La profezia di Clementino
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La profezia di Clementino

Quel che ho sognato tra Sud e rap

  1. 188 pagine
  2. Italian
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La profezia di Clementino

Quel che ho sognato tra Sud e rap

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Informazioni sul libro

Ho visto come in sogno… … quelle ginocchia sbucciate a rappare nel parcheggio di un supermercato a Nola. Eravamo come i ragazzi della via Pál, appena usciti da scuola, con le nostre battaglie, i murales e le rime da inventare. … il palco del Concerto del 1ºmaggio che sognavo fin da bambino. Anche se il posto in cui mi sono emozionato di più a cantare è stato Poggioreale. Ho sentito che stavo portando note di speranza a chi, la vita, la doveva ricominciare. … un signore con i capelli brizzolati e il giubbino di jeans che mi si avvicina. Ma è lui, Pino Daniele…! … la scritta Gescal che mi sono tatuato addosso. Perché Gescal è il rione delle palazzine popolari con le mattonelle gialle dove stavano i miei nonni. Nel loro cortile ho incontrato Urano e Zeta ed è nato il mio rap. Ne vado orgoglioso. … il mio Sud scempiato da mucchi di copertoni. Ma il mio Sud è anche sole e sale, famiglia e mare. La profezia di Clementino è un viaggio entusiasmante nella creatività di uno degli artisti più originali e amati del nostro scenario musicale. Allevato a latte e teatro, partito dai villaggi turistici e approdato a New York, Clementino spazia in ogni direzione per poi tornare a cantare per il Sud, per tutti i Sud del mondo. Perché la musica è ribellione e vita.

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Informazioni

1

Tra le lettere composte dall’inchiostro

I libri

L’arrivo all’aeroporto come sempre di fretta, il traffico caotico della periferia, un bacio veloce a mio fratello che mi lascia all’ingresso, e corro con la valigia verso il check-in. Non c’è nessuno. Grido: «Sono ancora in tempo?». L’hostess al banco, fredda e perfino un po’ scostante, mi degna appena di uno sguardo, giusto per controllare che sia io quello della foto sulla carta di identità. E, restituendomi biglietto e documento, mi dice: «Non si preoccupi: il suo volo è in ritardo di due ore».
E così mi ritrovo sudato, con gli occhiali da sole sul viso anche all’interno di Capodichino, completamente rincoglionito per la solita notte passata insonne fino alle cinque del mattino e un’unica domanda: adesso che faccio per due ore da solo in questo aeroporto? Provo a rannicchiarmi su uno dei divanetti del terminal da poco ristrutturato, ma non c’è nulla da fare: non riesco a dormire in quella posizione.
Comincio il giro dei negozi, mi fermo alla vetrina di un box di cravatte, ma non mi ci vedo molto con lo snapback, le sneaker e una cravatta al collo; poi passo davanti al negozio di mozzarelle di bufala, ma non ho neanche preso il caffè per la nausea da stanchezza. Infine, la libreria: cosa fa un viaggiatore quando il suo volo è in ritardo di due ore?
Compra un libro. Ma io non sono un lettore abituale. Mi fermo a guardare i titoli, molti a me sconosciuti, e mi vengono in mente i libri che ho letto fino a questo momento. Non sono tanti, li ricordo tutti e almeno un pugno di questi mi ha formato, mi ha fatto diventare quello che sono.
Quanti? Tre, quattro, diciamo cinque. Sì, cinque è un numero perfetto.
Il primo, il più famoso, a volte anche tristemente famoso per chi viene dalle parti mie, è Gomorra. Tanto noto, tanto importante che l’autore, fra l’altro, lo cito anche in una mia canzone. Roberto Saviano, proprio lui. Ricordo di aver visto, come molti, prima il film. Mi è piaciuto anche perché a me piacciono i film di camorra, di mafia, dove ci sono belle sparatorie. Sono i nostri film polizieschi. So che quella raccontata in Gomorra non è invenzione ma pura verità, però io mi sono fatto prendere lo stesso dall’aspetto avventuroso del film. Poi alcuni amici hanno cominciato a dirmi che il libro era più bello, come sempre del resto, perché un libro ti apre la mente e ti mette in moto l’immaginazione: alla fine l’ho comprato.
Mi ricordo che quando uscì il libro già il titolo mi attirava, perché ricordavo la storia di Sodoma e Gomorra, e a me i racconti della Bibbia mi hanno sempre incuriosito. Poi nel primo capitolo, proprio all’inizio, c’è la scena tremenda di quando si aprono i container e dall’interno cadono giù i corpi di tutti quei cinesi morti. Non sono più riuscito a smettere: l’ho divorato!
Certo mi faceva impressione che Gomorra parlasse della mia città, delle cose che riguardano proprio i luoghi dove sono nato e cresciuto. In seguito Roberto Saviano postò il pezzo mio, La luce, sulla sua pagina Facebook: quel giorno mi sono sentito molto orgoglioso...
Mi faceva impressione che Gomorra parlasse della mia città.
Il secondo libro che ricordo nitido e perfetto è Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach. È stato uno dei pochi che mi siano stati consigliati a scuola e che abbia effettivamente letto. Perché tutti quelli che mi raccomandavano di leggere prima delle vacanze, io non li ho mai voluti aprire. I libri andavano letti in estate: figurati se in estate mi mettevo a leggere. Facevo l’animatore nei villaggi, lavoravo fino all’alba e poi di nuovo sveglia presto il giorno dopo: sfogliare un libro era veramente l’ultimo dei pensieri.
Mia mamma ha sempre avuto ragione quando diceva che dovevo leggere: me lo ripeteva tutti i giorni. E oggi mi pento di non averla ascoltata, perché secondo me almeno cinquanta libri, a trentatré anni, avrei dovuto leggerli.
Ma Il gabbiano mi è piaciuto davvero perché è un libro che parla di libertà: e, infatti, lo nomino anche all’interno della canzone Aquila reale, nonostante sia un gabbiano e non un’aquila!
Mi è piaciuto anche perché mi ci sono sempre un po’ identificato: in fondo mi sento come un gabbiano che dal chiuso della sua Cimitile finalmente mette le ali e vola via. Ed è un libro che vorrei consigliare a tutti quelli che stanno in provincia, in tutte le province del mondo e che vogliono volare lontano, che vogliono sfondare nel mondo dello spettacolo, che vogliono inseguire un futuro migliore.
Mi sento come un gabbiano che dal chiuso della sua Cimitile finalmente mette le ali e vola via.
Poi è venuto Fattore H. Slalom di un disabile nella nostra società di Tyrone Nigretti. Paola Zukar è la manager non solo mia ma anche di Fabri Fibra, di Marracash e di altri rapper. È stata lei che mi ha dato questo libro: «Leggi la storia di questo ragazzo», mi ha detto.
All’inizio, guardando il titolo e la foto, dove si vedeva quasi solo il cappellino, ho pensato: sarà un altro libro sull’hip hop. Poi, però, ho letto il sottotitolo e già da lì ho capito che la “H” non stava per “hip hop” ma per “handicap”, e mi è subito venuta voglia di immergermi nella storia.
Io leggo molto in treno, specialmente negli ultimi anni, quando mi capita di stare spesso in viaggio. Mi dedico ai giornali e, quando il tragitto è lungo, ai libri. Ho cominciato il libro di Tyrone Nigretti sul Frecciarossa tra Milano e Napoli e subito, dalle prime pagine, mi sono reso conto che questo ragazzo aveva una forza straordinaria, che attraversa una serie di problemi terribili, ma non perde mai la forza d’animo. Una famiglia difficile che si divide tra alcolismo e tossicodipendenza, entrambi i genitori muoiono quando lui è piccolo, abita al quinto piano ma l’ascensore arriva solo al quarto e, dato che sta sulla sedia a rotelle, può riuscire a fare quello che fa solo grazie all’aiuto di amici e di alcuni parenti. Però va avanti.
E qui entra in gioco la “H” che riguarda anche l’hip hop. Si dice sempre che la musica ha recuperato la vita di tante persone, ma in questo caso è stata veramente la salvezza nella storia di questo ragazzo. Lo ha aiutato a scrivere rime e a credere che anche in una condizione difficile come la sua sia possibile farcela.
Il quarto libro è quello di Fabri Fibra, Dietrologia. I soldi non finiscono mai. È il primo che ho letto tutto d’un fiato, perché mi sembrava di parlare con un amico, e le cose che raccontava, i temi che trattava, erano proprio quelli di cui avrei voluto leggere in quel momento. Fabrizio è fatto così: dice sempre cose interessanti e le dice al momento giusto. Lo chiamo Fabrizio perché è un caro amico, con lui ho fatto l’album Rapstar e con lui mi piace passare il tempo.
Dirò di più: la prima volta che ho letto Dietrologia, l’ho fatto troppo di fretta, tanto che dopo poco avevo già dimenticato interamente alcune parti perché, quando leggi di notte, può capitare di arrivare alla fine del capitolo per poi dimenticare tutto quello che hai letto la mattina dopo. Perciò l’ho ripreso in mano dopo un anno con più calma, con maggiore attenzione e ho pensato: ma sai che è proprio bello?
L’ultimo libro è I ragazzi della via Pál, ovvero, per me, la strada. I ragazzi della via Pál sono come eravamo noi a quindici anni. Anche noi abbiamo cominciato le nostre battaglie in strada, la nostra guerriglia era il nostro rap fatto in un parcheggio. Dico “noi” perché eravamo cinque o sei amici e nel parcheggio di un grande supermercato di Nola ci mettevamo lì, ogni giorno, facevamo i murales, inventavamo le rime, combattevamo le battaglie di freestyle. I ragazzi della via Pál uscivano da scuola e vivevano le loro avventure, le botte, le fionde, i campetti, le case popolari. In fondo non è cambiato molto da allora: noi all’uscita da scuola compravamo le Morositas, loro avevano gli stecchini con i datteri. Sono cose che mi sono rimaste impresse nonostante l’abbia letto quindici, vent’anni fa. Ma ricordo ancora che quelle ginocchia sbucciate erano anche le mie.
I ragazzi della via Pál sono come eravamo noi a quindici anni.

2

Solo un giorno nel quartiere

Le radici

Le ginocchia sbucciate erano quelle del paese dove sono nato: Cimitile. Nemmeno Nola, che pure non è una grande città. Però Cimitile ha una storia, una sua tradizione, il suo orgoglio. È conosciuto per le basiliche paleocristiane ed è anche sede del primo campanile della cristianità. Pochi al di fuori lo sanno, ma tutti i cimitilesi ne vanno fieri.
Però c’è anche un rovescio della medaglia: nei paesi vicini ci chiamano “scarpisasanti”, perché Cimitile era il cimitero di Nola durante le persecuzioni dei cristiani, che si nascondevano nei sotterranei delle basiliche. Gli “scarpisasanti” sono i “calpesta santi”: lo dico anche nella canzone mia Rovine che camminiamo sui resti di tutti i santi della prima cristianità. Cimitile è un paesino molto piccolo e quando sono in giro per l’Italia dico direttamente che sono di Napoli, per evitare di vedere le facce stranite che si chiedono: «Di dove?».
E da questo piccolo paese dove si coltivano solo pomodori e patate nasce il mio slang: Cimitile è il mio Bronx. Lì ho fatto l’asilo, le scuole elementari e le medie. Poi ho frequentato il liceo a Pomigliano d’Arco e infine, con l’università, sono arrivato nella grande città: Napoli. Se dovessi racchiudere in una sola frase il mio percorso direi: un solo passo, da Cimitile a Milano.
Oggi vivo gran parte del mio tempo al Nord, ma sono sempre molto fiero delle mie radici. Anche perché ormai mi sento il rappresentante ufficiale di Cimitile, dove, ovviamente, mi conoscono tutti. A settembre di due anni fa mi hanno invitato a suonare alla festa patronale del paese e quelli dell’organizzazione dicevano che era inutile chiamare la Protezione Civile: «Tanto c’è Clementino, che è uno del nostro paese». All’inizio del concerto si sono ritrovati con seimila persone in piazza: tutti ragazzi venuti dai paesi dell’Agro Nolano e anche oltre. Non ci volevano credere. Quello è stato il primo momento in cui mi sono sentito davvero come Bruce Springsteen.
Un solo passo, da Cimitile a Milano.
Però devo anche ammettere che non c’era molto da fare a Cimitile. Gli unici intrattenimenti da ragazzino erano giocare a calcio, suonare la chitarra o al massimo andare in sala giochi. Io giocavo a calcio ogni tanto, con gli amici avevamo anche organizzato un torneo di calcetto e fondato una squadra, il New Team: ci eravamo fatti fare le magliette con i nomi e i numeri. Ma non posso dire di essere mai stato un grande calciatore: dopo le prime partite, ho pensato che forse era meglio se facevo qualcos’altro. Fortunatamente ho avuto due genitori che facevano parte di un gruppo teatrale, Il dialogo, e facevano le prove in una sala del paese. Mentre loro provavano gli spettacoli, c’era un’altra stanza dove i figli degli attori imparavano a recitare, e io facevo da regista dei giovani. Quello è stato il mio primo ingresso nel mondo dello spettacolo!
C’era anche un cinema a Cimitile. C’era, ma ora non c’è più: forse saranno quindici anni che l’hanno chiuso. Lo usavano anche come teatro per gli spettacoli amatoriali dove recitavano i miei genitori; dopo un po’, divenne famoso solo per i film a luci rosse. Forse perché non c’era null’altro di artistico da fare in paese, io cercavo di prendere parte a qualsiasi evento musicale: partecipavo a tutto ciò in cui ci fosse della musica, dal karaoke alla corrida. Durante le feste si sfidavano al karaoke i rappresentanti di tutti i quartieri fino a una agguerritissima finale.
Naturalmente, come in ogni piccolo paese, un ruolo importante lo svolgeva la parrocchia. La parrocchia e l’ACR, l’Azione Cattolica Ragazzi. Devo dire che due o tre volte mi hanno cacciato sia dall’una che dall’altra perché ero un casinaro esagerato, però se potevo la parrocchia la frequentavo soprattutto per l’evento più importante del paese: la festa di San Felice, il patrono di Cimitile. Il 14 gennaio di ogni anno c’è la processione che attraversa il centro storico e rievoca la salita della statua dalla basilica di San Felice in Pincis alla parrocchia, mentre la sera prima i bambini delle elementari cantano durante la messa in chiesa. E forse, chi lo sa, proprio lì è nata la mia vena artistica.
Anche da bambino ho sempre cercato ogni occasione per fare musica: oltre a suonare la chitarra in chiesa e all’Azione Cattolica, la materia scolastica che mi appassionava di più era proprio musica. Alle medie l’insegnante che mi sosteneva e mi dava i voti migliori era sempre quello di musica, il professor La Manna. Anche in italiano andavo abbastanza bene e già allora mi dicevano che ero portato più per la scrittura che per le altre discipline. Con gran dispiacere di mia mamma, che invece insegna matematica, materia in cui non sono mai stato un asso.
Io a scuola ero un terremoto: sono un Sagittario DOC. Il mio onomastico, San Clemente, è il 23 novembre, primo giorno del segno, mentre il mio compleanno è il 21 dicembre, ultimo giorno. Il Sagittario è vivace e io lo sono, è disordinato e io lo sono, è viaggiatore e io lo sono, è distratto e io lo sono. Io sono il re dei distratti: quando stavo alle scuole medie la professoressa spiegava e io guardavo fuori dalla finestra, assorto. Sono sempre stato un sognatore, mi incantavo di fronte a tutto. Per questo qualche professore arrivava a chiamarmi “ritardato mentale”: è così che inizio la mia canzone Senza Pensieri. Perché, invece di pensare che un ragazzo con la testa fra le nuvole sta forse sognando, immaginando, creando, gli si dà del ritardato mentale?
Ma non era così solo a scuola: anche adesso, nel 2015, vado ai matrimoni un mese prima. Il 27 maggio scorso, giorno in cui doveva sposarsi un mio caro amico, raggiungo il ristorante dove era previsto il ricevimento. Entro nella sala e non c’è nessuno. Chiedo al proprietario e lui mi risponde: ma oggi non c’è nessun matrimonio. A quel punto telefono al mio amico che mi dice: ma è tra un mese! E io ero andato lì tutto elegante, con il vestito della cerimonia, il regalo e la mia faccia migliore. A quel punto ho capito: non la smetterò mai di essere una testa di cazzo.
Sono sempre stato un sognatore, mi incantavo di fronte a tutto.
Dall’ACR è partita la mia prima comitiva: all’inizio ci...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 1. Tra le lettere composte dall’inchiostro
  4. 2. Solo un giorno nel quartiere
  5. 3. L’odore del ragù domenica
  6. 4. Aspettando una terra promessa
  7. 5. Un pezzo sulle Ceneri prima della Quaresima
  8. 6. Brucia qua l’inferno
  9. 7. La prossima fine del mondo
  10. 8. Fai buon viaggio
  11. 9. Come una tribù che suona ancora
  12. 10. Quando le storie finiranno
  13. 11. Il sipario poi qui calerà
  14. 12. Rotolando verso sud
  15. 13. È da qui che tutto è iniziato
  16. 14. L’infinito dietro il campo
  17. 15. Con un solo nome
  18. 16. Con la valigia in mano vaghiamo una nazione
  19. 17. Guarda come cambiano le storie
  20. 18. La risata di una iena, la fame di un cane, un lupo che ulula in luna piena
  21. 19. Cambio le scarpe e continuo a camminare
  22. 20. Le notti più crudeli
  23. 21. Vola sopra i tetti dei ghetti di New York
  24. Lettera alla musica
  25. Ringraziamenti
  26. Indice