A tavola con Omero
eBook - ePub

A tavola con Omero

  1. 120 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

A tavola con Omero

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

E io ti dico che non esiste piacere più amabile di quando tra il popolo tutto regna la gioia e i convitati a palazzo seduti in fila stanno a sentire il cantore. – Omero I Greci e i romani fecero del convito e del simposio un'arte gaudente, elegante e raffinata. Da Omero ad Apicio, tra curiosità, aneddoti e ricette antiche e moderne, A tavola con Omero è un intrigante viaggio alla scoperta della cucina nell'Antichità, per ritrovare cosa è rimasto oggigiorno della civiltà culinaria dei nostri progenitori.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a A tavola con Omero di Lia Del Corno in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Historia e Historia del mundo. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858665428
Argomento
Historia

A TAVOLA CON OMERO

Lia Del Corno







logo pillole BUR
Per i testi di Ghiorgos Seferis (pagg. 166-167), l’Editore è a
disposizione degli aventi diritto.
Proprietà letteraria riservata
© 2008 RCS Libri S.p.A., Milano
eISBN 978-88-58-66542-8


Prima edizione digitale 2013 da edizione pillole BUR maggio 2007



Copertina Mucca Design
Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

Dedica

A mia sorella Laura,
fonte di familiare sapienza culinaria.

INTRODUZIONE

Ateneo, il mirabile amministratore del discorso che ci leggerà, presenta questo piacevole “banchetto a parole”.
Ateneo, I Deipnosofisti, I, b
L’essere umano si ritiene superiore agli altri esseri viventi, anche perché ha imparato a cucinare e a godere dei piaceri della tavola. Cucinare e ridere, si può dire, sono le due azioni che distinguono l’uomo dagli animali.
Ma quando l’uomo ha riso per la prima volta? E quale è la cucina più antica del mondo?
Nessuno è in grado di dare una risposta. La preistoria ha lasciato vestigia tangibili: utensili, forni, residui alimentari e poco altro. Ci manca però uno strumento per capire come queste vestigia venissero utilizzate. Per poter avere notizie in proposito è necessario aspettare che l’uomo arrivi alla scrittura, quando si aprono nuovi orizzonti, e si hanno le prime notizie interessanti e qualche ricetta.
Le antiche ricette di cui siamo a conoscenza sono quelle di Apicio (De re coquinaria), redatte nel IV secolo d.C., che ci svelano i segreti della cucina romana. Ma anche i Greci, e soprattutto gli abitanti della Magna Grecia, avevano elaborato una cultura gastronomica; e ci hanno pure tramandato informazioni sul modo di cucinare. Si ha infatti notizia di un certo Mithekos, un cuoco siracusano vissuto circa 400 anni prima di Cristo; ma il pezzo forte, o meglio il piatto forte, ce lo offre Ateneo di Naucrati con la sua raccolta I sapienti a banchetto (I Deipnosofisti).
L’intento di questo libro è quello di raccontare la storia e le curiosità delle antiche tradizioni culinarie a chi non ha il tempo o la voglia di addentrarsi nelle difficoltà del greco e del latino. Spesso infatti i piatti che preferiamo sono i più tradizionali e familiari o quelli che non conosciamo ancora, e che pure erano già sulle tavole imbandite mille e mille anni fa.
Cereali, mele, fichi, melagrane, uva, funghi, erbe aromatiche, carni, pesci, crostacei, frutti di mare, miele, sale; questi i prodotti più noti già in commercio, e quindi in uso, nell’antichità. Mancavano patata e pomodoro (portate dall’America molti secoli dopo), e molti altri ancora, ma ve ne erano a sufficienza per variare notevolmente la scelta.
Sedersi? O sdraiarsi? Questo è un altro problema. Pare che i Greci fossero soliti appoggiarsi al gomito sinistro, su di un letto particolare leggermente inclinato (kline ), con accanto un tavolo di piccole dimensioni; ciascun commensale aveva un tavolino. I Romani invece stavano su letti molto ampi disposti lungo i tre lati di una stanza (triclinium), mentre il quarto lato restava libero. Il loro tavolo era grande e stava al centro. Questa usanza cambiò a partire dal II secolo d.C., quando al posto del letto venne introdotto una sorta di divano collettivo, a forma di semicerchio, fornito di un grande cuscino rigido sul quale si potevano appoggiare piatti e bicchieri (stibadeion ). Il tavolo che accompagnava questo divano era rotondo.
Abbiamo testimonianze molto precise, per quel che riguarda la celebrazione delle feste nei santuari, inoltre sappiamo, per esempio, che nell’isola di Delo il portico di Poseidone poteva, in occasione delle feste, diventare una sala da pranzo capace di ospitare oltre millecinquecento persone e che a Epidauro, nel ginnasio, c’era una sala per ottanta persone affiancata da altre più piccole sufficienti per dieci, dodici commensali.
Questo per i comuni mortali, ma quali erano le regole del galateo per gli dèi? Greci e Romani infatti banchettavano spesso in compagnia delle divinità, o assistevano ai banchetti divini. D’abitudine gli dèi consumavano il profumo degli animali sacrificali e l’ingestione del cibo da parte loro riusciva di conseguenza semplicissima: bastava allargare le narici. Scherzi a parte, mangiare sdraiati, con una mano sola perché l’altra serviva di appoggio, non era tanto facile. Ed è per questo che i Greci, ancora oggi, preferiscono cibi tagliati a piccoli pezzi, ridotti in polpette, involtini o palline.








Le traduzioni dei passi citati, dove non indicato diversamente, sono opera dell’Autrice.

SIGLE

FHG=Fragmenta Historicorum Graecorum, edd. C. e Th. Mueller, I-V, Paris, Didot, 1841-1870
FgrHist=Die Fragmente der griechischen Historiker, ed. F. Jacoby, Berlin-Leiden, Weidmann-Brill, 1923-1998
SH=Supplementum Hellenisticum, ed. H. Lloyd-Jones & P. Parsons, Berlin-New York, De Gruyter, 1983
TrGF=Tragicorum Graecorum Fragmenta, edd. B. Snell-R. Kannicht-S. Radt, I-IV, Goettingen, Vandenhoek & Ruprecht, 1977...
VS=Die Fragmente der Vorsokratiker, edd. H. Diels-W. Kranz, Berlin, Weidmann, 1951-19526

LA TAVOLA E LO SPIRITO

Piccoli re, piccoli regni, piccoli eserciti

Nell’antichità gli uomini ricercavano nei banchetti un piacere particolare, e definivano questa sorta di piacere con il verbo terpein, che nella nostra lingua non ha un equivalente. Terpein esprime il senso del rilassarsi dopo lo sforzo, della sazietà, della soddisfazione che danno la bontà delle carni e il calore del fuoco, cui si aggiunge la leggera ebbrezza del vino. Insomma qualcosa che accomuni calore, benessere, buoni sapori; in breve: “provare piacere”. E per rendere ancora più piacevole un banchetto spesso si ricorreva all’accompagnamento musicale, che gli antichi Greci sostituivano con il canto dell’aedo. Non era un vero e proprio canto come lo intendiamo noi, piuttosto una sorta di declamazione che ammaliava i banchettanti, una raffinatezza destinata ai convitati sazi di cibo e di bevande.
Ovviamente il canto dell’aedo apparteneva ai piaceri dello spirito, quelli che rendono gli esseri umani più simili alle divinità. Le bestie mangiano carne cruda, i selvaggi bevono vino fino a ubriacarsi, i convitati a un banchetto mangiano la carne di una vittima sacrificata agli dèi e quindi condivisa con le divinità, anche se queste hanno goduto solo il profumo di tale sacrificio. Nell’euforia del banchetto, i re e gli ospiti si sentivano simili agli dèi e il canto dell’aedo li aiutava a immedesimarsi in questo ruolo e a raggiungere la felicità.
Tutto il giorno fino al calar del sole essi banchettarono. Nulla mancava al loro diletto, né il cibo equamente distribuito, né la cetra sublime tra le mani di Apollo, e neppure la voce armoniosa delle Muse che in sequenza intonavano il canto.
Così si esprime Omero nell’Iliade (I, 601-604), definendo l’essenza di un banchetto dove siedono le divinità. Per il banchetto omerico esiste un termine, dais (dal verbo daio), che significa anche condividere. Banchettare vuole dire spartirsi le carni sacrificali, il piacere del vino e il gusto per le parole. Ogni partecipante al banchetto ha un ruolo nella società, conosce quale sarà il suo turno di essere servito e in quali dimensioni gli verrà offerta la porzione che gli spetta. Nei poemi omerici i re sono moltissimi: sono piccoli re di regni ridotti con eserciti limitati. Il lungo elenco delle loro truppe, ma soprattutto delle imbarcazioni, si trova nel catalogo delle navi (Iliade, II, 404-759). Leggendolo ci si rende conto di quanti fossero questi re; tutti rispettavano le gerarchie e ognuno sapeva stare al proprio posto. All’interno del palazzo, dove c’era sempre una sala da pranzo, ogni re organizzava e partecipava ai banchetti al quale invitava altri re, vicini, familiari e stranieri venuti da lontano. Questa lunga catena di vincoli ospitali univa tutti i re greci e li rendeva amici e alleati finché sedevano attorno alla stessa tavola. Il signore del palazzo offriva sempre ricchi doni agli ospiti, attingendo alle proprie riserve, come avviene a Itaca durante l’assenza di Odisseo. In questi casi, i servi si stancavano di ubbidire, i granai si svuotavano, le mandrie si assottigliavano e l’erede (come succede a Telemaco) vedeva andare in fumo il proprio patrimonio e, di conseguenza, il suo ruolo di re.
Anche l’aedo partecipava al banchetto. Al pari degli altri sedeva su un sedile con borchie d’argento, mangiava e beveva. Non era un re e non possedeva un palazzo, né un esercito, né una cantina, ma ricambiava offrendo il dono del canto. Terminato il banchetto, l’araldo staccava la cetra dal chiodo e la metteva tra le mani dell’aedo che assumeva un altro ruolo. Diventava il mediatore tra le divinità e la stirpe mortale, poiché erano gli dèi a ispirargli il canto. D’abitudine narrava improvvisando le gesta degli dèi e degli eroi (soprattutto i personaggi dei cicli epici troiano e tebano, ma anche eroi locali) in metri omerici, in esametri, secondo la tecnica formulare. L’apporto degli aedi nella trasmissione del patrimonio culturale, etico e religioso è stato fondamentale. Il maggiore rappresentante di questa categoria è Omero, che tra l’altro testimonia anche la presenza di altri aedi: Femio a Itaca e Demodoco presso i Feaci.

Cantami, o aedo...

L’ordine dei piaceri presso gli antichi Greci era sempre lo stesso: il canto dell’aedo veniva dopo la carne e il vino. Una volta soddisfatta la fame e la sete l’uomo si preparava ad ascoltare l’aedo per elevare lo spirito verso le altezze divine. Il ritmo non poteva essere spezzato, tanto che se questo avveniva per colpa di un incidente, bisognava ricominciare da capo e far sì che tutti i convitati si lavassero nuovamente le mani. Questa usanza è chiaramente esemplificata da Omero nell’Odissea (IV, 214), quando parla Menelao, che ha appena accolto Telemaco e Pisistrato, figlio di Nestore, venuti fino a Sparta nella speranza di avere notizie di Odisseo. I due giovani vengono fatti entrare nella sala dove si banchetta, benché Eteoneo li avesse accolti con qualche perplessità dato che quel giorno erano presenti commensali importanti. Menelao rimprovera Eteoneo per questa indecisione: ogni ospite è sacro e va fatto sedere a mensa. Dopo aver salutato gli ospiti e aver assegnato loro il posto al quale hanno diritto, il re ascolta la loro storia. Al ricordo degli amici e dei parenti morti sotto le mura di Troia sono in molti a versare lacrime; quell’accorato pianto finisce per accomunare tutti e fa sì che il banchetto subisca un’interruzione. Tocca a Menelao farlo ricominciare:
Basta con i pianti. È stato un incidente. Ritorniamo al pasto. E versate acqua sulle nostre mani.
Per gioire di un momento bisogna dimenticare quello precedente. Telemaco e Pisistrato devono allontanare il dolore per partecipare al banchetto. Il convitato che si abbandonasse al pianto ascoltando l’aedo, così come fa Odisseo alla corte dei Feaci, finirebbe per compromettere la riuscita di un banchetto e commetterebbe comunque un atto di maleducazione. Odisseo cerca di non mostrare le sue lacrime nascondendosi sotto il mantello, ma Alcinoo se ne accorge e chiede a Demodoco di smettere di cantare. E così avviene. Omero ricorre sovente alla formula “quando ebbero soddisfatto la sete e la fame”, che non usa soltanto prima di ogni esibizione dell’aedo, ma anche ogniqualvolta gli ospiti si apprestino a conversare o a interrogarsi. Le domande di rito agli ospiti nei banchetti sono sempre le stesse: “Chi sei?”, “Da dove vieni?”, “Chi sono i tuoi genitori”, “Qual è la tua città?”, “Quale nave ti ha condotto sin qui?”. E da queste semplici domande scaturisce la storia, che nel caso di Odisseo è la grande saga dell’Odissea con la discesa nell’Ade, l’approdo nelle isole di Circe, Calipso, Polifemo. Le stesse narrazioni che poi gli aedi, primo fra tutti Omero, reciteranno per intrattenere i banchettanti. L’aedo non ha vissuto ciò che narra, ma ricorre a una memoria primaria, comune a tutti gli esseri umani. Il suo canto non è fissato nella memoria, né è fatto per essere trascritto, e quindi ripetuto da altri, ma il frutto di una memoria collettiva comune a tutti gli uomini di una generazione e di una terra. La sua performance è unica, non è la ripetizione di una precedente, né verrà ripetuta in futuro. Il canto dell’aedo finisce per toccare l’esperienza individuale dei convitati inglobandoli in una memoria comune a tutti gli uomini che siedono attorno a quella tavola. Per ogni banchetto l’aedo compone un nuovo canto, così come il cuoco riesce a far scaturire dalle carni un sapore, una consistenza e un profumo sempre diversi. Pure l’ebbrezza data dal vino sarà differente in ogni convitato: a qualcuno darà l’oblio, ad altri l’euforia, ad altri ancora l’eccitazione.
Questo capitolo dedicato a un piacere della tavola che non tocca le papille gustative, ma che costituisce una componente della massima importanza, era necessari...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio