Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale
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Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale

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Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale

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Quanto è profondo il legame tra il cristianesimo e la nascita e lo sviluppo della società occidentale? È il tema al centro di questo testo fondamentale di Christopher Dawson, uno dei maggiori storici del dopoguerra. L'autore descrive il cammino della civiltà europea dalla caduta dell'Impero romano alla crisi del XIV secolo, individuando nella presenza della Chiesa, nella sua componente culturale, ma soprattutto in quanto presenza di luoghi di vita diversa nel mondo, l'elemento che agendo nella realtà fu capace di trasformarla e di porre i fondamenti di una civiltà che ha segnato in maniera indelebile il Vecchio Continente. Il rapporto con i barbari, il legame con la tradizione bizantina e con le civiltà dei popoli nordici, la tensione continua alle riforme che ha segnato la vita della Chiesa, sono le tappe descritte da Dawson, la cui lettura del Medioevo cristiano come adolescenza della civiltà occidentale risulta ancora oggi di estrema attualità.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
ISBN
9788858681855

Capitolo III

I MONACI D’OCCIDENTE E LA FORMAZIONE DELLA TRADIZIONE OCCIDENTALE

Qualsiasi studio sulle origini della cultura medioevale deve inevitabilmente riservare un posto importante alla storia del monachesimo occidentale, poiché il monastero fu la più tipica istituzione culturale di tutto il periodo che si estende dalla decadenza della civiltà classica al sorgere delle università europee nel secolo XII, di un’epoca cioè che abbraccia un po’ più di settecento anni. E il monachesimo è ancora più importante nel soggetto che ho preso in special modo a trattare, cioè i rapporti tra religione e civiltà, perché fu attraverso il monachesimo che la religione esercitò un influsso diretto e formativo su tutto lo sviluppo culturale di questi secoli.
Senza dubbio, come ho già detto1, vi sono state altre civiltà, per esempio quelle del Tibet, della Birmania e di Ceylon, in cui un monachesimo non-cristiano svolse una parte in qualche modo simile. Ma queste furono civiltà secondarie e marginali, le quali ebbero poco influsso sul corso della storia mondiale. La situazione della Cina regge maggiormente il paragone con ciò che trattiamo, poiché qui abbiamo l’esempio di una grande civiltà mondiale, la quale fu influenzata dall’apparizione del monachesimo buddista proprio nello stesso periodo in cui la civiltà occidentale e bizantina venivano modellate dal monachesimo cristiano. Ma in Cina l’antica tradizione della dottrina confuciana rimase intatta e i monaci buddisti non presero mai il posto dei letterati, discepoli di Confucio. In Occidente invece le istituzioni scolastiche dell’impero romano furono spazzate via dalle invasioni barbariche o languirono e disparvero col decadere della cultura urbana del mondo latino. Si deve solo alla Chiesa e in particolare ai monaci se la tradizione della cultura classica e le opere degli autori classici, «i classici latini», poterono essere conservati. Già nel secolo VI abbiamo in Cassiodoro (496-575) un ragguardevole esempio del modo con cui l’antica tradizione del sapere trovò rifugio nel monastero e del come le scuole monastiche, le biblioteche e gli scriptoria divennero gli organi principali di una più alta cultura intellettuale nell’Europa occidentale.
Tuttavia questo fu il compito primario del monachesimo; in realtà niente poteva essere più lontano dallo spirito originario dell’istituzione. Il monachesimo era nato nel deserto africano come protesta contro tutta la tradizione della cultura classica del mondo greco-romano. Esso fu l’emblema di una rinunzia assoluta a tutto ciò che il mondo antico aveva così altamente apprezzato: non solo ai piaceri, alle ricchezze, agli onori, ma anche alla vita di famiglia, alla dignità di cittadino e alla società. I suoi fondatori e modelli furono i terribili asceti della Nitria e della Tebaide, i quali trascorsero la loro vita in preghiera e digiuni incessanti e in una lotta quasi fisica con le potenze delle tenebre.
Dopo la pace della Chiesa, quando la suprema prova del martirio non fu più richiesta, gli asceti vennero a prendere, agli occhi del mondo cristiano, il posto che i martiri avevano prima occupato, come testimoni viventi della fede e della realtà del mondo soprannaturale. Essi erano gli uomini che «avevano provato le potenze del mondo futuro» e, come vediamo nella Storia Lausiaca e in altri documenti del monachesimo primitivo, venivano considerati quali sentinelle e custodi che vegliavano sulle mura della Città cristiana e respingevano gli attacchi dei suoi nemici spirituali. La fama e l’influsso del nuovo movimento raggiunsero il loro apogeo nel momento preciso in cui Roma, la città terrestre, stava cadendo vittima dei barbari. Fu nel corso di quella generazione che esponenti dell’alta società romana come Paola e Melania, o maestri del pensiero cristiano in Occidente come Girolamo, Rufino e Cassiano andarono in pellegrinaggio nei deserti d’Egitto e di Siria e iniziarono una propaganda letteraria in favore del nuovo movimento, che conobbe un enorme successo nell’Occidente latino e nell’Oriente bizantino.
Gli scritti di Giovanni Cassiano, Institutiones coenobiorum e Collationes Patrum, sono particolarmente importanti, perché riassumono tutto lo spirito e la pratica del monachesimo egiziano in una forma accettabile alla cultura latina occidentale e divennero, in seguito, norma classica di spiritualità monastica per le successive generazioni del monachesimo occidentale, da san Benetto e san Cesario di Arles fino ai Fratelli della vita comune2 e ai primi Gesuiti.
Nello stesso tempo, uomini come san Martino, san Onorato e Cassiano stesso introducevano la vita monastica nelle province occidentali. Il movimento si propagò con una rapidità sorprendente, poiché raggiunse contemporaneamente la Spagna, la Britannia e la Gallia, e si estese quindi all’Irlanda fin dall’inizio della sua conversione al Cristianesimo, per opera di san Patrizio.
Nei suoi tratti essenziali il monachesimo occidentale non si distingueva da quello dell’Oriente, e i suoi monasteri più importanti, situati sulla Riviera, a Lerino e a Marsiglia e nelle isole del Mar Ligure, furono centri di influssi orientali. Ma fin dall’inizio possiamo scorgere indizi di un altro influsso che era destinato a socializzare l’ideale della vita monastica e a trasformarlo in una grande istituzione culturale. Il monachesimo orientale aveva più d’un aspetto che ripugnava all’etica disciplinata e pratica della tradizione romana. Sant’Agostino nel De Opere Monachorum è esplicito nel condannare l’ipocrisia dei falsi asceti irsuti e dei monaci vaganti, che vivevano nella oziosità e sfruttavano la superstizione popolare. Eppure sant’Agostino, ch’era egli stesso monaco e vescovo a un tempo, fu uno dei creatori della tradizione monastica occidentale. Difatti fu lui, più di qualsiasi altro, che contribuì a unire la vita del monaco a quella del prete, ciò che divenne in definitiva uno dei segni distintivi del monachesimo occidentale3.
La concezione agostiniana del monachesimo, com’è descritta nei suoi sermoni (per es. 355 e 356), s’ispira di preferenza all’ideale di vita in comune praticata dalla Chiesa primitiva, piuttosto che all’intenso ascetismo dei monaci del deserto. E lo stesso è vero in gran parte per l’ideale di san Basilio, che divenne il modello classico del monachesimo bizantino in Europa e in Asia Minore. Per san Basilio la natura socievole dell’uomo e la dottrina cristiana della vita comune del Corpo Mistico provano che la vita in comunità è necessaria per raggiungere la perfezione e che perciò, anche se in via di principio, è superiore all’ascetismo solitario dell’eremita.
La comunità monastica era una società cristiana autosufficiente in tutte le sue attività, in quanto esisteva solo per scopi spirituali ed era governata fin nei più piccoli particolari da una regola di vita che sostituiva il costume sociale e la legge laica. Era così una società libera, indipendente dal controllo esterno e basata sull’associazione volontaria. In Oriente questa indipendenza era meno completa a motivo della legislazione monastica di Giustiniano, che finì per aver valore di autorità canonica. E fu in parte per questa ragione che, nonostante l’autorità di san Basilio, l’individualismo estremo degli asceti solitari del deserto continuò a godere un così alto prestigio, e che i grandi centri della tradizione ascetica in Egitto e nella Mesopotamia nord-occidentale (specialmente nella regione di Tur Abdin) divennero le guide della resistenza alla Chiesa imperiale, compromettendo per conseguenza la loro appartenenza all’ortodossia.
In Occidente, invece, lo stato era troppo debole e troppo barbaro per tentare di esercitare la sua autorità sui monasteri. Qui i grandi legislatori del monachesimo erano san Benedetto e san Gregorio Magno, non Giustiniano. La regola di san Benedetto sta a indicare l’assimilazione definitiva dell’istituzione monastica da parte dello spirito romano e della tradizione della Chiesa occidentale. La sua concezione della vita monastica è essenzialmente sociale e cooperativa, ideata come una disciplina della vita comune: «La scuola del servizio di Dio», come la chiama san Benedetto. Essa differisce dalle antiche regole per il suo carattere fortemente pratico, la sua regolamentazione dei dettagli della vita e del lavoro in comune e la sua preoccupazione dell’economia monastica. La regola vuole che «il monastero sia organizzato in modo che tutte le cose necessarie, come mulino ad acqua, orti e officine, debbano trovarsi nel recinto del monastero». Difatti l’abbazia benedettina era un organismo economico che bastava a se stesso, come la «villa» di un grande proprietario romano, con la differenza che gli stessi monaci erano operai, così che l’antico e classico contrasto tra lavoro servile e libero ozio non ebbe più luogo. Tuttavia il primo dovere del monaco era sempre la celebrazione della preghiera liturgica e della salmodia, minutamente regolata da san Benedetto. Essa costituisce il servizio divino, l’Opus Dei, col quale niente deve interferire e che è il vero fine e la giustificazione della vita monastica.
Così in un tempo senza sicurezza, in un periodo di disordine e di barbarie, la regola benedettina incarnò un ideale di ordine spirituale e di attività morale ben disciplinata che fece del monastero un’oasi di pace in un mondo straziato dalla guerra. È vero che le forze della barbarie furono sovente troppo forti per questo pacifico baluardo: la stessa Montecassino fu distrutta dai Longobardi verso il 581 e i monaci dovettero cercar rifugio a Roma. Ma simili catastrofi non indebolirono lo spirito della regola: al contrario, misero i Benedettini in più stretto contatto con Roma e con san Gregorio, per mezzo del quale san Benedetto e la sua regola acquistarono una risonanza mondiale, e i suoi monaci intrapresero la loro nuova missione apostolica nel lontano Occidente. A Roma la tradizione benedettina si combinò con la tradizione agostiniana del monachesimo ecclesiastico e con le tradizioni liturgiche dei monasteri romani, i quali erano incaricati della recita dell’ufficio, delle cerimonie liturgiche e della musica nelle grandi basiliche.
Fu dunque al tempo di san Gregorio, e soprattutto grazie alla sua influenza personale, che furono gettate le basi per una sintesi tra i vari elementi del monachesimo occidentale secondo lo spirito della regola benedettina, sotto la guida e l’autorità del papato. San Gregorio era stato egli stesso monaco, e fece più di tutti i suoi predecessori per promuovere e proteggere la causa del monachesimo, persino contro l’autorità dell’episcopato, quando le circostanze lo rendevano necessario. Innanzi tutto egli si rendeva chiaramente conto che l’istituzione monastica era diventata un organo essenziale per la Chiesa e la principale speranza per il futuro della civiltà cristiana. È quanto mai significativo rilevare come san Gregorio, al quale non mancava certo il senso della responsabilità sociale, dissuadesse deliberatamente i suoi amici dal prendere parte agli affari pubblici, portando come motivo la prossima fine del mondo, e li consigliasse di cercare di preferenza la pace del chiostro, ove l’uomo diventa già partecipe dell’eternità, perché così non si sarebbero trovati esposti alle ansietà e alle ambizioni temporali, inseparabili dal servizio dello stato4.
Ma mentre sulle rive del Mediterraneo i monaci abbandonavano la civiltà decadente del mondo antico, nel Nord il monachesimo diveniva propagatore d’una nuova cultura cristiana e un modello di vita cristiana per i popoli nuovi dell’Occidente.
Questo aspetto del monachesimo occidentale si manifestò dapprima tra i Celti. Non sappiamo quasi niente circa le origini del monachesimo in Gran Bretagna; conosciamo soltanto la fondazione, fatta da san Niniano, del monastero di «Candida Casa» nel Galloway nel 397, che divenne un centro di influsso cristiano, dapprima tra i Pitti e più tardi in Irlanda. Ma nei secoli IV e V il famoso Pelagio era un monaco venuto dalla Britannia e il suo principale discepolo, Celestio, era, a quanto pare, d’origine irlandese. Di più: Fausto di Riez, il più grande e il più erudito dei primi abati di Lerino, era un britanno, e senza dubbio è da Lerino che provenne la tradizione dominante del monachesimo e della liturgia celtica.
Con la decadenza della vita civica in Britannia e la scomparsa degli antichi centri romani, i monaci presero la direzione della Chiesa, mentre in Irlanda l’elemento monastico ebbe fin dall’inizio il predominio, e questo fu il tratto caratteristico della nuova cultura cristiana irlandese. San Patrizio non era un monaco, ma era fortemente influenzato dal monachesimo ed ebbe contatti diretti con il grande centro del monachesimo gallico a Lerino. Egli stesso, divenuto vecchio, racconta nella sua Confessione come desiderasse ritornare in Gallia «per visitare i suoi fratelli e poter vedere la faccia dei santi del Signore». Non vi è alcun dubbio che il monachesimo irlandese dati dal tempo in cui viveva san Patrizio, poiché egli parla di «innumerevoli figli di Scoti e di figlie dei capi, che erano diventati monaci e vergini di Cristo».
In Irlanda non esisteva né la tradizione romana della vita urbana né quella d’un episcopato urbano; era dunque naturale che la Chiesa irlandese avesse le sue basi normali nei monasteri, i quali divennero rapidamente assai numerosi e molto popolati. Una tradizione medioevale vuole che san Patrizio abbia domandato ai suoi fedeli la decima parte della popolazione delle terre per i monasteri. Quantunque si tratti solo d’una leggenda, è fuori dubbio che il monachesimo irlandese, fin dagli inizi, fu un grande movimento di massa guidato dai figli e dalle figlie delle famiglie dirigenti che avevano fondato monasteri, e furono imitati da quelli del loro clan e dai loro vassalli.
Benché la comunità monastica, società tutta dedita ad opere di pace, abbia rappresentato il polo opposto, quanto a pensiero ed azione, della comunità del clan – che era una società di guerrieri – tuttavia esisteva tra loro un certo parallelismo. Da un lato vediamo il capo del clan e la sua compagnia di guerrieri che hanno giurato di seguirlo fino alla morte; dall’altro ci sono l’abate e la sua comunità di monaci che gli hanno promesso obbedienza per l’eternità. Da una parte, etica di onore e di fedeltà con il culto dell’eroe; dall’altra, etica di sacrificio e di santità con il culto del santo e del martire. E ancora: da un lato la trasmissione orale di poesia eroica, dall’altro la tradizione letteraria delle Sacre Scritture e delle leggende dei santi.
Questa somiglianza tra l’ideale pagano e l’ideale monastico ha fatto sì che gli uomini passassero dall’uno all’altro per mezzo d’una trasformazione profonda delle loro credenze e dei loro valori, senza tuttavia perdere il contatto vitale con le loro vecchie tradizioni sociali, le quali si trovavano, in certa maniera, trasferite su un piano più elevato, ma non distrutte o perdute. Così le fedeltà familiari e regionali si concentrarono nel monastero ereditario del clan o del regno, e l’abate divenne il capo di un clan spirituale, la cui dignità abbaziale si trasmetteva abitualmente a un congiunto del fondatore dell’abbazia5.
Tutto ciò aiuta a comprendere l’attrazione che le istituzioni monastiche esercitavano sulla società barbarica e soprattutto sui suoi dirigenti, e perché un così gran numero di uomini e donne di sangue reale si consacrarono alla vita del chiostro e presero una parte attiva alla conversione del loro popolo. Uomini come sant’Illtyd, san Cadoc e san Davide nel paese di Galles, san Columba, sant’Enda, san Finniano di Clonard in Irlanda, i santi Wilfrido e Benedetto Biscop, Willibrordo e Bonifacio (Winfrid in lingua germanica), Aldelmo e Beda in Inghilterra, svolsero un ruolo decisivo nella creazione d’una nuova civiltà cristiana, che ebbe inizio dapprima in queste isole e penetrò, poco per volta, in tutta l’Europa occidentale, grazie alle sue fondazioni monastiche e allo zelo dei suoi apostoli e dei suoi educatori.
In questo nuovo ambiente il monachesimo ebbe la tendenza ad attribuirsi un posto di primo piano come promotore della nuova civiltà, il che era contrario allo spirito primitivo di esso. I monaci si trovarono nella necessità d’istruire i loro ca...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione di Serenella Carmo Feliciani
  4. Capitolo I: Importanza dell’evoluzione occidentale
  5. Capitolo II: Le origini religiose della civiltà occidentale: la Chiesa e i barbari
  6. Capitolo III: I monaci d’Occidente e la formazione della tradizione occidentale
  7. Capitolo IV: I barbari e la regalità cristiana
  8. Capitolo V: Il ritorno dell’Età oscura e la conversione del Nord
  9. Capitolo VI: La tradizione bizantina e la conversione dell’Europa orientale
  10. Capitolo VII: La riforma della Chiesa nel secolo XI e il Papato medioevale
  11. Capitolo VIII: Il mondo feudale: la cavalleria e lo spirito «cortese»
  12. Capitolo IX: La città medioevale: comune e gilda
  13. Capitolo X: La città medioevale: scuole e università
  14. Capitolo XI: La crisi religiosa della civiltà medioevale: il secolo XIII
  15. Capitolo XII: La religione medioevale e la cultura popolare
  16. Sommario