Il rischio educativo
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Il rischio educativo

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Il rischio educativo

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Opera fondamentale e tra le più originali della produzione di Luigi Giussani, Il rischio educativo esprime la preoccupazione che è al centro dell'intera sua proposta – come viene ricordato nell'introduzione: "Il tema principale, per noi, in tutti i nostri discorsi, è l'educazione" –. Tre i fattori costitutivi della proposta dell'Autore: la comunicazione di una tradizione, dentro una esperienza presente, per liberare i giovani e metterli nelle condizioni migliori per valutare criticamente ogni aspetto della realtà. Dal "rischio" del confronto con l'ambiente circostante si genera la personalità di chi è educato: la sua libertà, cioè, "diviene". Si coglie, in queste pagine, la freschezza di una concezione educativa vissuta e sperimentata – prima come insegnante al liceo Berchet di Milano, e poi come professore all'Università Cattolica di Milano –, frutto di una profonda conoscenza della natura umana e, al tempo stesso, delle condizioni storiche e culturali che caratterizzano la vita dell'uomo oggi. Uno scritto attualissimo, una tappa essenziale per avvicinarsi al percorso umano e spirituale di Giussani.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2016
ISBN
9788858683835

Il rischio educativo

PREFAZIONE

di Nikolaus Lobkowicz*

L’autore di questo libro, don Luigi Giussani, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione e già professore di Introduzione alla Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, possedeva un carisma particolare: quello di proclamare l’annuncio cristiano come qualcosa di totalmente nuovo, di assolutamente originale, e di trasmetterlo in un modo che ha commosso soprattutto i cuori dei giovani. Li ha commossi secondo una modalità che oggi è diventata molto rara: sollecitandoli a una decisione, quella di concepire tutta la propria vita come un incontro con Gesù Cristo nella Chiesa di oggi.
Un carisma è un dono di Dio che non ha bisogno di tante interpretazioni. Ma contemporaneamente esso è un dono fatto a un uomo e si manifesta in come un uomo pensa, parla e agisce. È perciò forse legittimo tentare di descrivere questo stile di vita cristiana così affascinante per molti giovani d’oggi. Quando ero Presidente dell’Università Cattolica di Eichstätt sono stato debitore a don Giussani di quel tentativo, anche solo per il fatto che egli, probabilmente senza saperlo, è stato per me benefica compagnia durante i dodici anni del mio incarico. Che io sia stato – e lo sia tuttora – debitore di questo a don Giussani non significa certamente che abbia saputo farlo in modo adeguato: si è trattato appunto di un tentativo.
Viviamo in un’epoca in cui il cristianesimo è “impallidito” in maniera singolare. Ci si muove su binari che sono sì ricchi di «tradizione», ma nello stesso tempo «tradizionali», e li si percepisce come in qualche misura restrittivi. Ciò ha a che vedere con il fatto che negli ultimi cinquanta, forse centocinquanta o addirittura duecento anni la grande parola d’ordine è stata «libertà e liberazione». Noi cristiani tendiamo o a insistere ostinatamente, e perciò senza capacità di dialogo, sulle convinzioni che ci sono state trasmesse, oppure – di solito di nascosto e in qualche modo con la coscienza sporca – a fare l’occhiolino al «mondo», che sembra offrirci frutti che a noi in quanto cristiani sono proibiti. La conseguenza è che percepiamo il nostro essere cristiani come una serie di prescrizioni, e nell’istante decisivo non capiamo esattamente perché dovremmo osservarle. «Non puoi...», «Devi... », queste sembrano essere le due norme principali alle quali noi cristiani ci atteniamo. Per questo soprattutto i giovani percepiscono troppo facilmente la Chiesa solo come un’istanza di dirette o indirette norme etiche che impedisce loro di fare quello che volentieri farebbero. Forse si può descrivere il fenomeno anche in questo modo: il cristianesimo non pare compiere nessuno dei desideri che realmente ci muovono. Così vi partecipiamo, ma senza troppo entusiasmo. Persino alcuni teologi al giorno d’oggi sembrano pensarla così, e ritengono perciò che la loro libertà di pensiero consista nel sondare tutte le zone limite di quanto è cristianamente accettabile, e alla fine di varcarle. La parola «originalità» viene scritta a caratteri cubitali, mentre sembra che ogni autorità li debba paralizzare.
Don Giussani ha opposto a questo atteggiamento una riflessione di tutt’altro genere: come io divento «me stesso»? O facendomi trascinare dalle mode del tempo, e venendone per così dire pilotato dall’esterno, oppure affidandomi a un’autorità; non però consegnandomi ciecamente a essa (come accade per le ideologie e le sette, che praticano un divieto di pensare), bensì volendo verificare dove essa mi conduce – forse proprio verso me stesso –. «Verificare» non significa quindi un semplice «provare»; questo implicherebbe un impegno per nulla serio con l’autorità. Piuttosto significa paragonare ciò che essa propone, o – meglio – desidera, con la mia esperienza, con la concezione di me stesso e della realtà che mi circonda di cui dispongo, secondo la percezione che ne avevo prima dell’incontro con l’autorità e quella che ne ho ora. In poche parole si tratta di seguire un’autorità domandandosi continuamente: mi sta conducendo verso il mio vero io, verso la mia intima libertà, una libertà che io sperimento realmente come tale? In questo modo l’autorità agisce (quasi) come una proposta: «Prova una volta a considerare tutto quanto fa parte della tua esperienza dal punto di vista dell’essere cristiano, della tua possibile fedeltà al Signore».
Uno dei paragrafi di questo libro parla de «L’impegno strumento di verifica» (clicca qui per andare al paragrafo). Ciò appare alla nostra mentalità odierna, fortemente influenzata dalle scienze naturali, assolutamente impossibile: un’ipotesi non può essere verificata, al massimo la si può dimostrare – mostrare per esempio che un esperimento non la contraddice –, e per far questo non ci si deve affidare veramente all’ipotesi, bensì bisogna costantemente mantenere le distanze sia da essa che dalla sua dimostrazione o falsificazione. Perciò viviamo in qualche modo da scettici, basandoci su ipotesi delle quali Robert Spaemann ha una volta giustamente scritto che non potrebbero mai costituire l’unico fondamento di una vita sensata.
Ma l’accettazione dell’autorità della quale parla don Giussani non è – appunto – un’ipotesi; è piuttosto un audace tentativo, un intraprendere un cammino che certamente si potrebbe abbandonare in qualsiasi momento, che però si percorre con il desiderio di trovare quella verità che ci fa liberi (Gv 8,32).
In altre parole, il carisma di don Giussani consiste nel saper trasmettere ai giovani e anche ai meno giovani quello a cui la maggioranza di noi nel complesso non vuol credere; la libertà di un’esistenza cristiana fedele a Gesù Cristo e alla sua Chiesa. Egli non parla di comandamenti, bensì di cammino o, più precisamente, del cammino decisivo con il quale impegnarsi per potere diventare se stessi. Quello che la Chiesa ha da proporre quanto a divieti e precetti diventa allora circostanza che l’uomo abbraccia perché spera, in fondo confida, di raggiungere la meta del cammino.
In qualche modo don Giussani ripete così la vecchia domanda del catechismo: «Per quale fine siamo su questa terra?». Non però nel modo in cui oggi troppo spesso la percepiamo, come una domanda la cui unica risposta adeguata dovrebbe consistere nel distaccarsi dalla maggior parte dei desideri e delle bellezze di questo mondo. Piuttosto egli la ripete nello stesso modo in cui la sentirono i discepoli di Emmaus, con parole che quasi inevitabilmente fanno sorgere l’ulteriore domanda: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino?» (Lc 24,32).
Ho vissuto io stesso questa esperienza sulle Dolomiti durante un incontro di don Giussani con circa quattrocento giovani di tutto il mondo. Ciò che veniva detto da don Giussani non era affatto nuovo. Nuovo era lo stile, ma non per il fatto che don Giussani fosse quel che si definisce un «grande oratore». Era nuovo poiché don Giussani toccava cose che ci riguardano in quanto uomini: le nostre preoccupazioni quotidiane, i nostri bisogni, le nostre perplessità e dubbi. Ne parlava però tenendo presenti due presupposti: che chi l’ascoltava aveva un grande cuore (non ho mai incontrato nessuno con una così grande fiducia nella magnanimitas dei giovani) e che Gesù Cristo era loro amico.
Forse è questo il vero segreto del carisma di don Giussani: egli è stato capace di comunicarci che il Giudice di questo mondo vuole il nostro bene, che è nostro fratello e amico. Un Amico sul quale vale la pena puntare tutto perché ci conosce fin nel nostro intimo e ha un unico scopo: farci compagnia affinché noi scopriamo e realizziamo il nostro destino. Non è un caso che l’amicizia sia una delle virtù che il Movimento fondato da don Giussani esercita più gioiosamente; un’amicizia che tocca chiunque si incontri sul cammino e che non viene meno neppure se l’amico prende strade che non si possono approvare. Le cose che sto dicendo non le ho mai udite esplicitamente e forse non accadono neppure coscientemente, ma spesso ho avuto l’impressione che Comunione e Liberazione viva una sequela di Cristo anche nel senso che i suoi membri in segreto «amino» con maggiore passione colui che percorre «vie traverse»; non perché vogliano convertirlo, bensì perché l’amicizia, un’amicizia totalmente gratuita, si dimostra più evidentemente quando l’amico è nel bisogno. Il Movimento fondato da don Giussani possiede una caratteristica che tanti cristiani impegnati non sempre hanno considerato a sufficienza: una coscienza chiara che non si deve strumentalizzare l’amicizia, neppure per gli scopi più sublimi.
In questo si manifesta un’ulteriore caratteristica del carisma di don Giussani: la capacità di rendere il mondo e ciò che è mondano, anche quel che in esso è lontano da Dio, trasparente a Cristo. Don Giussani era un uomo coltissimo, esperto di letteratura, e amava la grande poesia del suo Paese. Gran parte di questa poesia, a partire dal secolo XIX, è aggressivamente secolarizzata, addirittura atea. Ma anche un ateo come Leopardi parla di ciò che lo tormenta in quanto uomo, e le sue preoccupazioni e necessità erano per don Giussani provocazioni per parlare del cammino che il Signore ci invita a intraprendere.
Rendere il mondo trasparente a Cristo; mostrare che questo è possibile, che perfino ciò che nella cultura di oggi c’è di più anomalo e deviato può essere una strada che conduce a Lui: questo è uno dei segreti del sacerdote milanese. Ciò che egli ha rifiutato è ultimamente solo ciò con cui e in cui mentiamo a noi stessi: la nostra superficiale inautenticità, il nostro essere ostinatamente testardi, la pigrizia spirituale che ci impedisce di guardare in faccia alla realtà. E tutto questo lo ha rifiutato solo perché ci impedisce di diventare noi stessi, di smettere finalmente di essere pilotati dall’esterno. La conseguenza di questo atteggiamento è che Comunione e Liberazione è diventato un movimento di rinnovamento cristiano che si interessa ardentemente di tutte le dimensioni della cultura di oggi, perseguendo un’evangelizzazione del mondo di oggi che comprende anche e soprattutto la cultura del nostro tempo. Il Meeting organizzato annualmente a Rimini è senza paragone più moderno e più esistenziale di tutte le usuali autorappresentazioni culturali di noi cattolici, non da ultimo per il fatto che esso con una splendida ingenuità abbraccia tutto ciò che è veramente moderno.
Il libro a cui va questa prefazione parla dell’educazione, del «Rischio dell’educazione». Questo potrebbe indurre il lettore – sia esso un teologo, un insegnante, una madre o un padre – a leggere le parole di don Giussani come se il testo trattasse unicamente di coloro che egli dovrà educare. Io vorrei invitare i lettori a includere anche se stessi. Il fatto che in qualche modo abbiamo già alle spalle la nostra formazione non ci impedisce certo di educarci ulteriormente o perlomeno di vagliare riflessivamente la nostra educazione. Tutti infatti siamo sulla strada che il carisma di don Giussani ci invita a percorrere...

INTRODUZIONE

L’idea fondamentale di una educazione rivolta ai giovani è il fatto che attraverso di essi si ricostruisce una società; perciò il grande problema della società è innanzitutto educare i giovani (il contrario di quel che avviene adesso).
Il tema principale, per noi, in tutti i nostri discorsi, è l’educazione: come educarci, in che cosa consiste e come si svolge l’educazione, un’educazione che sia vera, cioè corrispondente all’umano. Educazione, dunque, dell’umano, dell’originale che è in noi, che in ognuno si flette in modo diverso, anche se, sostanzialmente e fondamentalmente, il cuore è sempre lo stesso. Infatti, nella varietà delle espressioni, delle culture e delle consuetudini, il cuore dell’uomo è uno: il cuore mio è il cuore tuo, ed è il medesimo cuore di chi vive lontano da noi, in altri Paesi o continenti.
La prima preoccupazione di un’educazione vera e adeguata è quella di educare il cuore dell’uomo così come Dio l’ha fatto. La morale non è nient’altro che continuare l’atteggiamento in cui Dio crea l’uomo di fronte a tutte le cose e nel rapporto con esse, originalmente.
Di tutto quello che si deve dire sull’educazione, a noi importano soprattutto questi punti.

1. Per educare occorre proporre adeguatamente il passato. Senza questa proposta del passato, della conoscenza del passato, della tradizione, il giovane cresce cervellotico o scettico. Se niente propone di privilegiare un’ipotesi di lavoro, il giovane se la inventa, in modo cervellotico, oppure diviene scettico, molto più comodamente, perché non fa neanche la fatica di essere coerente all’ipotesi che si è presa.
In Realtà e giovinezza. La sfida ho scritto: «È la tradizione consapevolmente abbracciata che offre una totalità di sguardo sulla realtà, offre un’ipotesi di significato, un’immagine del destino». Uno entra nel mondo con un’immagine del destino, con un’ipotesi di significato che non è ancora svolta in libri: è il cuore, come dicevamo prima. «La tradizione infatti – prosegue il testo – è come un’ipotesi di lavoro con cui la natura butta l’uomo nel paragone con tutte le cose.»1

2. Seconda urgenza: il passato può essere proposto ai giovani solo se è presentato dentro un vissuto presente che ne sottolinei la corrispondenza con le esigenze ultime del cuore. Vale a dire: dentro un vissuto presente che dia le ragioni di sé. Solo questo vissuto può proporre e ha il diritto e il dovere di proporre la tradizione, il passato. Ma se il passato non appare, se non è proposto dentro un vissuto presente che cerchi di dare le proprie ragioni, non si può neanche ottenere la terza cosa necessaria all’educazione: la critica.

3. La vera educazione deve essere un’educazione alla critica.
Fino a dieci anni (adesso forse anche prima), il bambino può ripetere ancora: «L’ha detto la signora maestra, l’ha detto la mamma». Perché? Perché, per natura, chi ama il bambino mette nel suo sacco, sulle spalle, quello che di meglio ha vissuto nella vita, quello che di meglio ha scelto nella vita. Ma, a un certo punto, la natura dà al bambino, a chi era bambino, l’istinto di prendere il sacco e di metterselo davanti agli occhi (in greco si dice pro-bállo, da cui deriva l’italiano «problema»). Deve dunque diventare problema quello che ci hanno detto! Se non diventa problema, non diventerà mai maturo e lo si abbandonerà irrazionalmente o lo si terrà irrazionalmente.
Portato il sacco davanti agli occhi, ci si rovista dentro. Sempre in greco, questo «rovistarci dentro» si dice krinein, krísis, da cui deriva «critica». La critica, perciò, consiste nel rendersi ragione delle cose, non ha un senso necessariamente negativo.
Dunque, il giovane rovista dentro il sacco e con questa critica paragona quel che vede dentro, cioè quel che gli ha messo sulle spalle la tradizione, con i desideri del suo cuore: il criterio ultimo del giudizio, infatti, è in noi, altrimenti siamo alienati. E il criterio ultimo, che è in ciascuno di noi, è identico: è esigenza di vero, di bello, di buono. Al di qua o attraverso tutte le differenze possibili e immaginabili con cui la fantasia può giocare su queste esigenze, queste fondamentalmente rimangono identiche nelle mosse, anche se diverse per i connotati vari delle circostanze dell’esperienza...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il rischio educativo
  4. INDICE DEI RIFERIMENTI BIBLICI
  5. INDICE DEI NOMI
  6. Note