Maria Luigia donna in carriera
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Maria Luigia donna in carriera

  1. 240 pagine
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Maria Luigia donna in carriera

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Maria Luigia d'Asburgo è quella che si dice una ragazza di ottima famiglia. Figlia di Francesco II del Sacro Romano Impero, viene data in sposa a un uomo che, nonostante le origini modeste, fa parlare di sé il mondo: Napoleone Bonaparte. Basterebbe questo a rendere la sua vita assolutamente eccezionale. Educata nell'odio del "tiranno còrso", lo sposa per seguire la ragione di Stato; amata da lui alla follia, assapora il gusto del potere e non vuole più privarsene: davanti al fallimento della campagna di Russia abbandona lo sposo, scappa in Italia, trova nuovi amanti e diventa duchessa di Parma e Piacenza. Così, da sempre, il giudizio su di lei si divide tra la martire e l'approfittatrice. Per la prima volta la sua figura viene qui inquadrata nella sua dimensione reale, quella di una donna che precorre i tempi, una femminista ante litteram che non si lascia vivere all'ombra del potere maschile. Luca Goldoni, con una scrittura ironica e appassionante, toglie Maria Luigia dal piedistallo per portarla in mezzo a noi; ne svela debolezze e ipocrisie accumulando prove a favore o a carico, come in un giallo d'autore. Perché si può pedinare una duchessa anche secoli dopo la sua morte.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
ISBN
9788858681831

II

Diciannovenne imperiale

Il «Còrso maledetto», come lo chiama Maria Luisa, ha infatti bruciato le tappe di una carriera folgorante e spregiudicata. Comincia da tenentino e capeggia una rivolta contro il giogo francese. Ma è battuto e costretto a scappare dalla Corsica. Finisce a Parigi, clandestino perché disertore. Per sopravvivere, impegna l’orologio e fa dei debiti.
Ma il destino gli invia un treno eccezionale: la Rivoluzione che abbatte la monarchia. E la Rivoluzione ha bisogno di capipopolo, ma anche di militari. Perché tutta l’Europa, terrorizzata da quella ventata libertaria, si schiera contro Parigi.
Così si mette al servizio dei giacobini, attraversa le Alpi per battere gli austriaci in Italia. E li sconfigge, anzi li sbaraglia, con sorprendente facilità. Perché è più giovane e sano dei generali avversari, perché sta a cavallo per giornate intere, perché dorme pochissimo e a comando. Perché soprattutto concepisce e realizza «battaglie blitz»: è un Rommel senza carri armati.
Poi vuole attaccare gli inglesi, ma non ha una flotta da guerra per insidiare la loro isola. Così va ad affrontarli in Egitto: una campagna lunghissima, sanguinosa, in cui rischia la disfatta. Ma riesce miracolosamente a riprendersi nella seconda battaglia di Abukir (25 luglio 1799). Se in Egitto non rifulge il suo genio militare, al ritorno a Parigi si rivela il suo genio di regista: si presenta come un Alessandro o un Cesare, i soli che hanno sfidato le Piramidi. Lo nominano primo console. Altri due anni di battaglie e vittorie e diventa console a vita: la sua stella splende. E impallidisce quella della Rivoluzione: il popolo ha il suo nuovo eroe. Il 18 maggio 1804, come una pera matura, gli cade in testa la corona di imperatore.
Anch’io, come Napoleone, ho bruciato le tappe di questo racconto. Ma è a Maria Luisa che bisogna tornare.
Napoleone caracolla per l’Europa, nel 1805 stravince ad Austerlitz schiacciando gli eserciti russo e austriaco e inducendo Francesco II a mollare il titolo di imperatore del Sacro Impero e a retrocedere, l’anno dopo, a un più modesto e consono «Francesco I» imperatore d’Austria. (In compenso diventa un caso, perché è la prima volta che un Francesco I succede a un Francesco II.)
Nel novembre del 1805 Napoleone entra a Vienna mentre le carrozze imperiali arrancano su strade dissestate portando in salvo i sovrani e la loro caterva di figli verso Cracovia.
Maria Luisa ha quattordici anni e accresce il suo odio verso i francesi definiti senza scampo barbari, ma principalmente nei confronti del loro condottiero. Su di lui inventa storie raccapriccianti che terrorizzano il fratellino Francesco: «Butta i preti nel fuoco», «Calpesta le ostie consacrate», «Spara a man salva anche sui suoi stessi ufficiali». Con assoluto disprezzo dell’anatomia: infatti — essa racconta — fa fuori un maresciallo «con una pallottola che, dopo aver forato le due guance, si conficca nella trachea».
E mentre la famiglia absburgica si arrangia alla meglio in locande fredde e inospitali, piene di cimici ribattezzate «napoleoni», quei «furfanti francesi» se la spassano nelle sontuose sale di Schönbrunn.
Si firma la pace, ma è un fragile intermezzo. L’Europa è di nuovo in fiamme (Napoleone confessa: «Mi sento sospinto verso una meta che mi è ignota. Ma appena non avrò più una missione necessaria, basterà un atomo per abbattermi»).
Quattro anni dopo il copione si ripete: è il 1809, questa volta la vittoria clamorosa è a Wagram; Vienna è di nuovo nelle mani di Napoleone. Nel frattempo, in occasione dell’ultimo parto è morta la madre di Maria Luisa. Il vedovo, nonostante lo sgomento per la perdita della seconda moglie molto amata, pochi mesi dopo è per la terza volta all’altare: esigenze dinastiche, come abbiamo visto, ed esuberanza amorosa. La terza sposa è Maria Ludovica, anche lei giovanissima, arciduchessa di Modena. È con la bella matrigna (ha solo quattro anni più di lei) che Maria Luisa va in esilio per la seconda volta. La destinazione è Budapest, dove per qualche tempo, in attesa delle trattative che consentiranno il ritorno a casa, la vita riacquista una parvenza di serenità. A coltivare l’irriducibile repugnanza della diciottenne figliastra per Napoleone ci pensa Maria Ludovica: anche lei stramaledice colui che ha spodestato il padre dal trono di Modena.
Questa la disposizione d’animo di Maria Luisa quando si comincia a delineare la sua candidatura a nozze politiche: segue con misteriosa apprensione e cattivi presentimenti le voci sul prossimo divorzio del detestato personaggio da Giuseppina (che non solo non gli ha scodellato un erede, ma mentre lui era sempre via in battaglia, ha guerreggiato anche lei in camera da letto).
Maria Luisa scrive nel suo diario: «Mi hanno detto che Napoleone mi ha nominato come quella che dovrà sostituire Giuseppina. Ma si sbagliano: lui ha troppa paura di un rifiuto e troppa voglia di farci ancora del male per avanzare una simile richiesta. E poi papà è troppo buono per costringermi a un passo del genere».
Maria Luisa è convinta di essere innamorata del fratello della matrigna, il giovane Francesco IV, duca di Modena. Insieme leggono e suonano e la cosa è ben vista da Maria Ludovica; tutto sembra conciliare le ragioni dinastiche con quelle sentimentali. Maria Luisa non può in realtà sapere che cosa significhi amare: è sempre stata accuratamente protetta, la sua cultura sorvegliata, le sue letture rigidamente epurate. E pare che anche gli animali di famiglia fossero scrupolosamente dello stesso sesso per evitare sorprese sconvolgenti.
Così si intendeva preservare freschezza e innocenza della damigella per il fortunato e sconosciuto destinatario.
Mentre Maria Luisa va trasformandosi in una aggraziata e levigata porcellana di Dresda, come tutti si aspettano da lei, sul suo candido mondo sta per scatenarsi la tempesta. Come in ogni fiaba dell’epoca, anche nella sua storia si sta profilando l’ombra dell’orco, i cui passi, resi sonori dagli stivali militari, rimbombano per tutta l’Europa.
Se osserviamo con sequenze incrociate le vicende di Maria Luisa e Napoleone, vediamo che sono in rotta di collisione, almeno secondo la logica dei kolossal hollywoodiani, dove, fin dalle prime scene, si capisce che quei due finiranno a letto. Da una parte — capelli biondi, occhi azzurri, fossette sulle guance, requisiti imprescindibili dei Buoni — c’è una principessa absburgica che cresce in serra. Dall’altra il Cattivo, occhi magnetici, capelli scuri e mascella vincente, gran seduttore di femmine e di popoli.
Maria Luisa — come si è detto — suona, ricama e intreccia cordoni. (Non chiedetemi perché una arciduchessa sentisse la necessità di intrecciar cordoni: non saprei avanzare una sola ipotesi. So però che le ragazze di buona famiglia, ancora oggi, passano interi pomeriggi a fare cose stranissime della cui utilità non dubitano mai: se si volesse saggiare la nobiltà delle loro origini, basterebbe chiedere se sanno rilegare libri o tingere stoffe col metodo batik.)
Napoleone intanto strappa dalla testa le corone ai re di Spagna, Napoli, Portogallo, Olanda, Vestfalia per regalarle a fratelli, cognati e amici generali. Unifica e divide stati e regioni, firma paci e trattati a gogò.
Lei ignora persino quella «certa differenza». Lui si sposa e colleziona amanti. Lei cresce, fin troppo, raggiungendo allegramente il metro e settanta. Lui, non riuscendo più a crescere in altezza, aumenta l’imperiale circonferenza.
Lei vive secondo i placidi ritmi dell’Arcadia absburgica. Lui detta tre lettere contemporaneamente, mangia in cinque minuti (dissestandosi irreparabilmente lo stomaco), pianifica vulcanicamente strategie di guerra, progetti politici e utopie.
E arriviamo al fatale 1810: lei ha diciotto anni, un padre molto amato ma al suo minimo storico per via della pace di Schönbrunn con la quale l’odiato francese ha assestato una zampata ai suoi possedimenti. Napoleone, divorziato, ha urgente bisogno di un erede con certificato di regale garanzia per portare a termine i suoi ambiziosi progetti e per far tacere voci malevole che parlano insistentemente di una sua sterilità.
I sondaggi presso le altre corti europee con principesse da marito avevano avuto, per un motivo o per l’altro, esiti negativi. E così, considerata la fama di prolificità degli Absburgo e i maneggi di Metternich — il quale riteneva che l’Austria, battuta in guerra, avrebbe potuto vincere con un matrimonio —, il gioco è fatto, le nozze decise, la nemesi per Maria Luisa compiuta.
«Che volete, noialtre principesse non siamo state allevate come le altre donne, con gli stessi rapporti di famiglia e gli stessi sentimenti: siamo sempre preparate agli avvenimenti che rompono ogni legame, che ci trasportano lontano dai nostri genitori, che ci fanno interessi nuovi, talora opposti...»: così annoterà pacatamente Maria Luisa molti anni dopo. Ma al momento è inquieta, frastornata.
Un padre sconfitto che gioca la carta della figlia non deve scandalizzarci più di tanto. Noi veniamo dopo la tempesta romantica che ha enfatizzato il mondo dei sentimenti, che ha fatto dell’amore il protagonista indiscusso di tonnellate di letteratura. I matrimoni dinastici erano considerati esattamente come le guerre e le alleanze, indispensabili ai forzieri, al lustro e alla difesa del casato che doveva sopravvivere a tutto. Gli impulsi del cuore erano spiacevoli imprevisti, alla stregua di una ricaduta influenzale.
Oggi gli ultimi schiavi della ragion di Stato sono rimasti gli appartenenti alle grandi famiglie dove ci sono patrimoni da accrescere e pacchetti azionari da incrociare (anche se sarebbe aspirazione di tutti i genitori quella di manipolare il matrimonio dei propri figli, arrivando magari all’ingegneria genetica o alla clonazione).
Non avendo più l’autorità di imporsi, gli odierni re della finanza ricorrono a forme astute di condizionamenti psicologici: allevano i figli in collegi esclusivi, li mandano a lezione di casual premeditato, di estetica pura, gli regalano per Natale una poltrona in qualche consiglio di amministrazione. E solo quando li vedono pieni di diplomi, attestati e in grado di afferrare al primo colpo la differenza fra un Breitling usato dai piloti della Raf nella battaglia d’Inghilterra e quello al polso dell’autista di famiglia, solo allora possono rilassarsi e lasciarli liberi. Quasi sempre porteranno a casa un partner-fotocopia per il giubilo generale.
L’ingranaggio del matrimonio del secolo si mette in moto. Il 4 marzo 1810 giunge a Vienna il maresciallo Berthier per presentare la domanda ufficiale di Napoleone. L’11 marzo, nell’Hofburg, hanno luogo le nozze per procura.
Non essendo note le misure dell’anulare dello sposo, vengono benedette undici fedi (Maria Luisa poi gliele proverà fino a trovare quella giusta. Delle altre non si ha notizia, ma avrebbe fatto bene a conservarle, considerati gli sviluppi).
I doni di Napoleone le danno le vertigini: una cesta piena di gioielli, abiti per tutte le occasioni, sessanta dozzine di guanti, dodici dozzine di ventagli, bellissimi scialli. Per la toilette quotidiana, tutto in oro e argento massiccio, bidet compreso.
Poi ha inizio il viaggio verso la Francia: l’itinerario programmato da Napoleone è sconcertante, lo stesso seguito anni prima dalla sventurata Maria Antonietta, poi scivolata dal trono alla ghigliottina. Ma Napoleone, quando è imbarazzato dal protocollo, per tagliare la testa al toro copia spudoratamente dai suoi titolati predecessori. Al massimo fa gli scongiuri.
Maria Luisa lascia Vienna il 13 marzo. Il cielo è grigio e piove di stravento. Sarebbe arrivata a Compiègne dove l’attendeva lo sposo quattordici giorni dopo: non fu un viaggio lampo. D’altronde quello sterminato corteo nuziale (nelle stazioni di posta bisognava cambiare 400 cavalli da carrozza più una trentina di destrieri per gli ufficiali di scorta) era una specie di sceneggiato al naturale e nessuno, lungo l’itinerario, voleva perderselo: né i notabili che ogni sera mettevano a disposizione i loro palazzotti, mendicando un ricevimento o una visita, né il popolo che si accalcava lungo le strade di quel rally.
Maria Luisa, a parte le sospensioni non ancora intelligenti della carrozza, viaggiò con tutti i comfort, regalmente ospitata e rifocillata. Ma come si spostavano, in quell’epoca, i comuni mortali?
Numerose guide e vademecum ce ne danno un quadro fra il curioso e il raccapricciante. Tra i suggerimenti più raffinati c’è quello di metter nel baule (rivestito di cuoio e chiuso con lucchetto) un lenzuolo e due pelli di cervo conciate e cucite insieme: «Giunti alla locanda,» si legge nell’Itinéraire complet de l’empire français, pubblicato nel 1806 «si stendono le due pelli sul materasso, le si copre col proprio lenzuolo evitando così esalazioni nocive».
Chi al contrario viaggia senza proprie lenzuola, «non potrà insistere troppo nella richiesta di biancheria fresca di bucato: comunque, si faccia fare il letto in sua presenza, accertandosi che i teli non siano troppo umidi. Se si ha un letto a baldacchino con tendaggi, si scosti il tutto dal muro, perché di solito fra le tende si annida una serie di insetti di cui non è il caso di fornire il dettaglio».
Nel campionario di animaletti, la pulce è uno dei più temuti: i modi per difendersene sono diversi, «ma il più efficace è questo: mettete quattro pezzi di canfora, ciascuno della grandezza di una noce, due ai piedi del letto e due in cima, tra le coperte e il materasso e sperate in Dio».
Ci sono anche rischi peggiori: le aggressioni notturne: «Tenete una lanterna accesa e fate dormire il domestico accanto a voi. Se non potete chiudere a chiave, barricatevi con seggiole, tavoli e comò».
I tragitti in carrozza sono interminabili, anche perché una legislazione severa impone limiti di velocità: il galoppo è vietato, si può andare al trotto in aperta campagna, mentre nei villaggi ci sono «i cinquanta», ovverosia si procede al passo.
Chi è tanto povero da non possedere una carrozza e non ha neppure i soldi per la vettura di posta, viaggia a piedi. I contemporanei di Napoleone non si spaventano e girano la Francia, sapendo che un paio di scarpe dura in media 300 chilometri.
Per avere un’idea delle distanze che si possono coprire scarpinando, basta scorrere il taccuino di un granatiere imperiale: «1° novembre 1808: 28 km. 2 novembre: 32 km. 3 novembre: 56 km». E così via. È presumibile che i civili se la siano presa più comoda, anche se non è azzardato supporre che pure in quell’epoca esistesse la sindrome del record da casello a casello.
L’imperatrice in trasferta alterna sentimenti e umori, ma la nostalgia degli affetti e del mondo che ha lasciato per sempre si stempera nella consapevolezza del ruolo che il destino le ha affidato: forse si sente una novella Ifigenia che, per scacciare le maledizioni dal capo dell’adorato padre-sovrano, offre la gola al sacrificio e alla ragion di Stato. Alle donne un alone di martirio non è mai dispiaciuto.
E poi, mano a mano che le tappe si susseguono, si accendono in lei curiosità ed eccitazione: a ogni sosta trova corbeilles di fiori, dolci, gioielli che lo sposo con sapiente regia le spedisce. Qualche volta addirittura quaglie e fagiani abbattuti (assicurano i biglietti di accompagnamento) dalla doppietta imperiale.
A questo punto, anche Maria Luisa, nonostante la sua abissale inesperienza in affari di cuore, si accorge che Napoleone fa di tutto per piacerle: forse sotto il matrimonio fra Francia e Austria c’è anche quello fra un uomo e una donna.
Giorno di crisi il 16 marzo a Brunau: è qui che il corteo francese prenderà in consegna Maria Luisa, strappandola definitivamente dal suo mondo. In un’ampia radura in terra di nessuno è sistemato un piccolo trono. Ufficiali, dame e dignitari austriaci sfilano...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Resti fra noi
  4. I: Come bruciare Napoleone
  5. II: Diciannovenne imperiale
  6. III: Che marito!
  7. IV: Ignara e felice
  8. V: Nostalgia di valzer
  9. VI: Camere separate
  10. VII: La notte più lunga
  11. VIII: Un giorno da leonessa
  12. IX: Parole parole parole
  13. X: Spiata e sedotta
  14. XI: Un mediocre autoritratto
  15. XII: Una madre così così
  16. XIII: Quando riceverai questa mia
  17. XIV: Da Louise a Luigia
  18. XV: Duchessa di ferro
  19. XVI: Elisir di breve vita
  20. XVII: Il colera e l’emicrania
  21. XVIII: Una divina impudenza
  22. Congedo
  23. Sommario