Considerazioni sulle cause della grandezza e della decadenza dei romani
eBook - ePub

Considerazioni sulle cause della grandezza e della decadenza dei romani

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Considerazioni sulle cause della grandezza e della decadenza dei romani

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Opera storica d'importanza fondamentale non solo per l'Europa dei Lumi, le considerazioni furono date alle stampe, anonime, nel 1734. Ben più che sui meri fatti dell'antica Roma, Montesquieu si concentra sulla loro portata politica e sulla lezione di filosofia della storia che da essi si può trarre. I Romani furono grandi e prosperi finché si governarono secondo alcuni principi: l'amore per la libertà, il lavoro e la patria, la severa disciplina militare, la saggia politica del Senato nei confronti dei popoli vinti. Decaddero quando il loro dominio universale li obbligò a cambiare metodo di governo sostituendo agli antichi principi consolidati una nuova visione del mondo.Un'analisi storica densa di riflessioni generali, che continua ad attrarre e sedurre il lettore contemporaneo.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Considerazioni sulle cause della grandezza e della decadenza dei romani di Charles Louis Montesquieu in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Histoire e Histoire du monde. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2014
ISBN
9788858654774
Argomento
Histoire

CAPITOLO QUARTO51

1. I Galli — 2. Pirro — 3. Parallelo tra Cartagine e Roma — 4. Guerra di Annibale

I Romani fecero molte guerre contro i Galli. Nei due popoli l’amore per la gloria, il disprezzo della morte, l’ostinazione per vincere erano gli stessi; ma le armi erano diverse. Lo scudo dei Galli era piccolo e la spada cattiva: essi, pertanto, furono trattati più o meno come, negli ultimi secoli, lo sono stati i Messicani dagli Spagnoli. E sorprende che questi popoli, che i Romani incontrarono in quasi tutti i luoghi e in quasi tutti i tempi, si lasciassero distruggere gli uni dopo gli altri senza mai conoscere, cercare o prevenire le cause delle loro sventure.
Pirro venne a far guerra ai Romani all’epoca in cui essi erano in grado di resistergli e di imparare dalle sue vittorie52: insegnò loro a trincerarsi, a scegliere e a disporre un campo; li abituò agli elefanti, e li preparò a guerre maggiori.
La grandezza di Pirro consisteva soltanto nelle sue qualità personali53. Plutarco ci dice che egli fu obbligato a far la guerra di Macedonia poiché non poteva mantenere gli ottomila fanti e i cinquecento cavalli che aveva54. Questo principe, signore di un piccolo Stato, di cui non si è più sentito parlare dopo di lui, era un avventuriero che compiva continuamente nuove imprese, poiché poteva conservarsi solo tentando l’avventura.
Taranto, sua alleata, era degenerata assai dal tempo delle istituzioni dei suoi avi Spartani55. Egli avrebbe potuto fare grandi cose coi Sanniti, ma i Romani li avevano pressoché annientati.
Cartagine, divenuta ricca prima di Roma, si era anche corrotta prima; così, mentre a Roma gli uffici pubblici si ottenevano soltanto con la virtù, e non davano altra utilità che l’onore e una priorità nelle fatiche, a Cartagine si vendeva tutto ciò che lo Stato può dare ai privati, e ogni servizio reso dai privati era pagato dal pubblico erario.
La tirannia di un principe non avvicina uno Stato alla rovina più di quanto non lo faccia l’indifferenza verso il bene comune in una repubblica. Il vantaggio di uno Stato libero è che le entrate vi sono meglio amministrate: ma quando sono amministrate peggio? Il vantaggio di uno Stato libero è che non ci sono favoriti: ma se così non è, e se, invece degli amici e dei parenti del principe, bisogna far la fortuna di tutti coloro che partecipano al governo, tutto è perduto: le leggi vi sono eluse in modo più periglioso di quando siano violate da un principe, il quale, restando sempre il primo cittadino dello Stato, ha il massimo interesse alla sua conservazione.
Antichi costumi e una certa abitudine alla povertà rendevano i patrimoni, a Roma, all’incirca uguali: ma, a Cartagine, alcuni privati avevano ricchezze da re.
Delle due fazioni che a Cartagine56 dominavano, l’una voleva sempre la pace, e l’altra sempre la guerra, di modo che era impossibile tanto godere della prima, quanto far bene la seconda.
Mentre a Roma la guerra conciliava subito tutti gli interessi, a Cartagine essa li separava ancor più57.
dp n="98" folio="98" ?
Negli Stati governati da un principe, le divisioni si appianano facilmente, poiché egli ha nelle mani un potere coercitivo che modera i due partiti; ma in una repubblica esse sono più durature, poiché il male attacca solitamente lo stesso potere che potrebbe guarirlo.
A Roma, governata dalle leggi, il popolo accettava che il senato avesse la direzione degli affari pubblici; mentre a Cartagine, governata dagli abusi, il popolo voleva far tutto da sé.
Cartagine, che combatteva con la sua opulenza contro la povertà romana, era per ciò stesso in svantaggio: l’oro e l’argento si esauriscono, ma la virtù, la costanza, la forza e la povertà non si esauriscono mai.
I Romani erano ambiziosi per orgoglio, i Cartaginesi per avidità; gli uni volevano comandare, gli altri volevano acquistare; e questi ultimi, calcolando di continuo il guadagno e la spesa, sempre fecero la guerra senza amarla.
Le battaglie perdute, la diminuzione della popolazione, l’indebolimento del commercio, l’esaurirsi del tesoro pubblico, la ribellione delle nazioni vicine potevano far accettare a Cartagine le condizioni di pace più dure. Roma, per contro, non era guidata dall’idea dei benefici e dei danni; era determinata soltanto dalla propria gloria e, siccome non poteva immaginare di esistere senza comandare, non vi era speranza né timore che potesse spingerla a fare una pace che essa stessa non avesse imposto.
Nulla è potente quanto una repubblica ove si osservino le leggi non per timore, non per ragione, ma per passione, come accadde a Roma e a Sparta, poiché allora, alla saggezza di un buon governo, si associa tutta la forza che potrebbe avere una fazione.
I Cartaginesi si servivano di truppe straniere, i Romani impiegavano invece le proprie. Siccome questi avevano sempre considerato i vinti null’altro che strumenti per trionfi futuri, resero soldati tutti i popoli che avevano sottomesso, e più penarono per vincerli, più li giudicarono adatti a essere incorporati nella repubblica. Vediamo così i Sanniti, che furono soggiogati solo dopo ventiquattro trionfi58, divenire ausiliari dei Romani; e qualche tempo prima della seconda guerra punica, essi trassero da loro e dai loro alleati, ovvero da un territorio non più grande degli Stati pontifici59 e di Napoli, settecentomila fanti e settantamila cavalieri60 da contrapporre ai Galli.
Nel bel mezzo della seconda guerra punica, Roma ebbe sempre in assetto da ventidue a ventiquattro legioni; tuttavia, stando a Tito Livio, sembra che il censo fosse allora solamente di circa centotrentasettemila cittadini.
Cartagine impiegava maggiori forze per attaccare, Roma per difendersi: questa, come si è detto, armò un numero eccezionale di uomini contro i Galli e Annibale, che l’attaccavano, ma inviò soltanto due legioni contro i più grandi re, il che rese eterne le sue forze.
La posizione di Cartagine nel suo paese era meno stabile di quella di Roma nel proprio: questa aveva intorno a sé trenta colonie, che ne erano come i baluardi61. Prima della battaglia di Canne, nessun alleato l’aveva abbandonata: i Sanniti e gli altri popoli italici, infatti, erano avvezzi alla sua dominazione.
dp n="100" folio="100" ?
La maggior parte delle città africane, essendo scarsamente fortificate, si arrendevano immediatamente a chiunque si presentasse per espugnarle: perciò tutti quelli che vi sbarcarono — Agatocle62, Regolo, Scipione — condussero ben presto Cartagine alla disperazione.
Solo a un cattivo governo si può attribuire ciò che capitò loro durante tutta la guerra fatta dal primo Scipione: la loro città e i loro stessi eserciti erano ridotti alla fame, mentre i Romani avevano abbondanza 63.
Presso i Cartaginesi, gli eserciti che eran stati sconfitti diventavano più insolenti. Talora crocifiggevano i loro generali, punendo loro per la propria vigliaccheria. Presso i Romani, il console decimava le truppe che erano fuggite, e le riportava contro i nemici.
Il governo dei Cartaginesi era durissimo64: essi avevano talmente vessato i popoli della Spagna che i Romani, allorché vi giunsero, furono considerati alla stregua di liberatori; e, se si pone mente alle somme immense che costò loro sostenere una guerra ove soccombettero, ben si vedrà che l’ingiustizia è cattiva consigliera, e non raggiunge neppure i propri intenti.
La fondazione di Alessandria aveva ridotto di molto il commercio di Cartagine.
Nei primi tempi, la superstizione bandiva, in qualche maniera, gli stranieri dall’Egitto e, allorché i Persiani l’ebbero conquistato, si preoccuparono solo d’indebolire i loro nuovi sudditi; ma, sotto i re greci, l’Egitto ebbe il monopolio di quasi tutto il commercio del mondo, e quello di Cartagine cominciò a decadere.
Le potenze fondate sul commercio possono mantenersi lungamente nella mediocrità, ma la loro grandezza è di breve durata. S’innalzano poco a poco, senza che nessuno se ne accorga, in quanto non compiono alcun atto particolare che colpisca e riveli il loro potere; ma allorché la cosa giunge al punto che non si può più fare a meno di vederla, ognuno cerca di privare tale nazione del vantaggio che essa ha conquistato, diciamo così, di sorpresa.
La cavalleria cartaginese era superiore a quella romana, e ciò per due ragioni: la prima è che i cavalli numidi e spagnoli erano migliori di quelli d’Italia; la seconda è che la cavalleria romana era armata male: solamente nelle guerre che fecero in Grecia, infatti, i Romani cambiarono metodo, come apprendiamo da Polibio65.
Nella prima guerra punica, Regolo fu battuto non appena i Cartaginesi scelsero le pianure per far combattere la loro cavalleria, e nella seconda Annibale dovette ai suoi Numidi le principali vittorie66.
Scipione, conquistata la Spagna e alleatosi con Massinissa, tolse ai Cartaginesi tale superiorità. Fu la cavalleria numida a vincere la battaglia di Zama e a finire la guerra.
I Cartaginesi avevano maggiore esperienza sul mare, e conoscevano la manovra meglio dei Romani, ma sembra che allora questo vantaggio non fosse grande come sarebbe oggi.
Gli antichi, non disponendo della bussola, potevano navigare solo lungo le coste; usavano perciò solamente imbarcazioni a remi, piccole e piatte; quasi tutte le rade erano per loro dei porti; la scienza dei piloti era assai limitata, e la manovra ben poca cosa. Aristotele, pertanto, diceva67 che era inutile avere un corpo di marinai, e che, a tale scopo, bastavano i contadini.
Quest’arte era tanto imperfetta che, con mille remi, si faceva a fatica ciò che si fa oggi con cento68.
Le grandi navi erano svantaggiose, per il fatto che, mosse con difficoltà dalla ciurma, non erano in grado di effettuare le evoluzioni necessarie. Antonio ne fece, ad Azio, un’esperienza funesta69: le sue navi non potevano muoversi, laddove quelle di Augusto, più leggere, le attaccavano dà ogni parte.
Essendo le navi antiche a remi, le più leggere spezzavano con facilità i remi delle più grandi, le quali non erano altro, allora, che macchine immobili, come oggi le nostre navi disalberate.
Dopo l’invenzione della bussola, il sistema è cambiato: si sono abbandonati70 i remi, le coste sono state evitate, si sono costruite grandi navi; la macchina è divenuta poi più complessa, e le manovre si sono moltiplicate.
L’invenzione della polvere da sparo ha prodotto qualcosa che non si sarebbe potuto immaginare: la forza delle flotte, infatti, è più che mai consistita nell’arte, giacché, onde poter resistere alla violenza del cannone e non subire un fuoco superiore, sono state necessarie grosse navi. Ma alla grandezza della macchina si è dovuto adeguare la potenza dell’arte.
Le piccole navi di un tempo si agganciavano subitamente, e i soldati combattevano dalle due parti. Su una flotta s’imbarcava un intero esercito di terra. Nella battaglia navale vinta da Regolo e dal suo collega, si videro combattere centotrentamila Romani contro centocinquantamila Cartaginesi. A quel tempo, i soldati contavano molto e i tecnici poco; attualmente, invece, i soldati contano poco o nulla, e i tecnici molto.
La vittoria del console Duilio mostra chiaramente questa differenza. I Romani non avevano alcuna conoscenza della navigazione; quando una galèa cartaginese s’incagliò sulle loro coste, essi si servirono di quel modello per costruirne altre, e in tre mesi i loro marinai furono addestrati, la flotta fu costruita ed equipaggiata: salpò, incontrò la flotta dei Cartaginesi e la sconfisse.
Oggi, a un principe basta a malapena una vita intera per formare una flotta in grado di presentarsi di fronte a una potenza che abbia già l’imperio del mare; forse questa è l’unica cosa che il solo danaro non può fare. E se, ai giorni nostri, un gran principe vi riuscì subito71, l’esperienza ha mostrato ad altri che questo esempio può essere più ammirato che seguito72.
La seconda guerra punica è talmente famosa che tutti la conoscono. Se si esamina bene la sequela di ostacoli che si posero dinanzi ad Annibale e che quell’uomo straordinario sempre superò, si ha il più bello spettacolo che l’antichità ci abbia fornito.
Roma fu un prodigio di costanza. Dopo le giornate del Ticino, della Trebbia e del Trasimeno, e dopo quella di Canne, più funesta ancora, benché abbandonata da quasi tutti i popoli d’Italia, non chiese affatto la pace. Gli è che il senato mai si allontanava dalle antiche massime: con Annibale agiva proprio come aveva agito, un tempo, con Pirro, col quale aveva ricusato di fare qualsiasi compromesso, finché egli fosse rimasto in Italia; e trovo in Dionigi di Alicarnasso 73 che, all’epoca dei negoziati di Coriolano, il senato dichiarò che non avrebbe violato affatto i suoi antichi costumi, e che il popolo romano non poteva far la pace finché i nemici erano sul suo territorio, ma che, se i Volsci si fossero ritirati, sarebbe stato accordato tutto ciò che era giusto.
Roma fu salvata dalla forza delle sue istituzioni. Dopo la battaglia di Canne, neppure alle donne fu permesso di versar lacrime; il senato rifiutò di riscattare i prigionieri, e inviò i miseri resti dell’esercito a far la guerra in Sicilia, senza ricompensa né onori militari, sino a quando Annibale non fosse cacciato dall’Italia.
D’altra parte, il console Terenzio Varrone era vergognosamente fuggito sino a Venosa; quest’uomo, d’infimi natali, era stato elevato al consolato soltanto per mortificare la nobiltà, ma il senato non v...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. CONSIDERAZIONI - SULLE CONSIDERAZIONI
  4. CRONOLOGIA - DELLA VITA E DELLE OPERE
  5. GIUDIZI CRITICI
  6. BIBLIOGRAFIA
  7. NOTA ALLA TRADUZIONE
  8. Dedica
  9. CAPITOLO PRIMO - Origini di Roma — Sue guerre
  10. CAPITOLO SECONDO - L'arte della guerra presso i Romani
  11. CAPITOLO TERZO - Come i Romani poterono ingrandirsi
  12. CAPITOLO QUARTO - 1. I Galli — 2. Pirro — 3. Parallelo tra Cartagine e Roma — 4. Guerra di Annibale
  13. CAPITOLO QUINTO - Situazione della Grecia, della Macedonia, della Siria e dell'Egitto dopo l'umiliazione dei Cartaginesi
  14. CAPITOLO SESTO - La condotta tenuta dai Romani per sottomettere tutti i popoli
  15. CAPITOLO SETTIMO - Come Mitridate poté resistere ai Romani
  16. CAPITOLO OTTAVO - Delle discordie che sempre divisero la città
  17. CAPITOLO NONO - Due cause della rovina di Roma
  18. CAPITOLO DECIMO - La corruzione dei Romani
  19. CAPITOLO UNDICESIMO - Silla – Pompeo e Cesare
  20. CAPITOLO DODICESIMO - Le condizioni di Roma dopo la morte di Cesare
  21. CAPITOLO TREDICESIMO - Augusto
  22. CAPITOLO QUATTORDICESIMO - Tiberio
  23. CAPITOLO QUINDICESIMO - Gli imperatori da Gaio Caligola ad Antonino
  24. CAPITOLO SEDICESIMO - Le condizioni dell'impero da Antonino a Probo
  25. CAPITOLO DICIASSETTESIMO - Cambiamento nello Stato
  26. CAPITOLO DICIOTTESIMO - Nuove massime adottate dai Romani
  27. CAPITOLO DICIANNOVESIMO - 1. Grandezza di Attila – 2. Causa dell'insediamento dei Barbari – 3. Ragioni per cui l'impero d'Occidente fu abbattuto per primo
  28. CAPITOLO VENTESIMO - 1. Le conquiste di Giustiniano – 2. Il suo governo
  29. CAPITOLO VENTUNESIMO - Disordini nell'impero d'Oriente
  30. CAPITOLO VENTIDUESIMO - Debolezza dell'impero d'Oriente
  31. CAPITOLO VENTITREESIMO - 1. Ragione della durata dell'impero d'Oriente – 2. Sua distruzione