La fiera della vanità
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La fiera della vanità

  1. 880 pagine
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La fiera della vanità

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Becky Sharp vive in Gran Bretagna nell'anno 1819, è giovane, bella, parla francese, sa cantare e suonare il piano. Ma al contrario della sua amica Amelia, perfetta guida di moralità, Becky vuole una vita comoda, e sa bene che gli agi non si comprano con le virtù. Nel suo mondo, il mondo reale, i giovanotti parlano di moda, i ladri non sono affatto galanti e il gentiluomo ha un nome da ronzino. L'eroe non trova posto nella vita reale, e neanche tra le pagine di Thackeray. Acuto specchio della visione sociale dell'autore, La fiera della vanità è un romanzo vivace e multiforme, dotato di una tagliente leggerezza nell'affrontare il ridicolo, dove la Storia e il quotidiano vivono sulla stessa pagina senza contraddizioni e creano una delle più realistiche raffigurazioni del XIX secolo. Pubblicato all'epoca come romanzo a puntate, fu subito acclamato dai lettori come un moderno bestseller, e rimane oggi, anche grazie alla trasposizione cinematografica di Mira Nair del 2004, un classico intramontabile.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858657836
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

1

CHISWICK MALL

IL NOSTRO SECOLO non aveva ancora raggiunto il suo ventesimo anno, quando, una bella mattina di giugno, una grande carrozza padronale, tirata da due robusti cavalli dai finimenti luccicanti, guidata da un grosso cocchiere in parrucca e tricorno, procedeva alla velocità di circa quattro miglia all’ora verso il cancello di ferro dell’Istituto per signorine Pinkerton, a Chiswick Mall. Appena la carrozza si arrestò davanti alla scintillante insegna che ostentava il nome della signorina Pinkerton, un servitore negro dalle gambe storte, che sedeva accanto al grosso cocchiere, saltò a terra e tirò il campanello; subito furono viste una ventina di testoline spuntare dalle strette finestre dell’antico e maestoso edificio: un attento osservatore avrebbe potuto riconoscere il naso rosso della buona Jemima Pinkerton che sporgeva al di sopra dei vasi di gerani collocati sul davanzale del salotto.
— È la carrozza della signora Sedley, sorella, — annunciò Jemima alla direttrice. — Sambo, il servo negro, ha tirato il campanello proprio ora e il cocchiere ha una nuova livrea rossa.
— Hai preparato tutto per la partenza della signorina Sedley, Jemima? — domandò la signorina Pinkerton, la Semiramide di Hammersmith, l’amica del dottor Johnson, la corrispondente della signora Chapone.
— Stamani alle quattro le ragazze erano già in piedi per chiudere i suoi bauli, sorella, — rispose Jemima. — Le abbiamo preparato anche un mazzo di fiori.
— Di’ un bouquet, Jemima; è molto più elegante.
— Bene, un bucché grosso quasi quanto un fascio di fieno. Nei bauli di Amelia, ho messo anche due bottiglie di acqua di garofano per la signora Sedley e la ricetta per prepararla.
— Suppongo, anche, Jemima, che tu abbia fatto una copia del conto della signorina Sedley. È questa, vero? Benissimo: novantatré sterline e tre scellini. Sii tanto gentile di indirizzare il conto al signor John Sedley e di sigillare questo biglietto che ho scritto per sua moglie.
Agli occhi di Jemima, una lettera autografa della sorella, la signorina Pinkerton, era un oggetto degno di venerazione quanto lo scritto di un sovrano. Si sapeva che la signorina Pinkerton scriveva personalmente ai genitori delle proprie allieve quando le ragazze lasciavano l’istituto o si sposavano. L’unica eccezione si era avuta quando la povera signorina Birch era morta di scarlattina; ed era ferma convinzione di Jemima che, se qualcosa aveva potuto consolare la signora Birch della perdita della figlia, era stata senza dubbio la pia ed eloquente missiva con la quale la signorina Pinkerton aveva annunciato il luttuoso evento.
Nella presente circostanza l’autografo della signorina Pinkerton era così concepito:
 
«Mall, Chiswick, 15 giugno 18...
«Signora,
«dopo sei anni di permanenza a Mall, ho l’onore e la felicità di rimandare ai genitori Amelia Sedley, che è ormai una signorina non indegna di occupare il proprio posto nella loro colta e raffinata società. Le virtù che caratterizzano la gentildonna inglese, le maniere che si addicono alla sua nascita e alla sua posizione non faranno certo difetto all’amabile signorina Sedley che per la sua diligenza e la sua obbedienza si è cattivata l’affetto degli insegnanti, e per la dolcezza del carattere si è fatta ben volere dalle compagne più mature di lei come da quelle più giovani.
Nella musica, nella danza, nell’ortografia, in ogni sorta di lavori di ricamo o d’ago ella può soddisfare le più esigenti speranze dei suoi amici. In geografia lascia ancor molto a desiderare. Per i prossimi tre anni si raccomanda come necessario l’uso assiduo, per quattro ore al giorno, del busto, affinché ella possa acquistare quell’eleganza di portamento indispensabile alle fanciulle della buona società.
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Quanto a religione e a morale, la signorina Sedley si mostrerà degna di un istituto che è stato onorato dalla presenza del Grande Lessicografo1 e che gode del patronato dell’ammirevole signora Chapone. Lasciando Mall, Amelia porta via con sé i cuori delle sue compagne e i voti più affettuosi della sua educatrice, che ha l’onore di firmarsi, signora,
la Vostra obbligatissima e umilissima serva,
BARBARA PINKERTON.
 
«P.S. — La signorina Sharp accompagna la signorina Sedley. Si prega di non trattenere la Sharp a Russel Square più di dieci giorni. La distinta famiglia, con la quale essa si è impegnata, desidera valersi dei suoi servigi al più presto possibile.
 
Terminata tale lettera, la signorina Pinkerton scrisse il proprio nome e quello della signorina Sedley sulla prima pagina di un dizionario di Johnson, l’interessante volume che non mancava di donare alle allieve in procinto di lasciare Mall. Nel volume era inserita una copia dei Consigli a una signorina che lascia la scuola della signorina Pinkerton, del reperendo dottor Samuel Johnson. Sulle labbra della maestosa donna era sempre, infatti, il nome del letterato che, con la visita fattale un giorno, aveva dato origine alla sua fama e alla sua fortuna.
Quando la sorella maggiore le aveva ordinato di prendere dall’armadio “il dizionario”, Jemima aveva tolto due volumi dal sacrario in questione. E allorché la signorina Pinkerton ebbe terminato di scrivere la dedica sul primo volume, Jemima, con aria timida e imbarazzata, le porse il secondo.
— Per chi è questo libro? — domandò la signorina Pinkerton con terribile freddezza.
— Per Becky2 Sharp, — rispose Jemima, tremando; e la faccia grinzosa e il naso le si coprivano di rossore mentre distoglieva gli occhi dalla sorella. — Per Becky Sharp; anche lei ci lascia.
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JEMIMA! — esclamò la signorina Pinkerton in tutte lettere maiuscole. — Sei ammattita? Rimetti subito quel dizionario al posto, e non osare mai più prenderti una simile libertà!
— Ma, sorella cara, si tratta solo di due scellini e nove pence, e la povera Becky sarà molto addolorata se non l’avrà in dono.
— Mandami subito la Sedley, — fece la signorina Pinkerton; e la povera Jemima, senza più osar dire una parola, si allontanò, nervosa e sconvolta.
Il padre della Sedley era un commerciante londinese di una certa agiatezza, mentre la Sharp era stata accolta gratuitamente nell’istituto; e la signorina Pinkerton pensava di aver già fatto abbastanza per lei senza che occorresse conferirle l’alto onore del dizionario.
Le lettere della direttrice di una scuola non sono degne di fede più di quegli epitaffi che si leggono in chiesa; ma, proprio come alle volte può accadere che muoia qualcuno veramente meritevole delle lodi che lo scalpellino incide sulla sua lapide, perché fu realmente un buon cristiano, un genitore esemplare, o un ottimo figlio, o un coniuge che lasci effettivamente la famiglia in sconsolato lutto per la sua perdita, così negli istituti, sia maschili che femminili, si dà ogni tanto il caso di allievi che meritino gli elogi dei loro disinteressati educatori. Ora, Amelia Sedley apparteneva a questa rarissima specie, e non solo era proprio degna di tutto quel bene che la signorina Pinkerton diceva di lei, ma possedeva anche molte altre magnifiche qualità che quella vecchia e verbosa Minerva non poteva rilevare, data la differenza d’età e di carattere corrente tra lei e l’allieva.
Amelia non soltanto cantava come un usignolo o come una Billington, danzava come una Hillisberg o una Parisot, ricamava meravigliosamente e sapeva scrivere come fosse ella stessa un dizionario, ma aveva altresì un cuore buono, gentile, tenero, generoso, capace di cattivarle l’affetto di tutti coloro che la avvicinavano, dalla Minerva sino alla sguattera di cucina e alla piccola guercia, figlia della venditrice di pasticcini, cui una volta la settimana era permesso offrire la sua mercanzia alle signorine dell’istituto. Fra le sue dodici compagne, ella annoverava ben dodici amiche intime. Neppure l’invidiosa Briggs parlava male di lei; l’altera e orgogliosa Saltire (la nipote di Lord Dexter) conveniva sulle sue grazie, e quanto poi alla Swartz, la mulatta di St. Kitts dai capelli abbondanti e ondulati, costei il giorno della partenza d’Amelia si abbandonò a un tale accesso di pianto che si dovette mandar a chiamare il dottor Floss perché la rianimasse coi sali. L’affetto della signorina Pinkerton, come era naturale in una donna di tanto alta posizione e di tanto eminenti virtù, si manifestava calmo e dignitoso, mentre Jemima si era sentita più di una volta venir le lacrime agli occhi, al pensiero della partenza di Amelia, e, non fosse stato per timore della sorella, si sarebbe lasciata andare a una crisi isterica simile a quella dell’ereditiera di St. Kitts (che pagava doppia retta). Ma tali eccessi di dolore sono permessi solo alle collegiali di riguardo, e l’onesta Jemima doveva invece badare ai conti, al bucato, al rammendo, alla cucina, ai piatti, alle stoviglie, alla servitù... Ma perché parlar di lei? Probabilmente non la rivedremo sino alla fine dei tempi; e, dal momento in cui il grande cancello di ferro dell’istituto si chiuderà dietro la carrozza dei Sedley, né Jemima né la sua terribile sorella entreranno più nel piccolo mondo di questa storia.
Di Amelia, invece, dovremo occuparci molto, e non è male quindi affermare sin da principio che era un’ottima creaturina; è una fortuna aver per compagna una persona così cara e onesta, quando, nella vita come nei romanzi (specie in questi ultimi), ci si imbatte continuamente in gente della peggiore risma. Poiché non è un’eroina, crediamo inutile tracciarne il ritratto; siamo tuttavia spiacenti di dire che aveva il naso troppo corto e le guance troppo rotonde e colorite per un’eroina: tuttavia il suo viso aveva i colori della salute, le labbra sorridevano sempre, gli occhi brillavano di una gioia schietta e onesta, eccetto quando si riempivano di lacrime, cosa che avveniva con una certa frequenza, poiché quella sciocchina era capace di singhiozzare per la morte di un canarino, di un topo capitato in bocca a un gatto, per la conclusione di un romanzo, assurda che fosse, per una parola dura rivoltale: se pure potesse esservi qualcuno tanto crudele da permettersi una cosa simile. Persino l’austera signorina Pinkerton, così vicina a una dea, dopo un primo tentativo, aveva cessato di rimproverare Amelia, e, benché non comprendesse di sensibilità più di quanto si intendesse di algebra, aveva dato ordine a tutto il suo corpo insegnante di trattare la Sedley con la massima gentilezza, dato che i modi bruschi sconvolgevano in tal modo la ragazza.
Quando venne il giorno della partenza, la signorina Sedley, combattuta fra il pianto e il riso, non sapeva come comportarsi. Era lieta di tornare a casa, ma, nello stesso tempo, le dispiaceva lasciar la scuola. Nei tre giorni che precedettero la partenza, la piccola Laura Martin, l’orfana, la seguì dappertutto come un cane. Amelia dovette dare e ricevere almeno ventiquattro doni e pronunciare ventiquattro promesse di scrivere una volta alla settimana. — Indirizzami le lettere da mio nonno, il duca di Dexter, — diceva la signorina Saltire (che, sia detto per inciso, era piuttosto avara1). — Non badare all’affrancatura, ma scrivimi ogni giorno, — ingiungeva l’impetuosa e ricciuta, ma affezionata e generosa signorina Swartz; mentre la piccola Laura Martin (che da poco aveva imparato a scrivere) stringeva le mani dell’amica e, fissandola gravemente in viso, dichiarava: — Amelia, quando ti scriverò, ti chiamerò “mamma”.
Sono certo che Tizio, il quale sta leggendo questo libro al suo club, troverà sciocchi, disgustosi e troppo sentimentali tutti questi particolari. Sì, vedo Tizio in questo momento che, soddisfatto del cosciotto di montone e della mezza pinta di vino, dà mano alla matita, sottolinea le parole “sciocchi e disgustosi”, eccetera, e aggiunge a margine un’osservazione: «Verissimo». Ciò significa che ci troviamo di fronte a uno di quegli uomini di genio che nella vita e nei romanzi ammirano le cose grandi ed eroiche; ma, se è così, farebbe meglio a salutare e ad andarsene altrove.
Bene, dunque. Quando i fiori, i doni, i bauli, la cappelliera della signorina Sedley furono accomodate da Sambo sulla vettura insieme con una vecchia e sdrucita valigia di pelle recante un biglietto col nome della Sharp (valigia che lo stesso Sambo tese con una smorfia al cocchiere il quale rispose a sua volta con una smorfia), giunse l’ora della partenza; ma il dolore di quel momento fu molto attenuato dal solenne discorso che la signorina Pinkerton rivolse all’allieva. Non che questo discorso di addio, com’ella invece si proponeva, desse ad Amelia motivo di meditazione e l’armasse di uno scudo contro le avversità della vita; al contrario: era sciocco, pomposo e noioso, ma per timore di spiacere alla direttrice, la signorina Sedley non osò davanti a lei dar sfogo alle proprie emozioni. Come nelle solenni occasioni delle visite dei parenti, furono portate in salotto una torta e una bottiglia di vino; e terminato il rinfresco, la signorina Sedley fu libera di partire.
— Andate a salutare la signorina Pinkerton, Becky! — disse Jemima a una ragazza di cui nessuno si era curato e che scendeva le scale tenendo in mano una cappelliera.
— Credo di doverlo proprio fare, — rispose la Sharp, calma, con grande stupore di Jemima; e, come quest’ultima ebbe bussato all’uscio e ottenuto il permesso di entrare, la Sharp si avanzò con fare noncurante e disse, con un perfetto accento francese: «Mademoiselle, je viens vous faire mes adieux1».
La signorina Pinkerton non conosceva il francese: si limitava a esercitare il suo potere su coloro che lo sapevano. Mordendosi le labbra e sollevando il solenne viso dal naso aquilino, sormontato da un maestoso turbante, rispose: — Buon giorno, signorina Sharp. — E, così dicendo, la Semiramide di Hammersmith stese la mano, sia in segno di saluto, sia per dar modo alla ragazza di stringere una delle dita che ella aveva allungato a questo scopo.
La Sharp, con un freddo sorriso e un inchino, incrociò le mani, declinando così l’alto onore che le veniva offerto, al che la Semiramide scosse il turbante con un insolito fare indignato. Vi fu una specie di piccola battaglia fra la ragazza e la vecchia, e quest’ultima dovette dichiararsi vinta. — Dio ti benedica, figlia mia! — disse abbracciando Amelia, ma nello stesso tempo gettando uno sguardo irato sulla Sharp. — Andiamo, Becky! — fece Jemima, allarmata, trascinando via la ragazza; e la porta del salotto si chiuse alle loro spalle.
Seguirono poi a pianterreno le commoventi scene d’addio che le parole si rifiutano di descrivere. Nell’atrio si erano radunate le serve, le amiche, le compagne, persino il maestro di ballo che era arrivato in quel momento: pianti, lamenti, baci, saluti, le grida isteriche della Swartz dalla sua stanza, tutto concorreva a formare un quadro che nessuna penna può descrivere, un quadro che un cuore eccessivamente sensibile preferirà sempre ignorare. Quando gli addii furono terminati, esse lasciarono, o meglio, la signorina Sedley lasciò le amiche. La Sharp era già salita da qualche minuto sulla vettura, impassibile. Nessuno piangeva, nel separarsi da lei.
Sambo dalle gambe storte chiuse lo sportello della carrozza sulla padroncina in lacrime, ed era già risalito a cassetta quando Jemima uscì di corsa dal cancello tenendo in mano un pacchetto e gridando:
— Fermate! Ecco qualche panino per te, cara, — disse ad Amelia. — Potresti aver fame; lo so. E... Becky, Becky Sharp... questo è un libro per te, che mia sorella... cioè, io... il dizionario del dottor Johnson, sai; non devi andartene senza questo dono. Addio! Avanti, cocchiere! Che il cielo vi benedica!
E la buona creatura, vinta dall’emozione, rientrò in giardino.
Ma, ahimè, appena la carrozza si mosse, la Sharp sporse la pallida faccia dallo sportello e scaraventò il libro sul viale.
Jemima credette di venir meno per lo spavento.
— Non avrei mai... — balbettò. — Che sfacciataggine... — e l’emozione le impedì di terminare una sola delle due frasi. La vettura si allontanò, il grande cancello si chiuse e il campanello suonò per la lezione di ballo. Addio, Chiswick Mall! Ora, davanti alle due ragazze, si spalanca il mondo.

2

LA SIGNORINA SHARP E LA SIGNORINA SEDLEY SI PREPARANO A DAR BATTAGLIA

Compiuto l’atto eroico menzionato nel precedente capitolo, visto ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. INTRODUZIONE
  4. CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
  5. LA COMPOSIZIONE E LA PUBBLICAZIONE DELLA FIERA DELLA VANITÀ
  6. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
  7. THACKERAY ILLUSTRATORE
  8. DAVANTI AL SIPARIO
  9. 1 - CHISWICK MALL
  10. 2 - LA SIGNORINA SHARP E LA SIGNORINA SEDLEY SI PREPARANO A DAR BATTAGLIA
  11. 3 - REBECCA DI FRONTE AL NEMICO
  12. 4 - LA BORSETTA DI SETA VERDE
  13. 5 - IL NOSTRO DOBBIN
  14. 6 - VAUXHALL
  15. 7 - CRAWLEY DI QUEEN'S CRAWLEY
  16. 8 - PERSONALE E CONFIDENZIALE
  17. 9 - RITRATTI DI FAMIGLIA
  18. 10 - LA SIGNORINA SHARP COMINCIA A FARSI DEGLI AMICI
  19. 11 - ARCADICA SEMPLICITÀ
  20. 12 - CAPITOLO MOLTO SENTIMENTALE
  21. 13 - SENTIMENTALE E QUALCOS'ALTRO
  22. 14 - LA SIGNORINA CRAWLEY A CASA SUA
  23. 15 - NEL QUALE APPARE DI SFUGGITA IL MARITO DI REBECCA
  24. 16 - LA LETTERA SUL PUNTASPILLI
  25. 17 - COME IL CAPITANO DOBBIN COMPRO' UN PIANOFORTE
  26. 18 - CHI SUONO' IL PIANO COMPERATO DAL CAPITANO DOBBIN?
  27. 19 - LA SIGNORINA CRAWLEY E LA SUA INFERMIERA
  28. 20 - IN CUI IL CAPITANO DOBBIN SI FA MESSAGGERO DI IMENE
  29. 21 - BARUFFA A CAUSA DI UN'EREDITIERA
  30. 22 - UN MATRIMONIO E UNA MEZZA. LUNA DI MIELE
  31. 23 - IL CAPITANO DOBBIN CONTINUA A ORDIRE LA SUA TELA
  32. 24 - IN CUI IL SIGNOR OSBORNE TIRA FUORI LA BIBBIA DI FAMIGLIA
  33. 25 - IN CUI I NOSTRI PRINCIPALI PERSONAGGI DECIDONO DI LASCIARE BRIGHTON
  34. 26 - FRA LONDRA E CHATHAM
  35. 27 - IN CUI AMELIA RAGGIUNGE IL REGGIMENTO
  36. 28 - IN CUI AMELIA INVADE I PAESI BASSI
  37. 29 - BRUXELLES
  38. 30 - « LA FANCIULLA CHE HO LASCIATO DIETRO DI ME »
  39. 31 - IN CUI JOS SEDLEY SI ASSUME LA CURA DELLA SORELLA
  40. 32 - IN CUI JOS FUGGE E LA GUERRA È CONDOTTA A TERMINE
  41. 33 - IN CUI I PARENTI SONO MOLTO IN ANSIA PER LA SIGNORINA CRAWLEY
  42. 34 - LA PIPA DI JAMES CRAWLEY SI SPEGNE
  43. 35 - VEDOVA E MADRE
  44. 36 - COME VIVER BENE SENZA AVERE UN SOLDO
  45. 37 - ANCORA SUL MEDESIMO ARGOMENTO
  46. 38 - UNA FAMIGLIA IN GRANDI RISTRETTEZZE
  47. 39 - CAPITOLO CINICO
  48. 40 - IN CUI REBECCA VIENE RICONOSCIUTA DALLA FAMIGLIA
  49. 41 - IN CUI REBECCA RITORNA AL MANIERO DEGLI ANTENATI
  50. 42 - IN CUI SI PARLA DELLA FAMIGLIA OSBORNE
  51. 43 - IN CUI IL LETTORE È COSTRETTO A DOPPIARE IL CAPO
  52. 44 - CAPITOLO CHE VAGABONDA FRA LONDRA E LO HAMPSHIRE
  53. 45 - TRA LO HAMPSHIRE E LONDRA
  54. 46 - LOTTE E PROVE
  55. 47 - GAUNT HOUSE
  56. 48 - IN CUI IL LETTORE VIENE INTRODOTTO NELLA MIGLIORE SOCIETÀ
  57. 49 - IN CUI GODIAMO TRE PORTATE E IL DOLCE
  58. 50 - CONTIENE UN BANALE INCIDENTE
  59. 51 - IN CUI SI RAPPRESENTA UNA SCIARADA CHE PUO' E NON PUO' METTERE IN IMBARAZZO IL LETTORE
  60. 52 - IN CUI SI RIVELA CHIARAMENTE LA BONTÀ DI LORD STEYNE
  61. 53 - LIBERAZIONE E CATASTROFE
  62. 54 - LA DOMENICA DOPO LA BATTAGLIA
  63. 55 - IN CUI SI CONTINUA SULLO STESSO ARGOMENTO
  64. 56 - GEORGY DIVENTA UN SIGNORE
  65. 57 - RITORNO DALL'ORIENTE
  66. 58 - IL NOSTRO AMICO IL MAGGIORE
  67. 59 - IL VECCHIO PIANOFORTE
  68. 60 - RITORNO NELLA BUONA SOCIETÀ
  69. 61 - IN CUI DUE LUCI SI SPENGONO
  70. 62 - AM RHEIN
  71. 63 - IN CUI RITROVIAMO UNA VECCHIA CONOSCENZA
  72. 64 - CAPITOLO VAGABONDO
  73. 65 - AFFARI E PASSATEMPI
  74. 66 - AMANTIUM IRAE
  75. 67 - IN CUI SI TRATTA DI NASCITE, MATRIMONI E MORTI