Sui diritti delle donne
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Sui diritti delle donne

  1. 160 pagine
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Sui diritti delle donne

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Intellettuale anticonformista dalla vita privata tempestosa, sostenitrice caparbia dei diritti delle donne e tenace nemica di ogni forma di iniquità, dispotismo e oppressione, Mary Wollstonecraft fu fortemente avversata dagli uomini e incompresa dalle donne della sua epoca. Ma se Horace Walpole la definì "una iena in sottoveste", e se il reverendo Polwhele accolse la sua morte per parto come un "meritato castigo divino", oggi, finalmente, viene considerata per quella che è: madre del femminismo e pensatrice geniale e ardita, in straordinario anticipo sui tempi.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858665435
Categoria
Sociologia

SUI DIRITTI DELLE DONNE

Mary Wollstonecraft


Una rivendicazione dei diritti
della donna con osservazioni
di carattere politico e morale

a cura di BARBARA ANTONUCCI





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Proprietà letteraria riservata
© 2008 RCS Libri S.p.A., Milano
eISBN 978-88-58-66543-5


Prima edizione digitale 2013 da edizione pillole Bur marzo 2008





Copertina Mucca Design
Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

PREFAZIONE

È giunta l’ora di dare inizio a una rivoluzione nei costumi delle donne, è giunta l’ora di recuperare la dignità perduta, e far sì che esse, in quanto parte della specie umana, si adoperino per riformare se stesse e per riformare il mondo.

Mary Wollstonecraft, Sui diritti delle donne
«The Revolution was not merely an event that happened outside her; it was an active agent in her own blood. She had been in revolt all her life – against tyranny, against law, against convention. [...] The life of such a woman was bound to be tempestuous.»1 Così Virginia Woolf ricorda Mary Wollstonecraft nelle pagine che le dedica su The Common Reader: una donna dagli occhi vivaci e dalla lingua pungente, con la rivoluzione nel sangue e, per questo, destinata a una vita tempestosa.
Tempestosa lo fu davvero, la vita della Wollstonecraft, intellettuale anticonformista, in grande anticipo sui tempi, sostenitrice caparbia dei diritti delle donne e tenace nemica di ogni forma di iniquo dispotismo e oppressione. Osservò i costumi della società in cui visse con sguardo chirurgico e, con parole taglienti come bisturi, li criticò e li combatté fino allo stremo delle forze. Il suo primo lavoro di ampia diffusione, A Vindication of the Rights of Men (1790), in aperta contestazione con il conservatore Edmund Burke e con le sue Reflections on the Revolution in France (1790), destò grande scalpore e le valse l’appellativo di “hyena in petticoat”, coniato da Horace Walpole.
Visionaria e lucida, vittima e carnefice, indulgente e severa, Mary Wollstonecraft è ricordata oggi come un personaggio per certi versi contraddittorio: sull’adagio di un’antica filastrocca «Mary Mary Quite Contrary» è intitolato un saggio a lei dedicato, e la studiosa Rosa Maria Colombo scrive di lei come di «una madre tuttora ingombrante».2 Ma è soprattutto nella sfera privata e negli scritti più intimi, resi pubblici post-mortem, che Mary Wollstonecraft scandalizza e solleva perplessità. Sposata una prima volta, quindi separata, poi convivente e madre di due figlie di padri diversi, la Wollstonecraft sancisce il suo primo legame sentimentale con l’americano Gilbert Imlay attraverso un atto di matrimonio registrato all’ambasciata degli Stati Uniti in Francia; e il secondo, con il filosofo William Godwin, dopo una relazione non ufficiale e in domicili separati, sancito da una cerimonia in chiesa al quarto mese di gravidanza.
Fin da giovane, Mary Wollstonecraft si interessa di educazione e filosofia. Spinta dalla necessità di guadagnarsi da vivere, fonda una scuola insieme alle due sorelle e all’amica d’infanzia Fanny Blood, a Newington Green, dove frequenta la comunità di nonconformisti guidata dal radicale Richard Price. La scuola si rivela un insuccesso e la Wollstonecraft si vede costretta a chiudere i battenti. Tuttavia l’amicizia con Price le permette di entrare in contatto con i dissidenti e gli intellettuali che frequentano il suo circolo. Prima di diventare scrittrice a tempo pieno, si cimenta anche nei ruoli di istitutrice e dama di compagnia. A Londra collabora con l’editore Joseph Johnson, per il quale scrive articoli, recensioni e traduce dal tedesco e dal francese, lingue apprese da autodidatta. Quindi si reca per un lungo periodo a Parigi, dove respira a pieni polmoni l’aria della Révolution e dove frequenta gli ambienti degli esuli inglesi volontari e dei giacobini francesi.
È a Parigi che si lascia sedurre dal commerciante Gilbert Imlay. Sono gli anni del Terrore e la Francia ha dichiarato guerra alla Gran Bretagna; viene fatto divieto agli inglesi di lasciare il paese e per questo Imlay registra Mary come sua consorte all’ambasciata americana. La sua passione per la scrittrice dura il tempo di un’estate, ma lascia un segno tangibile: la piccola Fanny. La Wollstonecraft non esce indenne da questa relazione: rimane vittima inconsolabile di quell’amore-schiavitù che un anno prima lei stessa aveva condannato con toni aspri in A Vindication of the Rights of Woman (1792). A Gilbert Imlay scrive numerose lettere dai toni passionali e lacrimevoli. Vedendosi però respinta, la scrittrice reagisce “ricattandolo” con il suo amore, con la figlia, con la sua stessa vita: tenta il suicidio due volte, prima con il laudano e poi gettandosi nel Tamigi.
Superato il dolore procurato da questa relazione logorata, torna a Londra, pronta a cominciare una nuova esistenza e a vivere della sua penna. Rifiuta l’aiuto economico che Imlay le offre e con il suo lavoro mantiene se stessa e la figlia. A Londra, l’editore Johnson pubblica tutte le sue opere e per il tramite di questi Mary entra in contatto con gli esponenti del radicalismo inglese di fine Settecento; fra le sue conoscenze figurano William Blake, Thomas Paine, Henry Fuseli e William Godwin. Di Henry Fuseli, uomo sposato, Mary s’invaghisce fino a proporgli un ménage à trois: amore platonico o amore dei sensi, la Wollstonecraft cade di nuovo vittima delle passioni.
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Dovrà aspettare il 1796, anno in cui stringe una relazione con il saggista William Godwin, per vedere realizzato il suo ideale di amore in un connubio perfetto fra passione carnale e passione intellettuale. La coppia sperimenta un nuovo tipo di legame, ciò che oggi definiremmo “una frequentazione”; decidono di vivere in due case separate, senza ufficializzare la loro unione e mettendo in pratica le dottrine di cui entrambi sono sostenitori. Godwin è un compagno leale e affettuoso. «Complici in una breve partita filosofico-sentimentale»,3 scrive di loro Rosa Maria Colombo: il legame fra i due è fondato sul rispetto, l’amicizia e lo scambio intellettuale, quella forma di amore sublime tante volte evocata ed elogiata in A Vindication. Fedeli ai loro princìpi, Godwin e la Wollstonecraft rifiutano il matrimonio finché la gravidanza non li spinge alla decisione di “legittimare” l’ingresso nel mondo del nuovo nascituro. Le complicazioni del parto, tuttavia, provocano a Mary un’infezione che la conduce alla morte.
Godwin decide di adottare e tenere con sé Fanny insieme alla sua legittima figlia: Mary Wollstonecraft Shelley. A Fanny la madre lascia in eredità l’istinto suicida, ai posteri il romanzo incompiuto Mary, or the Wrongs of Woman.
Con eccessivo zelo, forse spinto dal bisogno di far fronte alle difficoltà economiche che imperversano nella sua vita, Godwin si occupa della pubblicazione delle lettere private della moglie. Lo scambio epistolare fra Mary e Imlay rivela l’immagine di una donna soggiogata dalle passioni. In esse l’autrice lascia trapelare un attaccamento morboso, se non ossessivo, per il suo amato: in quelle parole piene di pathos, Mary si umilia, si riduce a creatura debole, schiava di un amore non corrisposto. L’animo irrequieto di Mary è turbato, i princìpi saldi e rivoluzionari in cui crede fermamente, sostenuti da disquisizioni sapienti e meditate, sembrano non avere più alcun valore dinanzi al dolore dell’abbandono. Se questo carteggio non fosse mai giunto a noi, probabilmente serberemmo della scrittrice un’immagine più compatta e coerente. Fu lei stessa a scrivere a Imlay, il 30 luglio 1795: «certe ferite non si possono guarire ma si possono lasciar marcire in silenzio senza smorfie di dolore».4
Oggi Mary Wollstonecraft è ricordata per la carica rivoluzionaria e provocatoria di A Vindication of the Rights of Woman, il suo testamento spirituale, considerato il manifesto del femminismo americano e inglese. Ai suoi tempi, l’opera venne accolta con scalpore e aspre critiche da parte dei conservatori. A distanza di due secoli, i contenuti di A Vindication conservano ancora il sapore della rivolta e le riflessioni audaci e sagaci di cui si fa portavoce e sostenitrice la Wollstonecraft emanano ancora una forte carica persuasiva. Applicando i princìpi di libertà e uguaglianza della Rivoluzione, l’autrice condanna il falso sistema di educazione che costringe le donne a vivere in uno stato di ottusa fanciullezza e accusa la società di perpetuare un modello fallace di femminilità fondato sul culto del corpo della donna, il cui unico compito è quello di rendersi attraente agli occhi dell’uomo.
L’opera prende le mosse da un trattato di Catherine Macaulay, Letters on Education (1790), recensito dalla Wollstonecraft per l’«Analytical Review» di Johnson, e accoglie alcune delle affermazioni di matrice rousseauiana contenute nel suo scritto precedente Thoughts on the Education of Daughters (1786). Riprendendo le nozioni espresse dalla Macaulay sull’importanza della libertà e dell’esercizio fisico per le donne come mezzo per acquisire forza d’intelletto, concetti fondati sulle dottrine di Locke e Rousseau, Mary Wollstonecraft contesta a gran voce la funzione ancillare che la società conferisce alla donna. Di Locke e Rousseau condivide, inoltre, il rifiuto della proprietà ereditaria e della tirannide dell’aristocrazia, da cui hanno origine i vizi e la corruzione, a favore della libertà di raziocinio dell’individuo. Estende e applica gli stessi princìpi alle donne, affinché esse possano riscattarsi dalla condizione di passività e sottomissione a cui l’uomo le ha costrette.
Si dia loro spazio per sviluppare le proprie facoltà e la possibilità di rafforzare le proprie virtù e si decida solo allora quale debba essere la posizione dell’intero sesso nella scala intellettuale.
La Wollstonecraft invoca una rivoluzione nei costumi sociali e accusa gli uomini di privare le donne del diritto all’istruzione, impedendo loro di sviluppare il proprio intelletto e di esercitare il raziocinio, rendendole dunque cittadine inutili e cattive madri. L’accusa è rivolta anche ai governi, che impediscono alle donne accesso alla vita politica, e agli educatori che coltivano pervicacemente un modello pedagogico errato e dannoso. L’acredine di Mary Wollstonecraft si riversa, sebbene con toni più pacati, anche sulle donne: le esorta a cimentarsi in attività ben più alte di quanto non siano l’affettazione e la ricerca di un buon partito da sposare e le incita ad armarsi di spirito rivoluzionario per rivendicare i propri diritti. Titanica e apocalittica, le invita a elevarsi al rango di creature pensanti e risvegliarsi dal torpore a cui sono state costrette e su cui, forse questa è l’unica accusa vera e propria che rivolge al gentil sesso, si sono adagiate.
L’impegno principale nella vita di una donna sulla base del modello sociale attuale è il piacere e finché continua a essere così, possiamo aspettarci ben poco da esseri così deboli. Ereditando per discendenza diretta il primo bel difetto della natura – la supremazia della bellezza – per conservare quel piacere esse hanno rinunciato ai diritti naturali che l’esercizio della ragione avrebbe potuto procurare loro, e hanno scelto di essere regine di breve vita invece di affannarsi per ottenere i piaceri sobri che sorgono dall’uguaglianza.
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Perpetuando un tale modello del femmineo, riducendo la donna a creatura dedita ai vezzi e alle frivolezze, gli uomini avallano e lusingano il proprio ego. Riducendo le donne ad animali domestici fedeli e affettuosi, scrive la Wollstonecraft, essi rafforzano la propria identità di maschi forti e superiori.
L’educazione mediocre, lo scarso esercizio fisico e l’istruzione carente, afferma con convinzione l’autrice, costituiscono le cause della corruzione di entrambi i sessi. L’autrice ragiona su questi temi fino allo sfinimento, fornisce esempi, cita, parafrasa educatori e scrittori, esclama, domanda, tesse periodi lunghi e barocchi, compone metafore inverosimili e iperboli audaci; il tono è spesso sarcastico, se non canzonatorio.
Le mie simili vorranno scusarmi se le considererò alle stregua di creature razionali piuttosto che adularne le grazie seducenti e trattarle come se fossero in uno stato di perpetua fanciullezza, incapaci finanche di sostenersi sulle proprie gambe. Desidero ardentemente mostrare in che cosa consistano la vera dignità e la felicità umana. Desidero esortare le donne a impegnarsi per acquisire forza, sia fisica che mentale, e persuaderle che frasi tenere, animi impressionabili, delicatezza di sentimenti e raffinatezza del gusto, sono pressoché sinonimi di debolezza, e coloro che sono semplicemente oggetto di compassione e di quel tipo di amore che è stato definito suo parente, diventeranno presto oggetto di disprezzo.
Contro la funzione ancillare della donna, contro la letteratura didattica per fanciulle e contro la letteratura frivola, Mary ostenta il suo sarcasmo pungente. E pungente si manifesta soprattutto nei riguardi di Rousseau, di cui, nelle lettere a Imlay, si dichiara segretamente innamorata, e con cui, in A Vindication, mantiene un dialogo sempre aperto, sfidandolo a un duello intellettuale. Gli riconosce meriti e limiti, ne apprezza alcuni pensieri ma attacca ferocemente le sue posizioni rispetto all’educazione delle donne:
Le considerazioni di Rousseau, che hanno avuto seguito in molti scrittori, secondo le quali le donne sono per natura e sin dalla nascita, indipendentemente dall’educazione, appassionate di bambole, vestiti e conversazioni, sono talmente puerili da non meritare neanche una seria confutazione.
Mary Wollstonecraft vuole porre fine, in nome della ragione, a ogni forma di tirannia: il dispotismo verso le donne, sostiene, è lo stesso che tiene gli schiavi in catene e i ceti bassi alle dipendenze dei ceti aristocratici. L’istruzione rappresenta, secondo la scrittrice, l’unico mezzo per liberare le donne dal giogo dell’oppressore. Ispirandosi al modello educativo di Rousseau, la Wollstonecraft lo estende alle donne e chiede riforme a livello di istruzione: i bambini devono andare a scuola insieme, e alle fanciulle deve essere permesso di giocare all’aria aperta per rinvigorire il corpo. Una costituzione robusta è l’elemento essenziale per acquisire vigore mentale secondo il principio mens sana in corpore sano di lockiana memoria.
Nella ricerca delle cause che possono aver portato l’umanità a credere nell’inferiorità della donna, Mary Wollstonecraft giunge anche a sfidare il Verbo: nella trama del suo discorso raramente sottopone a giudizio le regole di Dio, in cui crede fermamente, ma insinua una sua visione personale. Nella storia «poetica» di Mosè, così la definisce, individua la fonte dell’iniquità fra uomo e donna, il pre-testo sul quale si è poi inscritta la storia dei sessi, che impone il giogo alle donne per rendere l’uomo sovrano assoluto, subordinando la donna alla sua volontà e riducendola a un «innocuo» oggetto del piacere.
Probabilmente, la convinzione diffusa che la donna sia stata creata per l’uomo deriva dalla poetica storia di Mosè; tuttavia, poiché immagino che in pochi, fra coloro che hanno riflettuto seriamente sull’argomento, credano che Eva sia (letteralmente parlando) una costola di Adamo, è doveroso ammettere che tale affermazione è infondata e può essere utilizzata solo come riprova del fatto che l’uomo, sin dalla remota antichità, ha ritenuto utile esercitare la propria forza per sottomettere la sua compagna, servendosi dell’inventiva per dimostrare che ella doveva tenere il collo piegato sotto il giogo, giacché l’intera creazione aveva avuto origine per il piacere e la convenienza di lui.
Con timidezza, ma sempre con grande capacità di persuasione, Mary Wollstonecraft chiede anche una rappresentanza femminile al governo, attaccando le fondamenta della politica.
Susciterò forse ilarità con la mia osservazione, che intendo approfondire più avanti, ma credo davvero che le donne debbano avere dei rappresentanti invece di essere governate arbitrariamente senza alcuna voce in capitolo nelle delibere del governo.
A Vindication of the Rights of Woman sfida il suo secolo e rimanda ogni giudizio a un’epoca in cui alle donne verrà garantito accesso all’istruzione e ad altri modelli di vita esterni al matrimonio. Solo allora, dice la Wollstonecraft, solo quando alle donne sarà data la possibilità di realizzare le proprie capacità, si potrà stabilire se la donna è inferiore o pari all’uomo per intelletto.
Liberate dalle catene che le rendono economicamente dipendenti dall’uomo e dalla debolezza fisica, esse diverranno donne e madri capaci, avulse dalle frivolezze e dalla vile lussuria di cui sovente cadono vittime.
Per noi miopi mortali è d...

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