Vietato obbedire
eBook - ePub

Vietato obbedire

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Vietato obbedire

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Correva l'anno 1962. A Trento nasceva la storica facoltà di Sociologia, la prima università del dissenso. Dietro ai banchi, quei giovani che hanno urlato la loro rabbia contro il sistema, contro la guerra, per i diritti civili delle minoranze, per una istruzione meno baronale. In prima fila Mauro Rostagno, Marco Boato, Renato Curcio, Mar­gherita Cagol, Marianella Pirzio Biroli: gli 'eroi della rivoluzione imminente'. In cattedra Francesco Alberoni, Beniamino Andreatta, Gian Enrico Rusconi, Chiara Saraceno, Giorgio Galli. Attraverso più di quaranta testimonianze, Vecchio restituisce in maniera precisa e scoppiettante il ritratto della stagione che an­ticipa e per molti aspetti prefigura la ferocia della lotta armata.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Vietato obbedire di Concetto Vecchio in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Ciencias sociales e Sociología. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858657003

La rivolta

(1968)

A Santa Ninfa il paesaggio era lunare. Le case si erano sbriciolate come paste di mandorle rinsecchite. Solo la canonica di cemento armato aveva retto all’urto del sisma, e il giovane monsignore rosminiano, Antonio Riboldi, col suo cappellano, don Piergiorgio Malacarne, l’avevano subito trasformata in un centro di raccolta viveri. Accolsero come una benedizione dal cielo l’arrivo degli studenti volontari giunti dalla lontana Trento. Era successo tutto alle 2.34 della notte fra domenica 14 e lunedì 15 gennaio 1968: il più terrificante terremoto del dopoguerra aveva raso al suolo il cuore più povero di Sicilia. Il Belice s’era risvegliato con 370 morti, mille feriti, 70 mila senzatetto. Sfogliando il giornale, martedì 16 gennaio, Michele Brambilla e Paolo Padova avevano maturato la decisione di unirsi ai soccorsi. Erano già stati a spalare fango nella Firenze alluvionata, sanno quel che li attende. I loro padri si oppongono: «Andate a creare solo confusione! E una pazzia!». Trento è più vicina a Berlino che a Palermo, sarà un viaggio lungo, milleduecento chilometri di scomodità. Michele Brambilla mette a disposizione la sua jeep, carica di viveri e tende, la Provincia un’ambulanza, una campagnola e un autocarro pieno di cose utili. La voce si è subito sparsa in facoltà. Formata all’istante una task-force di studenti-samaritani, tra cui quattro siciliani: Paolo Padova, Michele Brambilla, Giancarlo Basani, Livio Bontare, Ivano Spano, Piero Marin, Guido Laudini, Norberto D’Amario, Benedetto Messina, don Piergiorgio Rauzi, Maria Rosa Vitale. Li guida un compagno del movimento, lo studente di Sociologia Giovanni Accardi, palermitano. Alcune delle terre colpite dal terremoto appartengono alla sua famiglia. I contadini, con riverenza, lo chiamano u signurinu. A sorpresa, giorni dopo, vedranno spuntare anche Leslie Leonelli. «Ragazzi, non resistevo più a Trento!»
All’indomani gli studenti aprono una sottoscrizione per i terremotati. Sit-in in via Verdi. Una signora tira fuori dal suo borsello 40 mila lire, ma invoca l’anonimato. «L’Adige» di Flaminio Piccoli, che pure non ama i sozzologhi, ha versato 100 mila lire, arrivano uomini e donne e concedono in silenzio il loro obolo. A sera le offerte ammontano a 773 mila lire. Una somma notevole. Con un milione ti puoi comprare la berlina dell’Opel, l’Olimpia. Le comunicazioni con Palermo sono interrotte, gli studenti siciliani riescono a parlare con i loro cari solo alle diciotto, dopo dodici ore di attesa. Carabinieri e militari di stanza a Trento lasciano le caserme per raggiungere l’isola, a Rovereto raccolgono una famiglia del Belice, emigrata in Germania, che in treno stava raggiungendo il Brennero. Si fermano, increduli e disperati, non sanno più cosa fare, la loro casa non c’è più, la gente di Rovereto li rifocilla, poi prendono il primo treno e ripartono verso il Sud anche se li hanno sconsigliati. Il direttore Volpato manda un telegramma agli studenti, li ringrazia, i samaritani potranno dare l’esame in separata sede, l’ateneo si trasforma in un centro di raccolta viveri, indumenti, medicinali. Il 17 gennaio partono, pigiati nella jeep, l’autocarro della Provincia arriverà dopo. Fiocca da morire, il viaggio è tormentato, l’Appennino bianco di neve, arrivano a Napoli che è sera, non li vogliono fare proseguire. «Tornatevene a Trento!» Li obbligano a tornare a Roma per mettersi in contatto con il Servizio civile internazionale, bussano alla sede dello Sci, è sera, l’ufficio è incredibilmente chiuso, bisogna passare la notte in auto, all’indomani un indolente impiegato schiude la sede alle 8.30. Alla stazione Termini il caos è tale che nessuno sa come fare per sistemare le auto sui treni, alla fine i ferrovieri, facendo una colletta, pagano il viaggio agli studenti. Approdano a Trapani solo la sera del 19, i giornali hanno in prima pagina la foto del neonato scovato dopo tre giorni dall’inviato de «La Sicilia» Candido Cannavò, poi ecco finalmente Gibellina, 7 mila abitanti, desolata. «Ehi, voi studenti, andate a Santa Ninfa, lì c’è bisogno di voi.» A Santa Ninfa, dunque, e piantano il campo. Dormono in tenda e sentono il suolo tremare ancora. Tutt’attorno le campagne sono piene di sfollati, i vigneti sono ricoperti di brina, uno che viene da Trento non lo immagina il freddo che può fare in un paesino della Sicilia interna. Il camion della Provincia non è ancora arrivato, mandano un telegramma: «Arriva?». La mattina del 23 il furgone provinciale è dato a Palermo, uno studente si precipita nel capoluogo per cercare di recuperare il materiale. Altro telegramma: «Oggi è giunto il camion da Baselga di Piné. Grazie!». Luigi Locatelli, firma del «Giorno», la mattina del 27 scova Paolo Padova e Michele Brambilla nella tendopoli di Santa Ninfa. Hanno stretto amicizia con due studenti pisani, Lucia e Andrea. Raccontano che il 25 gennaio, quando la terra ha tremato ancora, scuotendo stavolta la bella Sciacca, 52 secondi di orrore, ottavo grado della Mercalli, hanno tirato fuori dai calcinacci un vigile del fuoco mezzo morto, gli hanno fatto la respirazione bocca a bocca, l’iniezione di cardiotonico, «mi sentivo morire anch’io perché non riuscivo a trovare la siringa», racconta Paolo Padova, quindi hanno chiesto aiuto a dei francesi dotati di autoambulanza. «Forza, forza che questo poveretto se ne sta andando all’altro mondo.» Il vigile siciliano esala l’ultimo rantolo davanti ai loro occhi. Ed è la prima volta che Paolo Padova e Michele Brambilla vedono un uomo morire.
«Quando tornammo dalla Sicilia, il 2 febbraio – racconta Piergiorgio Rauzi – trovammo la facoltà occupata.» In loro assenza erano successe un po’ di cose.
Intanto, parlando in consiglio provinciale il 10 gennaio 1968, Bruno Kessler aveva pubblicamente difeso il movimento studentesco:
La facoltà trentina di Sociologia soffre di tutto quel travaglio di cui in genere tutta l’università sta soffrendo e di cui abbiamo una dimostrazione dalla discussione che sta avvenendo in parlamento sulla famosa legge di riforma universitaria. Che poi questo travaglio, o la manifestazione meglio di questo travaglio, abbia assunto nella nostra facoltà trentina o assuma degli accenti o delle sfumature più vivaci, questo non deve meravigliare nessuno. Perché il tipo stesso di studi che qui vengono impartiti e direi la stessa caratteristica umana dei frequentatori di un tipo di curriculum di studi quale questo, evidentemente può portare a una maggiore accentuazione di alcuni aspetti o a una maggiore vivacità nella esposizione di determinate istanze che, ripeto, e l’esperienza di questi ultimi mesi oltretutto l’ha dimostrato, non sono peculiari della nostra facoltà, ma sono generalmente presenti in tutta l’università italiana.
Non è una difesa scontata, non da parte di un dirigente democristiano.

La mattina del 31 gennaio 1968 Paolo Sorbi, detto Paolino poiché piccolo e tendente alla pinguedine, è entrato di soppiatto al liceo Prati, la scuola dei figli della borghesia, e ha arringato gli studenti: «Venite tutti alla riunione di Potere studentesco, stasera alle ore 17!». Come diavolo ha fatto? È stato semplice. Ha chiesto un appuntamento al professor Nino Betta, il bidello gli ha indicato la strada, ma invece di recarsi dall’insegnante si è infilato nell’aula della terza A. La ricreazione è appena cominciata, il professore è assente. Distribuisce questo volantino: «La forma di lotta fondamentale è la contestazione del metodo dell’insegnamento della scuola, vogliamo scegliere noi studenti gli argomenti di cui occuparci, i professori non debbono essere i nostri padroni, dobbiamo rifiutare la nostra collaborazione ai professori, dobbiamo scendere in lotta contro le strutture oppressive della scuola e dell’università indicando di volta in volta il tipo di lotta che riterremo più opportuno, dobbiamo boicottare le lezioni fatte dalla cattedra, le interrogazioni, i voti individuali». Parla bene Paolino, gli studenti lo stanno ad ascoltare in silenzio. Suona la campanella, la ricreazione è finita. Entra il professor Giuseppe Rosso, docente di lettere: «E lei chi è?». «Sono Paolo Sorbi, delegato dal movimento studentesco al dialogo con gli studenti medi!» Rosso bofonchia qualcosa, quindi corre a chiamare il preside, Filippo Piovan, che giunge mentre Sorbi sta cercando di lasciare l’aula.
«La prego di abbandonare immediatamente l’edificio!»
«È stato Rosso ad autorizzarmi», dice Sorbi.
«Ioooo?»
«Sì, lei professore, mentre usciva dall’aula per andare alla ricreazione. È proprio un bugiardo!»
Risate stupefatte in classe. Sorbi è cacciato dal Prati. Il preside annuncia una denuncia per offese a pubblico ufficiale per quel «bugiardo». In serata un giornalista dell’«Adige» raggiunge Sorbi: «Nella mia cacciata si può cogliere la natura repressiva dei professori nelle scuole e nelle università italiane».
L’episodio segna un deterioramento nei rapporti tra la città e Sociologia. «L’Adige» titola così un durissimo editoriale: «Una strada per l’anarchia».
Paolino Sorbi ha 25 anni, è nato a Firenze, poi suo padre si è trasferito con la famiglia a Napoli, la sua iscrizione a Sociologia avviene nel 1964, «perché curioso del mondo e dei suoi conflitti». Ha studiato un anno Economia a Napoli, non gli è piaciuto, quindi ha preso la strada per la lontana Trento. Cattolico del dissenso, è discepolo di Giorgio La Pira, studia avido Maritain, Mounier e il fenomeno dei preti operai francesi, milita nel gruppo nonviolento di Tonino Drago, è stato volontario tra i baraccati dei bassi con le Piccole Sorelle di De Foucauld, divenendo grande amico di padre Borrelli, detto don Vesuvio: una figura mitica a Napoli. Nel luglio 1960 è stato protagonista della rivolta antifascista dei «giovani con le magliette a strisce», poi a Firenze a fare Nuova resistenza, il primo tentativo di saldare le lotte degli operai con quelle degli studenti. Lì ha conosciuto Mauro Rostagno, Bepi Tomai, Marco Lombardo Radice, le sorelle Fiamma e Susanna Nirenstein. Trento, al suo approdo, gli appare come una città addormentata, «ma fatta di gente perbene». Anche lui finisce alla magna domus di Villazzano, ha vinto una borsa di studio, e divide il collegio con Renato Curcio, Giovanni Tassani, Paolo Padova, Carlo Virgilio, Giorgio Del Mare. È intimo di Marco Boato, con il quale inizialmente fa parte dell’Intesa. E Rostagno lo ha nominato ministro degli Esteri del movimento, un incarico di cui è fierissimo. Tiene i rapporti con la Sds tedesca, la Lega degli studenti socialisti, ha convinto Adriano Sofri a conoscere quelli di Trento, e si occupa con tenace abnegazione degli studenti medi. Non gli difetta il coraggio. All’istituto tecnico Tambosi un giorno è entrato dalla finestra, ha interrotto la lezione, spiegando focosamente le ragioni della protesta dei sociologi. Lì non l’ha cacciato nessuno.
Il 4 febbraio gli studenti del Prati scrivono all’«Adige» per contestare la cronaca dei fatti. Difendono Sorbi: «Non ha offeso nessuno, ci ha solo spiegato il senso della riunione di Potere studentesco». I presidi cittadini diramano una nota, commentando il volantino. Giusta la richiesta di modernizzazione dei metodi didattici, giusta la richiesta di democratizzazione, il Paese sta cambiando, dobbiamo aggiornare anche la scuola, ma invitano altresì le famiglie e gli alunni «a considerare distintamente i problemi dell’università da quelli della scuola media superiore, a rendersi conto del cammino compiuto dalla scuola in questi anni, a considerare che nessuno può sostituirsi alle leggi attualmente operanti».

Nelle stesse ore nelle quali Sorbi compie la sua azione di disobbedienza civile al Prati, a 500 metri in linea d’aria (di mezzo c’è solo il Duomo), nelle aule di Sociologia scoppia la rivolta. Ne fa le spese il direttore della facoltà, Mario Volpato. L’inizio di un incendio di vaste proporzioni. Va così. Volpato mette piede in aula alle 9 del mattino. È sovraffollata, e come ha già fatto altre volte propone di sdoppiare il corso. Non lo fanno parlare. Sghignazzano. Pugni sui banchi, calpestìo sul pavimento, grida oscene. Sono piccoli gruppi, disseminati nei quattro angoli dell’aula. Un’imboscata. Il professore è esterrefatto. Ha 53 anni. I capelli all’umberta. Occhi azzurri. Portamento severo. Incute soggezione. Ha un’alta concezione di sé: «Io la matematica riesco a farla capire anche ai sassi e perfino ai carabinieri». Per assistere alle sue lezioni bisogna prenotare i posti con anticipo. Ogni tanto, forse conscio dell’eccessiva rigidità del suo portamento, smorza la tensione con una battuta: «Sapete qual è il colmo per un matematico? Andare a casa in incognito e trovare la sua metà con un terzo». Ridono sempre tutti.
Come si permettono? La saliva gli orla gli angoli della bocca. «Ehi tu, perché protesti e non vuoi che si faccia come al solito? Saresti da prendere a schiaffi!» Il destinatario del rimprovero è uno studente calabrese, Augusto Bloise, piccolo, tutto un fascio di nervi. «Lei provi a darmi gli schiaffi, io me ne impipo del direttore!» Volpato vacilla, lo sentono mugugnare qualcosa, abbandona l’aula. Dice piano: «Se vorrete la lezione verrete a chiedermela». Poco dopo rientra. Chi l’ha convinto a tornare? Deve avere rimuginato la cosa in corridoio. Si avvicina a Bloise, che lo guarda stupefatto: «Mi dia il suo tesserino».
dp n="87" folio="87" ?
«Io non lo do a nessuno, tanto meno a lei. Me ne frego del direttore.»
«Sei un bel cretino a non darmelo, ti posso anche far vedere chi è il direttore dell’istituto.»
Sganasciate. «Grande Bloise!» Volpato si allontana, seguito dall’assistente Antonio Brunazzo, bianco come un cencio.
E Bloise: «Cretino sarà lei!».
È riparato in rettorato, scosso. Qui viene raggiunto da uno studente, che gli chiede a nome di una nutrita rappresentanza di poter seguire la lezione in una qualsiasi altra aula, lontana da quella degli scontri. «Ma certo, è un vostro diritto.» La nuova lezione sta per iniziare, quando il gruppo dei contestatori irrompe. Li guida Mauro Rostagno, il quale ha completato il suo corso di studi, fatte salve le materie di matematica e di quelle per le quali la matematica è propedeutica. Volpato tenta la boutade. Adesso metà aula è con lui. «Oh, Rostagno! Ho piacere di vederti per la prima volta al corso di matematica. Chissà che tu non ti decida una buona volta a toglierti questo esame.» Rostagno è indolente in uno dei primi banchi. E s’accende una sigaretta. Silenzio di tomba. Tutti gli sguardi rivolti verso di lui. Aspira il fumo con voluttà. E lo guarda dritto negli occhi. «Ehi, non si fuma durante le lezioni!» Rostagno si gira verso la platea studentesca che gli sta alle spalle: «Ecco una prova dello strapotere accademico». «No, è una norma di igiene, giovanotto. Sono fumatore anch’io e sopporto questo sacrificio.» Si alza un altro studente: «Professore, io vorrei sapere a che cosa serve la matematica per un corso di laurea in sociologia». «Se frequenti il mio corso ti renderai conto che alla fine la matematica può servire.» Un terzo studente: «Professore, io sono al quinto anno, ho superato l’esame di matematica, ma non ho capito a cosa possa servire la matematica per un corso di laurea in sociologia». «Mi spiace. Esistono diversi livelli di comprensione: dai più bassi ai più elevati. Ti sarai fermato al livello più basso.» Santo cielo, lo stanno contestando ! Li guarda: hanno quasi l’età delle sue due figlie. Lui il sabato sera non le fa uscire. A Raffaella, che si era messa un po’ di rimmel per accogliere degli amici, ha ordinato subito di correre in bagno a lavarsi la faccia. Si alza Rostagno, passandosi le mani nei capelli, sistemandosi gli occhiali di montatura nera: «Lei non deve rispondere così, lei è docente di matematica, lei è educatore, lei è direttore dell’istituto, lei ha il dovere di...». Dovere di cosa? Il proclama annega nel baccano. Qualcuno sente dire a Volpato: «L’insegnamento della matematica è previsto dal piano di studi e tu sai benissimo che è stato concordato tra studenti e docenti in pubblici dibattiti durati complessivamente 180 ore...». È quasi sulla soglia della porta quando ode un urlo, quello sì chiaramente distinguibile, che giunge dall’aula: «Fermatelo! Non fatelo uscire!». Non fate uscire il direttore. Volpato si gira: «Sono un uomo libero. Imparate a rispettare la libertà altrui».

L’episodio provoca la convocazione subitanea di un’assemblea. Nella notte tra il 31 gennaio e il 1° febbraio il movimento studentesco decide a schiacciante maggioranza (256 voti favorevoli, 7 contrari, 12 astensioni) di occupare la facoltà per protestare contro l’episodio-Volpato. Assemblea animatissima, fluviale: iniziata alle 19, finita alle 3 del mattino, otto ore di dibattito, di cui le prime due ore spese a discutere una mozione che intendeva qualificare l’assemblea come sit-in di «libero dibattito e priva di potere decisionale». Mozione bocciata con 150 voti contrari. Si occupa. All’indomani campeggia un enorme striscione sulla facciata della facoltà: «Potere studentesco». L’Orut (il parlamentino degli studenti), messo in minoranza, è sconfitto. L’assemblea ha sancito il definitivo trionfo di Rostagno e di Boato, che ha parlato quasi quattro ore. I due scoprono di essere diventati amici. L’ingresso viene picchettato. Potere studentesco avanza quattro rivendicazioni: lotta all’autoritarismo accademico (per mezzo dell’autogestione dei corsi, perché siano gli studenti a decidere cosa studiare e come, relegando il professore «a disposizione degli studenti»); opposizione al piano del ministro alla Pubblica istruzione Luigi Gui e alla sua riforma, la proposta di legge 2314, che intende reintrodurre alcuni limiti d’accesso all’università e stabilire tre differenti livelli di laurea: tre titoli di studio, il primo di essi – il diploma biennale – è conseguibile anche in istituti esterni agli atenei ed è privo di sbocchi ulteriori; la necessità di promuovere un’organizzazione politica delle lotte studentesche e in sede locale e in sede nazionale; infine, si auspica una carta rivendicativa del movimento studentesco, che individui i singoli obiettivi da raggiungere. La decisione si collega a quella assunta dai compagni di altre università, Torino, Milano, Padova, Venezia, Pisa, Roma, Lecce. Gli occupanti si suddividono ancora una volta in commissioni: c’è la commissione documenti, la commissione vigilanza esterna, la commissione vettovagliamento. Ciascun manifestante si è autotassato con mille lire.
Volpato, turbato dagli eventi, convoca i docenti alle 10 del mattino del 2 febbraio, un venerdì. Riceve la piena solidarietà dei colleghi Giorgio Braga, Filippo Barbano, Fabio Metelli, Alighiero Naddeo, Giulio Pasetti, Luciano Daboni, Siro Lombardini, Giuseppe Suppiey, Enzo Spaltro, Ruggero Meneghelli. «Si deplora il comportamento di alcuni st...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dedica
  4. PROLOGO
  5. Non è che l’inizio - (1962-1965)
  6. Facoltà occupata - (1966)
  7. L’anno del Vietnam - (1967)
  8. La rivolta - (1968)
  9. Arrivano le femministe - (1969)
  10. Piovono bombe - (1970)
  11. EPILOGO
  12. CHE FINE HANNO FATTO
  13. RINGRAZIAMENTI
  14. TESTIMONIANZE RESE ALL’AUTORE