La misericordia è una carezza
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La misericordia è una carezza

Vivere il giubileo nella realtà di ogni giorno

  1. 288 pagine
  2. Italian
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La misericordia è una carezza

Vivere il giubileo nella realtà di ogni giorno

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"La misericordia è la parola chiave per indicare l'agire di Dio verso di noi. Ed è sulla stessa lunghezza d'onda che si deve orientare l'amore misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli." Con queste parole Papa Francesco ha motivato la decisione di indire il giubileo straordinario della misericordia che si apre l'8 dicembre 2015. Non si tratta di una data casuale: l'8 dicembre, infatti, non solo si festeggia l'Immacolata Concezione di Maria, Mater Misericordiae, ma coincide con il 50° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II. Scrive Francesco nella bolla d'indizione del giubileo: "La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell'evento. Per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia. I Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l'esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile. Abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. Una nuova tappa dell'evangelizzazione di sempre". "E questo, in fondo, " scrive padre Antonio Spadaro nell'introduzione "è anche il significato ultimo del giubileo della misericordia: una nuova tappa dell'evangelizzazione di sempre, che però impone un cambio di paradigma nel senso che non parte dalla deduzione da un livello astratto e ideale di insegnamenti, ma dal basso, dalla storia, dell'esperienza del popolo di Dio che è in cammino nella storia.» Una tappa in cui la Chiesa deve essere "strumento di misericordia" e aprire porte e braccia a tutti coloro che si rivolgono a Dio, senza escludere nessuno. Una sfida per il popolo cristiano a farsi testimone dell'amore del Padre che accarezza, consola e perdona per le strade di un mondo che rischia di smarrirne il volto.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2015
ISBN
9788858679388
Categoria
Religion
La misericordia è una carezza

1

Misericordia

La misericordia non è una entità astratta, un’idea. Il pericolo più grave che corre il cristianesimo è quello di trasformarsi in un sistema di idee o di precetti e la misericordia non è esente dal rischio di essere considerata l’elemento di un sistema logico. Invece è un’esperienza. E non se ne comprendono i tratti se non c’è un incontro. Anzi: «la verità è un incontro», ha detto Papa Francesco in una omelia da Santa Marta. Solo questo incontro con il Signore – e non una spiegazione teologica – apre il cuore alla fiducia e allo Spirito Santo.
Le idee su Dio non illuminano il mondo: sono un «chiarore» che può aiutare a illuminare la fede. Ma solo chi è stato «accarezzato» sono parole del Papa «dalla tenerezza della misericordia, si trova bene con il Signore». E per fare esperienza della «infinita tenerezza e misericordia di Dio» bisogna essere peccatori.
Da qui la passione di Papa Francesco per il quadro del Caravaggio che presenta la vocazione di san Matteo: «Quel dito di Gesù così… verso Matteo. Così sono io. Così mi sento. Come Matteo» mi ha confidato nell’intervista del 2013. E qui il Papa si è fatto deciso, come se avesse colto l’immagine di sé che andava cercando: «È il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra i suoi soldi, come a dire: “No, non me! No, questi soldi sono miei!”. Ecco, questo sono io: “Un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi”».
Questa è l’esperienza dell’incontro con la misericordia: sentirsi guardati, ricevere un invito, percepire una dolcezza, una tenerezza profonda. E il Signore ci aspetta.
È questa fede a essere «rivoluzionaria» e «combattiva»: non una combattività di scontro che riceve il suo potenziale di liberazione da ideologie, ma una forza sotto la guida dello Spirito capace di cambiare il mondo. La misericordia è forza di fede che ha un valore civile e politico.
A.S.

Il cuore del messaggio di Dio

E quell’uomo, seduto al banco delle imposte, in un primo momento Gesù lo guarda e quest’uomo sente qualcosa di nuovo, qualcosa che non conosceva – quello sguardo di Gesù su di lui – sente uno stupore dentro, sente l’invito di Gesù: «Seguimi! Seguimi!». In quel momento, quest’uomo è pieno di gioia, ma è anche un po’ dubbioso, perché è tanto attaccato ai soldi. È bastato un momento soltanto – che noi conosciamo come è riuscito a esprimerlo il Caravaggio: quell’uomo che guardava, ma anche, con le mani, prendeva i soldi – soltanto un momento nel quale Matteo dice di sì, lascia tutto e va con il Signore. È il momento della misericordia ricevuta e accettata: «Sì, vengo con te!». È il primo momento dell’incontro, un’esperienza spirituale profonda.
Poi viene un secondo momento: la festa. Il Signore fa festa con i peccatori […] [Dopo questi due momenti, lo stupore dell’incontro e la festa, viene] «il lavoro quotidiano» […].
Questo lavoro si deve alimentare con la memoria di quel primo incontro, di quella festa. E questo non è un momento, questo è un tempo: fino alla fine della vita. La memoria. Memoria di che? Di quei fatti! Di quell’incontro con Gesù che mi ha cambiato la vita! Che ha avuto misericordia! Che è stato tanto buono con me e mi ha detto anche: «Invita i tuoi amici peccatori, perché facciamo festa!». Quella memoria dà forza a Matteo e a tutti questi per andare avanti. «Il Signore mi ha cambiato la vita! Ho incontrato il Signore!» Ricordare sempre. È come soffiare sulle braci di quella memoria, no? Soffiare per mantenere il fuoco, sempre. […]
E Gesù, continuando con questa abitudine, fa festa con i peccatori e offre ai peccatori la grazia. «Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto, infatti, a chiamare i giusti, ma i peccatori.» Chi si crede giusto, che si cucini nel suo brodo! Lui è venuto per noi peccatori e questo è bello. Lasciamoci guardare dalla misericordia di Gesù, facciamo festa e abbiamo memoria di questa salvezza!

Una festa per tutti

Un cristiano è uno che è invitato. Invitato a che? A un negozio? Invitato a fare una passeggiata? Il Signore vuol dirci qualcosa di più: «Tu sei invitato a festa!». Il cristiano è quello che è invitato a una festa, alla gioia, alla gioia di essere salvato, alla gioia di essere redento, alla gioia di partecipare la vita con Gesù. Questa è una gioia! Tu sei invitato a festa! Si capisce, una festa è un raduno di persone che parlano, ridono, festeggiano, sono felici. È un raduno di persone. Io fra le persone normali, mentalmente normali, mai ho visto uno che faccia festa da solo, no? Ma sarebbe un po’ noioso quello! Aprire la bottiglia del vino… Questa non è una festa, è un’altra cosa. Si fa festa con gli altri, si fa festa in famiglia, si fa festa con gli amici, si fa festa con le persone che sono state invitate, come io sono stato invitato. Per essere cristiano ci vuole una appartenenza e si appartiene a questo Corpo, a questa gente che è stata invitata a festa: questa è l’appartenenza cristiana. […]
La Chiesa non è la Chiesa solo per le persone buone.
Vogliamo dire chi appartiene alla Chiesa, a questa festa? I peccatori, tutti noi peccatori siamo stati invitati. E qui cosa si fa? Si fa una comunità, che ha doni diversi: uno ha il dono della profezia, l’altro il ministero, qui è un insegnante… Qui è sorta. Tutti hanno una qualità, una virtù. Ma la festa si fa portando questo che ho in comune con tutti… Alla festa si partecipa, si partecipa totalmente. Non si può capire l’esistenza cristiana senza questa partecipazione. È una partecipazione di tutti noi. «Io vado alla festa, ma mi fermo soltanto al primo salottino, perché devo stare soltanto con tre o quattro che io conosco e gli altri…» Questo non si può fare nella Chiesa! O tu entri con tutti o tu rimani fuori! Tu non puoi fare una selezione: la Chiesa è per tutti, incominciando per questi che ho detto, i più emarginati. È la Chiesa di tutti! […]
Il Signore è molto generoso. Il Signore apre tutte le porte. Anche il Signore capisce quello che gli dice: «No, Signore, non voglio andare da te!». Capisce e lo aspetta, perché è misericordioso. Ma al Signore non piace quell’uomo che dice di «sì» e fa di «no»; che fa finta di ringraziarlo per tante cose belle, ma nella verità va per la sua strada; che ha delle buone maniere, ma fa la propria volontà e non quella del Signore: quelli che sempre si scusano, quelli che non sanno la gioia, che non sperimentano la gioia dell’appartenenza. Chiediamo al Signore questa grazia: di capire bene quanto bello è essere invitati alla festa, quanto bello è essere con tutti e condividere con tutti le proprie qualità, quanto bello è stare con Lui e che brutto è giocare fra il «sì» e il «no», dire di «sì» ma accontentarsi soltanto di essere elencato nella lista dei cristiani.

Fare il primo passo

Colui che esisteva ancor prima della nascita di Abramo, che ha voluto mettersi in cammino al nostro fianco, il buon samaritano che ci offre il suo sostegno quando le circostanze della vita ci affliggono e la nostra debole libertà ci disorienta, Colui che morì e fu sepolto in un sepolcro sigillato da una pietra, è risorto e vive per sempre.
L’annuncio venne fatto alle donne, sgomente di fronte all’ingresso aperto della tomba e all’angelo seduto là dove credevano giacesse il corpo inerte di Cristo. Da quel momento, il messaggio si è trasmesso di generazione in generazione, proclamando con forza che, grazie a Cristo, in ogni morte risiede un germoglio di resurrezione. La liturgia della veglia pasquale ha inizio al buio, simbolo delle tenebre e della morte; Cristo, al contrario, è la luce, una scintilla di speranza nelle situazioni più difficili e in tutti i cuori, anche in quelli in cui alberga la più fitta oscurità.
L’angelo rassicura le donne: «Non abbiate paura!» (Mt 28,5). Esse infatti erano attanagliate dal timore che nasce di fronte a ogni speranza di felicità e di vita, che ci fa diffidare della veridicità di ciò che stiamo vedendo o ascoltando, che ci impedisce di accogliere in noi una gioia che ci viene donata a titolo gratuito. Dopo il tranquillizzante avvertimento alle donne viene affidata la missione: «Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto» (ivi, 7).
Il Signore ci precede sempre, ci aspetta. L’apostolo Giovanni descrive l’essenza dell’amore facendo riferimento alla sensazione di sentirsi, appunto, preceduto: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1Gv 4,10). Sebbene nella nostra vita, in modi diversi, cerchiamo Dio, in verità è Lui a cercare noi, è Lui ad attenderci. Egli è come il fiore di mandorlo, caro ai profeti perché sboccia prima degli altri: così, il Signore «ci anticipa» nell’amore.
E lo fa ormai da secoli. Gesù ci precede e ci aspetta in Galilea da duemila anni: nel luogo del primo incontro con Lui, quello che ciascuno di noi custodisce in un angolino del proprio cuore. Dobbiamo accelerare il passo per andargli incontro. Il Dio «che ci ha amati per primi» è anche il buon samaritano che si fa prossimo e ci dice, come alla fine della parabola: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37). Ci invita semplicemente a imitare ciò che ha fatto Lui: ad «anticipare» i fratelli nell’amore, a non aspettare di essere amati per primi. Ad assumere i comportamenti che ci risvegliano dalla sonnolenza (che ci ha impedito di vegliare con Lui) o da ogni sorta di tranquillità indifferente. Ci esorta a compiere passi di riconciliazione, passi d’amore nella nostra famiglia, nella nostra città, ad avvicinarci ai più poveri, che purtroppo aumentano di giorno in giorno. Imitiamo il nostro Dio dimostrandoci «prossimi» verso i nostri fratelli che soffrono di solitudine, indigenza, sfruttamento, mancanza di alloggio, discriminazione, malattia, isolamento nelle strutture per anziani. Facciamo il primo passo e diventiamo testimoni dell’annuncio che il Signore è risorto. Solo in questo modo reusciremo a portare, tra tanta morte e disperazione, una scintilla di resurrezione, quella che Dio ci chiede di accendere, rendendo così la nostra professione di fede davvero autentica.

Un invito concreto

Sempre il Signore quando viene nella nostra vita, quando passa nel nostro cuore, ti dice una parola, ci dice una parola e anche questa promessa: «Vai avanti… Coraggio, non temere, perché tu farai questo!». È un invito alla missione, un invito a seguire Lui. E quando sentiamo questo secondo momento, vediamo che c’è qualcosa nella nostra vita che non va, che dobbiamo correggere e la lasciamo, con generosità. O anche se c’è nella nostra vita qualcosa di buono, ma il Signore ci ispira a lasciarla, per seguirlo più da vicino, com’è successo [al lago di Gennèsaret]: questi hanno lasciato tutto, dice il Vangelo. «E tirate le barche a terra, lasciarono tutto: barche, reti, tutto! E lo seguirono.» […]
Gesù mai dice «Segui me!», senza dire la missione. No! «Segui me e io ti farò questo.» «Segui me, per questo.» «Se tu vuoi essere perfetto, lascia e segui per essere perfetto.» Sempre la missione. Noi andiamo sulla strada di Gesù per fare qualcosa. Non è uno spettacolo andare sulla strada di Gesù. Andiamo dietro di Lui, per fare qualcosa: è la missione. […]
È una vera preghiera cristiana sentire il Signore con la sua Parola di conforto, di pace e di promessa; avere il coraggio di spogliarci di qualcosa che ci impedisce di andare in fretta nel seguirlo e prendere la missione. Quello non vuol dire che poi non ci siano tentazioni. Ce ne saranno tante! Ma, guarda, Pietro ha peccato gravemente, rinnegando Gesù, ma poi il Signore lo ha perdonato. Giacomo e Giovanni… hanno peccato di carrierismo, volendo andare più in alto, ma il Signore li ha perdonati.

La tentazione della fuga

La fuga da Dio. Si può fuggire da Dio, ma [pur] essendo cristiano, essendo cattolico, essendo dell’Azione Cattolica, essendo prete, vescovo, Papa… tutti, tutti possiamo fuggire da Dio! È una tentazione quotidiana. Non ascoltare Dio, non ascoltare la sua voce, non sentire nel cuore la sua proposta, il suo invito. Si può fuggire direttamente. Ci sono altre maniere di fuggire da Dio, un po’ più educate, un po’ più sofisticate, no? Nel Vangelo, c’è quest’uomo mezzo morto, buttato sul pavimento della strada, e per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada – un degno sacerdote, proprio con la talare, bene, bravissimo! Ha visto e ha guardato: «Arrivo tardi a Messa», e se n’è andato oltre. Non aveva sentito la voce di Dio, lì. […]
Il sacerdote è arrivato in tempo per la Santa Messa, e tutti i fedeli contenti; il levita ha avuto, il giorno dopo, una giornata tranquilla secondo quello che lui aveva pensato di fare, perché non ha avuto tutto questo imbroglio di andare dal giudice e tutte queste cose… E perché Giona fuggì da Dio? Perché il sacerdote fuggì da Dio? Perché il levita fuggì da Dio? Perché avevano il cuore chiuso, e quando tu hai il cuore chiuso, non puoi sentire la voce di Dio. Invece, un samaritano che era in viaggio «vide e ne ebbe compassione»: aveva il cuore aperto, era umano. E l’umanità lo avvicinò. […]
Io mi domando, a me, e domando anche a voi: ci lasciamo scrivere la vita, la nostra vita, da Dio o vogliamo scriverla noi? E questo ci parla della docilità: siamo docili alla Parola di Dio? «Sì, io voglio essere docile!» Ma tu, hai capacità di ascoltarla, di sentirla? Tu hai capacità di trovare la Parola di Dio nella storia di ogni giorno, o le tue idee sono quelle che ti reggono, e non lasci che la sorpresa del Signore ti parli?

La saggezza cristiana

Nessuno può pretendere di esaurire l’infinita ricchezza della parola fatta carne in un semplice insieme di parole umane. Piuttosto si tratta di un invito a cercare, pregare, approfondire nelle Scritture e nelle molte espressioni del magistero e della viva tradizione della Chiesa, cercando di portare alla luce le sfumature e le caratteristiche proprie di una fede che si fa vita per il mondo d’oggi.
Voglio esortarvi ad avere uno sguardo più attento e vigile ai segni dei tempi, a un nuovo rinvigorimento della preghiera e della riflessione comunitaria, a ricreare quel dialogo di salvezza che, in diversi momenti storici, ha dato frutti di santità e ha portato esempi impensabili di evangelizzazione e rinnovamento. Questo ci richiede di trovare il tempo per il bene comune, per aprirci alla costruzione con serietà ed entusiasmo, tutti insieme mettendoci il cuore.
In questo senso, permettetemi di condividere, in quanto pastore, alcune idee che potrebbe essere utile tenere in conto. […] In primo luogo, la saggezza cristiana come verità. Gesù stesso si definisce in questo modo (cfr. Gv 14,6). Dobbiamo procedere verso un concetto di verità sempre più inclusivo e meno restrittivo. Perlomeno se ci riferiamo alla verità di Dio e non a una qualche verità umana, per quanto solida possa apparire. La verità di Dio è inesauribile, è un oceano del quale vediamo appena la riva. È qualcosa che stiamo iniziando a scoprire in questi tempi: non rendiamoci schiavi di una difesa quasi paranoica della nostra verità (se ce l’ho io, non ce l’ha lui; se può averla lui, significa che non posso averla io). La verità è un dono che ci sta largo e proprio per questo ci allarga, ci amplifica, ci eleva. E ci mette al servizio di tale dono. Cosa che non permette relativismi, dal momento che la verità ci costringe, per essere compresa, a un continuo cammino di approfondimento.
Il Vangelo di Gesù ci offre la verità: su Dio, su un Dio che è padre, su un Dio che va all’incontro dei suoi, su un Dio libero e liberatore che sceglie, chiama e indirizza. Rileggiamo le parabole e i paragoni del Regno: parlano di Dio. Dio ci viene incontro perché ha preparato una festa e vuole che tutti vi partecipino; Dio è nascosto in ciò che è piccolo e in ciò che sta crescendo, anche se non siamo in grado di vederlo. Dio è infinitamente generoso, aspetta fino all’ultimo e va in cerca di chi si è smarrito. Paga troppo gli operai dell’ultima ora e non risparmia il suo amore nemmeno a quelli della prima e al fratello del figliol prodigo: al contrario, li tiene sempre accanto a sé e li invita a trascendere se stessi e ad assomigliare a Lui.
Dio… cosa possiamo dire che non sia superato dal suo essere infinito! Quando ci abbeveriamo nuovamente al pozzo del Vangelo, subito ci rendiamo conto di quanto, nel tempo, siano state patetiche le rappresentazioni di Dio che noi uomini abbiamo costruito, spesso a nostra immagine.
Ma c’è dell’altro: stiamo parlando di un Dio che non è rimasto fermo alla sua «divinità». Tutto ciò che possiamo dire di Lui ha avuto e ha un modo umano di esistere: Gesù di Nazareth. Quel Padre, infinitamente misericordioso e salvatore, non è una figura irraggiungibile: ha realizzato la sua opera nelle azioni e nelle parole del Maestro.
Cosicché la saggezza cristiana è anche verità sull’uomo. Sul Dio-uomo e sull’uomo chiamato a vivere la condizione divina. Questo è un messaggio sempre nuovo e attuale: anche in tempi di globalizzazione tecnologica, dove tutto ciò che è umano sembra ridursi a bit e sembrerebbe deciso a escludere molti dal regno che si sta organizzando, c’è una parola di saggezza che ci ripete più volte all’orecchio e ai quattro venti, dai pulpiti e dall’areopago, e anche dai golgota e dai molti inferni di questo mondo, la fedeltà eterna di un Dio che volle farsi uomo affinché noi uomini potessimo diventare co...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Misericordia, il tempo di Dio di Antonio Spadaro
  4. La misericordia è una carezza
  5. Note
  6. Nota bibliografica
  7. Indice