Lui
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Lui

  1. 720 pagine
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Informazioni sul libro

Sfuggenti e inafferrabili, i serial killer sono l'obiettivo principale di Jack Scott, capo di uno speciale reparto investigativo sempre sulle tracce degli assassini più difficili: quelli che non lasciano indizi e di solito uccidono senza movente, per il puro piacere di farlo. Zak Dorani è uno di loro. Il più spietato di tutti. Efferato, geniale, abilissimo nell'attuare i suoi piani diabolici secondo una logica rigorosa, in passato ha trucidato donne e bambini, riuscendo sempre a beffare la legge. A lungo l'agente gli ha dato la caccia, ma solo una volta è riuscito ad arrestarlo. Una vicenda finita con una condanna ridicola: la sconfitta più bruciante della sua carriera. Molti anni dopo, indagando sull'assassinio di una giovane donna e delle sue figlie, Scott crede di ravvisare nella terribile messinscena rinvenuta sul luogo del crimine alcuni elementi che ricordano lo sconcertante modus operandi di Dorani. E mentre tra cacciatore e preda inizia una nuova sfida, si affacciano altri interrogativi: a chi appartengono le ossa umane trovate da un ragazzino in un vecchio bowling vicino alla casa del delitto e quali altri orrori lasciano presagire? Che fine ha fatto la giovane Debra Patterson uscita di casa una sera e mai ritornata? E intanto dal suo insospettabile rifugio il mostro prepara una nuova mossa… Lui è una vera e propria discesa verso il male. Angosciante e crepuscolare, dalla suspense implacabile, questo thriller oltrepassa tutti i limiti del genere e ci svela nel dettaglio i metodi investigativi applicati dalla polizia americana. Tale è la ricchezza di particolari che l'autore è stato più volte interrogato dall'FBI per capire quali fossero le sue fonti. Lui è stato pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1992 dove è subito diventato un romanzo di culto.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2014
ISBN
9788858665923

SECONDA GIORNATA

I freddi di animo

… Le ho tagliato la gola perché non potesse urlare…
è durato per un pezzo, ma lei continuava a svenire.
THEODORE BUNDY JR.
Ted, i nostri cuori sono con te!
Cartellone di protesta alla vigilia dell’esecuzione di
THEODORE BUNDY JR.

20

Sabato 9 aprile, ore 6:10

Il modesto ristorante sulla Wisconsin Avenue, a Bethesda, nel Maryland, era stato un tempo un luogo di sosta per camionisti, ma ora sembrava più un’aristocratica imitazione di se stesso, con cromature persino troppo pulite e lucide, un menu troppo elaborato e costoso e un caffè che era passato dall’essere fatto al momento all’essere fatto con una macchinetta.
Quando erano arrivati Scott e Rivers, il locale era tranquillo e praticamente vuoto ma, con il levar del sole, gli abitanti del posto avevano cominciato a mettersi in fila davanti alla porta, leggendo il giornale in attesa di entrare, chiamati per nome. Rivers si guardò intorno con un certo disprezzo. C’era qualcosa di storto, ragionava, in una tavola calda che accettava prenotazioni e preparava uova alla Benedict, che era poi quel che stava mangiando Jack Scott molto tempo dopo che Rivers si era spazzolato due montagne di frittelle con salsicce e uova al tegamino.
«Allora, che probabilità pensi ci siano?» chiese Rivers dopo aver raccontato del ritrovamento dell’auto di Debra Patterson.
«Che sia ancora viva o che sia stata rapita da Zak Dorani?»
«Tutte e due.»
«In base alla mia esperienza, direi il cinquanta per cento che sia ancora viva, quanto al fatto che sia implicato Zak, ne dubito. Non sappiamo nemmeno se è vivo, e questa è una grande area metropolitana. Vuoi che venga con te quando lo dirai ai genitori?»
Rivers bevve un sorso di caffè e si strinse nelle spalle. «Non è necessario. Il capitano Drury si è offerto volontario e c’è già passato altre volte. Piuttosto tu, Jack, da dove comincerai?» Aveva aperto una cartella del VICAT e stava studiandone il contenuto. Racchiudeva un’altra epoca, un’epoca in cui i fascicoli individuali tenuti dalla polizia erano esaurienti, pieni di foto segnaletiche, dati precisi, impronte digitali e rapporti di laboratorio che offrivano analisi particolareggiate. Una foto in bianco e nero si era scolorita in sfumature di grigio e il detective avrebbe potuto affermare con certezza che era stata scattata quando la polizia non usava le maniere delicate. «Lo avete arrestato nudo?» Ridacchiò.
«Lo spogliammo per perquisirlo molto a fondo, una violazione dei suoi diritti» affermò Scott con freddezza. «Trovammo la fede nuziale di una donna fissata con il nastro adesivo dietro lo scroto.»
Il sorriso inacidì.
«Zak non faceva niente senza una ragione» continuò Scott, intingendo un pezzo di focaccia nel tuorlo rappreso. «La mia ipotesi è che volesse costringere qualche donna a cercarla, ma non trovammo mai la legittima proprietaria dell’anello.» Tornò alle sue uova mentre Rivers si concentrava sulle fotografie.
Secondo la scheda di identificazione, Zak Dorani era alto esattamente un metro e sessantacinque e la sua postura rivelava una naturale, leggera inclinazione a sinistra. Rivers cercò un difetto fisico. Le gambe erano ben formate: non troppo arcuate né con le ginocchia valghe. Lo stomaco era piatto e il busto ben proporzionato rispetto al corpo. «È atletico, ma ha un problema alla schiena che dovrebbe essere peggiorato con l’età.»
«C’è un rapporto medico. Zak era in cura per la scoliosi, faceva fisioterapia per un problema piuttosto comune: una deviazione laterale della colonna. Niente di troppo serio – capita praticamente a una persona su cento – ma può essere doloroso.»
Rivers annuì. Per via della carnagione liscia, il volto ovale e i capelli castani, pensò che Zak era un tipo così comune da poter essere nato ovunque. Gli occhi erano minuscoli specchi neri, infossati come quelli di un olandese, e il mento era affilato e piatto. Il naso sembrava mozzato, quasi troppo piccolo e le labbra erano sottili. «Lo riconosceresti, vedendolo?»
Scott mandò giù un sorso di caffè, spingendo da parte il piatto. «Forse. Tuttavia quelle foto sono state scattate quasi trent’anni fa e non è da escludere che sia cambiato grazie alla chirurgia plastica: un trapianto di capelli, dei lifting facciali, qualsiasi cosa. Abbiamo a che fare con un uomo più vanitoso di qualunque donna tu abbia mai conosciuto, uno che sa mimetizzarsi, un vero attore. Fisicamente è piccolo – e questo è difficile da nascondere – e i suoi occhi sono così scuri da sembrare neri in una stanza poco illuminata. Ma può darsi che anche quello sia cambiato.» Scott si strinse nelle spalle. «Chirurgia o lenti a contatto colorate, chissà.»
Rivers frugò nella tasca della felpa, trovò dei sigari e continuò a cercare finché nella sua mano comparve un pacchetto malandato di Marlboro, che allungò sopra il tavolo. Scott prese una sigaretta un po’ piegata e poi l’accendino di Rivers. Fece girare la rotella col pollice, poi esaminò quel cimelio malconcio con un certo interesse. Da una parte c’era una Pantera Rosa e dall’altra un teschio sogghignante, due immagini in stridente contrasto tra loro.
«Un portafortuna?»
«Un regalo» rispose Frank, ricordando quando lo Zippo era in voga in America. Allungò la mano, palmo in su, e Scott vi depositò l’accendino. Una cameriera arrivò con un vassoio, riempì le loro tazze, poi cominciò a sparecchiare mentre Scott tirava fuori due telefoto in bianco e nero e le metteva sul tavolo.
«Penso che questo fosse un portafortuna, o magari una specie di regalo» suggerì. «Hai mai visto niente del genere?» domandò. Entrambi guardarono l’immagine della moneta usata per comunicare durante la Guerra civile.
«Negativo» rispose Rivers, accendendosi la sigaretta. «La prima e l’ultima volta che ne ho vista una è stato quando Elmer mi ha dato questa.» Infilò la mano nella tasca dei pantaloni e recuperò una bustina trasparente che conteneva la piccola medaglia. La lasciò cadere sul tavolo.
«Nient’altro per oggi, Frank?» La cameriera li interruppe, portando il conto e un bricco di caffè.
«No, grazie, Kathy.»
Lei mise in tavola due cucchiaini puliti e se ne andò, mentre Scott studiava con attenzione la moneta, girando il sacchetto da una parte all’altra. «Posso tenerla?»
«È in prestito.»
«E sei sicuro che il ragazzino l’ha trovata dove ha detto?»
«Assolutamente, è un bravo bambino.»
«Che ne pensi, Frank?»
«Diavolo, non lo so, comandante, è una vecchia moneta. Non hai un identikit di come potrebbe essere oggi il tuo balordo?»
Scott sorrise. «Balordo?»
«Pervertito.»
«Parliamone dopo, di lui» propose Scott, riportando il discorso sulla medaglia. «Hai notato che in alto un trapano ha prodotto un foro in mezzo a una parola, o forse una serie di parole?» indicò, sollevando lo sguardo stanco.
«Sì» disse Rivers, strizzando gli occhi. «L’ho visto.»
«Be’, abbiamo stabilito che la medaglia è stata coniata nel 1863, ad Harpers Ferry, in West Virginia.»
Rivers si lasciò andare contro lo schienale della panca. «Allora che c’entra con Zak?»
«Prove, Frank, indizi che possono fornirci una direzione da seguire.»
«Cosa?» Rivers scosse la testa e poi si chinò sul tavolo. «Senti, Jack» disse tagliente, «se è lo stesso tizio, a che serve tutto questo? Se puoi riconoscerlo, è finita. È come se avesse un marchio: partiamo da lì.» Diede un colpo di tosse, aspettandosi una risposta irata. Ma Scott si limitò a sorridere, accomodandosi contro la spalliera del morbido sedile di pelle.
«Mi prendi in giro?» disse, le mani aperte e i palmi in su come chi prega.
«Ovvio» convenne Rivers. Ma non era quella la sua intenzione. Stava pensando che, se l’omicida agiva sempre in un determinato ambito territoriale, come aveva detto Scott, allora sapevano già che frequentava la zona di River Road, il che significava che potevano incastrarlo servendosi di un’esca ed esercitando una stretta sorveglianza. Conosceva il tipo giusto per quel lavoro.
Scott si schiarì la voce. «L’età prima della bellezza, detective?»
Rivers fece una risatina alla vecchia battuta. «Non me lo dicevano da quando ero ragazzo.» Scott fece apparire da sotto la panca un tubo di cartone e cominciò a svitare il tappo di alluminio. «Che c’è lì dentro? Non gli hai tolto gli occhi di dosso un momento.»
Scott non rispose, ma infilò la mano nel tubo estraendone un rotolo di carta spessa, poi asciugò con un fazzoletto di lino la superficie del tavolo. Quella che srotolò era una mappa a china della vallata del fiume Potomac. La mappa era dipinta – ad acquarello, immaginò Rivers – e sembrava antica.
«Che mi venga un colpo. Dove diavolo l’hai presa?» chiese, chinandosi eccitato sul tavolo.
«È in prestito» mentì Scott. «Fa parte di una serie realizzata dai Confederati prima della battaglia di Fort Sumter. Mostra come i ribelli vedevano questa parte del Maryland nel 1860.»
Frank studiò da vicino quel pezzo di antiquariato, sentendo lo strano odore della pergamena mischiarsi all’aroma del caffè e delle salsicce. Si distinguevano chiaramente il fiume Potomac e Chesapeake e il canale dell’Ohio, ma la città di Bethesda non c’era. «Grandioso, Jack» disse, convinto.
«Dalle un’occhiata. Poi ti faccio un indovinello.»
«Bene» e l’agente della polizia di Stato si avvicinò di più, annusando come un segugio sulle tracce.
Gli piacevano quei nomi, erano belli e divertenti. Il fiume scendeva lungo la mappa riversandosi nella vecchia Georgetown, a Washington, in un luogo chiamato Frogland, «terra dei ranocchi». «Froggyville, dove si trovano alcune delle proprietà più costose della nazione? Jack, è… fantastico!» esclamò. Vicino a Frogland c’era una porzione di terra chiamata «delusione dell’illusionista».
«Guarda qui» rise Frank, «mi sa che hanno assaggiato la cucina di Georgetown.» E seguì con un dito la pennellata di azzurro del fiume che piegava tornando nel Maryland.
Due punti di riferimento erano chiaramente indicati: un acquedotto noto come Widewater e le grandi cascate del Potomac ma, attorno a questi, erano stranamente omesse le famose contee di Cabin John e White’s Ferry. Erano state tralasciate oppure all’epoca non esistevano. Il detective scosse la testa. Trovò River Road e, un po’ più lontano a nord, c’erano due puntini lungo il fiume, uno chiamato John’s Revenge e l’altro White’s Crossing, di cui non aveva mai sentito parlare.
«Accidenti al diavolo, non riesco a trovare Bethesda, né Cabin John, né White’s Ferry; e non esisteva una città che si chiamava Potomac?»
Scott stava osservando assorto.
«Darnestown è qui e anche Rockville» continuò Frank seguendo il percorso con l’indice, «ma hanno rivoluzionato tutte le aree attorno al fiume. Jack, dov’è Cabin John? La mia famiglia aveva una casa proprio qui» e indicò un promontorio affacciato sul canale.
«Non saprei, Frank. So che Bethesda ancora non esisteva con questo nome, ma Cabin John e White’s Ferry risalgono al 1839.»
«Guarda» disse l’altro eccitato, «hanno lasciato fuori tutto. Erano proprio qui» e premette un pollice sulla mappa. Scott ebbe un sussulto. «Scusa.»
«Ora, diamo un’occhiata più da vicino» propose Scott, riprendendo le fotografie della medaglia e mettendole sulla la mappa. Rivers fece correre le dita sulla parola JOIN che spiccava a lettere maiuscole.
«Che cosa significa?» chiese, prendendo la medaglia vera e strizzando gli occhi per guardare la casetta attorno alla quale si avvolgeva un serpente.
«Conosci qualche quartiere con un nome che si avvicini alla parola JOIN, qualcosa che abbia le lettere J-O-I-N in sequenza?»
Rivers si mise al lavoro con penna e notes, fece qualche scarabocchio e rinunciò. «Niente» disse. «JOIN. “Unire”, “raggiungere”. Forse significa solo questo, che ne pensi?»
«Guarda di nuovo» insistette Scott, indicando le lettere. «L’unica scelta logica sarebbe Cabin John e sappiamo che su queste medaglie non veniva scritto il nome esatto della città. Si tratta di un simbolo patriottico coniato dall’Unione. Sulla mappa White’s Ferry è indicata come White’s Crossing, ma c’è una medaglia che porta un nome diverso; l’ha rintracciata uno dei miei agenti. Dice White’s Ferry, che è la stessa denominazione usata oggi dal Rand McNally. Penso che le mappe, e di conseguenza le carte moderne, siano sbagliate.»
«Non è una presa per i fondelli?»
«È una teoria.»
«E lo hanno fatto intenzionalmente?»
«Immagino che i cartografi non ne sapessero molto di più. Queste città erano solo delle piccole comunità durante la Guerra civile, ed erano ostili agli estranei. Così magari una spia ribelle che non conosceva la zona ricorreva a questa carta, e finiva che non ci si raccapezzava più; tutto è possibile. Ricordati che negli anni attorno al 1860 non piantavano cartelli lungo la strada quando si trattava di minuscole comunità del sud; e il Maryland era uno Stato diviso.»
«Ma come fai a tirar fuori da qui le parole Cabin John?»
«Okay, diamo un’altra occhiata» disse Scott, «ma ricorda, queste sono solo ipotesi.»
«Giusto.»
Jack fece uno schizzo su un tovagliolo di carta. «Prendi I-N dalla parola Cabin. E la J e la O da John. Non sono in sequenza, ma funziona. J-O-I-N è formato dalle prime due lettere di John e dalle ultime due di Cabin, messe al contrario rispetto a Cabin John. Se fori a...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. Prologo - Luoghi segreti
  6. Vicat
  7. Seconda Giornata - I freddi di animo
  8. Terza Giornata - Il villaggio
  9. Quarta Giornata - Le città
  10. Epilogo
  11. Ringraziamenti