Perché ci odiano
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Perché ci odiano

  1. 352 pagine
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Perché ci odiano

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Le menzogne uccidono. Ci sono le prove, le testimonianze, i documenti. Basta cercare. è quello che ha fatto l' autore di questo libro utilizzando fonti "non sospette", spesso Top Secret: cioè quelle ufficiali americane, inglesi, israeliane che dimostrano come il terrorismo occidentale, ben prima di Bin Laden e su scala assai maggiore, sia stata l'arma principale di questi Paesi per imporre un ordine mondiale fondato sulla sopraffazione e la violenza. Da decenni. Da quando i sionisti e gli israeliani in Palestina, gli americani e gli inglesi in Medioriente, Indonesia, Africa e America Latina, con l'aggiunta della Russia in Cecenia, si sono resi responsabili di immani massacri, pulizie etniche, attentati, assassini e repressioni. Milioni di innocenti perseguitati, torturati e ammazzati da quelli che oggi guidano la "Guerra al Terrorismo". Crimini rimasti non solo impuniti, ma spesso spacciati come giusta difesa del "mondo libero" occidentale, e che sono la vera fonte dell'odio dei fanatici che oggi ci attaccano. Se vogliamo sconfiggere il terrorismo dobbiamo smettere di essere terroristi E fermare Stati Uniti, Israele, Gran Bretagna, Russia. Le prove, le storie e i documenti con un contributo di Giorgio Fornoni sulla Cecenia.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858656839

CAPITOLO 1

Le menzogne uccidono

Questo libro dimostra una cosa, e ne invoca un’altra di conseguenza. La prima è che i terroristi islamici sono il prodotto di un terrorismo assai più feroce e immensamente più sanguinario del loro, e cioè il nostro, quello praticato su larga scala dalle politiche estere delle maggiori potenze occidentali. La seconda è che se noi cittadini dei Paesi cosiddetti civili non ci rendiamo conto di ciò e non rettifichiamo quanto abbiamo fatto e continuiamo a fare sulla pelle di milioni di nostre vittime nel mondo, l’odio contro di noi non si placherà mai, e continueremo a morirne.

Per noi occidentali le parole che avete appena letto sono vere alla lettera. Ne sanno qualcosa le vittime americane dell’11 settembre, i pendolari dilaniati a Madrid e a Londra, i massacrati di Bali e di Sharm El Sheik, e tanti altri.
Che gli esecutori materiali di quelle stragi siano stati alcuni terroristi dell’Islam estremo è cosa nota, meno noto è che esse furono rese possibili dalla consuetudine alla menzogna di gran parte dei nostri leader politici e dei media a loro asserviti, i quali ci hanno sempre raccontato una narrativa del tutto falsa sul terrorismo islamico, sui terroristi a noi conosciuti e sulle ragioni del loro odio contro di noi. Avendoci tenuti all’oscuro dei fatti salienti, essi ci hanno impedito di capire chi sia veramente il nemico e quale percorso storico lo abbia reso così aggressivo e sanguinario; di conseguenza siamo stati privati della facoltà come cittadini di partecipare in maniera significativa al dibattito sulle più efficaci forme di difesa, come fossimo pazienti emarginati cui è stata subdolamente nascosta la natura della malattia, e che dunque non possono curarsi. Per lo stesso motivo ci viene altresì impedito di agire con lungimiranza per fermare sul nascere i terroristi futuri, una minaccia immensamente più grande di quanto abbiamo finora subìto. Al fine di prevenire infinite carneficine sia qui che in altri Paesi, dobbiamo chiedere di conoscere la verità; dobbiamo anzi pretendere che le radici dell’odio ci vengano raccontate per intero.

Se non abbiamo un’idea fondata di cosa possa aver prodotto una mostruosità come Osama Bin Laden e Al Qaida è perché quasi tutto ciò che abbiamo sempre saputo di politica internazionale, e soprattutto in materia di terrorismo, è in gran parte falso. Falsa è l’immagine di un Occidente che esporta progresso e democrazia, così come falso è stato il ruolo di portatori o mediatori di pace dei nostri diplomatici; finta era ed è l’indignazione dei nostri leader di fronte agli eccessi dei despoti del pianeta, e più che mistificatorio è il lavoro di «sostegno allo sviluppo» dei nostri Istituti Finanziari Internazionali; bugiarda è stata la retorica delle nostre più recenti guerre per difendere i valori di libertà nel mondo, così come artatamente amplificata è la pericolosità per noi dei Paesi facenti parte del cosiddetto Asse del Male. Chi ha ospitato, protetto e armato terroristi più di chiunque altro al mondo siamo stati noi occidentali: Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia e Israele primeggiano in questa categoria. È strumentalmente semplicistico dire che i kamikaze islamici odino la nostra libertà e l’ordine democratico, che siano spinti da fanatismo cieco; è falso che la Guerra al Terrorismo sia l’unico modo per difenderci da Al Qaida, e fra l’altro è persino falso che Osama Bin Laden abbia concepito quel nome. Ma prima di ogni altra cosa, sta la mistificazione secondo cui in questa fase storica una rete di terroristi islamici stia aggredendo delle nazioni giuste e pacifiche, portatrici nel mondo dei valori della vita e della dignità dell’essere umano, poiché non vi è mai stato alcunché di giusto né di pacifico né di rispettoso per la vita umana nelle nostre politiche estere. Al contrario, quello che veramente sta accadendo davanti agli occhi di tutti è una sanguinosa guerra di reazione di piccoli gruppi di seguaci del terrore contro chi del terrore è stato il maestro incontrastato su scala globale, e cioè l’Occidente democratico, che ha saputo esibire e ancora oggi esibisce un disprezzo per la vita umana che fa impallidire quello di Osama Bin Laden o di Ayman Al-Zawahri, degli attentatori di New York, Madrid o Londra.

Ricominciamo dall’inizio. Il fatto, cruciale, è che l’aver creduto a quelle narrative distorte, oculatamente confezionate dai nostri leader e affidate alla grande distribuzione dei mass-media, ci ha letteralmente nascosto cosa avveniva appena fuori le mura della nostra cittadella dei potenti, nelle sfortunate terre dove il nostro terrorismo e i terroristi alle nostre dipendenze dilagavano impuniti con una potenza distruttiva scioccante, e ci ha impedito di udire dapprima le grida di protesta e poi quelle di rabbia e ribellione di esseri umani schiacciati, imbavagliati, torturati, privati di ogni diritto o dignità, e sovente della vita stessa, perché vittime «necessarie» della nostra violenza e dei nostri interessi nei loro Paesi, fra cui quelli musulmani. Di conseguenza, anche se di tanto in tanto ci mostravano quegli sconvolgimenti nei notiziari o sui giornali, non abbiamo potuto raccogliere gli infiniti segnali di pericolo, persino gli avvertimenti espliciti, che anticipavano con inquietante precisione quanto l’avremmo pagata cara. Abbiamo dunque ignorato una minaccia di deflagrazione che potevamo disinnescare già molti decenni fa, e che oggi ci sta travolgendo. Siamo divenuti vittime innocenti: dei terroristi che ora ci colpiscono, certo, ma soprattutto di quei Grandi Terroristi che chiamiamo i nostri rappresentanti politici, perennemente affaccendati nella sistematica opera di falsificazione della Storia.

E allora: chi maggiormente ci minaccia? Quelli fra i nostri nemici dichiarati che ci attaccano, o coloro che nei panni di nostri tutori ci nascondono le cause della malattia e di conseguenza ogni speranza di una cura? È necessario ribadirlo: questi ultimi ci nascondono un processo patologico di lunga data e pericolosamente sulla soglia della distruzione ultima, ma di cui sono sempre stati consapevoli avendo «in tutto il mondo architettato violenze inaudite mentre davano ai nostri media un compito cosmetico di immagine e di contenuti per renderci plausibile l’inimmaginabile».1
E non è con le armi che fermeremo i terroristi islamici, ma con la giustizia: ammettendo e condannando la nostra violenza, e non solo la loro; riconoscendo e onorando le infinite vittime del nostro terrorismo, e non solo quelle causate dal loro; abbandonando quel sistema di giudizio di due pesi e due misure che sempre applichiamo alla sofferenza nostra e a quella di altri popoli.


Che la nostra stessa sopravvivenza possa dipendere dal grado di consapevolezza pubblica delle vere radici del terrorismo islamico e dalla maggiore o minore giustizia con cui lo abbiamo finora affrontato è un fatto tragicamente vero; e questo non vale solo per i cittadini dei target più ovvi come New York o Londra, ma anche per coloro che vivono in luoghi cosiddetti sicuri, dove ci si sente intoccabili spettatori degli eventi mondiali.
Da sempre ci viene detto che quello che accade a un capo del mondo ha spesso ripercussioni all’altro capo, ma inevitabilmente la stabilità dell’esistenza della maggioranza di noi, la cosiddetta routine, finisce per convincerci che dopotutto questo non è vero. Assistiamo così a ogni sorta di sconvolgimento globale, ma ogni mattina le nostre città, o paesi sono sempre più o meno uguali, così come i nostri impieghi, l’economia, i nostri problemi personali e le abitudini consolidate, con variazioni più o meno fisiologiche. E dunque chi mai avrebbe pensato che i bombardamenti israeliani sulle città del sud del Libano nel 1982 avrebbero finito per portare morte e lutto, per esempio, in via Provinciale 299 ad Aci Trezza vicino Catania e ben ventitré anni dopo? In quella cittadina risiedevano i fratelli Sebastiano e Giovanni Conti, con la moglie del primo, Daniela Maiorana, e la fidanzata del secondo, Rita Privitera, le vittime catanesi della strage terroristica di Sharm El Sheik nel luglio del 2005. Ma cosa lega la tragedia di Aci Trezza con le bombe in Libano? La risposta si trova proprio nella qualità terroristica di quelle bombe. Erano ordigni che Israele, una nazione appartenente alla sfera d’influenza occidentale appoggiata e armata soprattutto dagli Stati Uniti (che per l’occasione posero il veto alle risoluzioni di condanna del Consiglio di Sicurezza dell’ONU), fece piovere indiscriminatamente sul Libano in una campagna illegale di terrorismo armato fra le più feroci nel secondo dopoguerra, causando in tre anni 19.000 morti, in maggioranza civili arabi innocenti.2 In quei terribili giorni dei primi anni ottanta, un giovane imprenditore saudita si trovò a guardare con crescente ribrezzo e rabbia le immagini delle stragi libanesi trasmesse dai canali del Golfo: il suo nome era Osama Bin Laden e furono proprio quei massacri a cementificare in lui la convinzione che l’Occidente andava punito. Dalle sue stesse parole: «Gli eventi che ebbero una influenza diretta su di me si svolsero nel 1982, e poi successivamente, quando gli USA permisero a Israele di invadere il Libano con l’aiuto della sesta flotta americana. Cominciarono a bombardare, e tanti morirono, altri dovettero fuggire terrorizzati. Ancora ricordo quelle scene commoventi – sangue, corpi dilaniati, donne e bambini morti; case sventrate ovunque e interi palazzi che furono fatti crollare sui loro residenti... Tutto il mondo vide e sentì, ma non fece nulla. In quei momenti critici fui sopraffatto da idee che non posso neppure descrivere, ma esse svegliarono in me un impulso potente a ribellarmi all’ingiustizia, e fecero nascere in me la ferma determinazione a punire l’oppressore».3
Il resto è la storia di Al Qaida, dall’11 settembre 2001 a Sharm El Sheik e alla tragedia di un piccolo paese siciliano. Il filo conduttore è inesorabilmente chiaro: uno dei peggiori episodi del terrorismo di matrice occidentale innesca la reazione di una mente, quella del giovane Bin Laden, che è esasperata dallo spettacolo di donne uomini e bambini musulmani che vengono trucidati nei modi più barbari nella sostanziale indifferenza (quando non attiva partecipazione) dell’Occidente, che mai avrebbe tollerato una analoga carneficina se fosse stata inflitta ai suoi cittadini per mano di una forza a esso nemica. Ulteriormente alienato dalle tante altre efferatezze volute o ignorate dall’Occidente ai danni dell’Islam e di altre culture (di cui darò conto più avanti), Bin Laden dà vita a una reazione sanguinaria che porta fino ad Aci Trezza e ai suoi lutti. Le parole di Fabio Sorbello, cognato dei fratelli Conti, all’indomani della strage di Sharm El Sheik non potevano essere più vere da ogni punto di vista: «È come se i kamikaze si fossero fatti esplodere in via Provinciale 299 ad Aci Trezza. E assurdo che due persone che facevano un lavoro stupido siano morte per una cosa più grande di loro». La lunga coda degli eventi del 1982 ha spazzato via quattro vite di una piccola e «sicura» comunità del Sud Italia.
In altre parole: se ci avessero raccontato la verità sul Libano, come su gli altri capitoli della storia contemporanea che videro il terrorismo occidentale dilagare impunito e milioni di sue vittime semplicemente cancellate dalla Storia, se i media ci avessero mostrato le immagini degli orrori collegandoli ai volti dei veri responsabili invece che coprirli o addirittura lodarli, avremmo intuito quale odio ci stavamo tirando addosso e avremmo avuto almeno una possibilità di placarlo pretendendo che giustizia fosse fatta, poiché come mi disse l’intellettuale americano Noam Chomsky in una recente conversazione «oggi la gente non tollera più la barbarie, e la Storia ci dimostra che quando la scopre si attiva per porle fine».4


Le parole chiave sono dunque «sapere per fermarli», gli atti di storico ravvedimento da parte dell’Occidente e i conseguenti passi di giustizia internazionale che qui si invocano, non offrono la garanzia assoluta di fermare Osama Bin Laden e la sua banda di assassini suicidi e di consegnarli alla Storia. Questo perché la natura del loro credo distorto unitamente alla psicopatologia di uomini che si sono da tempo votati alla carneficina contro l’Occidente potrebbero aver passato il punto di non ritorno.
Il punto è un altro ancora. La premessa e le pagine che seguono invocano la divulgazione della verità sul fenomeno del terrorismo islamico per prevenire una minaccia immensamente superiore a quella che già oggi vediamo manifestarsi: e sto parlando delle centinaia di migliaia di futuri adepti del terrore che sono in trepidante attesa di ingrossare le fila di Al Qaida in tutto il mondo, le giovani e i giovani musulmani degli slums di Karachi o di Rabat, delle periferie di Berlino o di Parigi, di Londra o di Roma, gli inascoltati, quelli che gli Stati abbandonano nelle mani di un welfare sotterraneo e parallelo, e che sono facili prede di devianze culturali di cui non abbiamo mai voluto interessarci. Essi aumentano di numero quotidianamente, generati a getto continuo, poiché spaventati, esasperati, offesi, ma soprattutto inferociti dal colpevole mantenimento e dalla caparbia negazione di quelle ingiustizie sia storiche che contemporanee di cui l’Occidente è il primo responsabile oltre ogni dubbio. Formano un esercito il cui potenziale distruttivo futuro, a tutti i livelli del cosiddetto «scontro delle civiltà», è tanto inimmaginabile quanto terrificante.
Dunque, agire con lo sguardo rivolto al domani è priorità assoluta: il rischio dell’inazione, in questo senso, è di consegnare ai nostri figli un lungo futuro di paura che farà impallidire il presente, dove lo spargimento di sangue sarà una consolidata routine, e cioè un circolo vizioso di attacchi e di ritorsioni in una escalation che potrebbe superare di gran lunga la sanguinosa quotidianità di Palestina e Israele degli ultimi anni.
Val la pena citare, soppesandone il significato profondo, quanto mi disse il Fratello Musulmano5 Mohammed Abdel Kuduz in una moschea fondamentalista del Cairo poco tempo fa: «Voi avete le bombe e la tecnologia, noi abbiamo Dio. Contro Dio non vincerete mai».

Nello strappare il velo che ci ha nascosto il sistematico uso del nostro terrorismo su larga scala, questo libro si concentra esclusivamente sull’operato degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Russia e di Israele. È una scelta che ha due motivazioni principali: innanzi tutto il fatto che le politiche estere di questi paesi sono state e sono ancora oggi le maggiori responsabili della più grave minaccia alla pace dopo la Guerra Fredda, nelle vesti dell’odio e della violenza islamica; dunque è da quelle politiche che si deve partire come primo passo per fermare il terrorismo, anche se è innegabile che un lavoro di analoga pulizia spetta pure al mondo musulmano [si veda l’Appendice I, nda]. In secondo luogo, ho puntato i riflettori sulle quattro potenze poiché, al contrario di altre nazioni anch’esse colpevoli di crimini internazionali, esse si sono poste prepotentemente alla guida di una Guerra al Terrorismo globale, ed è imperativo ricordare che una moderna crociata contro la minaccia del terrore combattuta da chi si è macchiato e tuttora si continua a macchiare dello stesso crimine può essere solo destinata a fallire, soffocata dalla palude dell’ipocrisia, delegittimata nel profondo dalla doppiezza morale. Edward Herman, autore del volume The Real Terror Network, ha riassunto quest’ultimo concetto in maniera efficace nel corso di una intervista rilasciatami di recente: «Nell’assurdo teatro della Guerra al Terrorismo, è come se la Mafia si fosse posta alla guida della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja».

Il terrorismo islamico trovò all’inizio la sua ragion d’essere esclusivamente nel progetto di abbattimento dei regimi arabi considerati degli apostati asserviti alle potenze occidentali. Solo decenni più tardi ci fu una svolta per noi a ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Per il lettore
  4. CAPITOLO 1 - Le menzogne uccidono
  5. CAPITOLO 2 - Le ragioni dell'odio
  6. CAPITOLO 3 - Due pesi e due misure
  7. CAPITOLO 4 - Il terrore intoccabile
  8. APPENDICE I - Né pro né contro
  9. APPENDICE II - Sintesi storica del conflitto israelo-palestinese
  10. Viaggio nel calvario ceceno