Perché proviamo ciò che proviamo
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Una teoria delle emozioni

  1. 349 pagine
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Una teoria delle emozioni

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Restiamo svegli con gli occhi sbarrati dopo la telefonata di un amico preoccupato? Facciamo strani sogni se non teniamo fede a un impegno? Perdiamo le staffe per un ingorgo? E quando ci innamoriamo, non è forse un'estasi quella di cui cadiamo prede? Le emozioni pervadono la nostra vita. Alcune ci inseguono, altre ci sfuggono. A volte ci feriscono o addirittura ci consumano, altre volte invece ci consentono di librarci al di sopra di tutto e di tutti. Ma cos'è un'emozione? Le neuroscienze ci hanno spiegato cosa succede nel nostro cervello quando proviamo paura, amore, odio, rabbia; eppure, dopo decenni di ricerche e molte teorie, non esiste ancora una definizione di emozione che ne contempli tutti gli aspetti. Non solo: siamo davvero sicuri che il copione neurale del cervello possa dirci tutto su ciò che proviamo? Ognuno di noi, per essere consapevole di un'emozione, deve poterla riconoscere come parte integrante del proprio repertorio psicologico e culturale; definire una teoria delle emozioni significa allora decifrare anche il codice della realtà complessiva in cui viviamo, le sue pratiche e i suoi significati. Partendo dalla propria esperienza professionale e personale, l'autore ci illumina sui molti nodi ancora da districare quando si tratta di emozioni, e lo fa prendendo le mosse dalla scienza, ma attingendo a piene mani anche alla letteratura, all'arte, al teatro, alla filosofia e alla psicoanalisi. Il risultato è un racconto colto e coinvolgente su una zona tuttora in buona parte oscura della natura umana, un enigma cruciale e affascinante che, se risolto, potrebbe rivelare l'essenziale di noi.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2013
ISBN
9788858660812

1

Rabbia: scoppi violenti

La rabbia alberga nel petto dei folli.
ALBERT EINSTEIN
Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile. Ma arrabbiarsi con la persona giusta, e nel grado giusto, ed al momento giusto, e per lo scopo giusto, e nel modo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile.
ARISTOTELE
Era una di quelle mattine che già sapevo sarebbe diventata una brutta giornata. Perché i latrati del cane di un vicino mi avevano tenuto sveglio per tutta la notte, le zanzare erano riuscite a entrare, non si sa come, attraverso le zanzariere e, quando finalmente mi ero addormentato, qualcuno aveva sbagliato numero e mi ero svegliato all’alba. Come se tutto questo non bastasse, poi, una volta in piedi, mi ero rovesciato addosso il caffè bollente. Ma non c’erano alternative. Dovevo iniziare la giornata, accettare che la vita è dura e avventurarmi incontro all’ignoto, accadesse quel che accadesse. In realtà, ciò che mi aspettava non era così terribile. Mi trovavo a Roma in vacanza, e alcuni amici avevano organizzato una gita alla loro casa di campagna, non distante dal centro della città: ci saremmo rilassati trascorrendo un lungo pomeriggio insieme.
«Ti verrà a prendere Bruce» mi avevano detto.
Non lo conoscevo. Sorseggiai il mio espresso e lo aspettai davanti al portone. Faceva caldo e la temperatura era prevista in aumento.
«Piacere di conoscerti, Bruce» dissi quando la sua auto si fermò di fronte a me. «Come va?»
«Non abbiamo tanto tempo, in città c’è molto traffico e dobbiamo fare in fretta. Sali, veloce!»
Bene, qualcun altro ha avuto una nottataccia, pensai, e ubbidii all’ordine. Non vedevo l’ora di arrivare a destinazione.
Le strade erano davvero gremite e tutti sembravano avere fretta. Ci volle un’ora per uscire dal centro, muovendoci a zig zag tra auto che procedevano in modo irregolare e uno sciame di motorini che sfrecciavano in tutte le direzioni. Pochi minuti dopo esserci messi in viaggio, ricevetti una chiara lezione di fisica. Capii che a Roma la durata reale del momento infinitesimale, il periodo di tempo più breve, è l’intervallo tra lo scattare del verde al semaforo e l’attimo in cui la persona sull’auto dietro di voi suona il clacson e urla. Frattanto, Bruce non smetteva di lamentarsi di ogni cosa: tutti gli altri automobilisti erano o troppo lenti o troppo veloci, idioti e fessi. Quando finalmente fummo sul raccordo anulare, l’aria condizionata smise di funzionare e davanti a noi si stendeva un mare immenso di auto.
«Grandioso, e adesso che altro c’è?» urlò Bruce.
Le cose non sembrano certo promettere bene, pensai, ma abbassai il finestrino e mi appoggiai contro lo schienale, cedendo all’evidenza che non ci si poteva fare niente.
Bruce, invece, non si rilassò affatto. Cominciò a picchiettare le dita sul volante. Ogni colpetto era un martellante conto alla rovescia, quello delle ultime gocce prossime a far traboccare il vaso della sua pazienza.
«Tutto a posto, Bruce?» mi azzardai a chiedere.
Aveva gli occhi fissi sulla coda di auto che si snodava davanti a noi e, in realtà, non prestò attenzione alle mie parole. Cominciò a suonare il clacson in modo aggressivo, abbassando il finestrino. Lanciò una serie di imprecazioni alle altre auto, come se il clacson e lo sfogo verbale, insieme, potessero abbreviare l’attesa.
Mezz’ora dopo, quando raggiungemmo miracolosamente la nostra uscita, un tizio arrivato fin lì guidando sulla corsia d’emergenza ci tagliò la strada… e ci mostrò il medio!
Fu allora che cominciai a temere per la sicurezza di ciascuno di noi. Il cielo era limpido, ma il viso di Bruce sembrava un temporale. Era come se si sentisse intrappolato in un corridoio stretto e il suo unico obiettivo fosse uscirne più in fretta possibile. Balzò fuori dall’auto e inveì contro l’altro automobilista, che, intanto, si era dileguato. Quelli dietro cominciarono a protestare che stavamo ostruendo l’uscita e Bruce se la prese con tutti loro, urlando di chiudere il becco. Per fortuna, nessuno scese dall’auto e, prima che il mio compagno di viaggio potesse continuare la sua scenata, lo afferrai per un braccio e lo ricacciai dentro l’abitacolo.
Ce ne tirammo fuori e, a essere sincero, il mio solo pensiero fu un’amaca all’ombra di un albero nel giardino del mio amico.

Una forza travolgente

La rabbia è un’emozione cruda, una forza potente che può essere difficile contenere. Perché affiori in superficie basta che gli eventi prendano una piega contraria a quella che ci aspettavamo. Manifestiamo la nostra rabbia quando ci trattano male, se sentiamo di essere stati feriti, se qualcuno ci offende o quando non vogliamo o possiamo tollerare certi comportamenti. La rabbia è anche una corazza sotto cui si nasconde la paura. Funge da reazione preventiva per difenderci da qualcosa di nocivo. La rabbia può essere impulsiva e spontanea, manifestarsi in accessi brevi e acuti, ma anche silenziosa e premeditata, lucida e controllata. Può essere sia una risposta immediata a una provocazione, sia il carburante di una ritorsione futura. La caratteristica interessante della rabbia è che si può reprimere a lungo, per poi esplodere in maniera tanto selvaggia quanto fugace, e quindi calmarsi. Passato il momento «caldo» in cui si accende come una furia accecante, si può continuare a essere arrabbiati con qualcuno per molto tempo.
In tutte le sue forme, la rabbia implica la moralità. L’incapacità di controllare le reazioni impulsive mette alla prova il nostro carattere, e può essere vista come una debolezza o una sconfitta della volontà. Cedere alla collera può avere ripercussioni sulla nostra posizione nel mondo e nella società e mettere a repentaglio le nostre relazioni interpersonali.
Di tutte le emozioni la rabbia è certamente quella che mi è più estranea. Non sono un tipo irascibile né incline ad accessi di collera. Posso mettermi a discutere brevemente per far valere il mio punto di vista perché non mi piace essere frainteso e ignorato in una conversazione. È capitato altresì che abbia fatto notare in modo incisivo i miei diritti durante un’infervorata conversazione telefonica con qualche servizio clienti. Ma non arrivo mai allo scontro verbale e ancor meno all’aggressione fisica o alla violenza. La violenza non mi ha mai attratto. Tuttavia, se qualcuno facesse deliberatamente del male a un membro della mia famiglia o a uno dei miei migliori amici, credo che potrei manifestare una rabbia esagerata, specie se ciò avvenisse davanti ai miei occhi.
Allora, perché Bruce ebbe una reazione così violenta di fronte a una inattesa coda domenicale? Perché non riuscì ad affrontare meglio la sua frustrazione, e che cosa lo spinse a imprecare contro gli altri automobilisti?
Quando arrivammo a casa dei nostri amici, bevve qualcosa di fresco e si rilassò. In un momento di tranquillità mi raccontò di aver avuto simili esplosioni di rabbia anche in passato. In certe situazioni diventava di cattivo umore, poi se ne rammaricava pentendosi del suo comportamento. In particolare quando lo provocavano, non era capace di controllare le sue reazioni e ciò, ovviamente, lo preoccupava. Se qualcuno lo contraddiceva o non era d’accordo con lui, dava in escandescenze e a volte veniva alle mani. Ma i suoi accessi di collera potevano anche aver luogo in solitudine. Un giorno, dopo essersi infuriato per una piccola offesa ricevuta al lavoro, per sfogare la frustrazione, aveva frantumato il parabrezza della sua auto. Temeva che in lui ci fosse qualcosa che non andava e mi chiese se le sue ripetute e incontrollabili esplosioni di rabbia potessero avere qualcosa a che fare con i suoi geni e i suoi circuiti cerebrali.
È chiaro che alcuni di noi sono più predisposti di altri all’ira. Perché è così? Nasciamo aggressivi oppure la propensione alle manifestazioni di collera è una conseguenza dell’educazione, una reazione a esperienze negative vissute in ambito sociale o a un ambiente sfavorevole?
In questo capitolo cercherò di dare una risposta a questa domanda mostrando cosa sanno le neuroscienze della rabbia e della violenza e quali meccanismi cerebrali stanno alla base dell’autocontrollo.
Prima, però, devo raccontare parecchie cose sulle emozioni in generale.

L’origine delle emozioni

Sarebbe impossibile parlare di emozioni senza ricordare l’opera di Charles Darwin. Il brillante naturalista britannico, famoso soprattutto per essere il padre della selezione naturale e dell’evoluzione, non trascurò l’importanza di comprendere il modo in cui esprimiamo le nostre emozioni. Nel 1872, tredici anni dopo L’origine delle specie, pubblicò uno stupendo volume dal titolo L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, il suo maggior lascito nel campo della psicologia.1
Darwin poté contare su alcune risorse originali. In primo luogo, durante diverse cene nella sua casa di campagna, nel Kent, chiese ai suoi ospiti di descrivere e commentare le emozioni che riconoscevano in una serie di ritratti. Erano undici fotografie in bianco e nero di un uomo anziano, scattate dal neurologo francese Guillaume Benjamin-Amand Duchenne. Duchenne aveva applicato degli elettrodi a muscoli specifici del volto del vecchio per stimolare con la corrente elettrica un certo numero di espressioni facciali diverse tra loro. Darwin chiese ai suoi ospiti di descrivere quale fosse secondo loro l’emozione catturata da ciascuna istantanea. Instancabile collezionista, Darwin non aveva mai smesso di cercare raffigurazioni delle emozioni. Batteva gallerie e librerie per trovare immagini e stampe che potessero agevolare la sua ricerca. Alla fine collaborò anche con un fotografo, Oscar Rejlander, per aiutarlo a cogliere gli attimi fuggenti delle emozioni. Sebbene l’esperimento di Darwin non sia considerato scientifico secondo gli standard moderni – perché si basava solo su ventitré ospiti e le sue fonti erano eterogenee e di discutibile oggettività –, fu un’impresa estremamente originale e significativa per quel tempo. L’uso che fece di fotografie e ritratti segnò anche un cambiamento enorme nella storia dell’illustrazione scientifica.2
Il merito principale del libro di Darwin fu di presentare le emozioni quale risultato dell’evoluzione, e in quanto tali paragonabili in tutto il regno animale. Con ciò non intendeva sostenere che la collera provata da un essere umano possa essere totalmente equiparata all’abbaiare rabbioso di un cane, o che l’ansia di un uomo sia esattamente la stessa cosa della paura di un gatto, ma che i fini evolutivi dei meccanismi di difesa e di protezione dietro a queste emozioni sono analoghi. Per Darwin, ogni emozione ha fini adattativi e le sue origini evolutive sono da ricercare negli animali inferiori. Proprio come gli occhi, le gambe o altre parti del nostro corpo, anche le emozioni – e tutti i circuiti cerebrali e le parti del corpo di cui abbiamo bisogno per provarle – si sono evolute per selezione naturale.
All’interno di questa cornice generale, diventa facile rendersi conto che l’importanza dell’acuta indagine di Darwin risiede nella conferma che le emozioni riguardano prima e anzitutto il corpo: sono una risposta fisiologica a ciò che accade nell’ambiente – o, ovviamente, una conseguenza di pensieri e dell’immaginazione con cui lo si ricorda – che si manifesta attraverso vari mutamenti fisiologici.
Questa opinione permane ancor oggi alla luce della moderna ricerca nel campo delle neuroscienze e di quella condotta sulle emozioni negli animali meno evoluti, come i roditori. La maggior parte della gente chiede con scetticismo come si possa studiare la rabbia, la gioia o l’ansia in un topo o in un ratto. La risposta è semplice: non si può. Nessuno scienziato lo fa. Ciò che si esplora in laboratorio sono solo gli aspetti universali dell’emozione, quelli che competono ai delicati circuiti che permettono ad animali ed esseri umani di sopravvivere e prosperare.3 Dal punto di vista evoluzionistico, lo studio delle espressioni facciali condotto da Darwin suggerisce che tutti gli organismi viventi evidenziano meccanismi emotivi primordiali, innati e conservati, che li aiutano sopravvivere. Agli estremi opposti del gradiente di tali meccanismi ci sono l’avvicinamento e l’allontanamento, che sono rispettivamente strategie per raggiungere il piacere ed evitare il dolore. Per esempio, il cibo e il sesso a portata di mano sono chiaramente stimoli potenti per l’avvicinamento perché danno gioia e gratificazione, oltre a favorire la sopravvivenza e la riproduzione. Al contrario, i predatori o altre situazioni pericolose che provocano paura spingono alla fuga e all’evasione. Per sopravvivere dobbiamo essere in grado di mettere in atto entrambi i meccanismi, che si sono mantenuti nel corso dell’evoluzione e sono comuni a tutto il regno animale e alle diverse culture umane. Esiste un intero arcobaleno di emozioni positive e negative ai cui estremi si collocano la gioia e la paura. La distinzione, qui, non è tra bene e male. Un buon principio guida è ancora quello dell’avvicinamento e dell’allontanamento. Le emozioni negative sono la rabbia, il senso di colpa, la vergogna, il rammarico, la paura, il dolore, ognuna delle quali implica qualcosa da cui dobbiamo difenderci o che dobbiamo evitare. Le emozioni positive sono l’empatia, la gioia, il riso, la curiosità, la speranza, ognuna delle quali implica una propensione e un desiderio di aprirsi al mondo esterno.
A questo punto bisogna fare un’altra distinzione importante: tra emozioni e sentimenti. Il sentimento è l’emozione resa conscia. Sebbene le emozioni si sviluppino come processi biologici, esse sfociano in esperienze mentali personali. Il contrasto, in questo caso, è tra gli aspetti esteriori e visibili di un’emozione e la sua esperienza interiore, intima. I primi sono una serie di risposte biologiche – dalle alterazioni del comportamento e dei livelli ormonali ai mutamenti delle espressioni facciali – che possono, nella maggioranza dei casi, essere misurate scientificamente. La seconda è il sentire, la consapevolezza personale di quell’emozione (i filosofi chiamano lo studio di questa esperienza soggettiva fenomenologia).4 Ecco perché possiamo descrivere i nostri sentimenti con ragionevole certezza ma non siamo in grado di farlo con altrettanta sicurezza quando si tratta delle esperienze interiori degli altri. Possiamo solo guardare l’espressione dei loro volti e teorizzare o intuire cosa stanno provando. Oggi, in laboratorio, gli scienziati sono in grado di scoprire alcune attività cerebrali che caratterizzano la tristezza o la gioia. Tuttavia, non riescono ad afferrare il loro significato intimo per la persona che le sperimenta. Le emozioni fanno sì che le nostre menti si parlino. Sono la riproduzione più fedele delle nostre parole interiori, trasmesse all’esterno dall’espressione dei nostri visi.
Il secondo risultato importante ottenuto da Darwin nello studio delle emozioni fu la dimostrazione della loro universalità. Essendo innate e prodotte dall’evoluzione, ipotizzò, le emozioni devono avere una corrispondenza in ogni cultura. Se tutti gli esseri umani del Pianeta hanno gli stessi occhi, la stessa bocca e gli stessi muscoli facciali, allora devono essere pr...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Prologo
  5. 1 Rabbia: scoppi violenti
  6. 2 Senso di colpa: una macchia indelebile
  7. 3 Ansia: la paura dell’ignoto
  8. 4 Dolore: presenza nell’assenza
  9. 5 Empatia: la verità dietro il sipario
  10. 6 Gioia: istanti di beatitudine
  11. 7 Amore: sindromi e sonetti
  12. Epilogo
  13. Ringraziamenti
  14. Note
  15. Bibliografia