La profezia finale
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La profezia finale

Lettera a Papa Francesco sulla Chiesa in tempo di guerra

  1. 252 pagine
  2. Italian
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La profezia finale

Lettera a Papa Francesco sulla Chiesa in tempo di guerra

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Mai nella storia della Chiesa si è avuta una così spaventosa concentrazione di profezie che prospettano un tempo catastrofico per la cristianità e per il mondo. E sono profezie cattoliche, cioè legate a santi, pontefici e mistici o messaggi di apparizioni mariane riconosciute dalla Chiesa. Dal Segreto di Fatima, per il quale Benedetto XVI ha evocato il 2017 come anno cruciale, alle profezie di don Bosco, da quelle della beata Anna Katharina Emmerich alle apparizioni di Kibeho, fino alle apparizioni in Rue du Bac e Lourdes ricondotte dal cardinale Ivan Dias a una lunga catena di fatti soprannaturali che ci allertano sull'imminenza di un tempo apocalittico. Antonio Socci nella sua lettera aperta a papa Francesco richiama l'attenzione di tutti sui segni del presente, ma soprattutto sul rischio dell'apostasia, sulla situazione di smarrimento e confusione che si è creata nella Chiesa con il pontificato di papa Bergoglio, di cui esamina gli atti e le parole più controverse. "Quelli che viviamo" scrive Socci "sono tempi dolorosi, ma anche gloriosi, in cui siamo chiamati a testimoniare Cristo. E forse, come per Ninive, ascoltare i profeti e convertirsi potrebbe ancora salvare la città dalla sua rovina." Lucido, rigoroso, appassionato, questo appello a papa Francesco è un'invocazione rivolta al cuore di ognuno di noi, per ricordarci che non è più possibile ignorare gli avvertimenti ricevuti finora.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2016
ISBN
9788858682876

SECONDA PARTE

Lettera aperta a papa Francesco

La prima misericordia di cui abbiamo bisogno è la luce impietosa della verità.
Cardinale Giacomo Biffi
La verità, soprattutto quando incombe un pericolo, deve essere predicata pubblicamente, né deve farsi il contrario per il fatto che alcuni se ne scandalizzano.
San Tommaso d’Aquino
Tendete verso la Gerusalemme celeste, anticipate la Chiesa escatologica, salda nel possesso e nell’amorevole contemplazione del Dio Amore. Quanto grande è oggi il bisogno di questa testimonianza! Molti dei nostri fratelli vivono come se non ci fosse un Aldilà, senza preoccuparsi della propria salvezza eterna. Gli uomini sono chiamati ad aderire alla conoscenza e all’amore di Dio, e la Chiesa ha la missione di aiutarli in questa vocazione. Sappiamo bene che Dio è padrone dei suoi doni; e la conversione degli uomini è grazia. Ma siamo responsabili dell’annuncio della fede, della totalità della fede e delle sue esigenze.
Benedetto XVI

Una terribile responsabilità davanti a Dio

Un Gesù che sia d’accordo con tutto e con tutti, un Gesù senza la sua santa ira, senza la durezza della verità e del vero amore, non è il vero Gesù come lo mostra la Scrittura, ma una sua miserabile caricatura. Una concezione del «Vangelo» dove non esista più la serietà dell’ira di Dio, non ha niente a che fare con il Vangelo biblico.
Joseph Ratzinger
Ne manda più all’Inferno la misericordia di Dio che non la Sua giustizia.
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori
Quanto all’assioma «dove è il papa, lì è la Chiesa», vale quando il papa si comporta come papa e capo della Chiesa; nel caso contrario, né la Chiesa è in lui, né lui nella Chiesa.
Cardinale Charles Journet
Beatissimo padre,
non le dirò che sono uno dei suoi sfegatati estimatori perché mentirei. Però sono un figlio della Chiesa e ho anch’io il dovere di aiutare il suo ministero anzitutto con la preghiera quotidiana e l’offerta, poi con la critica franca al suo operato quando – in coscienza – mi appare discutibile ed è avvolto nell’incenso di un’insopportabile adulazione generale dei media, soprattutto quelli laicisti e nemici di Cristo, che propagano nei suoi confronti un vero culto della personalità.
Io – da cattolico – preferisco seguire l’insegnamento del vescovo spagnolo Melchor Cano (1509-1560), insigne teologo domenicano al Concilio di Trento, quando spiegava come ci si deve rapportare al papa: «Pietro non ha bisogno delle nostre bugie o della nostra adulazione. Coloro che difendono ciecamente e indiscriminatamente ogni decisione del Sommo Pontefice sono quelli che più minano l’autorità della Santa Sede: distruggono, invece di rafforzare le sue fondamenta».
Credo perciò che la franchezza – anche critica, se è necessaria – sia un prezioso aiuto per il vescovo di Roma. Soprattutto quando la mentalità dominante esagera con l’adulazione.
Oggi, con questa lettera, provo a darle – mi creda: con l’affetto che si deve a un padre – un mio piccolo contributo propositivo e di riflessione. Sofferto e sincero, come peraltro lei chiede esortando sempre alla parresia.
La situazione è – per la Chiesa – spaventosa. Si è perseguita in ogni modo l’eliminazione di Cristo dalla vita dell’umanità e oggi sembra di essere arrivati al fondo più oscuro.
Tutte le ideologie del Novecento, con i poteri che le incarnano, sembrano avere quel particolare tratto anticristico – indicato da san Paolo – che consiste nell’ergersi al posto di Dio.
Gli uomini si proclamano padroni della vita, padroni della creazione, padroni dei popoli, padroni del Bene e del Male, padroni della Verità: in definitiva padroni del mondo (temo si sentano pure padroni della Chiesa).
Capisco che lei stia cercando di trovare altre strade rispetto allo scontro frontale con le potenze mondane, altre strade rispetto alla resistenza eroica dei suoi ultimi predecessori.
Ma ci sono veramente strade più «scaltre» di quelle di Dio? Si può essere più «furbi» di un Dio che si è lasciato crocifiggere per rendere testimonianza alla Verità?
Se tutti gli avversari di sempre del cattolicesimo la celebrano come colui che finalmente omologa la Chiesa al mondo moderno non ci sarà qualcosa che non va nel suo messaggio? Se lo è mai chiesto?
Già dopo pochi mesi dalla sua elezione, in seguito alle sue prime esternazioni su «la Repubblica», un autorevole intellettuale, Ian Buruma, si dichiarava entusiasta di lei e sintetizzava così il suo messaggio ai laici: «Non è poi necessario che Dio o la Chiesa ci dicano come dobbiamo comportarci. Basta la nostra coscienza».
Poi Buruma commentava: «Nemmeno i protestanti più devoti si spingerebbero tanto lontano. I protestanti si sono limitati a eliminare i preti in quanto tramite tra l’individuo e il suo creatore. Le parole di papa Francesco lasciano pensare invece che quella di eliminare lo stesso Dio potrebbe rappresentare un’opzione legittima».55
Non mi pare che si possa gioire di questo tipo di tifosi. Purtroppo però, lei, fin dai primi fraintendimenti, anziché mettere a punto la sua posizione per evitare equivoci, è apparso galvanizzato dall’entusiasmo di queste élite laiche e ha accentuato gli ammiccamenti.
Ai cattolici perplessi dalle sue parole, da certe ambiguità, il suo establishment ha spiegato che lei così intenderebbe aggirare la micidiale artiglieria del mondo e arrivare, per altra via, al cuore degli uomini del nostro tempo col messaggio della misericordia.
Ma ci sono davvero altre vie oltre quella della croce (della testimonianza della Verità) che hanno percorso Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?
Pur apprezzando le sue doti di comunicatore, che hanno infranto molte barriere e le fanno raggiungere oggi milioni di persone, mi chiedo: serve a qualcosa avere il profilo twitter più seguito – dopo quello di Valentino Rossi e prima di quello della Juventus – se poi il messaggio si omologa al mainstream e abbraccia i dogmi del politically correct?
Non c’è bisogno di un papa per twittare: «Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza».
C’è il rischio di finire nello stesso pentolone di un simpatico giovanotto umbro, con il profilo «Dio», che ha fatto 350.000 follower e – dicono – «è seguito pure da personaggi del giornalismo e dello spettacolo» (ma ha tweet più divertenti).
Sottrarre la Chiesa alla sua missione di «resistenza» (e di testimonianza) di fronte alla menzogna e al male, significa navigare nel «banal grande» e lasciar dominare senza limiti e impedimenti il «mistero d’iniquità».
Non dovremmo confidare nella vittoria che viene dalla «stoltezza» della croce di Cristo (come accadde sotto l’Impero romano) piuttosto che puntare sulla scaltrezza delle «moderne» strategie pastorali e comunicative?
Queste «strategie» non stanno sacrificando la Verità sull’altare del dialogo col potere? Non rischiano di snaturare la Chiesa, di tradire il Vangelo e far dilagare, dentro la Chiesa stessa, un «pensiero non cattolico»?
In sostanza, non crede che la Chiesa cattolica, per questa via già percorsa dalle confessioni protestanti del Nord Europa, rischi la loro stessa estinzione?
A tutte queste domande Benedetto XVI, parlando ai parroci romani, il 10 marzo 2011, diede una risposta semplice e limpida:
«Non mi sono sottratto al dovere di annunciarvi tutta la volontà di Dio» (At 20,27). Questo è importante: l’Apostolo non predica un cristianesimo «à la carte», secondo i propri gusti, non predica un Vangelo secondo le proprie idee teologiche preferite; non si sottrae all’impegno di annunciare tutta la volontà di Dio, anche la volontà scomoda, anche i temi che personalmente non piacciono tanto.
È la nostra missione di annunciare tutta la volontà di Dio, nella sua totalità e ultima semplicità. Ma è importante il fatto che dobbiamo istruire e predicare – come dice qui san Paolo – e proporre realmente la volontà intera di Dio.
E penso che il mondo di oggi sia curioso di conoscere tutto, tanto più dovremmo essere curiosi noi di conoscere la volontà di Dio. […]
Quindi dovremmo far conoscere e capire – per quanto possiamo – il contenuto del Credo della Chiesa, dalla creazione fino al ritorno del Signore, al mondo nuovo. La dottrina, la liturgia, la morale, la preghiera – le quattro parti del Catechismo della Chiesa cattolica – indicano questa totalità della volontà di Dio.
Non crede, Padre Santo, che questo sia il dovere dei pastori in tutti i tempi? Non pensa che l’unico modo per non abbandonare l’umanità nelle tenebre del male sia proprio far risplendere tutta la luce di Cristo?
Durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI tanti vescovi, teologi e fedeli non hanno seguito la via indicata da quei grandi papi.
Don Luigi Giussani, mio maestro nella fede, in una delle sue ultime interviste, il 29 agosto 2004, con un filo di voce disse: «La Chiesa ha cominciato ad abbandonare l’umanità secondo me, secondo noi, perché ha dimenticato chi era Cristo, non ha poggiato su… ha avuto vergogna di Cristo, di dire chi è Cristo».
Questo tradimento solitamente avviene – come si suol dire – «per non dividere, per non creare contrapposizioni, per non avere nemici».
Le radici psicologiche e culturali di questo tipo di cattolicesimo affondano negli anni Settanta.
Andreas Hofer ha fatto un’analisi acuta di questo fenomeno:
Nell’ormai lontano 1978 Alain Besançon ha descritto, nel suo libro La confusione delle lingue, la progressiva diffusione nella cattolicità di uno stato d’animo romantico, con i suoi inevitabili corollari: la preminenza del sentimentalismo, il disprezzo per la ragione analitica, una spiritualità evanescente che si compiace di stati d’animo. […]
Da qui discende quell’atteggiamento per il quale, anche istintivamente, senza piena consapevolezza, è imperativo accantonare ogni idea di lotta, a cominciare dal bonum certamen paolino. Causa principale della surreale rimozione della categoria del nemico, sostiene Besançon, è una sorta di «supercristianesimo» al quale sta stretta la classica distinzione tra peccato, da combattere, e peccatore, da amare. A un cristianesimo tanto «puro», che si presume «più buono» perfino di Gesù stesso, non basta più amare il peccatore. È troppo poco. Occorre amare anche il peccato.56
In realtà, fa notare H...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Premessa
  4. Prima Parte: Le profezie e i segni
  5. Seconda Parte: Lettera aperta a papa Francesco
  6. Indice