La grande storia del tempo
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La grande storia del tempo

Guida ai misteri del cosmo

  1. 208 pagine
  2. Italian
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La grande storia del tempo

Guida ai misteri del cosmo

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Che cosa sappiamo realmente dell'universo? Qual è la sua natura? Da dove è venuto e dove sta andando? Le nostre conoscenze sono fondate? E su cosa si basano? Dopo Dal big bang ai buchi neri Stephen Hawking torna a occuparsi dei misteri del cosmo, e lo fa senza rinunciare al suo stile diretto e comunicativo, in grado di raggiungere lettori di tutte le età, appassionati e non. Aggiornandoci sulle recenti scoperte sia sul piano teorico che su quello delle osservazioni empiriche, Hawking descrive gli ultimi progressi compiuti nella ricerca di una teoria unificata di tutte le forze della fisica: la teoria delle "superstringhe" e le "dualità" tra modelli apparentemente diversi; i tunnel spazio-temporali e l'affascinante questione dei viaggi nel tempo; le osservazioni del satellite COBE e quelle del telescopio Hubble. Questi alcuni degli argomenti, tra i più difficili ma anche più emozionanti, di un saggio che riproduce il quadro di una realtà in continua evoluzione e che ci aiuta a compiere un ulteriore passo nella comprensione della natura dell'universo. "Gli antichi hanno cercato per secoli di comprendere l'universo. Oggi noi possiamo contare su strumenti molto potenti, ma che cosa possiamo dire di sapere, in realtà, riguardo l'universo? Solo il tempo ce lo dirà."

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
ISBN
9788858677117

1

Pensare l’universo

Noi viviamo in un universo strano e meraviglioso. Per poter comprendere la sua età, le sue dimensioni, la sua violenza e anche la sua bellezza dobbiamo compiere uno straordinario sforzo di immaginazione. Il posto che noi esseri umani occupiamo all’interno di questo immenso cosmo può sembrare piuttosto insignificante. Siamo quindi spinti a cercare di cogliere il senso della totalità dell’universo, per capire come l’uomo si inserisca in questo quadro. Alcuni decenni fa, un famoso scienziato (alcuni dicono Bertrand Russell) tenne una conferenza pubblica sull’astronomia, soffermandosi a descrivere come la Terra ruoti intorno al Sole e quest’ultimo, a sua volta, percorra un’orbita intorno al centro di quel grande insieme di stelle che costituisce la nostra galassia. Al termine della conferenza, una piccola signora anziana, seduta in fondo alla sala, si alzò in piedi e disse: «Quelle che ci ha raccontato sono soltanto un cumulo di sciocchezze. In realtà, il mondo è un disco piatto che poggia sul dorso di una gigantesca tartaruga». Lo scienziato si lasciò sfuggire un sorriso di superiorità prima di replicare: «E su che cosa poggia questa tartaruga?». «Lei è molto intelligente, giovanotto, davvero molto intelligente,» disse l’anziana signora «ma la verità è che la tartaruga poggia su un’altra tartaruga e così via, all’infinito!»
Oggi la maggior parte delle persone troverebbe ridicola questa rappresentazione dell’universo come una torre infinita di tartarughe impilate l’una sopra l’altra. Ma perché mai dovremmo ritenere che le nostre odierne conoscenze cosmologiche siano migliori di quelle che avevamo ieri? Provate per un attimo a mettere da parte ciò che sapete – o credete di sapere – a proposito dello spazio. Ora, uscite di casa di notte e mettetevi a guardare il cielo stellato. Come considerereste tutti quei puntini luminosi? Sono forse dei minuscoli fuochi accesi nel cielo? Può essere difficile riuscire a immaginare che cosa in realtà siano, dato che si tratta di oggetti che sfuggono dal campo della nostra esperienza quotidiana. Se osservate il cielo con regolarità, avrete probabilmente avuto modo di notare, subito dopo il tramonto, una piccola luce sfuggente che si muove sopra la linea dell’orizzonte. Si tratta di Mercurio: è anch’esso un pianeta, come la Terra, ma la sua realtà è totalmente diversa da quella del pianeta sul quale abitiamo. Un giorno di Mercurio è lungo due terzi della durata complessiva dell’anno di questo pianeta. Nelle zone illuminate dal Sole, la temperatura supera i 400 gradi, per poi precipitare a quasi – 200 gradi nel cuore della notte. Tuttavia, per quanto sia già difficile rappresentarsi concretamente la situazione di Mercurio (con le sue profonde differenze rispetto al nostro pianeta), immaginare la situazione di una stella tipica è senza dubbio qualcosa di incredibilmente più arduo: si tratta infatti di un’immensa fornace che brucia milioni di tonnellate di materia al secondo, e il cui nucleo raggiunge una temperatura dell’ordine di decine di milioni di gradi.
Un’altra cosa molto difficile da comprendere è l’effettiva distanza dei pianeti e delle stelle. Gli antichi cinesi costruivano torri di pietra per poter guardare gli astri più da vicino. Ritenere che le stelle e i pianeti siano molto più vicini di quanto in realtà sono è per gli uomini qualcosa di naturale: dopotutto, nella nostra vita quotidiana non abbiamo alcun modo di confrontarci direttamente con gli immensi spazi siderali. Queste distanze sono talmente grandi che non ha neppure senso misurarle in metri o in chilometri, come facciamo con la maggior parte delle lunghezze. Ci serviamo invece dell’anno-luce, ossia la distanza che la luce percorre in un anno. Ora, dato che in un singolo secondo un fascio di luce percorre circa 300.000 chilometri, un anno-luce è una distanza incredibilmente elevata. La stella a noi più vicina, a parte il Sole, è Proxima Centauri ( conosciuta anche come Alpha Centauri C) che si trova a circa quattro anni-luce di distanza: anche viaggiando sulle astronavi più veloci che oggi potremmo progettare, per raggiungerla impiegheremmo circa diecimila anni.
Gli antichi hanno cercato per secoli di comprendere l’universo, ma non avevano ancora a disposizione la nostra matematica e la nostra scienza. Oggi, invece, noi possiamo contare su strumenti molto potenti, sia sul piano concettuale (come la matematica e il metodo scientifico), sia su quello tecnologico (come i computer e i telescopi). Servendosi di questi mezzi, gli scienziati hanno accumulato un gran numero di conoscenze sullo spazio che ci circonda. Ma che cosa possiamo dire di sapere, in realtà, riguardo all’universo, e su che cosa si basano queste nostre conoscenze? Da dove è venuto l’universo? Dove sta andando? Ha avuto un inizio? E, se l’ha avuto, che cosa è successo prima di allora? Qual è la natura del tempo? Esso avrà mai fine? Possiamo tornare indietro nel tempo? Recenti scoperte nell’ambito della fisica, rese possibili in parte grazie alle nuove tecnologie, ci suggeriscono delle risposte ad alcune di queste domande. Un giorno queste risposte ci potranno forse sembrare qualcosa di ovvio, come il fatto che la Terra orbita intorno al Sole, oppure qualcosa di ridicolo, come la torre di tartarughe giganti. Solo il tempo (qualunque cosa esso sia) ce lo dirà.

2

L’evoluzione della nostra immagine dell’universo

Anche se ai tempi di Cristoforo Colombo erano ancora in molti a ritenere che la Terra fosse piatta (e, a dire il vero, alcune persone lo credono tutt’oggi), le radici dell’astronomia moderna possono comunque essere fatte risalire all’antica Grecia. Intorno al 340 a.C., il filosofo greco Aristotele scrisse il trattato Sul cielo, in cui avanzava dei validi argomenti a sostegno della tesi secondo la quale la Terra era sferica e non piatta.
Uno di questi argomenti si basava sulle eclissi di Luna. Aristotele comprese che tali eclissi sono causate dall’interposizione della Terra fra il Sole e la Luna stessa: quando si verifica questo allineamento, cioè, la Terra copre con la propria ombra la Luna, eclissandola. L’ombra proiettata dalla Terra, notava Aristotele, è sempre di forma circolare, e ciò implica la sfericità della Terra; se infatti la Terra fosse un disco piatto, la sua ombra proiettata sulla Luna avrebbe una forma circolare soltanto quando il Sole è direttamente perpendicolare al centro del disco terrestre, mentre in tutti gli altri casi avrebbe invece la forma allungata di un’ellisse (l’ellisse è, per l’appunto, un cerchio allungato).
I greci conoscevano poi un altro argomento a sostegno della sfericità della Terra. Se la Terra fosse piatta, quando una nave si avvicina dall’orizzonte dovrebbe apparire inizialmente come un minuscolo puntino informe; poi, man mano che avanza, dovremmo essere in grado di individuarne sempre più dettagli, come le vele e lo scafo. Le cose, però, non stanno affatto così. Quando una nave compare all’orizzonte, la prima cosa che vediamo sono infatti le sue vele, e solo in un momento successivo possiamo scorgerne anche lo scafo. Il fatto che gli alberi di una nave, che si ergono sopra lo scafo, siano la prima parte dell’imbarcazione che viene vista spuntare all’orizzonte, costituisce una prova della sfericità della Terra.
Figura 1. Una nave compare all’orizzonte

A causa della forma sferica della Terra, l’albero e le vele di una nave
che compare all’orizzonte ci appaiono prima del suo scafo.
Figura 1. Una nave compare all’orizzonte
A causa della forma sferica della Terra, l’albero e le vele di una nave
che compare all’orizzonte ci appaiono prima del suo scafo.
I greci, inoltre, osservavano con molta attenzione il cielo stellato. Ai tempi di Aristotele, gli uomini registravano già da secoli gli spostamenti delle luci che brillano nel cielo notturno. Avevano così avuto modo di notare che anche se quasi tutte le migliaia di luci visibili sembrano muoversi insieme attraverso la volta celeste, ce ne sono cinque (oltre alla Luna) che si comportano in modo differente. A volte sembrano deviare dal regolare tragitto da est a ovest, per poi fare un’altra inversione di marcia e ritornare sui loro passi. Queste particolari luci vennero così chiamate «pianeti»: il termine greco che significa «vaganti». I greci scoprirono solo cinque dei nove pianeti per il semplice fatto che questi cinque sono gli unici che possono essere visti a occhio nudo: Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. Oggi siamo in grado di spiegare il perché di questi strani percorsi seguiti dai pianeti nella volta celeste: mentre le stelle, a causa della loro grandissima distanza, risultano praticamente immobili rispetto al nostro sistema solare, i pianeti orbitano intorno al Sole, e quindi il loro tragitto apparente nel cielo notturno è molto più complicato di quello seguito dalle stelle fisse.
Aristotele pensava che la Terra fosse immobile e che il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle le ruotassero intorno seguendo orbite circolari; per ragioni di carattere mistico, infatti, era convinto che la Terra fosse il centro dell’universo e che il moto circolare fosse quello più perfetto. Quest’idea venne in seguito elaborata da un altro greco, Tolomeo, che – nel II secolo d.C. – la sviluppò in un modello cosmologico completo. Tolomeo nutriva una profonda passione per i propri studi: «Quando mi diletto a seguire i moti circolari della grande moltitudine delle stelle,» scrisse «sono così felice che mi sembra di librarmi a mezz’aria».
Nel sistema di Tolomeo, la Terra era circondata da otto sfere concentriche rotanti, ciascuna delle quali era più grande della precedente – un po’ come una matrioska. La Terra era collocata al centro di queste sfere. Nessuno si preoccupò mai troppo di chiarire che cosa ci fosse al di là dell’ultima sfera; ma in ogni caso, qualunque cosa ci fosse, non faceva senz’altro parte dell’universo che gli uomini potevano osservare. La sfera più esterna, pertanto, costituiva una specie di confine, una sorta di contenitore che racchiudeva al proprio interno l’universo. Le stelle occupavano delle posizioni fisse all’interno di quest’ultima sfera, così che, durante la sua rotazione, esse mantenevano la stessa posizione relativa le une rispetto alle altre ruotando insieme attraverso la volta celeste, come possiamo vedere dalla Terra. Le sfere interne portavano i pianeti: a differenza delle stelle, questi ultimi non occupavano una posizione fissa nelle loro rispettive sfere, ma si muovevano al loro interno lungo cerchi più piccoli, i cosiddetti epicicli. Il moto dei pianeti relativamente alla Terra era quindi di tipo complesso, poiché era il risultato della rotazione di ciascuna delle sfere planetarie e del movimento dei pianeti stessi lungo gli epicicli. In questo modo, Tolomeo riusciva a spiegare il fatto che le traiettorie seguite dai pianeti lungo la volta celeste – osservate dalla Terra – non erano semplici cerchi, ma erano molto più complesse.
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Figura 2. Il modello di Tolomeo

Nel modello di Tolomeo, la Terra si trovava immobile al centro dell’universo, circondata da otto sfere concentriche rotanti che portavano al loro interno tutti i corpi celesti allora conosciuti. L’ottava sfera, sede delle stelle fisse, è qui rappresentata sullo sfondo.
Figura 2. Il modello di Tolomeo
Nel modello di Tolomeo, la Terra si trovava immobile al centro dell’universo, circondata da otto sfere concentriche rotanti che portavano al loro interno tutti i corpi celesti allora conosciuti. L’ottava sfera, sede delle stelle fisse, è qui rappresentata sullo sfondo.
In base al modello elaborato da Tolomeo era possibile predire, con ragionevole accuratezza, le posizioni dei diversi astri nella volta celeste. Per poter predire correttamente tali posizioni, però, Tolomeo aveva dovuto supporre che la Luna seguisse un percorso in base al quale, in alcuni momenti, si trovava a essere due volte più vicina alla Terra che in altri; di conseguenza, in quei primi momenti essa sarebbe dovuta apparire due volte più grande rispetto a questi ultimi! Lo stesso Tolomeo era consapevole del grave inconveniente creatosi; ciononostante, il suo modello venne generalmente – anche se non universalmente – accettato. Esso fu adottato dalla Chiesa cristiana come l’immagine dell’universo in accordo con le Sacre Scritture, poiché aveva il grande vantaggio di lasciare, al di là della sfera delle stelle fisse, moltissimo spazio per il paradiso e l’inferno.
Tuttavia, nel 1514 un canonico polacco, Niccolò Copernico, propose un modello alternativo. (In un primo momento, temendo forse di essere accusato di eresia dalla sua stessa Chiesa, Copernico fece circolare il proprio modello in forma anonima.) Secondo la sua idea rivoluzionaria, non tutti i corpi celesti dovevano orbitare intorno alla Terra: erano invece quest’ultima e i pianeti a muoversi lungo orbite circolari intorno al Sole, che si trovava immobile al centro del sistema solare. Il modello copernicano (così come, del resto, quello tolemaico) funzionava bene, anche se le orbite da esso predette non corrispondevano perfettamente a quelle di fatto osservate. Dato che era molto più semplice di quello di Tolomeo, ci si sarebbe potuti aspettare un suo successo immediato. Tuttavia, la teoria copernicana venne presa sul serio soltanto un secolo dopo, quando due astronomi – il tedesco Giovanni Keplero e Galileo Galilei – iniziarono a sostenerla pubblicamente.
Nel 1609, Galileo iniziò a scrutare il cielo notturno con uno strumento che era appena stato inventato: il telescopio. Osservando Giove, Galileo scoprì che questo pianeta era accompagnato da diversi piccoli satelliti – o lune – che gli orbitavano intorno. Ciò implicava che non tutti i corpi celesti dovevano per forza ruotare direttamente intorno alla Terra, come avevano invece sostenuto Aristotele e Tolomeo. Nel medesimo tempo, Keplero perfezionò la teoria copernicana, suggerendo che le orbite dei pianeti non erano circolari, bensì ellittiche: in questo modo, le predizioni teoriche riuscirono infine a concordare pienamente con le osservazioni empiriche. Per il modello tolemaico, questi due eventi rappresentarono un colpo mortale.
Anche se l’introduzione delle orbite ellittiche veniva a migliorare sostanzialmente il modello copernicano, Keplero la considerava come una semplice ipotesi ad hoc. Egli, infatti, nutriva dei pregiudizi sulla natura che non si basavano su nessuna osservazione empirica: al pari di Aristotele, era semplicemente convinto che le ellissi fossero meno perfette dei cerchi, e gli era quindi ben difficile accettare che i pianeti potessero veramente seguire delle orbite così imperfette. Inoltre, non riusciva a conciliare queste orbite ellittiche con la propria idea secondo la quale il moto orbitale dei pianeti intorno al Sole era causato da forze magnetiche. Anche se Keplero aveva torto nel vedere nelle forze magnetiche la ragione del moto dei pianeti, bisogna comunque rendergli atto di aver compreso che doveva esistere una forza responsabile di tale movimento. L’autentica spiegazione fu trovata soltanto molto tempo dopo, nel 1687, quando Isaac Newton pubblicò quella che, probabilmente, è stata la singola opera più importante mai scritta nel campo delle scienze fisiche: i Philosophiae naturalis principia mathematica (Princìpi matematici della filosofia naturale).
Nei Principia, Newton presentò una legge secondo la quale tutti gli oggetti che si trovano in uno stato di quiete tendono naturalmente a rimanere in questo stato finché una forza non viene ad agire su di essi, e descrisse come l’azione di una forza fa sì che un oggetto si muova o cambi il proprio movimento. Perché, quindi, i pianeti si muovono intorno al Sole seguendo orbite ellittiche? Newton affermò che questo movimento era dovuto a una particolare forza, la stessa che fa sì che, quando lasciamo andare un oggetto, esso cade per terra anziché restare sospeso a mezz’aria. Egli diede a questa forza il nome di «gravità» (prima di allora, il termine «gravità» veniva adoperato per indicare un atteggiamento serio e solenne, oppure la proprietà fisica della pesantezza). Newton inventò inoltre la matematica con cui analizzare in termini numerici la reazione degli oggetti sottoposti a forze come quella di gravità, e risolse le rispettive equazioni. In questo modo, egli fu anche in grado di dimostrare che, per via della gravità del Sole, la Terra e gli altri pianeti dovevano muoversi lungo orbite ellittiche – proprio come aveva predetto Keplero! Newton affermò che le sue leggi si applicavano a ogni oggetto dell’universo, dalle stelle e dai pianeti fino a una mela che cade per terra. Per la prima volta nella storia, il moto dei pianeti era stato spiegato attraverso leggi che determinavano anche i movimenti sulla Terra: fu il principio sia della fisica sia dell’astronomia moderne.
Abbandonate le sfere celesti di Tolomeo, non c’era più alcun motivo per ipotizzare che l’universo avesse un qualche confine naturale (quello che, nel sistema tolemaico, era costituito dalla sfera più esterna). Inoltre, dato che le stelle fisse non sembravano mutare le loro posizioni (a parte il moto apparente intorno alla volta celeste causato dal movimento di rotazione della Terra sul proprio asse), diventava naturale supporre che esse fossero oggetti simili al nostro Sole, ma molto più distanti. Gli uomini si erano così sbarazzati non solo dell’idea che la Terra fosse il centro dell’universo, ma anche di quella che il nostro Sole – e forse lo stesso sistema solare – fosse qualcosa di unico. Questo cambiamento nell’immagine del cosmo rappresentò un importante passo avanti per il pensiero umano: l’inizio della visione scientifica moderna dell’universo.

3

La natura di una teoria scientifica

Per poter parlare della natura dell’universo e discutere di problemi come se esso abbia avuto un inizio o se avrà una fine, occorre avere ben chiaro che cosa sia una teoria scientifica. Adotteremo qui la concezione più semplice, secondo la quale una teoria è soltanto un modello dell’universo (o di una sua parte limitata) e un insieme di regole che mettono in relazione i valori quantitativi che compaiono nel modello con le osservazioni che facciamo nella realtà. Questo modello sussiste solo nella nostra mente e non ha alcun’altra realtà (qualunque cosa si possa intendere con questo termine). Una teoria, per essere una buona teoria scientifica, deve soddisfare due requisiti: deve descrivere accuratamente un ampio insieme di osservazioni empiriche sulla base di un modello che contenga solo pochi elementi arbitrari, e deve formulare predizioni ben definite sui risultati di future osservazioni. Per esempio, Aristotele credeva alla teoria di Empedocle secondo la quale ogni cosa era composta da quattro elementi: terra, aria, fuoco e acqua. Si trattava di un modello sufficientemente semplice, ma non faceva alcuna predizione ben definita. D’altro canto, la teoria della gravitazione di Newton si fondava su un modello ancora più elementare, nel quale i corpi si attraevano a vicenda con una forza direttamente proporzionale a una quantità indicata come la loro massa e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Eppure, nonostante la sua estrema semplicità, questa teoria predice con un alto grado di precisione i moti del Sole, della Luna e dei pianeti.
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Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. 1 - Pensare l’universo
  5. 2 - L’evoluzione della nostra immagine dell’universo
  6. 3 - La natura di una teoria scientifica
  7. 4 - L’universo di Newton
  8. 5 - La relatività
  9. 6 - Lo spazio curvo
  10. 7 - L’universo in espansione
  11. 8 - Il big bang, i buchi neri e l’evoluzione dell’universo
  12. 9 - La gravità quantistica
  13. 10 - Tunnel spazio-temporali e viaggi nel tempo
  14. 11 - Le forze della natura e l’unificazione della fisica
  15. 12 - Conclusione
  16. Galileo Galilei
  17. Isaac Newton
  18. Albert Einstein
  19. Glossario
  20. Ringraziamenti