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Un business che non conosce crisi
È davvero il loro momento. Spuntano ovunque, dove prima c’erano cartolerie e calzolai, ora ci sono loro, le sale giochi, le sale slot, per dirlo rapidamente, tutte con la stessa vetrina oscurata da Palermo a Milano. Negli ultimi dieci anni, quello delle slot machine in Italia è diventato un boom inarrestabile, per certi versi impressionante, paragonabile soltanto a un’altra esplosione commerciale: i centri massaggi dei cinesi, riconoscibili anche quelli per le vetrine oscurate e per la grande foto di una signorina tanto graziosa con i petali di rosa in testa. Chissà se nel suo Paese qualcuno le avrà detto che è la donna più famosa d’Italia.
Come nei centri massaggi asiatici, anche nelle sale slot la visuale degli interni è totalmente preclusa, non si vede cosa accade in quel mondo fatato, ma lo si può intuire dai manifesti affissi alle vetrine, dove signorine eleganti e prosperose bevono champagne, stringono in mano un poker d’assi vincente, oltre a monete dorate, e sono circondate da tanti simbolini del dollaro! Come si fa a non divertirsi lì dentro? Come resistere al richiamo delle monete sonanti? Dev’essere per forza un luogo da cui uscire con un sacco di grana e con una bella pupa sotto braccio!
Entrandovi, si apre davanti ai nostri occhi il regno delle cosiddette “macchinette” (che funzionano a monetine) e delle videolottery, le sorelle maggiori, che ingoiano banconote da cinque, dieci e venti euro ma anche da cinquanta, cento e duecento, fino ad arrivare a pezzi da cinquecento. Euro, mica lire. Sì, per chi non l’avesse mai vista, esiste la banconota da cinquecento euro, dicono sia viola e più grande delle altre, e si può inserire intera dentro una videolottery.
In molti, almeno una volta, hanno buttato un euro in una macchinetta per tentare la sorte. Perché no, che cosa c’è di male...
Ma, secondo voi, una puntata da mezzo stipendio può essere semplicemente gioco, divertimento e passione?
Come i centri massaggi asiatici, alcune sale slot sono aperte tutta la notte, e, sorprendentemente, anche tutto il giorno, fin dal mattino presto, quando si dovrebbe andare a lavorare, o dritti a scuola, e invece no, qualcuno sembra avere bisogno di sfidare la sorte fin dalle sette del mattino, forse perché è convinto di avere più fortuna all’alba!
Insomma, pur essendo gestite da diverse società che, come vedremo, ne detengono la proprietà e le posizionano lungo lo Stivale, queste sale si presentano tutte più o meno allo stesso modo, un po’ come un format televisivo. Avete presente Chi vuol essere milionario? Ecco, trovata la formula del gioco perfetto, che funziona e ti tiene incollato alla tv, questa viene replicata in ogni Paese: stesse luci, musica e grafica. Insomma, se seguite Chi vuol essere milionario? in Argentina o negli Stati Uniti sarà identico al nostro, Gerry Scotti a parte. E funziona così anche per le sale slot. Lì dentro, infatti, l’illuminazione è sempre molto bassa, artificiale e tendenzialmente bluastra; non un raggio di sole filtra all’interno, non ci sono finestre, dunque è impossibile accorgersi del trascorrere del tempo perché la luce è volutamente sempre identica. Quasi a simulare un eterno presente. L’atmosfera da locale jazz serve anche al preciso scopo di far risaltare i colori magici e il tintinnio delle slot machine, le uniche attrazioni del posto.
Il suono delle macchinette rimbomba in modo assillante e ripetitivo; si diffonde grazie alle casse posizionate solitamente in modo discreto sul soffitto. Ci sono, poi, le zone fumatori, predisposte in ogni sala cosicché nessuno si allontani per una sigaretta, non sia mai! È bene che tutti rimangano fissi alla loro postazione e che non abbiano alcun motivo per uscire, continuando comodamente a giocare.
Spesso e volentieri, mentre giochi alle macchinette, ti viene offerto anche un giro di alcolici. Sì, avete capito bene: in un mondo dove perfino l’acqua rischia di non essere più gratis, dove paghi pure per andare a pisciare se sei in giro a far compere, c’è un posto incantato dove ti offrono addirittura un cocktail: là dentro ci tengono a coccolare il cliente, pardon, il giocatore.
Insomma, in questo format, campione d’ascolti in tutto il globo, nulla è lasciato al caso.
Eppure, in Italia, non è sempre stato così.
Il primo videopoker è stato creato nel 1970 dall’americana Dale Electronics. Si chiamava Poker Matic e aveva l’aspetto di un grosso frigorifero, con un televisore incastrato sul davanti. Questi apparecchi sono poi sbarcati in Italia alla fine degli anni Novanta, e nessuno quasi ci aveva fatto caso dato che assomigliavano a dei normali videogiochi. Tentavi la sorte con una partita a carte, a poker appunto, tirando una leva, e se facevi scala reale la macchinetta non impazziva e soprattutto non sputava monete, al massimo il barista ti dava dei premi in buoni consumazione: caffè, cappuccio, sambuca e così via. Questo perché tutto rientrava nella sfera dell’azzardo, e fuori dai casinò il gioco era illegale. Il 2003 è un anno epocale: escono di scena i videopoker e prendono il loro posto le slot machine. E, incredibile ma vero, pur pagando le vincite in contanti diventano legali, grazie alla nuova dicitura del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (il cosiddetto TULPS): «Apparecchi con vincita in denaro atti al gioco lecito». Prima di questa “abile” operazione il gioco d’azzardo era consentito solo nei quattro casinò legalmente riconosciuti e per la cui apertura sono stati necessari negli anni ben tre decreti legge: Sanremo nel 1927, Venezia nel 1930, Campione d’Italia nel 1933 e Saint-Vincent nel 1946.
Prima, appunto.
Ora le cose sono cambiate, sembra di essere a Las Vegas: in tutte le città sono nati, quasi a ogni angolo, dei piccoli casinò dove sfidare la dea bendata.
Nel nostro Paese – come risulta da un documento della Commissione di vigilanza sull’anagrafe tributaria – ci sono la bellezza di quattrocentoventimila slot, installate in bar, pizzerie, hotel, persino negli autogrill, ma anche in tabaccherie di pochi metri quadri che troviamo sparse nella provincia italiana; mentre le videolottery, quelle che vanno a banconote, sono oltre cinquantamila, ma sono destinate ad aumentare di altre duemilaquattrocento unità, in seguito all’ultimo bando di gara per le concessioni assegnato dai Monopoli nel settembre 2013.
In Italia oggi si contano circa cinquemila sale giochi. Ma il dato ancora più impressionante è che quasi un quarto dei soldi spesi nel mondo, per il gioco d’azzardo in internet, arriva dai portafogli italiani: da non crederci, ma è proprio così. Perché ora i casinò si trovano anche in rete, e si può comodamente scommettere da casa, seduti sul proprio divano. In mutande, pigiama e ciabatte: tanto non ti vede nessuno!
E non è tutto. L’Italia, notoriamente con un’economia in crisi, è a tutti gli effetti il quarto Paese nel mondo dopo Stati Uniti, Giappone e Macao (Cina) per volume di gioco, e il primo in Europa.
Basti pensare che il giro d’affari italiano del gioco d’azzardo nel 2011 è stato sedici volte quello di Las Vegas, il regno del tavolo verde e della roulette. Trascorsi due anni questo gap è cresciuto ancora, dato che gli incassi di Vegas sono diminuiti, mentre i nostri sono saliti a quota ottantacinque miliardi di euro, ben cinque miliardi in più. Sembra che il paese dei balocchi, raccontato da Collodi in Pinocchio, da favola si sia trasformato, oggi, in un’amara realtà. È da record anche la spesa annua pro capite per i giochi: circa millequattrocento euro a testa sul totale della popolazione. Vuol dire che ognuno di noi, mediamente, contando anche centenari, bambini in fasce e chi odia il gioco, “investe” millequattrocento euro all’anno per scommettere sulla fortuna. Se pensiamo che tanta gente non spende una lira, anzi un euro, neanche per la tombola di Natale, significa che effettivamente c’è chi non fa altro tutto il giorno!
Soprattutto a Pavia, la capitale italiana dell’azzardo. Sì, proprio Pavia: nessuno si spiega il perché, ma la bella cittadina lombarda è finita addirittura in prima pagina nell’edizione internazionale del «New York Times» del 27 dicembre 2013.
Anche in America si sono accorti che il governo italiano sta puntando sul gioco per fare cassa, tanto che il reportage dell’illustre testata statunitense titola così: Many feel gambling deals Italy losing hand; «Molti hanno l’impressione che il gioco d’azzardo dia all’Italia la mano perdente».
Nell’articolo si spiega come a Pavia si trovino slot machine «nei bar, nei tabaccai, dal benzinaio, nei piccoli negozi e nei centri commerciali», evidenziando come la città sia «semplicemente l’esempio estremo della diffusione del gioco d’azzardo in Italia da quando, dieci anni fa, è stata allentata la sua regolamentazione». Al «New York Times», come già accennato, il nostro Paese è ormai noto come «il più grande mercato del gioco d’azzardo in Europa e il quarto nel mondo». Fino a poco tempo fa eravamo terzi, ma poco importa chi è sul podio, quello che conta è che l’equivalente di «un dollaro su otto speso in media da ogni famiglia italiana va nelle scommesse».
E non a caso proprio a Pavia nasce una forte opposizione al proliferare delle slot machine e delle sale giochi, portata avanti dall’associazione NO SLOT, nata ufficialmente nel 2013, anche se ha a cuore la tematica del gioco da molto più tempo. Tutto ha avuto inizio quando un padre e un figlio si sono presentati alla Casa del Giovane – una comunità di recupero che accoglie persone con varie forme di disagio – per chiedere aiuto. A prima vista sembrava la classica vicenda di un ragazzo con problemi di droga accompagnato dal genitore, invece la storia era diversa: il figlio aveva portato lì il padre perché malato di gioco e bisognoso di una mano. È stato quell’incontro a far aprire gli occhi sul problema ludopatia e a spingere la Casa del Giovane e il portale no profit Vita a fondare il movimento NO SLOT, a organizzare nella capitale dell’azzardo numerose manifestazioni per mettere degli argini a questo fenomeno, in una delle quali donne e bambini sono scesi in piazza a chiedere di bloccare i conti correnti dei mariti, malati di azzardopatia, come la chiamano loro. Hanno anche creato il marchio NO SLOT, da applicare alle vetrine di quei bar che decidono di rinunciare agli incassi delle slot, e ne hanno già “premiati” molti. Nel nostro Paese inizia a esserci un sentire comune, una presa di coscienza che è arrivata addirittura alla vetrina d’eccezione del festival di Sanremo, la kermesse nazionalpopolare per definizione. Una delle serate dell’ultima edizione è cominciata con un elogio della bellezza, con un elenco di cose belle della vita nel quale è stato incluso il gesto di un barista che decide di togliere le slot machine dal proprio locale perché stanco di vedere gente giocarsi la pensione.
E persino Papa Francesco non è rimasto indifferente a questo sentire comune e al movimento NO SLOT, esaltando gli appartenenti al gruppo a «continuare quest’opera educativa».
I dati dell’associazione su Pavia sono impressionanti: una slot ogni centoquattro abitanti (primato italiano), stima ottenuta mappando la città via per via, bar per bar; e la spesa pro capite si aggira sui duemilasettecento euro all’anno.
Una marea di soldi che finisce nei forzieri dello Stato e di chi gestisce il business, nonostante il momento di depressione finanziaria che stiamo attraversando. Rinunciare a questo denaro non è affatto facile, eppure dovremmo considerare le numerose ricerche – come lo studio di Matteo Iori I costi sociali del gioco d’azzardo – che dimostrano come nei periodi di crisi economica si tenti molto più la fortuna al gioco, e a giocare siano soprattutto le fasce maggiormente colpite, ceti medio bassi e disoccupati.
Negli ultimi anni il montepremi del Superenalotto si attesta tra i più alti al mondo, e sono molti gli stranieri, appassionati d’azzardo, che cercano nel Bel Paese un po’ di buona sorte, con veri e propri viaggi della speranza. Insomma, anziché visitare i musei, puntano dritti alle ricevitorie e dunque ai nostri ricchi jackpot. Negli Stati Uniti, patria delle vincite più clamorose, raramente si riescono a raggiungere cifre importanti come le nostre, sebbene la popolazione sia quasi sei volte superiore a quella italiana.
Sono in particolare le persone in difficoltà a scommettere di più, con la speranza di fare il botto con una grande vincita. Trovandosi schiacciate da problemi economici, sono alla ricerca di un nuovo metodo per arricchirsi facilmente e subito con i Gratta e Vinci, le slot machine o i casinò on line. Cercano il colpaccio. Ma quanto più il gioco si fa spericolato, tanto più da un punto di vista statistico la perdita può essere elevata. Il tentativo disperato di recuperare i soldi persi accresce la voglia di azzardare un colpo ancora più grosso, alzando la posta in modo esponenziale, con il rischio di trovarsi con meno soldi di prima, o addirittura con nuovi debiti.
La stampa quasi ogni giorno racconta storie tragiche: famiglie distrutte da padri che si sono giocati tutto, genitori che dimenticano i figli in auto perché imbambolati davanti a una slot machine, adolescenti che si tolgono la vita per debiti di gioco che non hanno il coraggio di confessare. Per ogni fatto di cronaca tragico ed estremo, che trova spazio sui giornali o in tv perché fa notizia, ci sono centinaia di storie di ordinaria disperazione che non finiscono in prima pagina perché sono diventate, purtroppo, la normalità.
Ma non tutti, fortunatamente, hanno una visione così distorta del gioco. È infatti fondamentale distinguere tra una sana e controllata passione per la scommessa e quella che può invece diventare un’ossessione patologica.
Ed è qui che entra in gioco (l’espressione è quanto mai calzante) la ludopatia, che il ministero della Salute definisce «una vera e propria malattia, che rende incapaci di resistere all’impulso di giocare d’azzardo o fare scommesse». In America è considerata una piaga già da trent’anni, un’autentica patologia riconosciuta dalla comunità scientifica. In Italia, anche se la problematica inizia a essere presa in considerazione, il gioco compulsivo non viene ancora trattato con lo stesso rigore che si mette in campo per altre dipendenze come quella da eroina, alcol, farmaci, nonostante le persone che si rivolgono al SerT (Servizio per le Tossicodipendenze) per problemi con il gioco continuino ad aumentare e circa l’ottantacinque per cento della popolazione adulta affermi di aver provato almeno una volta l’azzardo.
La ludopatia è l’alterazione del gioco come divertimento, ne è la sua deriva patologica: così accade che un calcolo cieco e ottuso sulla possibilità di vincere prenda il sopravv...