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La libertà di parola da Socrate a Nelson Mandela

  1. 194 pagine
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La libertà di parola da Socrate a Nelson Mandela

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Ecco i nomi dei delatori, dei censori, degli espurgatori... Meleto, Anito, Giovanni Mocenigo, Girolamo Malipiero, Lionardo Salviati. Ci sono loro dietro la morte di Socrate e di Giordano Bruno, o la revisione "migliorata" del Canzoniere di Petrarca e del Decameron di Boccaccio....

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858659304

PENSIERO POLITICO E DISSENSO INTELLETTUALE

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THOMAS HOBBES

(1588-1679)

«Homo homini lupus», ovvero: «l’uomo è lupo per l’uomo». Questo celebre motto, derivato da Plauto, fu utilizzato da Hobbes per affermare la necessità di un sovrano che regolasse i rapporti tra gli uomini, altrimenti incapaci di controllo e convivenza. Thomas Hobbes nacque a Westport il 5 maggio 1588. Viaggiò a lungo in Europa grazie alla sua attività di tutore del giovane conte Cavendish, potendo così approfondire i temi di teoria politica che caratterizzarono il suo pensiero. Hobbes, strenuo sostenitore della sovranità assoluta, nel 1640 fece circolare, fra gli amici, Gli elementi di legislazione naturale e politica. Intuì che ciò che vi sosteneva gli avrebbe procurato sicure reazioni negative e così abbandonò l’Inghilterra per riparare a Parigi. Ritornò in patria solo nel 1651, dopo la pubblicazione del Leviathan, all’epoca di Cromwell e a conferma delle sue idee sull’ordinamento dello Stato, definito e orientato dalla volontà del sovrano, unico legislatore.
Hobbes non era uomo di potere né di governo e quelle che esprimeva erano idee, argomenti di etica e politica. La sua era una visione complessa delle leggi di natura e del ruolo del sovrano, ma non era equiparabile a nessun progetto politico. Ciò nonostante egli fu ferocemente osteggiato, le sue prime pubblicazioni distrutte, bruciate e indicate come un oltraggio al genere umano. Malgrado ciò il suo è stato un contributo cruciale alla filosofia politica e alla storia delle idee. Ecco come egli intendeva la condizione dell’uomo e le forme naturali dell’uguaglianza.

La natura ha fatto gli uomini così eguali, nelle facoltà del corpo e dello spirito, che, quantunque si trovi spesso un uomo più forte o più intelligente di un altro, tuttavia in complesso la differenza tra uomo ed uomo non è tanto notevole che un uomo possa pretendere per sé un beneficio, il quale non possa pretendere un altro egualmente. Infatti, riguardo alla forza corporea, il più debole ha sempre abbastanza forza, per uccidere il più forte, o per mezzo di macchinazione segreta, o alleandosi con altri, che si trovano nello stesso pericolo. Ed in quanto alle facoltà dello spirito – lasciando da parte le arti fondate sulla parola, e specialmente l’abilità procedente da regole generali ed infallibili, chiamata scienza, che solo pochi posseggono, e per poche cose, non essendo una facoltà innata, né appresa, come la prudenza, senza studio – io trovo una eguaglianza anche più grande tra gli uomini, che per la forza materiale. Poiché la prudenza non è che esperienza, che, in un tempo eguale, egualmente si acquista da tutti gli uomini. Ciò, che può rendere forse incredibile una tale eguaglianza, non è che un vano concetto della saggezza propria, che quasi tutti gli uomini credono di avere in grado maggiore del volgo, cioè di tutti i restanti uomini, meno se stessi e pochi altri, che si ammirano per la fama, che hanno, o per affinità di opinioni. Poiché tale è la natura degli uomini, i quali, per quanto possano riconoscere che molti altri sono più svelti o più eloquenti o più colti di loro, pure difficilmente crederanno che molti siano tanto saggi quanto sono essi, perché essi vedono il loro spirito dappresso, l’altrui a distanza. Ma questo prova piuttosto che gli uomini sono su questo punto eguali, e non diseguali, poiché non v’è generalmente maggior segno dell’eguale distribuzione di tutte le cose che ciascuno sia contento del proprio.
Da questa eguaglianza di abilità sorge l’eguaglianza nelle speranze di conseguire i nostri scopi. E perciò, se due uomini desiderano la stessa cosa, che non possono entrambi ottenere, divengono nemici, e, per conseguire il proprio fine – che è principalmente la propria conservazione, e spesso il proprio piacere – tentano di distruggersi e di sottomettersi l’un l’altro. Onde avviene che, quando un invasore non ha più a temere che il singolo potere di un altro uomo, se pianta, semina, costruisce o possiede un luogo conveniente, altri probabilmente possono venire con forze unite, per spossessarlo, e privarlo non solo dei frutti del suo lavoro, ma anche della vita o della libertà; e così l’invasore si trova a patire lo stesso danno che un altro.
E da questa diffidenza di uno per l’altro non c’è modo migliore, per ciascun uomo, di assicurarsi, che l’anticipazione, cioè dominare, con la forza e con l’astuzia, quanto più uomini si possono, finché si vede che nessun altro potere è tanto forte da danneggiare sé; e questo non è più che la ricerca della propria conservazione, ed è generalmente ammessa. E poiché vi sono anche alcuni, i quali, prendendo piacere nel contemplare il proprio potere in atti di conquista, lo spingono più oltre di quanto richieda la loro sicurezza; gli altri, che sarebbero invece contenti di stare in pace nei loro modesti confini, se non accrescessero la loro potenza con l’invasione, non sarebbero buoni neanche a rimanere per lungo tempo sulla difensiva, per continuare a vivere. Per conseguenza tale aumento di dominio, essendo necessario alla conservazione dell’uomo, dev’essergli riconosciuto.
Inoltre gli uomini non hanno piacere – ma al contrario molta molestia – di stare in compagnia di altri, dove non sia un potere, che li tenga tutti in soggezione. Poiché ogni uomo bada che il suo compagno faccia di lui la stessa stima, che egli fa di se stesso; e contro tutti i segni di disprezzo e di disistima naturalmente si sforza, per quanto può osare – la qual cosa tra coloro, che non hanno su di loro un potere comune, per tenerli a freno, li riduce a tanto, da distruggersi l’un l’altro –, per estorcere un più grande potere dai suoi disprezzatori, con la vendetta, e dagli altri, con l’esempio.
Sicché nella natura umana noi troviamo tre cause principali di lotta: la competizione, la diffidenza, la gloria. La prima fa combattere gli uomini per guadagno, la seconda per la salvezza, la terza per la reputazione; la prima usa la violenza per impadronirsi di altri uomini, donne, fanciulli ed armenti, la seconda, per difenderli, la terza fa uso di inezie, come una parola, un sorriso, un’opinione differente e qualunque altro segno di disprezzo, o direttamente verso una persona o generalmente per mezzo di una riflessione sul suo parentado, sui suoi amici, sulla sua nazione, sulla sua professione, sul suo nome.
È manifesto da ciò che, durante il tempo, in cui gli uomini vivono senza un potere comune, che li tenga in soggezione, essi si trovano in quella condizione, che è chiamata guerra, e tale guerra è di ogni uomo contro ogni altro uomo; poiché la guerra non consiste solo in battaglie o in atti di combattimento, ma in un periodo di tempo, in cui la volontà di contendere in battaglia è abbastanza nota; e perciò la nozione del tempo deve essere considerata nella natura della guerra, come nella natura di una tempesta. Infatti, come la natura di una procella non consiste solo in un rovescio o due di grandine, ma nella disposizione dell’atmosfera ad esser cattiva per molti giorni insieme, così la natura della guerra non consiste in questo o in quel combattimento, ma nella disposizione manifestamente ostile, durante la quale non v’è sicurezza per l’avversario. Ogni altro tempo è pace.
Tutte le conseguenze perciò di un periodo di guerra, in cui ogni uomo è nemico di un altro, sono anche le conseguenze del tempo, in cui gli uomini vivono senz’altra sicurezza, se non quella, che dà loro la propria forza o la propria sagacia. In tale condizione non v’ha luogo ad industrie, poiché il frutto di esse sarebbe incerto; e per conseguenza non v’è agricoltura, non navigazione né uso di quei comodi importati per via di mare, né di comodi edifizii, né di macchine, per rimuovere oggetti, che hanno bisogno di molta forza, né v’è conoscenza della superficie terrestre, né del tempo, né delle arti, delle lettere e del vivere sociale; e, quel ch’è peggio di tutto, domina un continuo timore ed il pericolo di una morte violenta; e la vita dell’uomo è solitaria, povera, lurida, brutale e corta.
Può sembrare strano a qualcuno, che non ha pesato queste cose, che la natura abbia in tal modo divisi gli uomini, e li abbia resi atti a distruggersi tra loro; e perciò egli, diffidando di questa argomentazione tratta dalle passioni, potrà chiedere forse che gli sia confermata dalla esperienza. Consideri allora che, quando egli stesso intraprende un viaggio, si arma, e cerca di andare bene accompagnato, e che, quando va a dormire, chiude la porta, e, anche stando in casa, chiude i suoi forzieri, pur sapendo che vi sono leggi e pubblici ufficiali armati, per vendicare tutte le ingiurie, che gli potessero venir fatte, e si accorgerà quale opinione egli ha dei suoi vicini, quando cavalca armato, dei suoi concittadini, quando chiude le porte, dei suoi figli e dei suoi servi, quando chiude i forzieri. Non accusa egli altrettanto con i suoi atti il genere umano, di quanto io faccia con le parole? Se non che nessuno di noi accusa la natura dell’uomo in se stessa. I desideri e le altre passioni dell’uomo non sono in se stesse un peccato, e neanche le azioni, che derivano da quelle passioni, finché egli non conosca una legge, che le vieti, la quale egli non può conoscere finché non venga fatta; né una legge può esser fatta, finché non si sia convenuto di nominare una persona, che la faccia.
Si può per avventura pensare che non vi sia mai stato un tempo né uno stato di guerra, come questo, ed io credo che generalmente non sia mai stato su tutto il mondo; ma vi sono molti luoghi, nei quali gli uomini vivono così, ai tempi nostri. Infatti il popolo selvaggio dell’America, meno il governo di ristrette famiglie, la concordia delle quali dipende dalla concupiscenza naturale, manca in molti luoghi di un qualunque governo, e vive, al giorno d’oggi, in quella maniera brutale, che io ho esposta sopra. Del resto può comprendersi quale sarebbe la vita là, dove non fosse un potere comunemente temuto, dalla maniera di vivere, che gli uomini hanno tempo fa tenuta sotto un pacifico governo, che è poi degenerata in una guerra civile.
Ma benché non vi sia stato mai un’epoca, nella quale ogni uomo era in guerra contro un altro uomo, pure in tutti i tempi i re e le persone, che hanno un’autorità sovrana sono in continua gelosia per la loro indipendenza, e si trovano nello stato e nella posizione dei gladiatori, con le armi puntate e con gli occhi fissi l’un sull’altro; cioè con i loro forti, le loro guarnigioni ed i loro fucili alle frontiere dei proprii reami, e con continue spie negli stati circonvicini: la quale è una posizione guerresca. Ma poiché quelli sostengono così l’industria dei loro sudditi, non ne segue quella miseria, che seguirebbe dalla libertà individuale di ciascun uomo.
Da questa guerra di ognuno contro ognuno risulta anche questa conseguenza: che niente può essere ingiusto. La nozione del dritto e del torto, della giustizia e dell’ingiustizia non v’ha luogo. Dove non esiste legge, non esiste ingiustizia. Forza e frode sono in guerra le due virtù cardinali. La giustizia e l’ingiustizia non appartengono alle facoltà né del corpo né dell’anima; altrimenti esse potrebbero trovarsi in un uomo, che fosse solo nel mondo, come il senso e le passioni. Esse sono qualità, che si riferiscono agli uomini in società, non in solitudine. Un’altra conseguenza dello stesso stato di guerra è che non esiste proprietà, né dominio, né mio e tuo distinto, ma ogni uomo si tiene quello, che può prendere, e pel tempo, che può tenerselo. E tanto valga riguardo all’infelice condizione dell’uomo nel semplice stato di natura, benché abbia la possibilità di uscirne, consistente in parte nelle passioni, in parte nella ragione.
Le passioni, che dispongono gli uomini alla pace, sono il timore della morte, il desiderio di quelle cose, che sono necessarie alla vita, e la speranza di ottenerle mediante la loro industria. E la ragione suggerisce convenienti argomenti per la pace, nella quale gli uomini possono essere spinti ad accordarsi. Questi argomenti sono altrimenti chiamati leggi di natura.

Ed ecco che cosa affermava a proposito della libertà...

Il dritto di natura, che gli scrittori comunemente chiamano ius naturale, è la libertà, che ciascun uomo ha, di usare il suo potere, come egli vuole, per preservare la sua natura, cioè la sua vita, e di fare perciò qualunque cosa, secondo il suo giudizio e la sua ragione, egli crederà che sia il mezzo più adatto a quello scopo.
Per libertà s’intende, secondo il più proprio significato della parola, la mancanza d’impedimenti esterni; i quali impedimenti possono togliere una parte del potere di un uomo, nel fare quello, che egli vorrebbe, ma non possono impedirgli di usare il potere, che gli è lasciato, secondo che il suo giudizio e la sua ragione gli detteranno. [...]
E poiché la condizione dell’uomo – come è stato mostrato nel cap...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. INTRODUZIONE
  4. BIBLIOGRAFIA
  5. LA FORZA DELLE PAROLE
  6. FEDE, RELIGIONE E VERITÀ
  7. SCIENZA E CONOSCENZA
  8. L’AMORE, IL CORPO E LA SESSUALITÀ
  9. EROTISMO E OSCENITÀ
  10. PENSIERO POLITICO E DISSENSO INTELLETTUALE