INTRODUZIONE
di Harold Bloom
La prima vera tragedia di Shakespeare è stata talvolta sottovalutata dai critici, forse per via della sua popolarità. Sebbene Romeo e Giulietta sia un trionfo di lirismo drammatico, il suo tragico finale fa passare in secondo piano gran parte degli altri aspetti dell’opera e ci induce a chiederci se i giovani innamorati siano o meno responsabili della loro catastrofe e in quale misura. Harold Goddard deplora il fatto che i due amanti «nati sotto cattiva stella» del Prologo «cedano il dramma agli astrologi», benché la distruzione della magnifica Giulietta sia da attribuire a ben altro che alla traiettoria delle stelle. Ahimè, cinquant’anni dopo Goddard, la tragedia viene ceduta più spesso ai commissari del sesso e del potere, che possono accusare il patriarcato, Shakespeare compreso, di aver vittimizzato Giulietta.
Nel suo sobrio e originale Shakespeare’s Tragic Cosmos (1991), Thomas McAlindon fa risalire la dinamica del conflitto nel drammaturgo alle concezioni antagoniste del mondo di Eraclito ed Empedocle, perfezionate e modificate nel Racconto del cavaliere di Chaucer. Secondo Eraclito, tutto scorreva, mentre Empedocle immaginava una lotta tra la Vita e la Morte. A mio parere, Chaucer, e non Ovidio o Marlowe, fu l’antenato della più grande originalità shakespeariana, quell’invenzione dell’umano su cui concentro la mia attenzione nel presente volume. Il contesto fondamentale di Romeo e Giulietta è la versione ironica ma piacevole della religione dell’amore, forse più evidente in Troilo e Criseide che nel Racconto del cavaliere. Come avviene in Romeo e Giulietta, le ironie del tempo dominano l’amore chauceriano. La natura umana di Chaucer è essenzialmente quella di Shakespeare: il legame più profondo tra i due maggiori poeti inglesi era più emotivo che intellettuale o sociopolitico. L’amore muore oppure muoiono gli amanti: sono queste le possibilità pragmatiche per i due poeti, ognuno dei quali, sul piano empirico, è saggio al di là della saggezza.
Differenziandosi leggermente da Chaucer, Shakespeare si rifiutò di rappresentare la morte dell’amore anziché la morte degli amanti. Nella sua produzione vi è forse qualcuno, a parte Amleto, che si disinnamora? In ogni caso, Amleto nega di aver mai amato Ofelia, e io gli credo. Quando l’opera volge al termine, il principe danese non ama più nessuno, né la defunta Ofelia, né il padre defunto, né la defunta Gertrude né il defunto Yorick, e ci domandiamo se questo spaventoso personaggio carismatico abbia mai amato qualcuno. Se le commedie di Shakespeare avessero un atto VI, senza dubbio molti dei suoi matrimoni assomiglierebbero alla sua unione con Anne Hathaway. Naturalmente, se così la si vuole interpretare, la mia osservazione è illogica, ma gran parte del pubblico shakespeariano (allora, adesso e sempre) continua a credere che il drammaturgo abbia rappresentato solo la realtà. Il povero Falstaff non smetterà mai di amare Hal, e il cristiano Antonio si struggerà per sempre per Bassanio. Non sappiamo a chi fosse rivolto l’amore di Shakespeare, ma i Sonetti sembrano essere qualcosa più di una finzione, e, almeno per quanto riguarda questo aspetto della vita, il drammaturgo non era evidentemente freddo quanto Amleto.
Nella produzione shakespeariana vi sono amanti maturi, in particolare Antonio e Cleopatra, che si tradiscono a vicenda per ragioni di Stato ma si riuniscono nel suicidio. Romeo e Antonio si uccidono perché pensano che le loro amate siano morte (Antonio compie il suicidio con la consueta goffaggine). Il matrimonio più appassionato di Shakespeare, quello dei Macbeth, rivela alcune difficoltà sessuali, come dimostrerò in seguito, e si conclude nella follia e nel suicidio per la regina, sfociando nella più equivoca delle riflessioni elegiache da parte del marito usurpatore. «Eppure c’era chi amava Edmund», dice a se stesso il gelido cattivo di Re Lear quando vengono portati in scena i cadaveri di Gonerill e Regan.
Le varietà dell’amore appassionato tra i sessi costituiscono una delle preoccupazioni costanti di Shakespeare; la gelosia sessuale trova i suoi artefici più impetuosi in Otello e Leonte, ma l’effettiva identità dei tormenti dell’amore e della gelosia è un’invenzione shakespeariana, che in seguito verrà affinata da Hawthorne e Proust. Più di qualsiasi altro autore, il drammaturgo ha mostrato all’Occidente le catastrofi della sessualità e ha inventato la formula secondo cui il sessuale si trasforma in erotico quando incrocia l’ombra della morte. Non poteva mancare un nobile canto shakespeariano all’erotico, un peana lirico e tragicomico che celebrasse un amore autentico e ne deplorasse l’inevitabile distruzione. Nella produzione shakespeariana e nella letteratura mondiale, Romeo e Giulietta è un’opera senza pari perché è la visione di un amore irriducibile che muore del proprio idealismo e della propria intensità.
Prima di Romeo e Giulietta, vi sono alcuni esempi isolati di personaggi realistici nelle opere di Shakespeare: Launce nei Due gentiluomini di Verona, Faulconbridge il Bastardo in Re Giovanni e Riccardo II, sovrano autodistruttivo e superbo poeta metafisico. Il quartetto composto da Giulietta, Mercutio, la Balia e Romeo supera in numero ed energia questi primi passi verso l’invenzione dell’umano. In quanto opera teatrale, Romeo e Giulietta è importante grazie a questi quattro personaggi creati con tanto entusiasmo.
È più facile notare la vividezza di Mercutio e della Balia che assorbire e sostenere la grandezza erotica di Giulietta e lo sforzo eroico che Romeo compie per imitare il sublime stato di innamoramento della giovinetta. Con un’intuizione profetica, Shakespeare sa che, se vuole che gli spettatori siano degni di comprendere Giulietta, lui dovrà guidarli oltre le ironie oscene di Mercutio, perché la sublimità della fanciulla è il dramma e garantisce la tragedia di questa tragedia. Per fare in modo che il dramma continuasse a essere quello di Giulietta e Romeo era necessario uccidere Mercutio, l’esibizionista del testo; immaginiamo che Mercutio sia ancora vivo negli atti IV e V, e la lotta tra la vita e la morte scomparirebbe. Investiamo troppo in Mercutio perché lui ci protegge dal nostro fatalismo erotico; questo personaggio svolge una funzione centrale nel dramma. Lo stesso vale, in modo ancor più oscuro, per la Balia, che contribuisce alla catastrofe finale. La Balia e Mercutio, entrambi molto amati dal pubblico, sono tuttavia dei guastafeste, in modi diversi ma complementari. A questo punto della sua carriera, può darsi che Shakespeare abbia sottovalutato le proprie capacità, perché Mercutio e la Balia continuano ad affascinare il pubblico, i lettori, i registi e i critici. La loro loquacità li trasforma in precursori di Touchstone e Jacques, due ironisti sfacciati, ma anche dei cattivi Iago ed Edmund, manipolatori pericolosi ed eloquenti.
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La grandezza di Shakespeare si manifestò innanzitutto in Pene d’amor perdute (1594-1595, rivista nel 1597) e Riccardo II (1595), esiti felicissimi rispettivamente nel campo della commedia e del dramma storico. Eppure, Romeo e Giulietta (1595-1596) li eclissa entrambi, anche se per importanza non riesco a metterlo sullo stesso piano di Sogno di una notte di mezza estate, composto nello stesso periodo in cui vide la luce la prima vera tragedia shakespeariana. La perenne popolarità, ormai assurta a mito, di Romeo e Giulietta è più che giustificata, poiché il dramma è la più grande e persuasiva celebrazione dell’amore romantico nella letteratura occidentale. Quando penso alla tragedia senza doverla rileggere, spiegare ai miei studenti o assistere a una delle tante rappresentazioni insoddisfacenti, la prima cosa che ricordo non è il finale tragico né l’abbagliante vividezza di Mercutio e della Balia. La mia mente torna subito al centro vitale del dramma, l’atto II, scena 2, con il suo incandescente scambio di battute tra gli innamorati:
ROMEO Madamigella, per quella sacra luna che inargenta le cime di quegli alberi, giuro…
GIULIETTA Oh, non giurar per la luna, l’incostante luna, che si trasforma ogni mese nella sua sfera, per tema che anche l’amor tuo non si dimostri al par di lei mutevole.
ROMEO E per che cosa dovrei giurare?
GIULIETTA Non giurare affatto. O, se proprio vuoi giurare, giura per la tua persona benedetta, ch’è il dio della mia idolatria: e non potrò fare a meno di crederti.
ROMEO Se il caro amore del cuor mio…
GIULIETTA Non giurare, di grazia. Pur se tutta la mia felicità sia riposta in te, non riesco a provare alcuna felicità nel contratto d’amore stipulato stanotte. È troppo precipitato, troppo immediato e irriflessivo, e mi somiglia troppo il lampo che cessa di esistere innanzi che uno abbia il tempo di dire: «Lampeggia!». Buona notte, dolce amor mio! Questo bocciuol d’amore, come s’aprirà all’alito fecondo dell’estate, al nostro prossimo incontro potrà dimostrarsi invero un bel fiore. Buona notte, buona notte! il dolce riposo e la pace scendano nel tuo cuore, pari a quelli che confortano il mio seno!
ROMEO Mi vuoi dunque lasciar così mal soddisfatto?
GIULIETTA E qual soddisfazione potresti aver tu stanotte?
ROMEO Lo scambio del voto fedele del...