Nel cuore di ogni padre
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Nel cuore di ogni padre

Alle radici della mia spiritualità

  1. 352 pagine
  2. Italian
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Nel cuore di ogni padre

Alle radici della mia spiritualità

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Pagine dal carattere profetico, che risalgono all'epoca in cui Jorge Mario Bergoglio era un sacerdote gesuita e che ci permettono di scoprire le radici spirituali di papa Francesco. Sono meditazioni sulla vita religiosa che l'allora padre provinciale ha dedicato ai suoi confratelli e che oggi illuminano i concetti fondamentali del suo modo di intendere la fede, la comunità e il sacerdozio: famiglia, fratellanza, amore, fiducia, misericordia, pace, paternità. Nello stile unico che abbiamo imparato a conoscere, Bergoglio affronta temi centrali per chiunque si interroghi sul senso della fede nel mondo contemporaneo, mantenendo un'attenzione costante alla loro applicazione nella vita quotidiana. Un'opera preziosa per risalire alle origini del percorso intrapreso da papa Francesco. Un testo essenziale per comprendere la scelta dirompente di aprire la Chiesa al mondo per "compiere, senza tradire la nostra identità, i passi che ci vengono richiesti dalle situazioni storiche concrete e attuali".

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2016
ISBN
9788858683194
PRIMA PARTE

1
Percorrere cortili scorgendo praterie

Quando noi gesuiti diamo uno sguardo al percorso compiuto, sappiamo bene che il fuoco della maggior gloria di Dio che ardeva in Ignazio di Loyola – la parola ignis è nel suo stesso nome – ci pervade bruciando ogni vano compiacimento e avvolgendoci in una fiamma interiore, che ci concentra e ci espande, c’ingrandisce e ci rimpicciolisce.
La nostra stessa storia c’impedisce di guardarla con un distacco scientifico improntato a curiosità per le cose accadute, o desideroso d’imporre un’ideologia predefinita a un passato che ci si fa incontro aperto, fluido e missionario.
Certamente, data la frammentarietà del nostro stesso comprendere, guardare la nostra storia vuol dire percorrere cortili scorgendo praterie, guardare frammenti ma contemplare forme.
Accostarci alla nostra storia comporta un compito primario: recuperare la nostra memoria. Una memoria che in Ignazio significa ricordare «i benefici ricevuti nella creazione e nella redenzione e i doni particolari; ponderando con molto affetto quanto ha fatto Dio nostro Signore per me» (ES 234).
Questa raccomandazione va oltre il pio consiglio e rimanda alla densità della concezione ignaziana, che contiene la possibilità di armonizzare gli opposti, d’invitare a una mensa comune concetti che in apparenza non si sarebbero potuti incontrare, perché rinviandoli a un piano superiore dove essi trovano la loro sintesi. E la memoria storica avvicina il passato al presente, può rendere attuale quello che forse appariva morto, è capace di rintracciare costanti dove sembrava regnare soltanto la variabilità, canonizza come profezia ciò che a suo tempo – nella percezione della gente comune – a malapena si sarebbe catalogato tra le coincidenze. Nelle paludi della crisi la memoria storica sa scoprire i parametri classici che procurano all’uomo ispirazioni feconde.
In fondo, quando sant’Ignazio si riferisce alla memoria, mette in gioco una concezione di unità. Si fa possibile sintetizzare in unità la diversità dei tempi. Così è successo nella nostra terra, in Argentina: i gesuiti vi giunsero con una storia vasta quanto sedici secoli di Chiesa, con una posizione nettissima sulla problematica religiosa dibattuta nell’Europa dell’epoca, e fecero sintesi con l’epoca dei nostri nativi. E quella sintesi fu storia.
La successiva storia dei gesuiti sarebbe stata segnata da un’unità capace di modellare insieme sintesi di contrasti. Unire riducendo è un’operazione relativamente facile, ma non destinata a lunga vita. Più difficile è elaborare quell’unità che non annulla ciò che è diverso, che attenua il conflitto; ed è questa che la Compagnia ha impresso alla sua opera di evangelizzazione. Ha scelto in favore dell’indio, del progetto possibile di giustizia, ma non ha trascurato l’educazione degli spagnoli e dei creoli delle città. Ha portato in queste terre la predilezione spagnola per l’arte barocca, ma con gli americani – che Carpentier ha definito già barocchi perfino nella geografia – ha foggiato un’arte che, pur riconoscendosi spagnola nella propria origine, s’identifica anche nella sua originalità americana.
Esperta dell’Illuminismo, che a quei tempi partoriva la pseudounità dell’Europa collocando il principio dell’unità in una ragione cieca alla trascendenza, la Compagnia propone il Vangelo senza razionalismi e senza ingenuità, ma con un solido sostegno intellettuale armonizzato con la fedeltà alla rivelazione e al Magistero della Chiesa. Inoltre, mentre evita di avventurarsi in un misticismo soggettivista, sa tuttavia alimentare il popolo con una devozione semplice e tutt’altro che priva di elementi affettivi. E, nel guidare le coscienze, non esita a correre il rischio che la dicano lassista e casuista, riuscendo a sintetizzare la morale tradizionale del corpo della Chiesa con la circostanza delle esistenze concrete. È questa fedeltà a un carisma di discernimento che la rigidità giansenista non è mai riuscita a comprendere.
Memoria del passato e slancio per aprire nuovi spazi a Dio si uniscono solidamente, nella Compagnia, con una coscienza le cui cupole non potrebbero essere innalzate se non fossero assestate su solide fondamenta. Per dirla in altri termini, la coscienza di riassumere tutto in Cristo, ossia l’universalità della Chiesa, non può darsi senza un progetto di trascendenza che riconosca, paradossalmente, la topografia delle diverse immanenze chiamate a essere riassunte e trascese.
Non tutto, in questo percorso della Compagnia, sarà luce, e non tutto sarà grazia. Anche i gesuiti, sono, e sono stati, peccatori, e anche la Compagnia, in quanto corpo, è stata peccatrice. Nella sua missione non sono mancate esitazioni peccaminose. A volte la fedeltà verso il passato si è tradotta in un irrigidimento meschino, così come lo slancio verso il futuro non sempre è andato esente da un progressismo sconsiderato. E la sua ondivaga ricerca di realismo non si è affrancata, in altri casi, da un opportunismo accomodante. Ma poiché il processo della storia si definisce a partire dai fatti irreversibili che la compongono, il percorso della Compagnia si riassume in un’avanzata definita dai gesti dei suoi santi, anch’essi ben presenti in questa parte delle Americhe.
Non rientra negli scopi di quest’introduzione elaborare una storia minuziosa della Compagnia nella nostra terra, e nemmeno – pur considerando alcuni dei suoi effetti più significativi – analizzare il sistema di cause che l’hanno originata. Preferisco invece esporre quei simboli nei quali la Compagnia ha espresso la propria missione, la sua visione della realtà, le sue possibilità d’azione. Simboli che hanno plasmato i suoi uomini: simboli dell’ardore e della fedeltà fino alla fine, come il beato Roque; simboli della pazienza che fonda un popolo, come Florián Paucke; simboli dell’atteggiamento scientifico e della stima per la novità americana, come Sánchez Labrador e Dobrizhoffer; simboli di pensiero filosofico originale, come Domingo Muriel; simboli di feconda continuità, anche dopo l’espulsione della Compagnia, negli indios che ne piangevano l’assenza, nelle idee che fondarono rivoluzioni patriottiche, e finanche nel coraggio di quella donna che continuò a predicare gli Esercizi e che il nostro popolo conosce come madre Antula.
I simboli del silenzio e dell’attesa nelle parole che l’allora Provinciale rivolse ai suoi sottoposti comunicando loro l’ordine di espulsione di Carlo III: «Ho fiducia che questo ramo non sia secco, ma ancora viva in esso lo spirito di sant’Ignazio, e che, sepolto al presente dall’impeto del tempo, germoglierà nella sua primavera più florido e più fecondo che mai. Non sappiamo che cosa potrà accaderci; lo sa Dio e questo basta; ciò che sta a noi è conservare lo spirito della nostra vita anche nella morte, anche quando le ossa del nostro corpo verranno sparse per le strade e per i campi… Dio si farà sentire, e con la forza della sua parola la Compagnia di Gesù risusciterà con nuovo spirito. […] C’è l’intento di distruggerla, e può darsi che Dio si avvalga di questo mezzo per riedificarla. Io ci credo… Conservate il suo spirito, con la speranza di vederla risorgere».
E davvero l’attesa è stata feconda, e questa grazia fondante di popoli, di famiglie e di uomini è rifiorita in nuovi gesuiti. José Anweiler ed Enrique Niemann rinnoveranno le imprese di Paucke con gli svizzeri, giunti fino a Santa Fe; i nostri missionari fra gli indios rivivranno nell’immagine del padre Matías Crespí; gli scienziati si rivedranno in un Bridarolli e in un Bussolini; la passione per la cultura verrà ereditata da Guillermo Furlong e da Enrique Pita; la preoccupazione per l’ingiustizia e i suoi rimedi vedranno protagonisti, tra gli altri, i padri Palau, Raggi e Saravia. La comprensione e la pazienza pastorale riappariranno in confessori come i padri Nilo Arriaga e Cecilio Pla e in molti altri che ancora sono presenti fra noi. E, giunto il momento, uomini come questi si perdono nelle istituzioni al punto che non si potrebbero concepire il fratello Figueroa o il padre Castillejo se non nel vederli prodigarsi nello sforzo quotidiano e perfino monotono di un collegio. Uomini che hanno saputo, al tempo stesso, presagire la necessità dei tempi a venire e preparare altri gesuiti a queste battaglie, mettendo le fondamenta, con umiltà ma con solidità, come un padre Mauricio Jiménez, nel lavoro costante e anche di cesello di un noviziato.
Questi uomini sono simbolo nella misura in cui si sono lasciati impregnare da una grazia di corpo e si sono vissuti come membri di un corpo che ha reso possibile il loro lavoro grazie a quello silenzioso e costante di molti altri gesuiti ai quali è stata data la grazia di essere semplicemente soldati. Essere gesuita è appunto essere soldato, perché il simbolo della croce convoca i gesuiti come un vessillo di battaglia.
Quegli uomini sono veri simboli della nostra storia, hanno aperto la strada. Tuttavia, simbolo della nostra storia di gesuiti è anche il nostro popolo, la porzione di Chiesa situata in questo concreto territorio geografico che chiamiamo Argentina e che ha accolto il seme.
Se è vero che ci riconosciamo nei nostri simboli, il nostro popolo è un cantiere fecondo per un simile riconoscimento. Il nostro popolo fedele all’insegnamento: che battezza i suoi figli, che ama Maria, che non si vergogna della croce e sa scorgervi il legno che diventa verga di pastore e accompagna, e l’albero che dà frutti di eternità.
Penso che il compito dello storico autentico non sia tanto diverso da quello del mercante del Vangelo che vendette tutto perché gl’importava soltanto del tesoro nascosto. E ci sono due simboli della Compagnia che costituiscono il tesoro nascosto di noi gesuiti argentini: l’emblema del nome di Gesù e la devota immagine della Vergine dei Miracoli. Il sudore miracoloso della Madonna è un invito a mantenere fresca la memoria del lavoro di coloro che ci hanno preceduti, ed è incentivo ad aspettare l’acqua che viene dall’alto e che riunisce e dà calore materno alla ricerca gesuita di sintesi e unità.

2
Gettare il seme

1. Un tempo, per definire il processo graduale e progressivo della formazione di un gesuita, si ricorreva volentieri all’immagine dell’«imbuto»: il candidato vi accedeva dal lato stretto e, man mano che avanzava, l’imbuto andava allargandosi fino al momento in cui, gesuita ormai formato, egli si dedicava totalmente al lavoro apostolico. Con ciò si voleva indicare la necessità di lunghi anni di formazione come modo per interiorizzare lo spirito della Compagnia, per giungere al giorno in cui il gesuita, interamente compenetrato nella legge intima della carità e dell’amore che lo Spirito scrive e imprime nei cuori, sarebbe stato capace di agire con totale libertà e responsabilità.
Tuttavia la tradizione della Compagnia non ha mai perso di vista il fatto che questa concentrazione sui principi si sarebbe dovuta dispiegare nell’orizzonte della preoccupazione per la salvezza del mondo.1 E questo ha fatto sì che il percorso formativo venisse concepito non soltanto come una preparazione in vista del lavoro per il regno, ma che già il tempo stesso della formazione costituisse lavoro per il regno. Sant’Ignazio spiega agli studenti di Coimbra in che maniera i loro studi fossero già un lavoro efficace per la salvezza delle anime. Lo zelo apostolico, inseparabile orizzonte, e il tempo del noviziato, che è anche tempo di formazione, devono muoversi all’interno della preoccupazione per il lavoro apostolico al servizio del regno.
Voglio soffermarmi ora su un aspetto di questa preoccupazione apostolica che rappresenta un punto intermedio tra gli sforzi che noi gesuiti facciamo per aiutare il prossimo e quelli che facciamo per aiutare noi stessi. Mi riferisco al problema delle nuove vocazioni, un punto riguardo al quale anche i novizi possono fare molto.
2. La nostra Provincia vive un momento di consolidamento. Anche il problema della mancanza di vocazioni ha cominciato a risolversi, pur senza essere del tutto scomparso: è necessario coprire un buon numero di anni nel corso dei quali la carenza di vocazioni, le defezioni di scolastici e di sacerdoti e il declino naturale conseguente a invecchiamento e malattie ci avevano ridotto in pochi. Il futuro della nostra Compagnia può dipendere in maniera decisiva dal fatto che il Signore della messe voglia o non voglia inviare buone e numerose vocazioni in questo settore della sua vigna. Sicché è vitale che da parte nostra facciamo tutto il possibile per assicurare la continuità e la fecondità del nostro lavoro apostolico.
3. Da quando il Signore stabilì la sua alleanza con Abramo e, come parte sostanziale della sua promessa, gli garantì che l’avrebbe reso padre di un popolo enorme, più numeroso della sabbia del mare e delle stelle del cielo, la realtà della fede ha incluso per sempre la capacità di essere fecondi. Attraverso Isacco, il figlio della promessa, successivamente venne preannunciato che questa fecondità avrebbe seguito strade imprevedibili. Le storie bibliche posteriori, in particolare quella di Elisabetta e Zaccaria, e specialmente la storia per eccellenza, quella della Madonna, mostrano e confermano la verit...

Indice dei contenuti

  1. Nel cuore di ogni padre
  2. Copyright
  3. «Percorrere cortili scorgendo praterie»
  4. Nota del traduttore
  5. Prima Parte
  6. Seconda Parte
  7. Terza Parte
  8. Post scriptum
  9. Note
  10. Indice