Come è successo
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La mia storia

  1. 232 pagine
  2. Italian
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La mia storia

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Informazioni sul libro

Negli ultimi anni la mia vita è cambiata così tanto che ancora non riesco a crederci. Prima ero solo un bambino come gli altri: mi piaceva cantare e divertirmi su YouTube, tutto qui. Certo, sognavo di vedere il mondo, ma credevo fosse impossibile per un ragazzino cresciuto in una piccola cittadina del Texas. E invece oggi ho girato tutti gli Stati Uniti, l'Inghilterra, il Giappone e il Sud America. Sono stato in tv, ho fatto concerti, ho addirittura incontrato alcuni degli artisti che mi hanno ispirato e che mi hanno fatto amare la musica. E soprattutto ho potuto conoscere i miei fan, senza i quali niente sarebbe stato possibile. Questo libro è per loro, per voi. Per rispondere a tutte le domande che mi avete fatto e a tutte le vostre curiosità. Ci troverete dentro quel ragazzino del Texas, le sue paure, i suoi sogni, la sua storia. Ma c'è una sola cosa che è importante che voi sappiate: non sarei mai arrivato dove sono ora senza di voi. Grazie per avermi sostenuto, per aver amato la mia musica e per aver voluto conoscere la mia storia. Austin Mahone

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Informazioni

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1. RICETTA SEGRETA DI FAMIGLIA

La musica e la famiglia sono probabilmente le costanti fondamentali della mia vita. Quando ero piccolo, per me famiglia significava mia madre, mio nonno e mema, cioè la nonna, come la chiamiamo noi giù al Sud. Mio padre lo conosco solo dai racconti della sua famiglia e da quelli di mia madre: so che faceva il cowboy ai rodeo e che era un gran lavoratore. Si è tolto la vita quando io avevo sedici mesi, e non ho ricordi di lui. Ero davvero piccolo quando è successo, perciò non mi manca, e non sono triste per questo come potreste pensare. È soltanto qualcosa che ci è capitato, e mamma, forte com’è, non ha mai lasciato che io avvertissi un vuoto.
La mia famiglia è fantastica, e insieme ci siamo sempre divertiti un sacco. Quando ero molto piccolo, io e mamma abitavamo con i nonni, e qualche anno dopo, quando ci trasferimmo in una casa tutta nostra, mantenemmo delle tradizioni familiari che amo tanto. Per il giorno del Ringraziamento, io e mamma ci fermavamo a dormire dai nonni, e mema si alzava sempre prima di tutti per preparare una treccia di pane dorato secondo una ricetta segreta di famiglia. Faceva tutto lei, senza usare macchine del pane o altri attrezzi, il che probabilmente spiega perché fosse così delizioso. Anche noi ci svegliavamo presto, ma lei era sempre un passo avanti a noi, perciò la prima cosa che sentivo stiracchiandomi nel letto la mattina del Ringraziamento era il profumo meraviglioso del pane in forno. È il profumo più buono del mondo.
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Ci ritrovavamo in salotto, ancora in pigiama, e ci stringevamo sul divano a vedere la parata del Ringraziamento di Macy’s alla tv. Mema faceva sempre in modo che il pane fosse pronto proprio quando ci presentavamo in salotto. Ci tagliava delle fettone e noi ce le mangiavamo ancora tiepide con un bel po’ di burro e marmellata. Che delizia!
Il nonno leggeva il giornale nella sua poltrona preferita. Mamma sedeva sul divano accanto a me, sorseggiando il suo caffè. Mema continuava a fare avanti e indietro dalla cucina, e con il passare delle ore i profumini aumentavano: il cosciotto di maiale e il tacchino a rosolare, le torte appena sfornate (la mia preferita era alle mele e cannella).
Guardavamo la parata fino alla fine dei titoli di coda: le bande musicali e i cantanti si esibivano sui carri allegorici che sfilavano lenti per le vie della grande città di New York, così lontana da San Antonio e da noi. Ai lati delle strade potevi vedere migliaia di persone infagottate in cappotti e cappelli, anche se noi in Texas giravamo ancora in shorts. Un giorno sarei andato anch’io a New York. Volevo essere uno di quelli che guardano dal vivo i carri e i palloni aerostatici.
Di solito io e il nonno passavamo il pomeriggio del giorno del Ringraziamento a giocare a pallone in giardino, oppure semplicemente a chiacchierare. E poi, verso le quattro o le cinque, ci sedevamo tutti a tavola. Crescendo, scoprii un altro piatto classico del Ringraziamento: i fagiolini al forno.
Vi voglio raccontare una storia divertente. Nel 2013 la redazione di «M Magazine» mi fece un’intervista per un servizio speciale sui piatti preferiti degli artisti. Io non la finivo più di decantare al giornalista i fagiolini al forno di mema. Allora la rivista contattò mamma per chiederle di condividere la nostra ricetta deliziosa con i fan, in modo che potessero gustarla anche a casa loro. Mamma scoppiò a ridere e ammise, con loro e con me, che la nostra fantastica ricetta segreta di famiglia proveniva in realtà dalla lattina di una zuppa di funghi Campbell’s. Ancora rido, ma a me continua a piacere.
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Ero spesso a casa dei nonni, non solo per il Ringraziamento, e mio nonno mi ha insegnato un sacco di cose. In pratica mi ha fatto da padre. È stato lui a portarmi in giardino e farmi vedere come si gioca a football e a baseball. Ora mi rendo conto che mi ha trasmesso anche i valori davvero importanti della vita, come per esempio il rispetto per gli altri.
Il nonno è una di quelle persone simpatiche ed estroverse che mettono tutti a loro agio e li fanno sentire speciali. È stato lui a dirmi che quando si è in un posto nuovo o fra sconosciuti è bene andare a salutare e stringere la mano a tutti. Anche ai bambini piccoli.
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Vicino a casa dei nonni c’era un parco giochi. E io ovviamente volevo sempre andare sull’altalena e sullo scivolo. Se ci passavamo davanti in macchina e il nonno vedeva che c’erano bambini della mia età sui giochi, accostava l’auto.
Me li indicava e diceva: «Andiamo a conoscerli».
E così facevamo. Alcuni dei miei primi amici li ho incontrati in questo modo.
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Anche mia madre naturalmente mi ha insegnato molto, come per esempio le buone maniere, ma lei è un po’ più timida. Avere un nonno così espansivo e socievole, che sta simpatico a tutti fin dal primo istante, mi ha permesso di capire quanto è importante fare uno sforzo per essere gentili e amichevoli con gli altri. Perciò, se un giorno ci incontreremo di persona e farete una chiacchierata piacevole con me, sapete che dovete ringraziare mio nonno.
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Crescendo, cantavo di continuo in casa e in auto. A dire la verità, cantare è una delle cose che preferisco. Mi fa sentire bene, da sempre, anche quando non avevo idea di cosa stessi facendo né se avessi del talento oppure no. Mi rendeva felice e basta. A questo proposito, c’è una foto che mia madre definirebbe «carina da morire». Non so se lo è. Voglio dire, non è che mi metto a guardare le foto di me da piccolo e a dire: «Uh, guarda che bimbo carino». Però penso che sia uno scatto fico, perché fa vedere come tutto è cominciato. Ci sono io su un palco improvvisato (che in realtà è uno sgabello) nel salotto dei nonni, e ho in mano un microfono. È passato molto tempo, e non ricordo che canzone stessi cantando. Ma dalla foto si capisce quanto mi piacesse cantare ed esibirmi: lo faccio da quando ne ho memoria.
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Immagino che mia mamma avesse intuito quanto la musica fosse importante per me, perché lei e tutta la famiglia mi hanno sempre incoraggiato a seguire questa strada. Iniziai a prendere lezioni di pianoforte a sei anni. Ma avevo un insegnante molto severo, e mi ricordo che pensavo: Così non mi diverto. Non voglio farlo. E allora smisi.
Io e mamma cantavamo sempre in auto, anche quando io non suonavo ancora nessuno strumento. Lei guidava e io sedevo dietro, e cantavamo a squarciagola. Alle medie mamma faceva parte di un coro, quindi è probabile che all’inizio io abbia imparato delle cose da lei.
In macchina, in genere cantavamo canzoni country. Era quello che passava la radio e che mamma ascoltava anche a casa, così sono cresciuto con quella musica: George Strait, Alan Jackson, i Rascal Flatts, Garth Brooks, Kenny Chesney, Tim McGraw. All’epoca, il pezzo che preferivo cantare era Where I Come From di Alan Jackson, forse per via di un verso che parla di pane di mais e pollo, cibi che adoro. Avevo cinque anni, ma mi piace ancora adesso. Jackson ha questo vibrato nella voce che ci divertivamo a imitare fino al limite della caricatura, e ridevamo dell’«effetto country» che ottenevamo.
Ora vi dico una cosa che magari sapete già: c’è un posto dove amo cantare più che in ogni altro, ed è la doccia. Non c’è niente da fare, l’acustica dei bagni ha proprio una marcia in più. Ancora oggi, quando mi scaldo con il maestro di canto, vado in bagno da solo e mi metto a cantare davanti ai lavandini, e il modo in cui la voce rimbalza sulle piastrelle ha qualcosa di fantastico. Da piccolo non avevo bisogno di scaldarmi la voce, ma coglievo ogni occasione per esibirmi nella doccia senza pensarci due volte.
Quando avevo sette anni, io e mamma andammo a trovare una sua amica a Orlando, in Florida, e io mi misi a cantare nella doccia in spagnolo, una lingua che nemmeno conosco: suona bene, anche se non ne capisci le parole. Mamma mi sentì, e la cosa le sembrò assai divertente. Allora girò questo video dove c’è solo la mia testa che spunta dalla tenda della doccia della sua amica e io canto con grande passione, come fossi una star latino-americana. Ecco un video che su YouTube non vedrete mai.
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Anche prima che imparassi a suonare, mamma mi portava spesso a fare un giro in un negozio di strumenti musicali di San Antonio, perché era una cosa che adoravo. È stato lì che ho sperimentato l’amore a prima vista. Avevo soltanto sette anni, ma quando l’ho provato me ne sono accorto.
Nell’esatto momento in cui ci misi piede, tutto il resto svanì e nella stanza rimanemmo solo noi due: io e questa incredibile, stupenda... batteria. Appena la vidi seppi che doveva essere mia. Sapevo anche che era una richiesta impegnativa, specialmente perché il Natale precedente i nonni mi avevano regalato la mia prima chitarra (una Ibanez elettrica verde brillante). Ma non la suonavo mai. Sapevo che era un regalo molto fico, solo che non mi veniva da prenderla in mano. Quella batteria, invece... Era perfetta, rossa e lucente, con i suoi piatti e il rullante: non riuscivo a smettere di pensarci. Da piccolo avevo avuto una batteria giocattolo su cui mi era sempre piaciuto pestare duro. Ma questa era tutta un’altra cosa.

ANCHE PRIMA CHE IMPARASSI A SUONARE, MAMMA MI PORTAVA SPESSO A FARE UN GIRO IN UN NEGOZIO DI STRUMENTI MUSICALI DI SAN ANTONIO, PERCHÉ ERA UNA COSA CHE ADORAVO.

La mattina di Natale di quell’anno non vedevo l’ora di arrivare sotto l’albero per scoprire se il mio desiderio era stato esaudito. Sfrecciai lungo il corridoio, ed eccola lì: la mia batteria. Ero al settimo cielo. È stato il primo strumento che mi sia mai divertito davvero a suonare, e lo facevo di continuo.
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Il mio primo, vero ricordo di me che suono risale a quella mattina di Natale, a quella batteria. L’avevo a malapena finita di scartare, ed era praticamente incastrata sotto l’albero, tra gli altri pacchi e cumuli di carta da regalo appallottolata. Ma non potevo aspettare un secondo di più, ed eccomi già sullo sgabello con le bacchette in mano. Mi sentii al posto giusto, in un piccolo mondo tutto mio, esattamente dove avrei dovuto essere. Mamma e i nonni furono il mio primo pubblico: si sedettero ad ascoltarmi con un sorriso d’incoraggiamento, anche se, ne sono sicuro, non producevo altro che un baccano infernale. Immagino che fossero contenti di vedere che mi divertivo, e che perciò non gli importasse di quanto fosse pessimo il risultato.
Non si può proprio dire che all’epoca sapessi suonare. Mi piaceva mettermi lì ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Indice
  4. Avanti il piede destro
  5. 1. Ricetta segreta di famiglia
  6. 2. La crew
  7. 3. Shoot us down
  8. 4. Playlist live
  9. 5. All in
  10. 6. E alla fine...
  11. 7. Say somethin
  12. 8. Prime volte
  13. 9. La scelta delle fan
  14. 10. Alti e bassi e alti
  15. 11. Headliner
  16. 12. Tornando a casa
  17. Sul palco
  18. Ringraziamenti