Le regole di Marte, le eccezioni di Venere
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Le regole di Marte, le eccezioni di Venere

I segreti dell'intelligenza del cuore per fare squadra a casa e al lavoro

  1. 314 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Le regole di Marte, le eccezioni di Venere

I segreti dell'intelligenza del cuore per fare squadra a casa e al lavoro

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L'importante è il risultato" dice lui. "L'importante è il viaggio, non la meta" ribatte lei. Come avvicinare uomini e donne, come conciliare le regole di Marte con le eccezioni di Venere? Dopo i bestseller che hanno aiutato milioni di coppie a ritrovare la felicità perduta, John Gray torna con il suo nuovo, attesissimo libro in cui estende il metodo "Marte e Venere" anche al contesto lavorativo, svelandoci preziosi consigli per migliorare la nostra vita in ufficio, dove rivalità e stress la fanno da padroni. Perché gli uomini sono così competitivi? Perché le donne si sentono escluse e sottopagate? Tra colleghi arroganti che inspiegabilmente sono sempre i primi a fare carriera e donne lunatiche ed emotive, vivere tante ore insieme e lavorare fianco a fianco sembra impossibile... Avvalendosi della competenza di Barbara Annis sulla diversa intelligenza del cuore di uomini e donne, John Gray ci insegna a gestire competizione e rivalità con colleghi e superiori per lavorare insieme e ottenere entrambi il riconoscimento che meritiamo e il successo che desideriamo. È ora di smettere di farsi la guerra: grazie al metodo "Marte e Venere" uomini e donne possono tornare a giocare nella stessa squadra.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2013
ISBN
9788858660133

1

Siamo davvero uguali?

Lorenzo lavora per una banca d’affari da oltre vent’anni. È il responsabile di una filiale molto redditizia a Dallas, in Texas, dove può contare su un ottimo team di efficienti collaboratori che amano lavorare insieme. Judy, una delle due donne della squadra, si sente sempre un po’ a disagio quando Lorenzo, durante le riunioni, fa qualche battuta leggermente volgare oppure, ogni tanto, si complimenta con lei per il suo abbigliamento. Pur considerandolo un buon capo, non sa come spiegargli che non gradisce i suoi commenti: non sa bene come impostare il discorso e non riesce nemmeno a immaginare come lui potrebbe reagire. “Potrebbe cambiare il corso della mia carriera” pensa.
Judy decide allora di mandare un’email per chiedere consiglio all’ufficio del personale, a Houston, e l’ufficio del personale fa il proprio dovere, inoltrando una segnalazione su Lorenzo e contattando l’ufficio legale. Avvocati e responsabili delle risorse umane fissano quindi un incontro con Judy e, nel tentativo di trovare la soluzione ideale, la ricollocano in un’altra filiale: un epilogo che lei non si aspettava e che Lorenzo sicuramente non voleva, dal momento che Judy era uno degli elementi migliori del suo team.
Se prima per andare al lavoro Judy impiegava quindici minuti, adesso ci mette due ore; se non altro, durante il viaggio in auto ha tutto il tempo per riflettere su quanto è accaduto e sul perché le cose sono precipitate così in fretta.
Sentendo il bisogno di sfogarsi con qualcuno, decide di raccontare tutto a un amico avvocato, il quale le suggerisce di fare causa all’azienda, dato che ha in mano prove schiaccianti contro Lorenzo. Judy segue il consiglio, vince, accetta un risarcimento in denaro e si dimette.
Lorenzo è preso alla sprovvista da tutto ciò. «Non sapevo di fare qualcosa di sbagliato. Non avevo assolutamente cattive intenzioni.» L’azienda fa l’unica cosa che può fare: lo licenzia. Con la fedina penale macchiata da una condanna per molestie sessuali le possibilità di Lorenzo di trovare un altro impiego sono nulle. La sua carriera è stroncata. A questo punto si rivolge a un avvocato e decide di citare in giudizio l’azienda per non aver fornito ai dipendenti, lui compreso, la preparazione adeguata in tema di molestie sessuali. Vince la causa e si ritira dal mondo del lavoro.
Lorenzo non immaginava che le sue parole producessero quell’effetto su Judy. Non aveva alcuna intenzione di offenderla o di «oggettificarla sessualmente», come è stato detto in tribunale. «Ero convinto di farle un complimento sincero, di farle piacere!»
Judy, in fondo, ha sempre saputo che quelle di Lorenzo non erano vere molestie. Avrebbe voluto mantenere il rapporto con lui e conservare il suo posto senza ferire il suo capo, però quegli apprezzamenti la mettevano in imbarazzo e non sapeva come affrontare l’argomento. La sua email all’ufficio del personale ha messo in moto una macchina legale che è costata all’azienda un pesante esborso in denaro, ha estromesso Lorenzo dal mercato del lavoro e ha fatto sì che lei finisse imbottigliata nel traffico.

Perché dovremmo preoccuparci

Considerati i costi, molte aziende hanno tutte le ragioni di temere le cause per molestie sessuali. Attualmente la parte lesa riceve in media un risarcimento di 250.000 dollari in caso di vittoria in tribunale e l’azienda imputata deve pagare tutte le spese processuali. Solo le transazioni possono costare all’organizzazione decine di migliaia di dollari, che diventano milioni in caso di verdetto a suo sfavore!
Nell’ultimo decennio la U.S. Equal Employment Opportunity Commission (Commissione statunitense per le pari opportunità sul lavoro) ha ricevuto una media di 12.000 denunce all’anno per molestie sessuali. Considerata la diffusione dei corsi di formazione sulla tutela delle diversità a partire dagli anni Novanta del Novecento, verrebbe spontaneo pensare che il numero delle denunce sia diminuito. Ogni anno circa la metà dei casi viene archiviata per «assenza di un ragionevole motivo». Quelli che arrivano in tribunale costano ai datori di lavoro circa 50 milioni di dollari all’anno.1
E poi ci sono i costi personali. Le aziende adottano politiche di prevenzione verso qualsiasi tipo di comportamento scorretto: per esempio, proibiscono ai capiufficio di sesso maschile di chiudere la porta nelle riunioni con dipendenti di sesso femminile. Gli uomini si sentono a disagio nel viaggiare o perfino nel fare pranzi di lavoro con le colleghe. Non vogliono che un qualunque atteggiamento verso di loro possa essere male interpretato. La triste ironia è che l’impossibilità di parlare in privato o di viaggiare con il suo capo o con gli altri colleghi maschi può limitare le possibilità di carriera di una donna.

Perché la parità di genere è ancora un miraggio?

La storia di Lorenzo e Judy è vera, anche se abbiamo cambiato i nomi dei luoghi e dei personaggi per proteggere chi è veramente innocente. Essa mette in luce l’autentica cecità che oggi, sul posto di lavoro, uomini e donne dimostrano verso le reciproche intenzioni e aspettative. Non c’è dubbio che i comportamenti inappropriati esistano, ma in molti casi sono involontari, conseguenza di fraintendimenti e cattiva comunicazione tra i due sessi, che non hanno idea del perché l’altro pensi e agisca in un certo modo.
Nei nostri seminari sull’intelligenza di genere e attraverso sondaggi che negli ultimi venticinque anni abbiamo condotto su oltre 100.000 uomini e donne in merito a tematiche di genere in ambito lavorativo, abbiamo scoperto che non è che gli uomini non vogliano capire: semplicemente, non sanno come leggere i pensieri e le azioni delle donne. Lo stesso vale per queste ultime, che tendono a travisare le intenzioni e i gesti degli uomini ma sono convinte di sapere che cosa li spinge a pensare e ad agire così.
In realtà, uomini e donne spesso non sanno bene come comportarsi e come reagire in presenza dell’altro. Molti uomini ammettono di non capire le donne. I comportamenti maschili sono più prevedibili, ma il fatto di non comprenderli, o di non provarci nemmeno, può portare a eludere il problema e a lavorare male insieme. Sia gli uomini sia le donne spesso sono riluttanti a esprimere la propria opinione o a comportarsi in modo spontaneo.
CHE COSA DICONO I NUMERI2
• Il 9 percento degli uomini afferma di «capire le donne».
• Il 68 percento delle donne afferma di «capire gli uomini».
Nei nostri seminari le donne spesso dicono:
• «Gli uomini tendono a prendere decisioni spicce. Preferirei che sviscerassimo meglio le questioni.»
• «Mentre gli parlo lui non stacca mai gli occhi dal computer.»
• «Mi piace fare domande. Ciò non significa che io sia insicura o poco motivata.»
Gli uomini spesso dicono:
• «Molte volte do il massimo quando posso pensare e lavorare da solo.»
• «Le donne del mio team fanno molte domande che spesso rallentano il progredire del lavoro.»
• «Tendo a trattenermi dal dare un feedback critico a una donna.»
Un grosso problema è che uomini e donne cercano sempre di essere «alla pari», il che nel tempo ha assunto il senso di «agire nello stesso modo». Fin da quando il movimento per le pari opportunità ha mosso i primi passi, all’inizio degli anni Settanta del Novecento, siamo stati condizionati a credere che uomini e donne pensino e agiscano in modo identico, ma oggi è chiaro che le cose non funzionano così. Non ci sentiamo valorizzati né apprezzati per chi o cosa siamo, fatichiamo a comunicare le nostre idee e spesso, pur avendo le migliori intenzioni, veniamo fraintesi.
Invece di restare fedeli a noi stessi, soffochiamo la nostra vera natura e ci diamo da fare per comportarci come «loro». Veniamo incoraggiati a competere gli uni con le altre, quando potremmo cercare, piuttosto, di completarci a vicenda, e tutto questo genera stress e frustrazione sia sul lavoro sia nella vita privata.
Il punto è che gli uomini e le donne sono diversi. Facciamo quasi tutto diversamente. Comunichiamo, risolviamo problemi, stabiliamo priorità, decidiamo, saniamo conflitti, gestiamo le emozioni e affrontiamo lo stress in modo diverso.
Uno dei momenti più illuminanti, durante i nostri seminari, è quando uomini e donne si dividono in due gruppi per individuare le principali sfide che incontrano lavorando con i colleghi dell’altro sesso. Finché sono tutti insieme è raro che esse emergano, ma basta che si separino per cominciare a elencarne una serie. La cosa interessante è che, a prescindere dal Paese, le difficoltà che uomini e donne incontrano nel lavorare insieme sono praticamente le stesse. In tutto il mondo i rappresentanti dei due sessi condividono modelli comportamentali e atteggiamenti simili, indipendentemente dalla loro educazione, istruzione e cultura.
Questa idea di parità di genere si sta rivelando fallace ovunque, persino nella progressista Penisola scandinava, una delle regioni più all’avanguardia in tema di pari opportunità. La Norvegia, per esempio, è stata uno dei primi Paesi al mondo a adottare leggi che obbligassero le imprese ad assegnare alle donne un posto nei consigli di amministrazione. Fin dagli anni Ottanta del Novecento il Nord Europa ha svolto un ruolo di apripista nel riconoscimento di maggiori diritti alle donne, offrendo tra l’altro la possibilità di godere di un orario di lavoro che è il più flessibile tra quelli di tutti gli altri Paesi industrializzati. Eppure, se si osserva la percentuale di posizioni dirigenziali di alto livello occupate da donne, si scopre che oggi la Penisola scandinava si colloca sotto la media.3
È facile proclamare che «Siamo tutti uguali» e che dobbiamo cominciare a trattarci da pari, ma quando si considera la situazione a bocce ferme bisogna constatare che uomini e donne continuano a fraintendersi e a essere fraintesi. Non riescono ad apprezzarsi a vicenda né tantomeno a capire che possono davvero essere complementari.

Non siamo uguali

A partire dagli anni Novanta del Novecento le neuroscienze hanno fatto passi da gigante nell’individuare differenze tra il cervello maschile e quello femminile, a livello anatomico, chimico e funzionale. Studi condotti su oltre un milione di soggetti in più di trenta Paesi hanno accertato che le differenze fisiologiche tra il cervello maschile e quello femminile influiscono sul linguaggio, sulla memoria, sulle emozioni, sulla vista, sull’udito e sull’orientamento nello spazio.
Anche se siamo biologicamente diversi, non significa che uno dei due sessi sia superiore o inferiore all’altro. Eppure, nonostante numerose prove scientifiche, molti rimangono assolutamente convinti che, al di là dell’aspetto fisico e delle capacità riproduttive, maschi e femmine siano identici. Costoro sostengono che le differenze di genere negli atteggiamenti e nei comportamenti sono la mera conseguenza del vivere in contesti sociali dominati dai maschi e che nel corso delle generazioni questa dominazione oppressiva ha relegato le donne a specifici ruoli di accudimento. Come a dire che, per una donna, essere biologicamente diversa da un uomo può significare solo essere più debole o inferiore. Secondo questo modo di pensare, la scienza viene usata per giustificare il fatto che le donne continuino a essere confinate in ruoli secondari o di accudimento.
Siamo tutti d’accordo nel riconoscere che le donne sono state, e sono tuttora, vittime di un’oppressione subdola o smaccatamente brutale. Pensate che negli ultimi cinquant’anni – in particolare in Cina, India e Pakistan – sono state uccise più bambine per il solo motivo di essere femmine di quanti uomini siano caduti durante tutte le guerre del ventesimo secolo.4 Ma noi crediamo che, in buona parte, alla radice del problema della discriminazione femminile ci sia una mancanza di intelligenza di genere.
L’intelligenza di genere è una consapevolezza attiva che vede le differenze tra i due sessi come pregi, anziché come difetti. È la comprensione del fatto che nella vita di ognuno sia la natura sia la società giocano un ruolo significativo. Stabilire fino a che punto le nostre differenze sono determinate dalla biologia oppure dalla famiglia, dall’educazione e dalla cultura non è facile, per la semplice ragione che non c’è una formula generale applicabile a tutti. Per ciascun individuo e per ogni situazione c’è un equilibrio unico e irripetibile di fattori biologici e condizionamenti sociali.
Continuare a credere che le differenze di genere siano del tutto, o in gran parte, dovute all’influenza della società equivale a negare la nostra natura. Siamo stati condizionati a pensare che maschi e femmine siano uguali: per questo spesso nutriamo eccessiva fiducia nel fatto che l’altro sesso pensi e agisca come noi, e quando le diversità emergono le sottovalutiamo.

Abbiamo troppe aspettative sulle nostre somiglianze

Degli otto punti ciechi di genere descritti in questo libro la convinzione dell’identicità dei due sessi è il maggiore ostacolo a una migliore visione reciproca. È l’assunto che sta alla base di moltissime false aspettative che uomini e donne nutrono nei confronti gli uni delle altre e la fonte di quasi tutti i fraintendimenti e i malintesi.
Benché oggi le donne occupino la metà delle posizioni manageriali di medio livello in quasi tutti i settori produttivi, il mondo professionale in cui sono entrate è stato pensato e progettato in larga misura dagli uomini e per gli uomini. In genere, i maschi si trovano a loro agio in questo ambiente e non sentono la necessità di cambiarlo; per le donne, invece, è spesso scomodo, ma non hanno altra scelta che adeguarsi allo stile di lavoro dei colleghi.
Dietro a tutto questo non c’è una strategia degli uomini mirata a escludere le donne. Il fatto è che, quando le strutture aziendali si sono sviluppate anni fa, gli uomini costituivano la maggioranza della forza lavoro. Sono quindi stati loro a scrivere le «regole d’ingaggio» e a renderle più efficaci ed efficienti nel tempo: dal guidare una squadra di lavoro al tenere riunioni, dallo stabilire priorità al prendere decisioni. Persino i modi e i luoghi per socializzare dopo l’orario d’ufficio – sul campo da golf oppure negli esclusivi circoli ricreativi riservati ai soli uomini – si basano su preferenze maschili.
Durante i nostri seminari chiediamo spesso agli uomini di riflettere su quali siano le loro regole non scritte, le politiche e le pratiche che metterebbero in atto in automatico, senza pensarci. Ecco alcuni esempi di quelli che i maschi tendono a identificare come propri codici di comportamento. Inoltre, le «regole d’ingaggio» sul lavoro sono praticamente le stesse ovunque, che ci si trovi negli Stati Uniti, in Europa o in Medio Oriente.
• «Il contributo di tutti all’impegno comune è importante, ma la cosa che conta di più sono i risultati.»
• «Offrire aiuto a un uomo equivale a suggerire che è un incapace. Lasciare che se la cavi da solo lo rende più forte. Se un uomo ha bisogno di aiuto, lo chiederà.»
• «Se un uomo partecipa a una riunione in silenzio, non mettetelo in difficoltà chiedendogli: “Che cosa...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. Introduzione
  6. 1. Siamo davvero uguali?
  7. GLI OTTO PUNTI CIECHI DI GENERE
  8. ACCRESCERE LA NOSTRA INTELLIGENZA DI GENERE
  9. Epilogo - Donne e uomini intelligenti che lavorano e vincono insieme
  10. Note
  11. Ringraziamenti