Il libro dei motti e delle riflessioni
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Il libro dei motti e delle riflessioni

  1. 208 pagine
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Il libro dei motti e delle riflessioni

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Tra il 1924 e il 1927 Schnitzler riordina con passione aforismi vecchi e nuovi in cui racchiude, con il gusto del frammento che caratterizza il suo pensiero, una visione del mondo e una poetica. Piace lo stile, la ricchezza dei temi, la varietà delle prese di posizione su problemi artistici, morali e religiosi, le relazioni tra i sessi, la società del tempo, giudicata da Schnitzler con rigone e ironia.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858656914

CREAZIONE E RISONANZA

1
I tre criteri dell’opera d’arte: coerenza, intensità, continuità.

2
Attorno all’artista c’è un elemento misterioso che lo pone in grado di afferrare l’ambiente circostante con forza incomparabilmente maggiore di qualsiasi altra persona, ma che al tempo stesso lo isola più implacabilmente di quanto farebbe la muraglia più massiccia.

3
Gli effetti dell’arte non si fondano su illusioni, ma su associazioni di idee. Ciò che noi definiamo illusione è un momento del tutto secondario, che in determinate circostanze può anche mancare completamente. Proprio le persone alle quali un’opera d’arte dà una totale illusione di vita non consentono che l’opera d’arte agisca su di loro come tale. L’impressione che esse ricevono da un’opera non ha niente a che fare con il suo valore artistico, tanto meno quanto più la loro impressione è associata a quella che su di esse avrebbe avuto un avvenimento reale di tipo molto simile. Si dovrebbe allora credere che lo spettatore che tira mele marce a quella canaglia di Franz1 o che aspetta l’attore all’uscita di scena per picchiarlo abbia ricevuto un’impressione artistica più forte di un altro, il quale, pur ammirato e commosso, non ha dimenticato nemmeno per un attimo di aver giocato a tarocchi al caffè, quello stesso pomeriggio, con l’attore che interpreta Franz.
Quando mai abbiamo avuto realmente l’illusione, anche con le regie più eccelse, che una battaglia sulla scena sia una vera battaglia e una morte in scena, per quanto mirabilmente interpretata, rappresenti una morte vera? Il grado della nostra commozione dipende forse anche solo minimamente dalla forza di immaginazione più o meno intensa con cui riusciamo a credere che lassù un uomo muoia per davvero? La nostra commozione, la profondità della nostra esperienza artistica si fonda solo sul fatto che una battaglia o una morte in scena o, per portare subito un altro esempio, un abbraccio in scena provocano in noi regolarmente una serie di associazioni d’idee legate alla nostra individualità e concernenti altri baci, altre battaglie, altre morti. E il grado di commozione, il significato della nostra esperienza artistica dipende dalla rapidità con cui le associazioni si presentano e scorrono, dall’intensità che assumono i dettagli e dalla loro particolare sequenza. E la serie di associazioni che si allaccia ad esempio alla morte di un eroe scorrerà tanto più fittamente, continuativamente, velocemente e con singolare intensità quanto maggiore è il talento con cui l’autore ha delineato il destino del suo eroe e la perfezione con cui l’attore l’ha rappresentato. Per quanto un’opera d’arte o una prova d’artista possano essere realistiche non ci daranno mai l’illusione della vita. Hanno soltanto il potere di risvegliare in noi appunto una piccola o grande quantità di ricordi diversissimi con minore o maggiore intensità. E se qualche volta capita di affermare che una morte in scena ci ha colpito per la sua incredibile veridicità, quindi in un certo modo ci è sembrato che l’eroe finisse veramente i suoi giorni davanti ai nostri occhi, con ciò vogliamo soltanto dire che quella scena ci ha riportato alla mente una straordinaria quantità di eventi di morte – che ci sono stati raccontati, a cui abbiamo assistito, che ci ha tramandato la storia, che conosciamo da altre opere – e che in noi si sono risvegliate le immagini di altri, prossimi eventi di morte, vicini o lontani nello spazio, e quelle della nostra stessa, ineluttabile fine.
La sequenza delle associazioni si attiene alla norma solo fino a un determinato grado, perché viene modificata dall’individualità e dalla disposizione momentanea di chi lascia agire su di sé l’opera d’arte, insomma del fruitore. La prima associazione che suscita ad esempio la morte di Amleto sarà, a seconda dei casi, la morte di un altro personaggio teatrale, come re Lear o Wallenstein, oppure la morte di un personaggio storico, o la morte del proprio padre o fratello, o ancora il pensiero della possibilità di quelle morti, o il pensiero della propria fine ecc. Ma da qui in poi le associazioni, ovviamente a livello subconscio, continuano a correre a varia profondità nelle direzioni più diverse, senza che in seguito possano essere ricordate nei particolari. Quello che resta è soltanto l’impressione artistica globale.
Abbastanza spesso (negli spettatori distratti) la catena delle associazioni viene interrotta da un’immagine che sale alla coscienza scaturendo da un’altra serie di associazioni, un anello della quale si trovava da tempo in stretto collegamento con un anello dell’associazione originaria.
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L’arredamento scenico, la fedeltà storica, i costumi indovinati, tutto questo non serve ad accrescere l’illusione, ma a favorire l’intensità e la rapidità delle associazioni e a impedire che la loro catena si spezzi.
Insomma, ciò che noi percepiamo come impressione di un’opera d’arte è il risultato di una somma di associazioni di idee nella loro singolare intensità, singolare sequenza, singolare rapidità di scorrimento, suscitate in noi per il tramite dell’opera d’arte. E quell’impressione non dipende in alcun modo dal grado di illusione in cui l’opera ci ha trasportato; non può assolutamente dipenderne, perché nelle persone in pieno possesso delle loro facoltà mentali un’illusione del genere non potrà mai sorgere.

4
Ogni atto e ogni evento si possono spiegare con la causalità, senza dover ipotizzare una collaborazione del libero arbitrio, che possiamo definire deterministicamente l’espressione della causalità racchiusa nell’individuo. Ma se tentiamo di spiegare la creazione artistica con la sola causalità non ne veniamo a capo, e questo si vede benissimo soprattutto nella musica.
Mentre qualsiasi decisione in un campo diverso da quello artistico significa una scelta tra un numero limitato di possibilità, e quindi ci apparirà sempre fondata, forse anche soltanto in base alle caratteristiche di un certo individuo, l’invenzione e ancor più l’armonizzazione di una melodia (a meno di non credere a un’ispirazione divina) presuppongono un numero infinito di possibilità, tra le quali si è sempre operata una scelta incredibilmente rapida. Prima di decidere per una determinata melodia e armonizzazione, un artista deve già avere rigettato inconsciamente tutte le altre possibili varianti. Qui non bastano spiegazioni basate sulle circostanze esterne o sulle cosiddette peculiarità e unicità dell’individuo; la scelta fatta in questo caso non può essere spiegata altrimenti che come espressione di un libero atto di volontà. Ma quanto più ci allontaniamo dall’arte, tanto più siamo in grado di prescindere dall’ipotesi di un libero arbitrio.

5
L’effetto rassicurante delle opere d’arte si spiega soprattutto col fatto che in esse è eliminato quanto noi definiamo «caso».
Allo stesso modo il caso sembra essere eliminato dalla storia (in quanto storia del passato), e qualsiasi evento storico ha l’effetto di una necessità.
Solo il presente, e in particolare la nostra esistenza singola, è esposto e assoggettato alle cosiddette accidentalità.
Non esiste quindi evidentemente una differenza generica tra necessità e caso, ma tutto dipende dal punto di vista di chi osserva.
Noi riusciamo ad abbracciare con lo sguardo solo un determinato numero di concatenazioni causali, e anche questo solo fino a un certo punto, mentre ogni istante vissuto rappresenta il crocevia di innumerevoli concatenazioni causali che provengono dall’infinito e vanno verso l’infinito.
La storia invece racconta solo di quelle catene di nessi causali che si sono dimostrate gravide di conseguenze al massimo grado, e trascura le altre.
Un esempio: un grand’uomo muore soffocato da un nocciolo di ciliegia. La vita di quest’uomo ci è nota dalla nascita fino alla morte. Il nocciolo di ciliegia però ha avuto importanza solo nel momento in cui si è incastrato nella strozza del grand’uomo, non nel corso del suo progressivo formarsi, e anche la sua storia successiva ci è indifferente.
Ma in una tragedia il nocciolo di ciliegia non è utilizzabile, nonostante abbia causato la morte del grand’uomo. Perché nell’opera d’arte esigiamo che le catene di nessi causali il cui incrociarsi provoca il momento tragico procedano con un’intensità press’a poco uguale.
L’eroe deve perire per mano dell’avversario con cui i nessi causali lo hanno portato a contatto, o in seguito a una causalità insita in lui: spossatezza, suicidio per disgusto ecc. Potrebbe perire a causa di un nocciolo di ciliegia solo nel caso in cui l’idea-base del dramma fosse che la storia universale può essere deviata dal suo corso anche da un nocciolo di ciliegia. Di fronte all’opera d’arte non ci lasceremmo mai convincere che il nocciolo di ciliegia sia stato voluto da Dio (anche se ciò corrispondesse alle nostre persuasioni filosofiche o religiose), pur pensando che davanti a Dio tutte le traiettorie della causalità sono eguali, visto che partono da lui e ritornano a lui. In un certo senso, Dio ha sempre avuto i suoi motivi, perché egli è il motivo in sé. Ma nell’arte Dio può essere solo ciò contro cui l’eroe si ribella. Un eroe devoto in senso dogmatico è inverosimile. Nessuna catena di nessi causali può essere abbastanza significativa da permettersi di annientare quella dell’eroe nell’istante in cui la incrocia. Del resto la morte non interrompe in alcun modo gli effetti causali di una persona; in particolare, la morte di un grand’uomo ha delle conseguenze proprio come le avevano avute i suoi atti, spesso ancor più considerevoli.

6
La vera tragedia si innalza al cielo come una torre sulla cui libera cima spazzata dalle tempeste la salma dell’eroe giace sul catafalco; ma anche alla base di ogni vera commedia, nascosto nella profondità di stanze murate, dorme un tragico segreto, pure se il maestro che ha eretto l’edificio spesso non ne ha il minimo presentimento.

7
Il vero dramma sarebbe quello in cui la parola in apparenza più secondaria si lasciasse inseguire attraverso ogni sorta di labirinti fino alla radice dell’opera, e in cui anche il colore degli occhi del personaggio meno importante venisse sfruttato per uno scopo più profondo.

8
Un presupposto irrinunciabile del dramma è la presenza di una determinata visione del mondo e l’accettazione di alcuni valori morali immutabili. Non è assolutamente ammissibile affermare il mito all’inizio di un dramma e smentirlo nel corso dello svolgimento; non è ammissibile tendere sopra l’azione drammatica una volta di effetti luminosi particolari e ben calcolati e poi farla scendere come un soffitto mobile o addirittura strapparla rinviando di punto in bianco alla sconfinatezza di problemi irrisolti e irresolubili. Non è ammissibile, all’inizio di un dramma, ricavarne gli effetti postulando l’esistenza assolutamente certa di un libero arbitrio, di colpa, di responsabilità e coscienza, ponendo quindi il mondo sotto il governo di leggi morali, e nella conclusione mettere in dubbio libero arbitrio, colpa, responsabilità, e considerare il mondo sotto il dominio esclusivo della causalità. Se l’acrobata lascia alla fine cadere il peso di mezzo quintale che sembrava sollevare con tanta fatica facendo capire al pubblico di aver tenuto in mano una sagoma di cartone, questo può essere considerato un legittimo scherzo da clown. Ma anche il dramma diventa tale, se un alto valore etico perde sempre più peso nel passaggio dal primo all’ultimo atto e alla fine si è trasformato da mezzo quintale in piuma.

9
Se è lecito definire il concetto fondamentale del dramma antico l’ineluttabilità del destino, quello del dramma classico la lotta della grande personalità contro ostacoli di ogni genere, quello del dramma romantico il vagare errabondo dell’individuo nell’illimitatezza (perciò non è mai esistito un vero dramma romantico), si dovrà sempre considerare come concetto fondamentale della tragedia moderna la contraddizione insolubile tra ragione e sentimento (ecco perché la tragedia moderna si trasforma necessariamente in tragicommedia). Il fatto che ragione e sentimento abbiano regimi rigidamente separati, anche se all’occasione sembrano andare d’accordo e riconciliarsi, è la cognizione che determina l’atmosfera in cui si svolge l’azione del dramma moderno. Quanto Kleist definisce «disordine del sentimento» – e con lui ha inizio il dramma moderno – si potrebbe definire altrettanto bene disordine della ragione. In realtà si tratta di un disordine reciproco; e appunto questo è l’elemento tragicomico, e quasi si potrebbe dire che là dove comincia la saldezza del sentimento o la piena comprensione il dramma deve necessaria...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. INTRODUZIONE - I FARMACI DEL DOTTOR SCHNITZLER
  4. CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
  5. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
  6. PREFAZIONE
  7. MOTTI IN VERSI
  8. PRESENTIMENTI E INTERROGATIVI
  9. DESTINO E VOLONTÀ
  10. RESPONSABILITÀ E COSCIENZA
  11. RELAZIONI E SOLITUDINI
  12. PRODIGI E NORME
  13. GARBUGLI QUOTIDIANI, CORSO DEI TEMPI
  14. CREAZIONE E RISONANZA
  15. MOTTI BREVI