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QUANDO ENTRA IN SCENA PENSICCHIO
«L’ego è il prodotto di un’attività mentale che crea e mantiene in vita nella nostra mente un’entità immaginaria.»
HAN F. DE WIT
Quel piccolo criceto che trotterella nella testa io l’ho chiamato Pensicchio. Perché? Perché «pensicchia» molto ma pensa pochissimo. E le sue «pensicchiate» occupano la nostra mente dalla mattina alla sera: giudizi, rimproveri, critiche, ruminazioni, rimpianti e così via. Tutti quanti viviamo periodi di stress in cui ci manca il giusto distacco, periodi in cui le idee si fanno confuse e i pensieri inutili, tanto da impedirci di passare all’azione, di metterci all’ascolto del nostro benessere e di migliorare il nostro rapporto con gli altri. Insomma, sai perfettamente di cosa sto parlando.
Pensicchio porta anche il nome di «ego», parola utile per identificare quell’attività mentale che in un certo qual modo, nel corso della storia, «si è creduta un individuo».1 Detto in altri termini: il grande Io che si è creduto te, si è creduto me.
Però attenzione: non metterti a cercare Pensicchio, perché lui è inafferrabile. Nemmeno le apparecchiature più moderne – con immagini tridimensionali a colori – saprebbero rintracciare la punta di un pelo dell’orecchio del criceto che hai nella testa.
Eppure è un mostro! Quella bestiolina è il capo supremo della sofferenza, colui che la genera e la diffonde. Come ci riesce? Semplicemente riconducendo tutto a se stesso: Io! Io! Io! Non occorre essere una superstar per avere un ego sovradimensionato-smisurato-dilatato-ipertrofico. Non c’è bisogno nemmeno di complicate teorie psicoanalitiche per scoprire che questo piccolo io altro non è se non un roditore agitato che, ben piantato dentro la sua ruota, passa il tempo a ripetere: «io…», «a me…», «perché non sono mai io che…?» o, al contrario, «perché sono sempre io che…?».
Ricorda com’è andata con la carta igienica, lo shampoo, la spazzatura, l’automobilista… Il ritornello è sempre lo stesso: Io contro gli altri. E Pensicchio difende il suo titolo contro il mondo intero!
La maggior parte degli esseri umani ignora che Pensicchio vive dentro di loro e che, dal momento in cui inizia la sua corsa, è lui a occupare tutto quanto lo spazio. Non c’è più modo di riflettere né di trovare pace, non esiste altro al di fuori di quel suo baccano, non un centimetro quadrato di consapevolezza disponibile per poter osservare tutto il suo teatrino. E i deliri che ne conseguono.
Torniamo per un attimo alla giornata descritta in precedenza, una comunissima giornata di una vita tranquilla, e introduciamo la bestiola, tanto per vedere come riesce a farti fare ciò che le pare e piace.
L’effetto Pensicchio
Una riflessione di questo genere sottende che tu, invece, l’avresti cambiato quel maledetto rotolo. Perché tu sei di un’altra pasta! Non sei come tutti quei pigroni che non vedono al di là del loro naso. Tu sei speciale. Eccezionale. Tu fai quello che nessun altro fa. Sei sempre all’ascolto degli altri e dei loro bisogni, e non avresti mai lasciato quel pezzo di cartone tutto nudo sul portarotolo. No, mai!
Lo vedi il tuo criceto che fa le bizze?
Questo pensicchiamento lascia nuovamente intendere che tu, essere umano senza eguali, tu l’avresti rimesso nella doccia quel dannato shampoo. Perché tu sì che sai quello che va fatto. Sei brillante abbastanza da saper distinguere ciò che è rispettoso da ciò che non lo è, ciò che è giusto da ciò che non lo è, ciò che è buono da ciò che non lo è. Il tuo specialissimo ego è fatto così. Gli altri, invece… Ah! gli altri, tutti quanti dei grandi egoisti!
E i calzini marroni che non sono nel cassetto? E l’osso di pollo che sbuca dal sacchetto della spazzatura? E l’imbecille che non parte con il verde? Queste sono tutte occasioni, per il baccano «egoico», di riempirti la testa e annientare qualunque opportunità di silenzio o di riflessione intelligente. Rimangono solo Pensicchio e le sue elucubrazioni del tipo: «Non conto più niente per mia moglie, mia figlia si comporta come una principessina e quell’automobilista è un demente!». Elucubrazioni che lui considera pensieri geniali.
Le situazioni illustrate qui di seguito ti ricorderanno sicuramente momenti che tu stesso hai vissuto e ti aiuteranno a capire che basta un attimo di disattenzione perché il tuo criceto prenda il controllo. Abbiamo invece così tanto da guadagnarci, nel farlo calmare…
Quando il criceto parte per la tangente
Poco dopo, le pensicchiate cambiano registro: «A ogni modo non mi piace più lavorare qui. Forse questo posto non è adatto a me, dopotutto. Non ho più né la carica né la passione. E comunque, quanto a riconoscenza, ti saluto!». Hai come un macigno sul cuore.
Stop!
Diamoci una calmata
In tutte queste situazioni hai riconosciuto la presenza del grande ego? Lascia che ti aiuti: ci sono Roger, il collega appena promosso, gli amici di tuo figlio, il ritardatario…
Ma perché mai l’aver perso l’attenzione del tuo pubblico ti riduce in quello stato? Certo, sarebbe assolutamente magnifico che tutti gli esseri umani fossero come te, sempre ben focalizzati quando sono alle prese con attività importanti e interessanti. È chiaro che in un mondo in cui tutti i Pensicchi fossero stati addomesticati le cose starebbero così, ma per ora siamo ben lontani dal traguardo. Sembra anzi che in quest’epoca di modernità si assista a un’accelerazione della folle corsa dei nostri criceti mentali. Con la tua mente, ovvio, in prima fila.
Quando lo sguardo e l’udito del tuo pubblico vengono sviati e si rivolgono al ritardatario, il tuo ego si sente improvvisamente privato di tutta l’attenzione che lo nutre. Un simile abbandono suscita in Pensicchio un urlo che viene dal cuore: «E io allora? Non vi occupate più di me? Mi abbandonate? Che fine farò, io?». Pensicchio vuole infatti che tutti i proiettori siano puntati su di lui. Non può permettere, nemmeno per un istante, che la tua coscienza si risvegli e ti lasci comprendere un fatto semplicissimo: una testa che si volta verso una porta che si apre è un puro riflesso di sopravvivenza!
Quel riflesso primordiale risale all’epoca in cui l’uomo doveva continuamente guardarsi alle spalle, notare ogni minimo cambiamento nell’ambiente circostante per non essere mangiato vivo. Ma Pensicchio non lo capisce, dal momento che lui per primo ha una paura tremenda di morire, di scomparire. Ecco perché spreca così tante energie per far notare la propria presenza, per sottolineare la propria importanza e unicità. Il suo cervellino da criceto è spinto da una sola logica: finché sei speciale, unico o importante ci sarà sempre qualcuno che si interesserà a te. Questa convinzione è il motore di tutto il suo correre, come anche della sofferenza che alimenta. Alla paura primitiva di trasformarsi in un pasto, l’ego sostituisce un doppio terrore: che ogni forma di attenzione nei suoi confronti scompaia (o non appaia mai), e conseguentemente che lui possa morire per mancanza di nutrimento.
Ricordalo bene: è la paura di Pensicchio a scatenare le bufere nel nostro cranio.
È risaputo che quando abbiamo paura facciamo rumore. Tutti gli animali lo sanno. Allo stesso modo, l’ego vuole manifestare la propria esistenza e per attirare l’attenzione deve trovare la maniera di farsi notare. Del resto, chi ti dice che quel ritardatario non sia arrivato tardi apposta, proprio per attirare l’attenzione su di sé? L’ego è perennemente in stato di allerta, sempre intento a decodificare quello che potrebbe fargli avere – o sottrargli – un po’ di attenzione. Sonda costantemente gli atteggiamenti, i gesti e le fisionomie degli altri. Paragona, giudica, critica, valuta, attacca, disapprova, disprezza o incensa, blandisce, vanta, seduce e così via. Smuove e mescola tante di quelle cose nella tua testa: quello che esiste e quello che non esiste, quello che va bene e quello che non va bene, quello che ha un senso e quello che non ha senso… Non c’è da stupirsi, quindi, se qualche volta non ci raccapezziamo più. Dopotutto quando si corre dentro una ruota ininterrottamente – e da così tanto tempo – è davvero difficile capire da che parte si è girati.
La paura, a volte, provoca anche la paralisi. Ci nascondiamo, tentiamo di renderci invisibili e poi iniziamo a tremare. A quel punto il cuore si mette a tamburellare: badabum! badabum! Anche quando ci si nasconde, niente può impedire al cuore di fare rumore.
Sì, lo so: c’è quell’accidenti di un Roger con le sue Grandi Imprese, la promozione del collega, la storiaccia di tuo figlio… non è che siano proprio delle situazioni piacevoli o facili da vivere!
Non ho mai detto il contrario. Tengo solo a precisare che la causa della tua sofferenza è il tuo ego, cioè Pensicchio. Il criceto matto dall’eterna logorrea che abita dentro la tua testa: «Avrei dovuto essere promosso io… io che ho lavorato davvero sodo… io che sono eccezionale! E Roger dovrebbe portarmi più rispetto. Non è l’unico uomo sulla terra! Di cose eccezionali ne ho fatte pure io! E mio figlio? Non ho forse fatto di tutto per lui?».
Questo baccano mentale è l’io in piena attività.
E quando un uomo (o una donna) arriva per esempio a uccidere i propri figli è più che mai l’io a esprimersi, nient’altro che l’io. Non si tratta qui di giustificare dei comportamenti criminali o di condannare un sistema, ma semplicemente di capire quello che accade dentro una mente. Prendiamo ad esempio un uomo che abbia appena scoperto il tradimento della moglie. La meccanica mentale dell’ego si mette in moto all’istante: Pensicchio è ferito, frustrato perché non è più l’unico oggetto dell’attenzione della sua compagna. Non è più l’Unico, l’Eccezionale, lo Straordinario! Qualcun altro lo ha sostituito. Il suo io si agita: teme di essere abbandonato, rifiutato e, conseguentemente, di smettere di esistere.
Il discorso e le immagini che riempiono in quel momento la testa di quell’uomo generano una secrezione di tutta una serie di ormoni nel sangue, gli stessi che governano il funzionamento degli organi quando il corpo si sente minacciato. Compaiono altre immagini e altre parole, in un vertiginoso valzer che si ripete all’infinito. Pensicchio vuole eliminare ciò che lo minaccia, colpire là dove potrebbe fare più male. La secrezione ormonale si intensifica e la mano si impossessa di un coltello. A dirigere la mano c’è un ego ferito e impaurito che cerca di sbarazzarsi della paura e del dolore. Un ego privo di qualunque forma di consapevolezza, allo stato puro, alimentato da...