fondamentali, di mettere in discussione quello che all’epoca non si poteva mettere in discussione. Non ha nessuna importanza se un’operazione di questo genere spinge in avanti o indietro, se spinge a destra o a sinistra. Comunque rompe, e non c’è nulla di più terribile in una comunità o in un Paese di un pensiero obbligatorio. Non parlo di pensiero unico come si dice adesso, ma di pensiero obbligatorio. Lì la rottura è grandiosa, perché nessuno era in grado di realizzarla. Esisteva il senso comune del Sessantotto che era anche il mio; esisteva la politica ufficiale, che non riusciva ad aggiungere nulla di nuovo, ed esisteva la reazione fascista; e fu grandioso l’intervento di Comunione e Liberazione che rompe, non ammette nulla a priori e pone valori. Pone valori, non pone moderazione. Quello che butta sul tavolo sono valori, valori incompatibili con lo spirito pubblico di allora. Per questo la rottura è stata grandiosa e grandioso anche il nome, come ho detto. Nel libro c’è il racconto di come nasce questo nome, un po’ quasi per caso, perché pare che il marketing dicesse di no. Comunione e Liberazione: nel nome c’è tutto, in quelle due parole c’è un fatto di grande apertura e l’ho scoperto proprio nel libro, perché non ne avevo la minima idea, era una cosa che proprio non mi aspettavo. Per esempio, l’amore di Giussani per Pasolini, un fatto che non conoscevo e che mi ha naturalmente stupito, anche perché ricordavo di essermi arrabbiato quando Pasolini scrisse l’articolo sul «Corriere della Sera» contro l’aborto, avrò avuto ventisei-ventisette anni. Tra Pasolini e la cultura cattolica tradizionale, diciamo, c’era una lontananza molto grande. E invece dov’è la vicinanza? La vicinanza è nell’anticonformismo. Il punto che avvicina un pensatore laico, laicissimo come Pasolini e un pensatore cattolico, cattolicissimo come Giussani, qual è? È l’apertura mentale, è la capacità di rimettere in discussione tutto, da una parte e dall’altra. È l’idea della libertà, la possibilità di pensare, di rimettersi in discussione. Francamente mi era difficile immaginare un’ipotesi di questo genere.

Cristo posso prenderlo anche solo così com’è?

Ero nel mio ufficio a lavorare quando nella schermata del computer sono apparsi i lanci del discorso di papa Francesco sulla giustizia. Un discorso formidabile. Sono uscito dalla mia stanza, sono entrato in redazione e ho detto: «Sapete dove ci si iscrive per diventare chierichetti?»; io non ho tendenze a fare il chierichetto, però nel papa trovo un gigantesco leader morale (certo, io non ci vedo il rappresentante di Cristo) che non vedo da nessun’altra parte. In questo momento riconosco nella guida del mondo cristiano l’unico punto di riferimento per chi si pone il problema etico della costruzione di un sistema di valori che permetta di avere una bussola su come ci si comporta, su qual è il rapporto fra se stessi e la vita, fra se stessi e gli altri, fra se stessi e la natura, fra se stessi e l’umanità. Come vecchio comunista che ha fatto politica tutta la vita, che ha fatto l’intellettuale, che ha scritto sui giornali, che ha diretto giornali, noto oggi un vuoto spaventoso in qualunque altro luogo della vita pubblica e invece provo un’attrazione formidabile per la guida della comunità cristiana.
Sono uscito un istante dalla Vita di Giussani per parlare di papa Francesco, ma è difficile non arrivarci perché non rie...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Introduzione di Alberto Savorana - Compagni di strada
  5. Ci sorprenderemo… di Julián Carrón
  6. LA FIGURA DI DON GIUSSANI
  7. LA PORTATA DEL CONTRIBUTO DI DON GIUSSANI
  8. L’INCONTRO CON DON GIUSSANI
  9. IL CARISMA DI DON GIUSSANI OGGI