A
Aforisma
«Un aforisma non coincide mai con la verità:
o è una mezza verità, o è una verità e mezzo.»
KARL KRAUS
Anagrafe dell’aforisma
ARCHEOLOGIA DI TWITTER
Diciamolo con franchezza: parlare dell’aforisma, della sua storia e delle sue caratteristiche è per me anzitutto un pretesto per sdebitarmi con il lettore donandogli gli aforismi più belli in cui mi sono imbattuto nel corso degli anni. Ma è anche un modo per esplorare l’archeologia del nostro linguaggio più attuale, che precipita – grazie all’informatica – verso un disorientamento irreversibile, forse.
«Gli uomini al tempo d’oggi di brevità son vaghi» diceva già nel 1305 Bartolomeo da San Concordio nel suo Ammaestramenti degli antichi. Sono passati settecento anni e ci ha pensato la tecnologia ad accontentarli. L’informatica cospira in favore della brevità espressiva e costringe i suoi adepti a parlare per aforismi, di cui Twitter rappresenta la versione trionfante.
Esiste una straordinaria simmetria tra l’aforisma e i suoi tempi. Gino Ruozzi, massimo esperto italiano di questo genere letterario, dice: «Gli scrittori di aforismi, che sono in primo luogo scrittori di meditazione, offrono l’opportunità di scandagliare gli umori oscillanti del nostro tempo».
Nato elitario nel mondo classico, dove era pensato da pochi sapienti per pochi eruditi, passato nel mondo medievale dove era pensato da pochi teologi e moralisti per molti credenti, oggi l’aforisma è planato sui tablet e sui cellulari dove viene postato da tutti e recepito da tutti. In questo cinguettio planetario, che vale diecine di miliardi di dollari, tutti sono follower, tutti sono following.
Ma l’aforisma era nato come punto di riferimento sicuro, come paletto di un percorso ben delineato, come trasmissione concisa, a una via – dal sapiente all’ignorante – di un sapere garantito dall’autorevolezza della fonte. Per secoli, esprimendo la saggezza di filosofi, condottieri, scienziati, pedagogisti, maîtres à penser, esso ha rappresentato una feritoia sulla realtà, promettendo di tenerla sotto controllo, ha creato un cortocircuito repentino tra il mondo e la presunzione di poterlo sapientemente conoscere, stringatamente comunicare, severamente fustigare e salvificamente correggere.
Poi man mano, per una sua eterogenesi dei fini, l’aforisma ha abbandonato l’esattezza e l’autorevolezza delle fonti, ha rifiutato ogni modello di riferimento etico e sociale, si è avventurato nella prateria del qualunquismo, della contraddizione, della confusione, ha privilegiato l’effetto, la sorpresa, la brillantezza, lo snobismo, alla solidità di un pensiero compatto, coerente, sistematico, ha contribuito con il suo linguaggio confusivo alla confusione complessiva della nostra epoca.
Ora, con la sua recente metamorfosi in tweet, offre a ogni cultore di internet – cioè a tutti – la possibilità tecnica di avventurarsi in una circumnavigazione dell’uomo e in un’esplorazione della società senza avere una mappa, una meta e, forse, senza che ci siano più né l’uomo né la società.
Se, per secoli, l’aforista ha orientato il mondo, sicuro di conoscere il prossimo più di quanto il prossimo conoscesse se stesso, oggi si diverte a sparigliare i punti cardinali della mappa nautica che l’umanità ha cercato caparbiamente e illusoriamente di costruirsi nel corso dei secoli e contribuisce con i suoi frammenti di sapienza impazzita a disorientare ulteriormente il mondo disorientato.
140 BATTUTE
Viviamo in una società cresciuta su se stessa senza avere un modello cui conformarsi. Il suo linguaggio frammentario e sgrammaticato è coerente e consustanziale a questa sua carenza genetica. E l’aforisma, che di tale linguaggio rappresenta oggi la forma più frequente ed espressiva, anche se non ne siamo consapevoli, ci illude di fondare una morale proprio mentre contribuisce a frantumarla con la sua retorica, la sua erudizione, la sua contraddittorietà, il suo cinismo, la sua ironia, la sua supponente brevità. Sotto questo aspetto Twitter rappresenta l’ultima metamorfosi dell’aforisma e spinge la frantumazione fino a imporre a ogni messaggio l’invalicabile limite metrico-decimale di 140 battute (120 nel caso si inserisca un link o un’immagine).
Fu Jack Dorsey a ideare un servizio che permettesse a una persona di comunicare con un ristretto numero di altre attraverso gli sms. Il primo tweet, pubblicato da Dorsey in via sperimentale il 21 marzo 2006, diceva: «Just setting up my twttr». Il lancio del servizio, una volta messo a punto, avvenne il 15 luglio 2006. Sette anni dopo, nel 2013, almeno 230 milioni di utenti si collegavano mensilmente con Twitter che riusciva a gestire 143.199 tweet al secondo e fatturava un miliardo di dollari. A differenza di Facebook, Twitter non ammette chat o allegati e i suoi messaggi diretti possono avere come destinatari solo dei follower. Se poi nel messaggio si premette un hashtag, cioè un cancelletto (#) ad alcune parole o concatenazioni di parole, il messaggio viene etichettato in modo tale che si possa riallacciare rapidamente, ipertestualmente, a tutti gli altri recenti messaggi sullo stesso argomento. Inoltre, nella prima pagina di Twitter è pubblicato l’elenco degli hashtag più frequenti, Paese per Paese e città per città.
MEDICINA DELL’UOMO
Ma cos’è un aforisma? Lontanissimo da noi, Bartolo da Buti (1324-1406) lo definisce «breve sermone». Vicinissimo a noi, Giuseppe Pontiggia, che ne è stato cultore e autore (sua la raccolta Le sabbie immobili del 1991), dice che l’aforisma «è la possibilità di racchiudere, entro i limiti di una definizione, il flusso altrimenti inafferrabile dell’esperienza». E porta l’esempio di Ippocrate che nel V secolo a.C. fondò la responsabilità etica della medicina con una raccolta aperta dal memorabile aforisma «La vita è breve, l’arte lunga, l’occasione fuggevole, l’esperienza fallace, il giudizio difficile» in cui «l’orizzonte della medicina è chiuso entro limiti di luminosa gravità e di eroismo dimesso». Pontiggia dice: «Medicina dell’uomo, questa è l’essenza dell’aforisma». Noi aggiungeremmo: «In dosi pediatriche».
Federico Roncoroni, che ha curato Il libro degli aforismi, ne dà questa definizione: «L’aforisma o, come meglio dovrebbe essere chiamato, l’aforismo, è una frase che compendia in un breve giro di parole il risultato di precedenti riflessioni».
Alda Merini, che ha scritto aforismi inquietanti, dice che «l’aforisma è il sogno di una vendetta sottile o la sottile considerazione di una vendetta che non verrà mai applicata a nessun governo e tanto meno alla vita interiore del poeta (…) L’aforisma è genio e vendetta».
Wikipedia, che elargisce gratuitamente o a pagamento diecine di migliaia di aforismi, ne offre la seguente definizione: «Un aforisma o aforismo (dal greco aphorismós, definizione) è una breve frase che condensa – similmente alle antiche locuzioni latine – un principio specifico o un più generale sapere filosofico o morale».
Ben prima, Alano di Lilla (1125-1202) nelle sue Regulae de sacra theologia diceva che ogni scienza ha i suoi modi espressivi: le massime per la dialettica, i luoghi comuni per la retorica, le sentenze per l’etica, i corollari per l’aritmetica, i teoremi per la geometria, gli assiomi per la musica, gli aforismi per la medicina. E oggi – aggiungiamo noi – per l’informatica.
Il genere aforistico, che rinvia appunto a Ippocrate e alla sua scienza medica, fino al Medioevo fu adottato da tutti i suoi seguaci e solo nel Seicento è stato sdoganato dall’egemonia sanitaria.
In Italia, dove pare che il genere sia stato introdotto con i Disticha Catonis forse di Catone il Censore (234-149 a.C.), a farne uso maggiore saranno prima le scuole mediche per la cura del corpo (scuola salernitana, bolognese, perugina) e poi le scuole religiose per la cura dell’anima (Prospero d’Aquitania, Pietro Lombardo). Seguiranno via via gli aforismi morali (Geremia da Montagnone), politici (Campanella), giuridici (Irnerio), astronomici (Cardano), militari (Montecuccoli) e di varia umanità (Algarotti). Stessa cosa, più o meno, avviene in tutta Europa e in America Latina.
AFORISMI PENSATI, AFORISMI ADATTATI
Così il termine «aforisma», usato per la prima volta in lingua italiana da Dante Alighieri, cambierà via via casa, scopo e nome, assumendone di tanto vari da comporre un elenco di oltre cento termini che, pur non essendo perfetti sinonimi, sono comunque strettamente imparentati tra loro. Si va, infatti, dall’epigramma di Marziale alla sentenza di Petrarca, dalla regola di Leonardo al pensiero di Marco Aurelio e di Pascal, dal Witz (battuta) e dall’Abfälle (rifiuti) di Kraus alle proposizioni di Nietzsche, dai remarques di La Bruyère ai fusées (razzi) di Baudelaire.
Vi sono aforismi che rappresentano ciò che resta di un libro perduto, come fossero ruderi archeologici. Altri che rappresentano gli appunti di un libro in gestazione. Altri ancora che sono stati scritti direttamente e intenzionalmente come aforismi, poi magari pubblicati su riviste, quindi raccolti in volume dallo stesso autore o da curatori autorizzati a farlo mentre l’autore era ancora in vita.
In Italia Francesco Guicciardini (1483-1540) fu il primo a pubblicare un libro di aforismi pensato come tale: cento pagine scritte e riscritte nell’arco di diciotto anni fino all’edizione del 1530 dove i pensieri diventano 221, raccolti sotto il titolo di Ricordi politici e civili. In Francia Jean de la Bruyère compose i suoi Caratteri come un work in progress, passando dalle 420 remarques della prima edizione (1688) alle 1120 dell’ottava e ultima edizione (1694). I diari intimi di Baudelaire sono appunti, molti dei quali in forma aforistica, scritti dall’autore su fogli sparsi in vista di un «grande libro» da completare in un secondo momento. In Germania gli aforismi che Goethe inserisce qua e là in alcune sue opere vengono poi raccolti nel 1907 da Max Hecker in 1417 Maximen und Reflexionen. I Grundrisse di Marx, composti tra il 1857 e il 1858, potrebbero essere considerati corposi aforismi scritti come lavoro preparatorio del libro Per la critica dell’economia politica, poi dato parzialmente alle stampe nel 1859. Marx non li pubblicò mai integralmente e solo un’ottantina di anni dopo la sua morte furono editi in versione originale dall’Istituto Marx-Engels-Lenin di Mosca.
Nel Novecento molti autori hanno scritto e pubblicato aforismi prima isolatamente e poi raccolti in volume. È questo il caso di Pensieri spettinati di Stanislaw J. Lec, oppure dei tre libri – Detti e contraddetti, Pro domo et mundo e Di notte – in cui Karl Kraus riunì gli aforismi che aveva già pubblicato sulla sua rivista «Die Fackel».
In altri casi si tratta di frasi che l’autore aveva incluso in discorsi, saggi o romanzi e che, espunte dalla loro sede originaria, si prestano a essere considerate aforismi, confluendo in raccolte devozionali, edificanti, formative, divertenti. O addirittura in manuali rivoluzionari.
Il primo a estrapolare e raccogliere in libro le proposizioni di un autore per farne un testo a parte, fu Prospero d’Aquitania, morto nel 463 d.C., che ne estrasse 392 dai libri di sant’Agostino raggruppandole nel Sententiarum ex operibus S. Augustini delibatarum libri. Apprezzatissime nel Medioevo, le raccolte di citazioni sopravvissero nei secoli successivi per ricomparire, corteggiatissime, nel Novecento. Si pensi alle frasi di cui Oscar Wilde aveva infarcito i suoi libri e che Robert Ross trasse dalla loro sede originaria per riunirle nel fortunato Sebastian Melmoth’s Aphorisms (Sebastian Melmoth è lo pseudonimo che Wilde adottò dopo l’uscita dal carcere). Si pensi a Life. Aforismi sulla vita di Paulo Coelho e alla fortuna ottenuta in Italia, con numerose edizioni e accrescimenti, da Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano, di Gino & Michele e di Matteo Molinari. Ma l’esempio più famoso di questa categoria è senza dubbio il Libretto rosso compilato da Lin Piao con i pensieri di Mao Tse-tung: diffuso in cinque miliardi di esemplari, rappresenta il secondo best seller di tutti i tempi dopo la Bibbia.
Altre volte, in fine, si tratta di pensieri editi o inediti, raccolti in volumi postumi. Rientrano in questa categoria florilegi come Pensieri diversi sopra materie filosofiche e filologiche di Francesco Algarotti, o Il bianco e il nero di Massimo Bontempelli, o La sua signora di Leo Longanesi. Vi rientra pure Frasario essenziale per passare inosservati nella società di Ennio Flaiano, che rappresenta un raro caso di autore pubblicato più in morte che in vita: sei o sette libri in vita contro una decina postumi, in cui sono confluite tutte le «cose che dopo formeranno un volume».
Storia dell’aforisma
ESPLORATORI E DISERTORI
In Italia abbiamo il privilegio di un’edizione straordinariamente ricca di aforismi curata da Gino Ruozzi, che ne ricostruisce la storia dal Duecento a tutto il Novecento e ne riporta il meglio. Così, in oltre tremila pagine, viene passata in scrupolosa rassegna la produzione di un centinaio d’aforisti, consentendone la valutazione e la comparazione. A questa preziosa raccolta critica farò ricorso per trarne notizie e spunti utili al mio discorso.
Le figlie di Marx usavano fare un gioco che consisteva nel porre alcune domande a una persona di cui intendevano scandagliare la personalità. Per nostra fortuna abbiamo le risposte che il padre dette all’insolito questionario. Alla domanda su quale fosse il suo motto preferito, la risposta di Marx fu: «De omnibus disputandum», di tutto bisogna dubitare e discutere. Alla domanda su quale fosse la sua massima preferita, la risposta fu: «Nihil humani a me alienum puto», non reputo estraneo a me nulla di ciò che è umano. A quell’epoca erano già famosi gli aforismi di Lichtenberg, di Goethe, di Novalis, di Shelling, eppure Marx cita una frase tratta da un’opera del II secolo a.C.: l’Heautontimorumenos di Terenzio.
La citazione latina è dunque ancora viva nell’Ottocento, ma la sua origine è lontana. Le più antiche raccolte medievali riportano pensieri pensati da filosofi classici e da personalità autorevoli (medici, padri della Chiesa, imperatori), salvandoli così dall’oblio attraverso il trasloco dalla tradizione orale alla forma scritta, dall’opera voluminosa al prêt-à-porter intellettuale. In certo senso il tempo e l’intelligenza selettiva fanno con il pensiero dei saggi ciò che lo scalpello di Michelangelo farà con il marmo: eliminano il superfluo e ci selezionano l’indispensabile, rendendolo inedito.
Questo processo di cernita e di minimizzazione è avvenuto anzitutto nella filosofia greca. La vita e il pensiero di tutti i presocratici e dello stesso Socrate ci sono pervenuti grazie a citazioni e testimonianze frammentarie riferite da altri intellettuali, spesso dopo secoli. Nel florilegio duecentesco Fiori e vita di filosofi e d’altri savi e d’imperadori si legge che Pitagora «fue di tanta autorità che li uditori, ciò che li udiano dicere, si scrivevano per sentença». Stessa cosa è avvenuta con maestri come Buddha, Gesù, Maometto e forse Confucio, che si limitarono a predicare senza lasciarci nulla di scritto.
Maria Luisa Spaziani dice che «l’aforisma è una scheggia d’universo. Ricostruire la vetrata è un po’ più difficile». Senza le citazioni e i frammenti del pensiero presocratico che ci sono stati trasmessi dai pensatori successivi, senza queste schegge d’universo, nulla sapremmo della «prodigiosa vetrata» che precede l’Atene di Pericle e che rappresenta una tappa fondamentale del progresso umano. Se, sette secoli dopo l’esistenza dei presocratici, Diogene Laerzio non avesse composto la sua raccolta monumentale di Vite e dottrine dei filosofi con tutta la sua massa di dati, date, citazioni, testimonianze e persino pettegolezzi; e se, a venticinque secoli di distanza, il grande filologo tedesco Hermann Diels non avesse dedicato la sua vita a raccogliere e ordinare tanti materiali nel suo Frammenti dei presocratici (1903), noi oggi non sapremmo quasi nulla di Orfeo, Esiodo, Talete, Anassimandro, Anassimene, Eraclito, Pitagora, Parmenide e Zenone.
Concentriamoci un attimo su Eraclito. Senza le citazioni riportate da Aristotele, Plutarco, Origene, Plotino e Platone, senza la pazienza di Diogene Laerzio e di Hermann Diels, noi oggi non conosceremmo i suoi aforismi, intensissimi per ironia, profondità e mistero. L’ironia sferzante che si ritrova in pensieri come questi: «Se la felicità s’identifica con il corpo, diremmo felici i buoi quando trovano cicerchie da mangiare»; oppure: «Che la ricchezza possa non abbandonarvi mai, o Efesi, affinché possiate dar prova di quale infelice condizione è la vostra». La profondità che si ritrova in aforismi come questo: «Non è possibile scendere due volte nello stesso fiume». Il mistero che avvolge aforismi come questo: «Immortali mortali, mortali immortali, viventi la loro morte e morienti la loro vita». E poi la sapienza rappresa in aforismi che meritano tutta la ...